Un piano nazionale contro la povertà energetica

di Giovanni Carrosio

Con l’aggravarsi della crisi economica, il tema della fuel poverty (povertà energetica) – molto studiato e dibattuto soprattutto nei paesi anglosassoni – sta assumendo una sua rilevanza anche in Italia. Cresce il numero di famiglie che si trovano nella difficoltà o nell’impossibilità di assicurare un riscaldamento adeguato nelle proprie abitazioni e di dotarsi di sistemi elettrodomestici e di illuminazione sufficienti a causa del costo dell’energia elettrica. Secondo una ricerca europea, nel 2010 in Italia l’11% delle famiglie non aveva la disponibilità economica per riscaldare in modo adeguato la propria abitazione e il 9% delle famiglie aveva una cronicità nel ritardo dei pagamenti delle bollette (Eurostat, 2010). Il dato è destinato a crescere in modo incrementale con la crisi economica, a meno che non intervengano ambiziose politiche capaci di invertire la rotta. Ad essere colpite non sono soltanto le classiche situazioni di povertà, che trovano sostegno ad esempio nel social housing, ma un serie di figure nuove che vanno sotto il concetto di working poors: persone che, pur avendo un reddito da lavoro, non hanno sufficienti disponibilità economiche per vivere in modo dignitoso. Il fenomeno dei working poors è dilagante e coinvolge circa il 10% dei lavoratori italiani nel complesso e il 18% dei lavoratori con contratti temporanei.

Fino ad oggi, le istituzioni hanno elaborato risposte alla fuel poverty parziali e insoddisfacenti, basate soprattutto su due indirizzi: la creazione di mercati energetici concorrenziali, che permettano un abbassamento dei costi medi dell’energia, e l’attivazione di politiche per la salvaguardia dell’accesso ai servizi energetici delle fasce più deboli della popolazione. Sul primo fronte, si assiste oggi in Italia allo sviluppo di forme di concorrenza nel mercato elettrico e, in misura assai più limitata, in quello del gas. Sul versante delle politiche specifiche di salvaguardia delle fasce deboli della popolazione, è oggi avviata una tariffa sociale per l’energia elettrica, finalizzata a ridurre la spesa energetica dei consumatori in condizioni di disagio economico o in gravi condizioni di salute. Inoltre, l’Autorità per l’energia è da tempo intervenuta con specifici provvedimenti (rateizzazione dei pagamenti, tassi massimi di interesse, divieti di sospensione del servizio in casi di particolare disagio) nell’ottica di tutelare i consumatori più vulnerabili.

Esiste un terzo versante, tuttavia, sul quale non si è ancora intervenuto in modo strutturato e mirato, quello degli interventi di miglioramento dell’efficienza negli usi finali dell’energia. Anziché intervenire in modo assistenziale sul sostegno alla spesa delle famiglie in difficoltà, è possibile intervenire sul miglioramento della qualità degli alloggi, con vere e proprie ristrutturazioni energetiche. In questo modo si abbatte strutturalmente il fabbisogno energetico delle famiglie, innalzandone contestualmente il comfort. Perché ciò sia possibile, sono necessarie però politiche integrate, comprensive di diverse questioni: sociali (la lotta alla povertà energetica), ambientali (la riduzione delle emissioni climalteranti), energetiche (incremento dell’efficienza negli usi dell’energia), economiche (l’impulso al settore delle ristrutturazioni edilizie e la creazione di nuovi green jobs).

Intervenire sull’efficienza energetica degli edifici, infatti, consente non solo di alleviare il carico delle bollette sul bilancio famigliare, ma anche di diminuire il peso del settore edile sulle emissioni e di creare nuova occupazione legata ai lavori verdi.

Seguendo questa logica le politiche devono intervenire incrementando le capabilities delle famiglie con bassi redditi, invertendo la logica assistenzialistica. Fino ad oggi, però, tutte le incentivazioni nazionali sul risparmio energetico negli edifici sono state concesse senza distinzione di reddito (i meccanismi del 55% e del 36%) ed è facile ipotizzare che siano state utilizzate esclusivamente da redditi medio-alti. Per come gli incentivi sono impostati, le famiglie più giovani senza risparmi e senza continuità di reddito e le fasce di reddito medio-basse difficilmente trovano attraente l’incentivazione (impossibile fare gli interventi per mancanza di risorse e ridurli fiscalmente per insufficiente imponibile).

È arrivato il momento di iniziare a pensare alle politiche di incentivazione in modo differenziato per le fasce di reddito. Sia per l’installazione di dispositivi di produzione di energia da fonti rinnovabili, che per gli interventi di risparmio energetico degli edifici. Bisogna anche mettere a punto un piano di interventi diretti, sulla scorta di quello immaginato da Gallino per la messa in sicurezza del territorio. Abbandoniamo le grandi opere e investiamo in autonomia energetica a partire dalle singole abitazioni. Le future generazioni ci ringrazieranno.

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