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In diretta dal Social Forum di Dakar

Quattro varesini dall’XI Forum Sociale Mondiale, Dakar 6-11 febbraio 2011

La manifestazione di apertura del Forum Sociale Mondiale si è tenuta domenica a Dakar tra la Piazza dell’Obelisco, nel cuore della Medina, a due passi dalla Grande Moschea, e l’Università Diop, una delle più prestigiose dell’Africa nera. Ventimila i partecipanti secondo le autorità locali, ma a nostro parere quattro volte di più, in rappresentanza di oltre 130 paesi e di qualche migliaio di associazioni accreditate. Le sole preiscrizioni paganti al Forum erano attorno alle 50.000 unità. Soverchiante la presenza africana: in testa i senegalesi, come ovvio, seguiti da una folta e vivacissima rappresentanza marocchina. Netta la prevalenza delle donne di ogni età, e di giovani: riflesso non tanto dell’assetto demografico del Maghreb e dell’Africa nera, quanto del risveglio panarabo e panafricano in corso, che potrebbe contagiare per primo proprio il paese che ospita il Forum, il vivace, politicamente strutturato e culturalmente più moderno Senegal urbano, e di qui generare un effetto domino sul resto del continente, a partire dai paesi più sofferenti sul piano politico, come Nigeria e Camerun. Il titolo della nota e la foto evocano un possibile parallelismo tra le donne africane di oggi e gli operai torinesi del luglio ’60, che inaugurarono una formidabile stagione di emancipazione del lavoro. A significarne l’apertura al futuro, il corteo era guidato simbolicamente da un centinaio di bambini di una scuola elementare privata di Dakar, ciascuno con un palloncino colorato, accompagnati da una dozzina di suore giovanissime che sembravano suggerire “Un’altra chiesa è possibile”. Dagli altri continenti, folta la presenza dei brasiliani e dei venezuelani seguaci del controverso presidente populista Chavez. Molte le organizzazioni di cooperazione, tra cui le internazionali Oxfam e Caritas in primis, e l’italiana Mani Tese. Tra le associazioni italiane, oltre a Arci e Uisp, significativa soprattutto la delegazione della CGIL, con una forte presenza di lavoratori migranti da ogni continente. Dall’Asia di qualche consistenza la sola presenza indiana. Al termine, il comizio conclusivo è stato aperto dal presidente boliviano Morales.

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Il nucleare militare e il referendum

Tutti possono arrivare da soli – ci può riuscire anche un ragazzino! – a cogliere il “mistero” del nucleare. Il metodo è semplice. Subito dopo aver letto i giornali o guardato i notiziari TV, dobbiamo riflettere sulle notizie in essi riportate, ad esempio sul caso dell’ Iran che nasconderebbe l’intenzione di farsi l’atomica dietro i suoi progetti di centrali “civili”; poi abbiamo da sistemarle in relazione reciproca – queste notizie – ed infine da eseguire operazioni elaborative semplicissime, a livello di due più due fa quattro: ecco che, allora, alcune verità saltano fuori. Il presupposto dell'”illuminazione” è dismettere l’abitudine della delega all’esperto e cominciare a ragionare con la propria testa. Del resto le vere e proprie risse in cui, anche nell’arengo dei media, vediamo sempre e comunque, su qualsiasi cosa, impegnati gli scienziati ed i tecnici dovrebbero averci ormai edotto su questa realtà: la neutralità e l’oggettività se non proprio della Scienza in quanto ideale, ma della comunità scientifica reale sono un miraggio pericoloso, soprattutto per quei problemi sociali complessi la cui interdisciplinarità di approcci, causata dalla molteplicità degli elementi implicati, vanifica in partenza la possibilità dell’esperto unico.

Proviamo semplicemente a ragionare, adoperando l’unico strumento del nostro buon senso, su due notizie esemplari ampiamente diffuse dai media all’inizio di questo nuovo anno (2011):
1- un cyberattacco scatenato da Israele, con l’aiuto USA, mediante il virus Stuxnet, ha ritardato significativamente i programmi nucleari iraniani (non potranno farsi la Bomba prima del 2015) perché ha messo fuori uso un terzo delle centrifughe con cui Teheran si arricchisce da sè l’uranio;
2- le trattative tra l’ONU (5+1, i cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza più la Germania) e l’Iran in materia nucleare ristagnano perchè Teheran si rifiuta di trasferire il proprio uranio arricchito all’estero per ulteriori lavorazioni e rifiuta di far gestire a Francia e Russia il ciclo del combustibile atomico per la propria centrale di Busher (arricchimento dell’uranio, appunto, ma anche ritiro e trattamento delle scorie).Occorrerebbero, con la tecnologia iraniana, 1.000 kg di uranio arricchito al 3,5% per ottenere 50 kg di uranio arricchito al 90% buono per un ordigno atomico.

Cosa ci dicono, allora, queste due notizie, per nulla segrete, squadernate belle belle sotto i nostri occhi? E che praticamente ogni giorno possiamo trovare su tutti i giornali che compriamo nelle edicole?
Delle cose di tutta evidenza:
1- esistono delle tecnologie di “arricchimento dell’uranio” che così come preparano il combustibile atomico da “bruciare” nelle centrali, allo stesso modo, con un grado superiore di presenza di U235 nel materiale fissile, producono l’esplosivo nucleare per le bombe atomiche;
2- i programmi “civili” di un Paese possono benissimo essere piegati a finalità militari ed è lo Stato l’attore principale che li progetta, finanzia e coltiva;
3- questi programmi cripto-militari si attaccano spesso a giustificazioni di utilità sociale che non stanno in piedi. Si pensi alle centrali nucleari che dovrebbero, si fa per dire, risolvere il problema energetico dell’Iran: i persiani sono tra i principali produttori di petrolio al mondo ma non hanno le raffinerie per prodursi la benzina che farebbe circolare le loro auto. Se avessero una reale preoccupazione energetica non penserebbero innanzitutto a come procurarsi delle semplici tecnologie di lavorazione petrolifera? A chi la vuole raccontare Ahmadinejad?

Queste osservazioni contengono gran parte di quello che occorre per penetrare i misteri del nucleare ed in particolare evidenziano uno dei due aspetti della base tecnica del rapporto tra nucleare civile e nucleare militare: l’arricchimento dell’uranio che pone capo all’equazione: combustibile = esplosivo. Il combustibile con il quale produci l’elettricità nelle centrali può diventare la carica esplosiva atomica nelle bombe nucleari. L’altro aspetto di questa base tecnica, non esplicitamente menzionato, e che quindi andrebbe rintracciato con ulteriori ricerche, è l’estrazione del plutonio che si ricava “ritrattando” le scorie radioattive. Ma non ci vuole poi molto a procurarsi la notizia che dalle scorie radioattive di un anno di centrale da 1.000 Megawatt puoi estrarre 50 kg di plutonio buono per 10 bombe atomiche. Tanto per avviarsi a comprendere, con quanto sopra enucleato, l’affermazione di Amory Lovins: “L’elettricità è solo un sottoprodotto dei programmi nucleari”.

Detto in termini semplificatori, lapalissiani, avviarsi, come taluno ha fatto, semplicemnete ragionando su quanto i media mainstream propongono, e come lo stesso può mettersi a fare ciascuno di noi, a conoscere la “causa” di un problema – il fattore che muove, determina, una situazione – è importante, decisivo, perchè ti permette di progettare e realizzare l’intervento che pone realmente rimedio all’effetto dannoso, svantaggioso, indesiderato.

Rigirando ancora il concetto nei termini, “sistemici della complessità”, oggi di moda, si tratta, analogamente, di individuare l’input più impattante che origina, in una catena di eventi interconnessi, nonché attivi e retroattivi, l’output non voluto. Un po’ come quando si calcolano le emissioni di CO2 e ci si propone di ridurle per moderare il ricaldamento globale. Serve un appiglio a cui agganciare una azione, un anello risolutivo nella catena delle cause e degli effetti da prendere e tirare per ritrovarsi tra le mani, sotto controllo, l’oggetto della mutevole e sfuggente realtà.
Torniamo quindi alla domanda basilare ed originaria di tutta la faccenda: perché si torna al nucleare? a chi conviene?
E veniamo anche alla banale risposta corrente risposta, in verità spesso non esplicitata chiaramente dell’ambientalismo professionistico: siamo succubi della spinta di vecchie, “dinosauresche”, lobby industriali che vogliono, con l’aiuto di poteri incompetenti e forse corrotti, lucrare profitti indebiti caricando sulle casse dello Stato una tecnologia obsoleta, in via di abbandono da parte di tutti i Paesi a sviluppo avanzato.
Ma questa, a parere di chi scrive, che non è un “esperto” nel senso comune, ma è comunque uno “competente” perché ha fatto per 30 anni di seguito lo stesso percorso di ragionamento critico che ho provato a descrivere, è una mezza verità. Nel senso che coglie alcuni aspetti delle dinamiche economiche, sociali e politiche, tuttavia finisce per occultare l’essenziale. Quindi una mezza verità, come sappiamo, finisce per tradursi in un mito ideologico, menzognero. Una mezza verità equivale ad una mezza bugia.

Alla base di tutto c’è l’esigenza di profitto delle società elettriche e soprattutto delle imprese multinazionazionali elettromecaniche? Il fattore profitto industriale certamente conta nel ricorso al nucleare. Ma il punto che non si deve trascurare e che si rivela addirittura determinante è che il business si regge sullo Stato che paga e garantisce le banche che finanziano. Lo attestano papale papale proprio i fautori del nucleare: possiamo citare in proposito “Energia nucleare, Sì, grazie?”, (Castelvecchi Editore, 2009) il libro di Luca Iezzi, giornalista di “Repubblica”, la cui lettura – non è un paradosso – consiglio vivamente perché ci ricorda e dimostra che non esiste produzione nucleare, in nessuna parte del mondo, senza investimento pubblico diretto o senza massicci incentivi pubblici.
E’ lo Stato che, alla fine, deve giustificare l’investimento.
Lo può fare:
– in termini ideologici, quando parla di elettricità sicura, conveniente, pulita;
– in termini, diciamo, più realistici, quando fa appello al’orgoglio nazionale: diventiamo più forti come Paese, contiamo di più sulla scena internazionale, disponiamo di uno strumento decisivo per farci rispettare, possiamo difendere meglio i nostri interessi: l’istanza geopolitica, insomma!

Lo Stato che, alla fine, paga, è anche quello che, all’inizio, in origine, dà l’impulso all’apparato nucleare, civile o militare che sia, perchè, stringi stringi, l’energia atomica significa la bomba atomica. Magari solo per lo Stato che gestisce il ciclo del conbustibile (fornisce l’uranio e ritira le scorie ad alta intensità da cui ricava il plutonio) e non la centrale in sé. E la bomba atomica, che rappresenta il massimo della potenza distruttiva, a causa di ciò esprime anche il massimo della potenza geopolitica. Vale a dire della capacità, da parte di un attore politico, un soggetto-Stato, di dominare, egemonizzare ed influenzare l’ambiente territoriale circostante, fino allo spazio-mondo, sottraendolo al dominio-egemonia-influenza degli attori concorrenti. Negare questa realtà del gioco internazionale della potenza o ridurlo alla sola competizione economica ci porta ad ignorare la forza della spinta al nucleare.

Il nucleare non si fa solo per movimentare business, anche se sul nucleare si fa anche business. Il sistema nucleare, nel suo complesso, produce la Bomba, cioé la Potenza, e solo come “sottoprodotto” (Amory Lovins, citato) fabbrica elettricità e soldi. Questo è il nocciolo della questione da cogliere. Se questo aspetto per lo più sfugge è per la pigrizia generale che ci rende sottomessi al paradigma economicista dominante, anche quando pretendiamo di posare uno sguardo critico ed analitico sulla realtà. E’ la pigrizia che, secondo me, fa prendere, nel loro modo espositivo, una “cantonata” agli ambientalisti “storici”, che pure sono stati i miei eccellenti maestri quando, da giovane obiettore, mi avventuravo nelle prime ricerche sulla connessione tra nucleare civile e nucleare militare. Sono più che sicuro che gli esperti alla Mattioli e Scalia questa connessione la hanno molto ben presente, e tecnicamente la concepiscono molto meglio di me, anche se dimenticano di richiamarla nei loro articoli (e la relegano praticamente nelle note a piè di pagina nei loro libri).
Il nucleare non è “obsoleto” e non diventerà mai tale finchè la bomba atomica servirà alla potenza di uno Stato. Quando diventerà “obsoleta” quella che è chiamata, nella strategia militare, “deterrenza nucleare”, allora e solo allora diventerà “obsoleta” la tecnologia nucleare (da fissione per collisione neutronica) anche nelle sue applicazioni civili, cioè, nell’essenza, per la produzione di energia elettrica. Superata la Bomba, verranno poi finalmente chiuse anche le centrali elettronucleari (quelle concepite nell’attuale stadio storico della scienza fisica).
L’espressione: “si scrive energia atomica, si legge, nella sostanza, bomba atomica”, per quanto sopra esposto, vale anche in presenza di una caduta della quota di domanda elettrica coperta dalle centrali nucleari. Il problema vero non è quanta elettricità producono gli impianti nucleari civili, ma quanto materiale fissile che ruota attorno alle applicazioni civili può avere un impiego militare. L’energia atomica – nell’attuale stadio tecnologico – non servirà mai a coprire in misura rilevante il nostro fabbisogno elettrico, meno che mai completamente, non foss’altro perché, anche ipotizzando incredibili miglioramenti nell’estrazione e nella lavorazione, non ci sarebbe mai abbastanza uranio (o torio o quanto altro di minerali radioattivi) da sfruttare. L’energia atomica non risolverà in percentuali significative il nostro problema elettrico, il problema energetico mondiale, né ora, né mai, non è fatta per questo, non viene prodotta per questo. Ma si faranno sempre centrali “civili” a copertura dei programmi militari, nella misura in cui, sostanzialmente, saranno utili, con il loro materiale fissile, a questi ultimi.

Il nucleare non è funzione della questione energetica,  ma funzione della partita geopolitica, funzione della potenza. La deterrenza militare da quantitativa diventa qualitativa? Il ricorso al megatonaggio bruto diventa “obsoleto” perchè conta di più la qualità tecnologica delle armi atomiche? Ecco che serve meno materiale fissile in circolazione e si ridimensionano i programmi “civili” (come è avvenuto dal 1987 in poi, in seguito agli accordi di disarmo tra Reagan e Gorbacev: le testate nucleare da 100.000 vennero ridotte a circa 30.000).
Si è in fase avanzata per prototipi di armi nucleari di Quarta Generazione basate su nuovi principi fisici (vedi gli studi che Angelo Baracca conduce da anni)? Ecco che si cominciano a studiare centrali nucleari di Quarta Generazione. Ad ogni generazione di armi nucleari corrisponde e segue, in seconda battuta, una generazione di centrali “civili”. Le primissime atomiche danno luogo ai primissimi reattori “civili” sperimentali di piccola taglia (max 300 Megawatt elettrici). In Italia sono presenti tre impianti che possono considerarsi di prima generazione. Gli impianti sono spenti dal 1986 e attualmente in fase di decommissioning: Latina (GCR – 210 MWe), Garigliano (BWR – 160 MWe) e Trino (PWR – 270 MWe).

La seconda generazione “quantitativa” di armi protagonista della Mutua Distruzione Assicurata degli anni ’60 e ’70 fa nascere i reattori degli anni ”70 e ’80. La loro potenza elettrica tocca i 1.000 Megawatt. In Italia la centrale nucleare di Caorso (BWR – 860 MWe) può considerarsi di seconda generazione, anche se è attualmente spenta e in fase di decommissioning.

La terza generazione “qualitativa” di armi atomiche su cui oggi è basata la deterrenza è alla base dell’odierno “rinascimento nucleare civile”, limitato numericamente ma più pregiato e sofisticato tecnologicamente. Le filiere “civili” più note di terza generazione sono l’EPR (European Pressurized water Reactor), l’AP1000 (Advanced Passive) e l’ABWR (Advanced Boiling Water Reactor), e derivano dall’ottimizzazione, in termini di economia e sicurezza, degli attuali reattori ad acqua leggera. Questi reattori sono caratterizzati da una potenza elettrica oltre i 1000 MWe, gli EPR francesi che abbiamo acquistato hanno una potenza di 1600 MWe. Tre stadi (per la precisione, due e mezzo) di tecnologia nucleare, per l’Italia, corrispondono a tre nostri tentativi testimoniati da due ex ambasciatori (sergio Romano ed Achille Albonetti) ed un ex ministro (Lello Lagorio) di arrivare a costruirci la nostra bomba atomica con l’aiuto della Francia.
La studio e l’applicazione militare della tecnologia nucleare precedono ed accompagnano sempre quello civile, ne costituiscono, per così dire, il fondamento e il coronamento.

Le centrali nucleari civili sono funzionali alla potenza militare, creano la situazione per la quale uno Stato può assurgere alla posizione di “potenza nucleare latente”, come sono oggi, di serie A,  il Giappone e la Germania, come forse lo è l’Italia, anche se di serie B, e come vorrebbe diventarlo l’Iran. Per Stato atomico virtuale o latente si intende quello che dispone della capacità di assemblarsi  in proprio le testate atomiche ma tiene, per così dire, le varie componenti separate per non violare formalmente il Trattato di non proliferazione nucleare.

La potenza latente quindi ha:
– la tecnologia per arricchire l’uranio ed estrarre e raffinare il plutonio
– materiale fissile stoccato in quantità
– risorse professionali, organizzative ed industriali adeguate per unire e montare le bombe
– le piattafome e la tecnologia dei vettori missilistici per portare l’ordigno sui bersagli.

Riproponiamoci, a questo punto, che possiamo tenere presente la natura militare, funzionale alla potenza, della tecnologia in oggetto, l’interrogativo  ” : “perché si torna al nucleare? a chi conviene?” La risposta ora può sopraggiungere con maggiore chiarezza e plausibilità rispetto ai nostri sforzi di comprensione del contesto che ci circonda ed in cui viviamo ed operiamo. Si torna perché in realtà il mondo non ne è mai fuoriuscito e sta vivendo un nuovo round del match internazionale della competizione di potenza. Il nucleare non se ne è mai andato, ha sempre abitato, convissuto con noi. Persino l’Italia, nonostante il referendum del 1987, l’ha sempre tenuto con sè. L’ha fatto con l’ENEL che, pur essendo interdetta, ha continuato a costruire (o ad acquisire e gestire) centrali nucleari all’estero. L’elenco è lungo: in Francia, Spagna, in ex Jugoslavia, in Iraq, eccetera… L’ha fatto con la SOGIN, che ci ha addebitato sulle bollette elettriche la gestione delle scorie delle “vecchie” centrali nel momento stesso in cui le movimentava e le movimenta, andata e ritorno, per ferrovia (ma anche via mare e via aereo) verso la Francia e l’Europa.
Possiamo adesso accettare come espressione di profondità e lucidità analitica la seguente ricostruzione storico-sistemica di Giulietto Chiesa, che troviamo nel su libro “La menzogna nucleare” (Edizioni Ponte alle Grazie, 2010)

“Il problema nucleare riemerge perché è finita la fase unipolare, dominata da un’unica superpotenza planetaria, e ci si avvia a una configurazione inedita, al tempo stesso globale e multipolare…
Componenti cruciali di questa nuova situazione sono la Cina e l’India, entrambe impegnate nella costruzione di un proprio arsenale, inclusa la sua componente nucleare militare. Due giganti in crescita vorticosa e ormai chiaramente destinati ad imprimere il proprio marchio sul XXI Secolo…

Ecco perché sia gli Stati Uniti che la Russia (nel frattempo nuovamente proiettata su disegni ambiziosi…) hanno ricominciato a programmare la crescita e lo sviluppo delle tecnologie militari nucleari. Si tratta di non rimanere spiazzati, o addirittura superati da altri concorrenti che sono ormai entrati nel club nucleare, e perfino da outsider che vi si affacciano ormai prepotentemente, a cominciare dal Pakistan, per continuare con il Brasile e l’Iran, senza dimenticare Israele che, al momento, è la quinta potenza nucleare mondiale …
“E’ in questo contesto che USA, Russia, Cina, India, Iran, ma anche Brasile e Pakistan, si muovono ora verso un nuovo sviluppo del nucleare civile. La Francia va aggiunta a questo elenco, ma solo per rilevare che Parigi non aveva mai rinunciato, nemmeno per un istante, al proprio sviluppo nucleare, militare e civile. Per quanto concerne la Gran Bretagna, il suo comportamento in materia è nient’altro che la copia di quello americano. Il tutto a conferma dell’assunto di partenza: dietro a ogni discorso sul nucleare civile si nasconde sempre un discorso più importante che concerne le armi nucleari”.

Il nucleare sarà forse in declino come fonte energetica, se si misura la sua quota elettrica, non è affatto in decadenza, dati, fatti alla mano, quale fonte di potenza militare ed in questa funzione “risorge” negli USA (devono mantenere la loro superiorità tecnologica negli arsenali militari) e “fiorisce” tra le potenze emergenti (il cosiddetto BRIC) diventando oggetto del desiderio tra le nazioni che aspirano ad un ruolo di potenza regionale (l’Iran è il caso più eclatante).

Prendere atto di questa verità, di questa realtà effettuale, e tradurla poi in termini comunicativi, non è inutile pignoleria ma opera indispensabile di chiarimento e sensibilizzazione utile – a mio parere – anche a gestire in termini efficaci il confronto con la lobby nuclearista nella sfida referendaria. A livello comunicativo è, infatti, perdente attaccarsi ad un argomento facilmente confutabile dai fatti: “non si costruiscono più centrali nel mondo, noi siamo gli unici “fessi” che ci prendiamo dei bidoni che gli altri non vogliono più”…

Vogliamo vincere il referendum? Evitiamo di citare a sproposito Barack Omama! E’ vero che il presidente USA gira il mondo a tenere bei discorsi sulla “green economy”… Ma è altrettanto vero che – Bush non aveva osato farlo! – ha stanziato 57 miliardi di dollari – forse anche di più, su questo punto sono indietro con i dati – a garanzia dei prestiti bancari per il nucleare “civile” e svariati miliardi di dollari sono già stati materialmente “impegnati” per due nuovi reattori in costruzione in Georgia. I reattori sono gli AP1000 della Westinghouse, la società elettrica costruttrice è la Southern Company. Altri progetti approvati di centrali nucleari riguardano South Carolina, Maryland e Texas.

L’ultimissima novità (21 gennaio 2011), non di poco conto, è che Obama ha nominato a capo dei suoi consiglieri economici il CEO di General Electric, Jeffrey Immelt, noto republicano. Stiamo parlando dell’azienda posta al vertice del Complesso militare industrial energetico (MIEC), la più importante produttrice di bombe atomiche del mondo…
Fossi Chicco Testa, per chiudere la bocca ai “detrattori dell’atomo”, semplicemente manderei in onda delle video-interviste con il Messia ambientalista “nero” che sta facendo “risprofondare il Partito Democratico nell’abisso atomico”…

Sulla fragile piattaforma del “nucleare obsoleto” la nostra navigazione, insomma, è destinata ad infrangersi contro la realtà (ripetiamolo ancora: gli USA riprendono a costruire le centrali, la Francia le esporta in tutto il mondo, la Germania non le chiude, nei BRIC conoscono un boom, in Medio Oriente ed in Asia sono ambitissime) e otteniamo il bel risultato di pregiudicare la credibilità delle altre, giuste, critiche, con le quali condanniamo la scelta per le energia atomica.

Le critiche classiche che sentiamo scontatamente ribadire dagli ambientalisti specialistici, ma che si appuntano sul dito, e non sulla luna:
– dalla dipendenza del petrolio passiamo a quella dell’uranio, una risorsa estera ancora più scarsa e perciò destinata a divenire sempre più costosa;
– la tecnologia è troppo complessa ed inaffidabile, può produrre eventi catastrofici e non mette al riparo da rischi sanitari neppure nel normale funzionamento di una centrale;
– il problema delle scorie radioattive non è stato risolto e non è responsabile lasciare questa eredità di grave inquinamento ai posteri;
–  i costi di produzione del KWh elettrico sono difficilmente definibili e comunque superiori rispetto ad altre fonti pulite e rinovabili;
– il contributo alla riduzione delle emissioni di CO2 non è significativo.
Tutto vero, tutto giusto, ma tutto secondario rispetto al nocciolo duro e “violento” del problema che è anche il cuore duro e violento del potere che lo alimenta e con il quale, alla fine, da cittadini che sperano in un futuo operoso di pace, ci si deve,  ci si dovrà per forza confrontare, se si vogliono cambiare le cose, se si vogliono risolvere i problemi alla radice.
Un conflitto perciò imprescindibile che possibilmente, anzi certamente, dovrà rifuggire dall’adottare le sue – del potere militarista e violento – stesse logiche e di misurarsi sul suo terreno preferito della forza distruttiva: non solo perché non è eticamente giusto ma soprattutto perché è stupido.

L’associazionismo ambientalista per lo più lo vediamo evitare il confronto con il nocciolo duro, violento, del potere: che risiede nella disponibilità della forza di intimidazione fisica, nel controllo coattivo sulle risorse materiali (a partire dagli spazi territoriali). Si dispone al compromesso, alla convivenza con esso per coltivare le sue –  bellissime, per carità – alternative parallele a margine. Un po’ quello che ha sempre riservato ai “buoni” la gerarchia vaticana complice del potere temporale: fare i crocerossini a valle, lenire gli effetti, non intervenire sulle cause dell’oppressione e dell’ingiustizia …

Alfonso Navarra – obiettore alle spese militari e nucleari (5 febbraio 2011)

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Il lavoro è un bene comune

Il Coordinamento Energia Felice aderisce alla manifestazione dei Metalmeccanici prevista per questo venerdì 28 gennaio 2011 (ore 9.30, Porta Venezia).

Di seguito il comunicato ufficiale.

“UNITI CE LA POSSIAMO FARE”

Abbiamo convocato lo sciopero generale dei metalmeccanici per il 28 gennaio; è una tappa fondamentale per la riconquista del Contratto Nazionale e la salvaguardia dei diritti nei luoghi di lavoro.

La scelta compiuta dalla Fiat alle Carrozzerie di Mirafiori e a Pomigliano D’Arco è un atto antisindacale, autoritario e antidemocratico senza precedenti nella storia delle relazioni sindacali del nostro paese dal dopoguerra.

È un attacco ai principi e ai valori della Costituzione Italiana e alla democrazia perché calpesta la libertà dei lavoratori e delle lavoratrici di decidere a quale sindacato aderire per difendere collettivamente i propri diritti e di eleggere i propri rappresentanti in azienda. Chi non firma scompare e chi firma diventa un sindacato aziendale e corporativo guardiano delle scelte imposte dalla Fiat. Si annullano il Contratto Nazionale di Lavoro e peggiorano le condizioni di fabbrica, si aumenta lo sfruttamento e l’orario di lavoro, si lede ogni diritto di sciopero e si riduce la retribuzione a chi si ammala cancellando così in colpo solo anni di lotte e di conquiste.

Il ricatto di Marchionne è coerente con la distruzione della legislazione del lavoro in atto che vuol rendere tutti soli e precari; è la stessa logica regressiva messa in pratica dal Governo con l’attacco al diritto allo studio e alla ricerca attuato attraverso l’approvazione del DDL Gelmini e il taglio ai fondi per l’informazione e la cultura. Si mettono così sotto scacco principi democratici di convivenza civile fondamentali.

La Fiom considera il lavoro un bene comune e per questo il 16 ottobre dopo il ricatto/referendum illegittimo imposto dalla Fiat a Pomigliano ha dato vita a una grande manifestazione, aperta a tutti coloro che sono impegnati nella difesa di diritti e libertà costituzionali inviolabili.

Lo sciopero generale proclamato per il 28 gennaio della categoria e le manifestazioni dopo il ricatto/referendum di Mirafiori hanno lo stesso obiettivo: come ha dimostrato l’introduzione delle deroghe nel Contratto Nazionale dei metalmeccanici firmato da Federmeccanica e le altre organizzazioni sindacali, quando si ledono diritti fondamentali la ferita non si circoscrive ma travolge progressivamente tutto il mondo del lavoro.

La Fiom è impegnata a sostenere il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro senza deroghe, a difendere la legalità, la democrazia e la libertà di rappresentanza sindacale, a combattere la precarietà e il dominio del mercato che divorano la vita delle persone e compromettono la coesione sociale e il futuro del paese.

Chiediamo a tutte le persone, le associazioni e i movimenti che condividono queste ragioni di sostenere la lotta dei metalmeccanici e di firmare questo nostro appello.

Federazione Impiegati Operai Metallurgici nazionale

Firma l’appello

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L’anno nucleare prima del referendum

Da Il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2011

L’anno che si è appena chiuso si era aperto con l’annuncio della nomina dei vertici dell’Agenzia per il nucleare (“entro il mese di gennaio”, v. Staffetta Quotidiana 5 gennaio 2010). Sarebbero poi seguite le delibere CIPE riguardanti le tecnologie da adottare e la formazione dei consorzi per la costruzione dei reattori; delibere che avrebbero permesso di affrontare il tema delle localizzazioni, sulle quali sarebbe seguito “un ampio confronto con le regioni e i territori”. Un anno dopo, i passi avanti risultano pochi, anche se nel mese di dicembre il governo ha tentato di recuperare terreno.

È utile ricordare che la Legge n.99 del 2009 e il decreto legislativo 31/2010 prevedono l’adozione di ben 34 provvedimenti per definire tutte le norme tecniche ed amministrative relative alla regolamentazione della pianificazione, progettazione, autorizzazione ed esercizio degli impianti elettronucleari in Italia. Entro il 23 giugno 2010 avrebbe dovuto essere approvata la strategia nucleare. Tuttavia il 13 dicembre scorso, Sara Romano, direttore generale del Ministero per lo Sviluppo economico retto per un semestre da un Berlusconi in tutt’altre faccende affaccendato, ha ribadito per l’ennesima volta che la strategia “è a buon punto”, ma non è ancora pronta. Le delibere CIPE sulla tipologia degli impianti avrebbero dovuto essere pronte per metà febbraio 2010. Sono invece state presentate alla Conferenza Stato-Regioni il 16 dicembre, senza ricevere un parere vincolante visti i difficili rapporti tra i territori e il centro (solo 4 Regioni, tra cui la solita solerte Lombardia di Bossi-Formigoni hanno dato via libera ai reattori di III generazione).

Nel 2010 è giunto in porto solo lo statuto dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, ma ancora il governo non è riuscito a completare le nomine del suo vertice. Rimane entusiasta della sua futura funzione l’incompetente Umberto Veronesi che, messone a capo, sproloquia dicendo che dormirebbe con un contenitore di scorie sul comodino e che nel 2150, esauriti tutti i fossili, rimarrà in campo solo l’inesauribile (?) uranio. Inoltre manca la mappa per il deposito delle scorie, lo schema di copertura finanziaria e assicurativa per gli operatori, e manca all’appello la campagna nazionale di comunicazione e sensibilizzazione prevista dalla legge (art.25 comma 2). Vista la latitanza delle istituzioni, le imprese si sono già mosse autonomamente e il 19 dicembre è partita la campagna del Forum Nucleare di Chicco Testa (budget di sei milioni di euro). Una campagna che vorrebbe proporsi come imparziale ma che non può esserlo visti i finanziatori, così come non poteva esserlo lo studio firmato Ambrosetti, spesso citato come riferimento super partes, ma finanziato da Enel/EDF, coppia che da due anni spende qualche decina di milioni di euro all’anno per creare consenso attorno al nucleare (ultima uscita il dvd con Cecchi Paone distribuito dal Corrierone).

In verità, il Ministero, conscio delle difficoltà, sta lavorando a una semplificazione delle procedure di autorizzazione contenute nella legge 31/2010 e ha come obiettivo quello di finalizzarle entro marzo 2011 (dopo, secondo la legge,  non sarebbe possibile). A premere in questa direzione sono le imprese che aspirano a una fetta del budget previsto per i primi 4 reattori EPR, budget stimato in almeno 30 miliardi di euro, se si pensa che il primo reattore di questo tipo, in costruzione in Finlandia, pianificato all’avvio del cantiere per un costo di 3,3 miliardi è attualmente arrivato oltre i 6. Questo reattore doveva essere costruito in 48 mesi e consegnato nel maggio-giugno 2009. L’ultimo comunicato stampa del committente, del 26 novembre 2010, dichiara che l’entrata in servizio non avverrà prima della fine del secondo semestre 2013. Se questa data sarà rispettata, i mesi costruttivi diventeranno 100, più del doppio di quanto preventivato, in linea col raddoppio dei costi. Di certo il primo EPR (ma anche il secondo, a Flamanville in Francia, non si discosta molto da questo trend), sta offrendo una performance decisamente negativa. Tutta colpa dei committenti/costruttori? Oppure l’EPR è un reattore complesso e difficile da realizzare? È un dato di fatto che gli stessi francesi parlino ora di sviluppare un nuovo reattore, più piccolo e meno complesso e il numero uno di EDF, Henri Proglio, abbia recentemente confermato che desidera avviare gli studi di sviluppo per un reattore da 1.000 MW (v. Staffetta Quotidiana 16/12/2010).

Abbiamo parlato di nucleare perché in tema di energia elettrica è l’unico fronte su cui il governo si è impegnato nel 2010. Mentre l’impegno per le fonti rinnovabili è stato semplicemente dettato non da volontà politica ma dalla necessità di ottemperare alle regole dell’Unione Europea. Solo per questo in giugno è stato redatto un piano nazionale per le fonti rinnovabili, che pone l’obiettivo di produrre 99TWh di energia elettrica da FER entro il 2020 (nel 2009 eravamo a quota 69). Ma nonostante le mille difficoltà legislative inventate da questo governo, le fonti rinnovabili hanno ormai raggiunto una maturità e uno sviluppo significativi. Solo un dato: il 20,8% del consumo interno lordo di elettricità è stato coperto da energie rinnovabili nel 2009. Dato che verrà confermato nel 2010, durante il quale lo sviluppo dell’eolico è stato rallentato da mille problemi ma arriverà comunque a una potenza installata di quasi 6.000 MW, mentre il solare fotovoltaico supererà la già rilevante previsione dei 2.500 MW. Uno studio di Isuppli stima che nel solo ultimo trimestre 2010 nel nostro paese siano stati installati quasi 1.000 MW (per avere un riferimento a inizio anno il totale installato era di 1.142 MW). E sempre secondo questa analisi nel 2011 il trend non cambierà e le nuove installazioni saranno pari a 3.900 MW.

Allora: cosa succederà nel 2011? Moltissimi gli impegni, dalla redazione del piano nazionale per l’efficienza energetica (vero antidoto alla costruzione di qualsiasi centrale), al decreto legislativo per le fonti rinnovabili, già approvato dal Consiglio dei Ministri. Decreto che peraltro ha davanti a sé una lunga strada di modifiche prima di arrivare all’approvazione definitiva e che dovrebbe delineare modi e strumenti perché il nostro Paese arrivi a raggiungere gli obiettivi europei fissati per il 2020.

I prossimi mesi saranno certamente caratterizzati dal pressing di Enel-Edf per rendere irreversibile la scelta governativa di tornare al nucleare, poiché in loro è forte la consapevolezza che “se perdiamo il treno, questa volta non ripasserà”. Adesso però c’è di mezzo una consultazione popolare prevista entro l’estate, con tutta la necessità di fornire informazione adeguata e imparziale ai cittadini. Questo blog, che prende ispirazione da un modello energetico imperniato su fonti naturali distribuite e da comportamenti sobri e stili di vita compatibili con la tutela della biosfera e più giustizia sociale, si propone di ragionarne con una certa continuità e con rigore, aprendosi a tutte le voci disponibili. Riusciremo a fermare consapevolmente il treno?

Mario Agostinelli

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Bidone nucleare (video)

L’inchiesta di Maurizio Torrealta, andata in onda su RaiNews24.

Il libro di Roberto Rossi pubblica la notizia che le regioni scelte per stoccare le scorie ad alto livello di radioattività saranno 5: Basilicata, Puglia, Toscana, Lazio ed Emilia Romagna. Ne discutono in studio Roberto Rossi, Luca Iezzi giornalista di Repubblica, il Generale Carlo Jean, Giuseppe Onufrio di Greenpeace e il Governatore della Basilicata Vito De Filippo.

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