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Acqua e nucleare: votiamo a Maggio!

Roma, 3 Marzo 2011 – Ore 11.00

Presidio a Piazza Montecitorio

Poco più di un mese fa la Corte costituzionale ha ammesso i quesiti referendari per la ripubblicizzazione dell’acqua e contro il nucleare. A questo punto il Governo deve indire le date in cui i cittadini italiani saranno chiamati a votare.

Per questo, Giovedì 3 Marzo, saremo davanti a Montecitorio per chiedere che la tornata referendaria sia accorpata a quella delle elezioni amministrative che con ogni probabilità si realizzeranno entro Maggio.

Riteniamo che questo sia doveroso per almeno due motivi: in primo luogo perché sia garantita la partecipazione democratica a scelte fondamentali per la vita di questo paese e che non venga usata come una clava la strategia del silenzio e dell’astensionismo.

In secondo luogo ci sembrerebbe ingiustificabile in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo che vengano indetti tre appuntamenti elettorali nel giro di un mese e mezzo con l’aggravio della spesa pubblica. Infatti sganciare i referendum dalle elezioni amministrative costerebbe alla collettività più di 400 milioni di €.

Per questo chiediamo a tutti i movimenti sociali, per la difesa ambientale e dei beni comuni, alle realtà sindacali ed associative di unirsi a noi ed aderire a questa richiesta.

Perché vogliamo chiedere che vengano garantiti i diritti di tutti e che non si speculi politicamente facendo pagare i cittadini e le cittadine.

Sì per l’acqua bene comune.

Sì per fermare il nucleare.

Comitato Referendario 2 Sì per l’Acqua Bene Comune

Comitato “Vota SI’ per fermare il nucleare”

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Costituzione comitato lombardo per il Sì al referendum nucleare

Cari tutti (associazioni, comitati, personalità),

il 18 febbraio a Milano, in occasione di “M’illumino di meno”, si è costituito il Comitato per il SI al referendum contro il nucleare, per la Lombardia, come articolazione territoriale del Comitato nazionale. Erano presenti all’appuntamento rappresentanti di Italia Nostra, Legambiente, WWF e del coordinamento Energia Felice. Il comitato si costituisce in forma aperta e nell’attesa dell’adesione di molti altri con l’avvicinarsi della proclamazione della data di indizione dei referendum.

Si è rilevata l’esigenza immediata di:
1) raccogliere l’adesione di associazioni, organizzazioni sindacali, professionali, ecc. al comitato per il SI, con l’indicazione del nominativo di uno o più delegati/referenti

2) comunicare la costituzione in primo luogo al Comitato nazionale a Roma e al Comitato promotore del referendum anche nel suo rappresentante milanese (IDV).

3) costituire una segreteria organizzativa provvisoria: i presenti alla riunione (indirizzi mail sopra indicati) si dichiarano disponibili a svolgere codesta funzione.

4) di raccogliere, su indicazione del Comitato nazionale, la disponibilità di esperti energetici e ambientalista, a far parte di un elenco di disponibilità gratuite a rappresentare il Comitato nella campagna referendaria (su base sia regionale – quindi girare per tutta la regione – che di singole provincie).

5) di vedersi nella prima di metà di marzo per preparare l‘assemblea di tutte le associazioni lombarde aderenti in occasione di Fa la cosa giusta.

6) prenotare alla Fiera Fa’ la cosa Giusta (25 o 26 marzo) una sera l’Assemblea Regione del Comitato, con lo scopo di lanciare tutte le iniziative della campagna referendaria.

7) per il 25 marzo ogni associazione e organizzazione aderente si impegna a definire il proprio impegno economico e organizzativo – persone, sedi, competenze… – nella campagna.
Siete pregati di inviare alla segreteria organizzativa provvisoria l’adesione della vostra associazione e gli impegni possibili relativamente ai punti 1, 4, 6, 7.
Grazie e un a presto a tutti

Andrea Poggio
vicedirettore generale Legambiente onlus

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Riunione Comitato lunedì 21 a Milano

Cari e care,
Alfonso Navarra ci ha comunicato il rientro da Palermo dove è stato degente per alcune settimane.
Pertanto la riunione del Comitato Energia Felice è fissata a

LUNEDI’ 21 FEBBRAIOORE 18.00 – presso la sede di Via Borsieri, 12 a Milano.

Mario Agostinelli ha presenziato alla riunione di lunedì 14 febbraio del Comitato dei movimenti che affiancano il Comitato di Italia dei Valori per il referendum sul nucleare. A conclusione della riunione si è deciso di convergere nella pratica con le attività del referendum sull’acqua anche se con attività separate. Si è deciso di sviluppare le attività territoriali da subito. Si è concordato con il Comitato di Italia dei Valori di svolgere un’attività indipendente ma complementare e su loro richiesta il nostro Comitato nazionale si occuperò di sviluppare gli aspetti di formazione e di comunicazione. Di comune interesse, si è deciso di convocare un’assemblea nazionale per il referendum sul nucleare il 12 marzo a Roma e di mettere in cantiere alcune manifestazioni in alcuni luoghi significativi come Caorso, Viadana, Montalto, Scanzano Jonico, ecc.

La presidenza del Comitato “Sì alle rinnovabili, No al nucelare” ha confermato l’incarico di formazione affidato a Mario Agostinelli e gli ha affidato il compito di occuparsi della stessa anche in prospettiva del referendum. Alla luce di queste indicazioni e dopo l’incontro che si svolgerà venerdì con le altre associazioni ambientaliste della Lombardia per organizzare il Comitato Lombardo per il Sì al referendum, discuteremo come collocare Energia Felice in maniera attiva e “creativa” nella campagna referendaria che si sta aprendo.

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Il nucleare militare e il referendum

Tutti possono arrivare da soli – ci può riuscire anche un ragazzino! – a cogliere il “mistero” del nucleare. Il metodo è semplice. Subito dopo aver letto i giornali o guardato i notiziari TV, dobbiamo riflettere sulle notizie in essi riportate, ad esempio sul caso dell’ Iran che nasconderebbe l’intenzione di farsi l’atomica dietro i suoi progetti di centrali “civili”; poi abbiamo da sistemarle in relazione reciproca – queste notizie – ed infine da eseguire operazioni elaborative semplicissime, a livello di due più due fa quattro: ecco che, allora, alcune verità saltano fuori. Il presupposto dell'”illuminazione” è dismettere l’abitudine della delega all’esperto e cominciare a ragionare con la propria testa. Del resto le vere e proprie risse in cui, anche nell’arengo dei media, vediamo sempre e comunque, su qualsiasi cosa, impegnati gli scienziati ed i tecnici dovrebbero averci ormai edotto su questa realtà: la neutralità e l’oggettività se non proprio della Scienza in quanto ideale, ma della comunità scientifica reale sono un miraggio pericoloso, soprattutto per quei problemi sociali complessi la cui interdisciplinarità di approcci, causata dalla molteplicità degli elementi implicati, vanifica in partenza la possibilità dell’esperto unico.

Proviamo semplicemente a ragionare, adoperando l’unico strumento del nostro buon senso, su due notizie esemplari ampiamente diffuse dai media all’inizio di questo nuovo anno (2011):
1- un cyberattacco scatenato da Israele, con l’aiuto USA, mediante il virus Stuxnet, ha ritardato significativamente i programmi nucleari iraniani (non potranno farsi la Bomba prima del 2015) perché ha messo fuori uso un terzo delle centrifughe con cui Teheran si arricchisce da sè l’uranio;
2- le trattative tra l’ONU (5+1, i cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza più la Germania) e l’Iran in materia nucleare ristagnano perchè Teheran si rifiuta di trasferire il proprio uranio arricchito all’estero per ulteriori lavorazioni e rifiuta di far gestire a Francia e Russia il ciclo del combustibile atomico per la propria centrale di Busher (arricchimento dell’uranio, appunto, ma anche ritiro e trattamento delle scorie).Occorrerebbero, con la tecnologia iraniana, 1.000 kg di uranio arricchito al 3,5% per ottenere 50 kg di uranio arricchito al 90% buono per un ordigno atomico.

Cosa ci dicono, allora, queste due notizie, per nulla segrete, squadernate belle belle sotto i nostri occhi? E che praticamente ogni giorno possiamo trovare su tutti i giornali che compriamo nelle edicole?
Delle cose di tutta evidenza:
1- esistono delle tecnologie di “arricchimento dell’uranio” che così come preparano il combustibile atomico da “bruciare” nelle centrali, allo stesso modo, con un grado superiore di presenza di U235 nel materiale fissile, producono l’esplosivo nucleare per le bombe atomiche;
2- i programmi “civili” di un Paese possono benissimo essere piegati a finalità militari ed è lo Stato l’attore principale che li progetta, finanzia e coltiva;
3- questi programmi cripto-militari si attaccano spesso a giustificazioni di utilità sociale che non stanno in piedi. Si pensi alle centrali nucleari che dovrebbero, si fa per dire, risolvere il problema energetico dell’Iran: i persiani sono tra i principali produttori di petrolio al mondo ma non hanno le raffinerie per prodursi la benzina che farebbe circolare le loro auto. Se avessero una reale preoccupazione energetica non penserebbero innanzitutto a come procurarsi delle semplici tecnologie di lavorazione petrolifera? A chi la vuole raccontare Ahmadinejad?

Queste osservazioni contengono gran parte di quello che occorre per penetrare i misteri del nucleare ed in particolare evidenziano uno dei due aspetti della base tecnica del rapporto tra nucleare civile e nucleare militare: l’arricchimento dell’uranio che pone capo all’equazione: combustibile = esplosivo. Il combustibile con il quale produci l’elettricità nelle centrali può diventare la carica esplosiva atomica nelle bombe nucleari. L’altro aspetto di questa base tecnica, non esplicitamente menzionato, e che quindi andrebbe rintracciato con ulteriori ricerche, è l’estrazione del plutonio che si ricava “ritrattando” le scorie radioattive. Ma non ci vuole poi molto a procurarsi la notizia che dalle scorie radioattive di un anno di centrale da 1.000 Megawatt puoi estrarre 50 kg di plutonio buono per 10 bombe atomiche. Tanto per avviarsi a comprendere, con quanto sopra enucleato, l’affermazione di Amory Lovins: “L’elettricità è solo un sottoprodotto dei programmi nucleari”.

Detto in termini semplificatori, lapalissiani, avviarsi, come taluno ha fatto, semplicemnete ragionando su quanto i media mainstream propongono, e come lo stesso può mettersi a fare ciascuno di noi, a conoscere la “causa” di un problema – il fattore che muove, determina, una situazione – è importante, decisivo, perchè ti permette di progettare e realizzare l’intervento che pone realmente rimedio all’effetto dannoso, svantaggioso, indesiderato.

Rigirando ancora il concetto nei termini, “sistemici della complessità”, oggi di moda, si tratta, analogamente, di individuare l’input più impattante che origina, in una catena di eventi interconnessi, nonché attivi e retroattivi, l’output non voluto. Un po’ come quando si calcolano le emissioni di CO2 e ci si propone di ridurle per moderare il ricaldamento globale. Serve un appiglio a cui agganciare una azione, un anello risolutivo nella catena delle cause e degli effetti da prendere e tirare per ritrovarsi tra le mani, sotto controllo, l’oggetto della mutevole e sfuggente realtà.
Torniamo quindi alla domanda basilare ed originaria di tutta la faccenda: perché si torna al nucleare? a chi conviene?
E veniamo anche alla banale risposta corrente risposta, in verità spesso non esplicitata chiaramente dell’ambientalismo professionistico: siamo succubi della spinta di vecchie, “dinosauresche”, lobby industriali che vogliono, con l’aiuto di poteri incompetenti e forse corrotti, lucrare profitti indebiti caricando sulle casse dello Stato una tecnologia obsoleta, in via di abbandono da parte di tutti i Paesi a sviluppo avanzato.
Ma questa, a parere di chi scrive, che non è un “esperto” nel senso comune, ma è comunque uno “competente” perché ha fatto per 30 anni di seguito lo stesso percorso di ragionamento critico che ho provato a descrivere, è una mezza verità. Nel senso che coglie alcuni aspetti delle dinamiche economiche, sociali e politiche, tuttavia finisce per occultare l’essenziale. Quindi una mezza verità, come sappiamo, finisce per tradursi in un mito ideologico, menzognero. Una mezza verità equivale ad una mezza bugia.

Alla base di tutto c’è l’esigenza di profitto delle società elettriche e soprattutto delle imprese multinazionazionali elettromecaniche? Il fattore profitto industriale certamente conta nel ricorso al nucleare. Ma il punto che non si deve trascurare e che si rivela addirittura determinante è che il business si regge sullo Stato che paga e garantisce le banche che finanziano. Lo attestano papale papale proprio i fautori del nucleare: possiamo citare in proposito “Energia nucleare, Sì, grazie?”, (Castelvecchi Editore, 2009) il libro di Luca Iezzi, giornalista di “Repubblica”, la cui lettura – non è un paradosso – consiglio vivamente perché ci ricorda e dimostra che non esiste produzione nucleare, in nessuna parte del mondo, senza investimento pubblico diretto o senza massicci incentivi pubblici.
E’ lo Stato che, alla fine, deve giustificare l’investimento.
Lo può fare:
– in termini ideologici, quando parla di elettricità sicura, conveniente, pulita;
– in termini, diciamo, più realistici, quando fa appello al’orgoglio nazionale: diventiamo più forti come Paese, contiamo di più sulla scena internazionale, disponiamo di uno strumento decisivo per farci rispettare, possiamo difendere meglio i nostri interessi: l’istanza geopolitica, insomma!

Lo Stato che, alla fine, paga, è anche quello che, all’inizio, in origine, dà l’impulso all’apparato nucleare, civile o militare che sia, perchè, stringi stringi, l’energia atomica significa la bomba atomica. Magari solo per lo Stato che gestisce il ciclo del conbustibile (fornisce l’uranio e ritira le scorie ad alta intensità da cui ricava il plutonio) e non la centrale in sé. E la bomba atomica, che rappresenta il massimo della potenza distruttiva, a causa di ciò esprime anche il massimo della potenza geopolitica. Vale a dire della capacità, da parte di un attore politico, un soggetto-Stato, di dominare, egemonizzare ed influenzare l’ambiente territoriale circostante, fino allo spazio-mondo, sottraendolo al dominio-egemonia-influenza degli attori concorrenti. Negare questa realtà del gioco internazionale della potenza o ridurlo alla sola competizione economica ci porta ad ignorare la forza della spinta al nucleare.

Il nucleare non si fa solo per movimentare business, anche se sul nucleare si fa anche business. Il sistema nucleare, nel suo complesso, produce la Bomba, cioé la Potenza, e solo come “sottoprodotto” (Amory Lovins, citato) fabbrica elettricità e soldi. Questo è il nocciolo della questione da cogliere. Se questo aspetto per lo più sfugge è per la pigrizia generale che ci rende sottomessi al paradigma economicista dominante, anche quando pretendiamo di posare uno sguardo critico ed analitico sulla realtà. E’ la pigrizia che, secondo me, fa prendere, nel loro modo espositivo, una “cantonata” agli ambientalisti “storici”, che pure sono stati i miei eccellenti maestri quando, da giovane obiettore, mi avventuravo nelle prime ricerche sulla connessione tra nucleare civile e nucleare militare. Sono più che sicuro che gli esperti alla Mattioli e Scalia questa connessione la hanno molto ben presente, e tecnicamente la concepiscono molto meglio di me, anche se dimenticano di richiamarla nei loro articoli (e la relegano praticamente nelle note a piè di pagina nei loro libri).
Il nucleare non è “obsoleto” e non diventerà mai tale finchè la bomba atomica servirà alla potenza di uno Stato. Quando diventerà “obsoleta” quella che è chiamata, nella strategia militare, “deterrenza nucleare”, allora e solo allora diventerà “obsoleta” la tecnologia nucleare (da fissione per collisione neutronica) anche nelle sue applicazioni civili, cioè, nell’essenza, per la produzione di energia elettrica. Superata la Bomba, verranno poi finalmente chiuse anche le centrali elettronucleari (quelle concepite nell’attuale stadio storico della scienza fisica).
L’espressione: “si scrive energia atomica, si legge, nella sostanza, bomba atomica”, per quanto sopra esposto, vale anche in presenza di una caduta della quota di domanda elettrica coperta dalle centrali nucleari. Il problema vero non è quanta elettricità producono gli impianti nucleari civili, ma quanto materiale fissile che ruota attorno alle applicazioni civili può avere un impiego militare. L’energia atomica – nell’attuale stadio tecnologico – non servirà mai a coprire in misura rilevante il nostro fabbisogno elettrico, meno che mai completamente, non foss’altro perché, anche ipotizzando incredibili miglioramenti nell’estrazione e nella lavorazione, non ci sarebbe mai abbastanza uranio (o torio o quanto altro di minerali radioattivi) da sfruttare. L’energia atomica non risolverà in percentuali significative il nostro problema elettrico, il problema energetico mondiale, né ora, né mai, non è fatta per questo, non viene prodotta per questo. Ma si faranno sempre centrali “civili” a copertura dei programmi militari, nella misura in cui, sostanzialmente, saranno utili, con il loro materiale fissile, a questi ultimi.

Il nucleare non è funzione della questione energetica,  ma funzione della partita geopolitica, funzione della potenza. La deterrenza militare da quantitativa diventa qualitativa? Il ricorso al megatonaggio bruto diventa “obsoleto” perchè conta di più la qualità tecnologica delle armi atomiche? Ecco che serve meno materiale fissile in circolazione e si ridimensionano i programmi “civili” (come è avvenuto dal 1987 in poi, in seguito agli accordi di disarmo tra Reagan e Gorbacev: le testate nucleare da 100.000 vennero ridotte a circa 30.000).
Si è in fase avanzata per prototipi di armi nucleari di Quarta Generazione basate su nuovi principi fisici (vedi gli studi che Angelo Baracca conduce da anni)? Ecco che si cominciano a studiare centrali nucleari di Quarta Generazione. Ad ogni generazione di armi nucleari corrisponde e segue, in seconda battuta, una generazione di centrali “civili”. Le primissime atomiche danno luogo ai primissimi reattori “civili” sperimentali di piccola taglia (max 300 Megawatt elettrici). In Italia sono presenti tre impianti che possono considerarsi di prima generazione. Gli impianti sono spenti dal 1986 e attualmente in fase di decommissioning: Latina (GCR – 210 MWe), Garigliano (BWR – 160 MWe) e Trino (PWR – 270 MWe).

La seconda generazione “quantitativa” di armi protagonista della Mutua Distruzione Assicurata degli anni ’60 e ’70 fa nascere i reattori degli anni ”70 e ’80. La loro potenza elettrica tocca i 1.000 Megawatt. In Italia la centrale nucleare di Caorso (BWR – 860 MWe) può considerarsi di seconda generazione, anche se è attualmente spenta e in fase di decommissioning.

La terza generazione “qualitativa” di armi atomiche su cui oggi è basata la deterrenza è alla base dell’odierno “rinascimento nucleare civile”, limitato numericamente ma più pregiato e sofisticato tecnologicamente. Le filiere “civili” più note di terza generazione sono l’EPR (European Pressurized water Reactor), l’AP1000 (Advanced Passive) e l’ABWR (Advanced Boiling Water Reactor), e derivano dall’ottimizzazione, in termini di economia e sicurezza, degli attuali reattori ad acqua leggera. Questi reattori sono caratterizzati da una potenza elettrica oltre i 1000 MWe, gli EPR francesi che abbiamo acquistato hanno una potenza di 1600 MWe. Tre stadi (per la precisione, due e mezzo) di tecnologia nucleare, per l’Italia, corrispondono a tre nostri tentativi testimoniati da due ex ambasciatori (sergio Romano ed Achille Albonetti) ed un ex ministro (Lello Lagorio) di arrivare a costruirci la nostra bomba atomica con l’aiuto della Francia.
La studio e l’applicazione militare della tecnologia nucleare precedono ed accompagnano sempre quello civile, ne costituiscono, per così dire, il fondamento e il coronamento.

Le centrali nucleari civili sono funzionali alla potenza militare, creano la situazione per la quale uno Stato può assurgere alla posizione di “potenza nucleare latente”, come sono oggi, di serie A,  il Giappone e la Germania, come forse lo è l’Italia, anche se di serie B, e come vorrebbe diventarlo l’Iran. Per Stato atomico virtuale o latente si intende quello che dispone della capacità di assemblarsi  in proprio le testate atomiche ma tiene, per così dire, le varie componenti separate per non violare formalmente il Trattato di non proliferazione nucleare.

La potenza latente quindi ha:
– la tecnologia per arricchire l’uranio ed estrarre e raffinare il plutonio
– materiale fissile stoccato in quantità
– risorse professionali, organizzative ed industriali adeguate per unire e montare le bombe
– le piattafome e la tecnologia dei vettori missilistici per portare l’ordigno sui bersagli.

Riproponiamoci, a questo punto, che possiamo tenere presente la natura militare, funzionale alla potenza, della tecnologia in oggetto, l’interrogativo  ” : “perché si torna al nucleare? a chi conviene?” La risposta ora può sopraggiungere con maggiore chiarezza e plausibilità rispetto ai nostri sforzi di comprensione del contesto che ci circonda ed in cui viviamo ed operiamo. Si torna perché in realtà il mondo non ne è mai fuoriuscito e sta vivendo un nuovo round del match internazionale della competizione di potenza. Il nucleare non se ne è mai andato, ha sempre abitato, convissuto con noi. Persino l’Italia, nonostante il referendum del 1987, l’ha sempre tenuto con sè. L’ha fatto con l’ENEL che, pur essendo interdetta, ha continuato a costruire (o ad acquisire e gestire) centrali nucleari all’estero. L’elenco è lungo: in Francia, Spagna, in ex Jugoslavia, in Iraq, eccetera… L’ha fatto con la SOGIN, che ci ha addebitato sulle bollette elettriche la gestione delle scorie delle “vecchie” centrali nel momento stesso in cui le movimentava e le movimenta, andata e ritorno, per ferrovia (ma anche via mare e via aereo) verso la Francia e l’Europa.
Possiamo adesso accettare come espressione di profondità e lucidità analitica la seguente ricostruzione storico-sistemica di Giulietto Chiesa, che troviamo nel su libro “La menzogna nucleare” (Edizioni Ponte alle Grazie, 2010)

“Il problema nucleare riemerge perché è finita la fase unipolare, dominata da un’unica superpotenza planetaria, e ci si avvia a una configurazione inedita, al tempo stesso globale e multipolare…
Componenti cruciali di questa nuova situazione sono la Cina e l’India, entrambe impegnate nella costruzione di un proprio arsenale, inclusa la sua componente nucleare militare. Due giganti in crescita vorticosa e ormai chiaramente destinati ad imprimere il proprio marchio sul XXI Secolo…

Ecco perché sia gli Stati Uniti che la Russia (nel frattempo nuovamente proiettata su disegni ambiziosi…) hanno ricominciato a programmare la crescita e lo sviluppo delle tecnologie militari nucleari. Si tratta di non rimanere spiazzati, o addirittura superati da altri concorrenti che sono ormai entrati nel club nucleare, e perfino da outsider che vi si affacciano ormai prepotentemente, a cominciare dal Pakistan, per continuare con il Brasile e l’Iran, senza dimenticare Israele che, al momento, è la quinta potenza nucleare mondiale …
“E’ in questo contesto che USA, Russia, Cina, India, Iran, ma anche Brasile e Pakistan, si muovono ora verso un nuovo sviluppo del nucleare civile. La Francia va aggiunta a questo elenco, ma solo per rilevare che Parigi non aveva mai rinunciato, nemmeno per un istante, al proprio sviluppo nucleare, militare e civile. Per quanto concerne la Gran Bretagna, il suo comportamento in materia è nient’altro che la copia di quello americano. Il tutto a conferma dell’assunto di partenza: dietro a ogni discorso sul nucleare civile si nasconde sempre un discorso più importante che concerne le armi nucleari”.

Il nucleare sarà forse in declino come fonte energetica, se si misura la sua quota elettrica, non è affatto in decadenza, dati, fatti alla mano, quale fonte di potenza militare ed in questa funzione “risorge” negli USA (devono mantenere la loro superiorità tecnologica negli arsenali militari) e “fiorisce” tra le potenze emergenti (il cosiddetto BRIC) diventando oggetto del desiderio tra le nazioni che aspirano ad un ruolo di potenza regionale (l’Iran è il caso più eclatante).

Prendere atto di questa verità, di questa realtà effettuale, e tradurla poi in termini comunicativi, non è inutile pignoleria ma opera indispensabile di chiarimento e sensibilizzazione utile – a mio parere – anche a gestire in termini efficaci il confronto con la lobby nuclearista nella sfida referendaria. A livello comunicativo è, infatti, perdente attaccarsi ad un argomento facilmente confutabile dai fatti: “non si costruiscono più centrali nel mondo, noi siamo gli unici “fessi” che ci prendiamo dei bidoni che gli altri non vogliono più”…

Vogliamo vincere il referendum? Evitiamo di citare a sproposito Barack Omama! E’ vero che il presidente USA gira il mondo a tenere bei discorsi sulla “green economy”… Ma è altrettanto vero che – Bush non aveva osato farlo! – ha stanziato 57 miliardi di dollari – forse anche di più, su questo punto sono indietro con i dati – a garanzia dei prestiti bancari per il nucleare “civile” e svariati miliardi di dollari sono già stati materialmente “impegnati” per due nuovi reattori in costruzione in Georgia. I reattori sono gli AP1000 della Westinghouse, la società elettrica costruttrice è la Southern Company. Altri progetti approvati di centrali nucleari riguardano South Carolina, Maryland e Texas.

L’ultimissima novità (21 gennaio 2011), non di poco conto, è che Obama ha nominato a capo dei suoi consiglieri economici il CEO di General Electric, Jeffrey Immelt, noto republicano. Stiamo parlando dell’azienda posta al vertice del Complesso militare industrial energetico (MIEC), la più importante produttrice di bombe atomiche del mondo…
Fossi Chicco Testa, per chiudere la bocca ai “detrattori dell’atomo”, semplicemente manderei in onda delle video-interviste con il Messia ambientalista “nero” che sta facendo “risprofondare il Partito Democratico nell’abisso atomico”…

Sulla fragile piattaforma del “nucleare obsoleto” la nostra navigazione, insomma, è destinata ad infrangersi contro la realtà (ripetiamolo ancora: gli USA riprendono a costruire le centrali, la Francia le esporta in tutto il mondo, la Germania non le chiude, nei BRIC conoscono un boom, in Medio Oriente ed in Asia sono ambitissime) e otteniamo il bel risultato di pregiudicare la credibilità delle altre, giuste, critiche, con le quali condanniamo la scelta per le energia atomica.

Le critiche classiche che sentiamo scontatamente ribadire dagli ambientalisti specialistici, ma che si appuntano sul dito, e non sulla luna:
– dalla dipendenza del petrolio passiamo a quella dell’uranio, una risorsa estera ancora più scarsa e perciò destinata a divenire sempre più costosa;
– la tecnologia è troppo complessa ed inaffidabile, può produrre eventi catastrofici e non mette al riparo da rischi sanitari neppure nel normale funzionamento di una centrale;
– il problema delle scorie radioattive non è stato risolto e non è responsabile lasciare questa eredità di grave inquinamento ai posteri;
–  i costi di produzione del KWh elettrico sono difficilmente definibili e comunque superiori rispetto ad altre fonti pulite e rinovabili;
– il contributo alla riduzione delle emissioni di CO2 non è significativo.
Tutto vero, tutto giusto, ma tutto secondario rispetto al nocciolo duro e “violento” del problema che è anche il cuore duro e violento del potere che lo alimenta e con il quale, alla fine, da cittadini che sperano in un futuo operoso di pace, ci si deve,  ci si dovrà per forza confrontare, se si vogliono cambiare le cose, se si vogliono risolvere i problemi alla radice.
Un conflitto perciò imprescindibile che possibilmente, anzi certamente, dovrà rifuggire dall’adottare le sue – del potere militarista e violento – stesse logiche e di misurarsi sul suo terreno preferito della forza distruttiva: non solo perché non è eticamente giusto ma soprattutto perché è stupido.

L’associazionismo ambientalista per lo più lo vediamo evitare il confronto con il nocciolo duro, violento, del potere: che risiede nella disponibilità della forza di intimidazione fisica, nel controllo coattivo sulle risorse materiali (a partire dagli spazi territoriali). Si dispone al compromesso, alla convivenza con esso per coltivare le sue –  bellissime, per carità – alternative parallele a margine. Un po’ quello che ha sempre riservato ai “buoni” la gerarchia vaticana complice del potere temporale: fare i crocerossini a valle, lenire gli effetti, non intervenire sulle cause dell’oppressione e dell’ingiustizia …

Alfonso Navarra – obiettore alle spese militari e nucleari (5 febbraio 2011)

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Nota sulla trasformazione in Comitato per il SÌ nel referendum antinucleare

Il comitato promotore della legge di iniziativa popolare Sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili per la salvaguardia del climaha convocato un incontro nazionale, sabato 22 gennaio a Roma, con tutti coloro che hanno contribuito alla raccolta delle firme a sostegno della legge stessa. L’incontro, coordinato dal Presidente dell’Associazione SÌ alle energie rinnovabili NO al nucleare, Alfiero Grandi, ha registrato la partecipazione di esponenti della CGIL, delle varie Associazioni (ambientaliste e non), dei Partiti Politici del centrosinistra, del mondo scientifico.

Il convegno ha rapidamente esaurito il primo argomento all’ordine del giorno, relativo alle procedure della Proposta di Legge di iniziativa Popolare. Il Provvedimento è stato infatti depositato alla Camera dei Deputati insieme alle 110.311 firme raccolte, verrà formalmente rubricato entro la settimana in corso, dopo di che inizierà l’iter legislativo. La norma prevede che la Proposta di Legge abbia validità per 2 legislature, tuttavia sarà necessario l’impegno dei vari Gruppi di centrosinistra presenti in Parlamento al fine di accelerarne al massimo la calendarizzazione per la discussione nelle Commissioni di Camera e Senato. In ciò si punta molto sul fatto che le opposizioni hanno titolo di indicare il 25% degli argomenti da porre all’ordine del giorno della discussione.

Decisamente più complessa e impegnativa è invece la questione relativa al referendum abrogativo della Legge 99 del 2009 che reintroduce il nucleare in Italia. Il referendum, proposto come noto dalla sola Italia dei Valori, si farà (insieme a quelli dell’acqua pubblica e del legittimo impedimento) come sancito dalla Corte Costituzionale, presumibilmente tra aprile e giugno di quest’anno, insieme alle elezioni amministrative, salvo che nel frattempo il Parlamento legiferi in materia (cosa alquanto improbabile) o che vi siano elezioni politiche anticipate (nel qual caso i referendum slitterebbero al 2012).

Il primo grosso problema è dunque nei tempi brevi che ci separano dal voto. Tempi che conviene considerare come certi, con le conseguenti difficoltà ad allestire la complessa e onerosa macchina organizzativa necessaria. Dovrebbe infatti essere del tutto evidente che un conto è raccogliere 500 mila firme, altro è coinvolgere nel voto più di 24 milioni di persone (soglia minima legale per rendere valido il voto referendario). Bisogna dunque agire celermente a partire dalla costruzione di Comitati nazionali. Sarebbe stato preferibile costruirne uno solo ma le vicende, così come si sono sviluppate, non lo consentono più. L’Italia dei Valori ha infatti preferito procedere da sola, per cui tutti gli altri possono solo collegarsi attraverso un aggregato separato. È dunque questa la strada che si è deciso di seguire: dar vita a due Comitati nazionali che utilizzino il più possibile gli stessi slogan, strumenti, immagini e si rivolgano in modo coordinato alle varie fasce di cittadinanza. In tal senso giovedì 27 è già stato fissato un incontro a Roma, tra l’Italia dei Valori e le varie Associazioni ambientaliste, per definire le modalità di nascita del secondo Comitato. Comitato nel quale è indispensabile che partecipino i Partiti attraverso l’impegno dei militanti e delle proprie strutture organizzative ma ne restino esclusi per quanto riguarda le sigle e i simboli (CGIL compresa), limitando pertanto la presenza formale alle sole Associazioni, Movimenti e singoli cittadini. Sarebbe dispersivo e quindi controproducente far nascere altri comitati nazionali, per cui, ad esempio, l’iniziativa organizzata per il 5 febbraio a Cremona, se può essere considerata positiva come momento di socializzazione e discussione, non lo sarebbe altrettanto se volesse sfociare nella costituzione di una terza struttura organizzata nazionale.

Si rende altresì necessario definire una simbiosi stretta tra i Comitati antinucleari e il Comitato per l’acqua pubblica. Così com’è necessario fissare già dalla prossima settimana il logo, il nome del Comitato, gli slogan, evitando per quanto possibile l’uso della parola “NO” (sconveniente per l’effetto psicologico mediatico e perché fuorviante nei confronti della popolazione meno attenta che al referendum dovrà invece votare “SÌ”). Un’ipotesi esemplificativa potrebbe essere lo slogan : “SÌ, fermiamo il nucleare”.

In questa campagna avrà un rilievo straordinario anche la questione finanziaria. La Legge prevede infatti che abbiano titolo a rimborso elettorale solo i presentatori del referendum, nella misura di 500 mila euro e soltanto in caso di superamento del 50% più uno degli aventi diritto al voto. Nel caso del referendum antinucleare quindi, la cifra è destinata alla sola Italia dei Valori, con la quale sarà dunque opportuno definire modalità sia di anticipo che di suddivisione delle finanze anche con il secondo Comitato nazionale. Tutto il piano di iniziative è demandato a dopo la nascita dei Comitati (indicativamente tra 8-10 giorni).

Nella riunione del 22 si è comunque già ipotizzata, su proposta della Lombardia, una prima grande manifestazione da tenersi al Nord, sull’asta del Po (Caorso, Trino, Saluggia…) per la fine del mese di marzo.

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