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24 febbraio: Convegno a Genova

Necessità Corrente. Un piano energetico per l’Italia

 

Dal referendum alle rinnovabili: aziende, ricercatori, istituzioni e associazioni a confronto

Venerdì 24 febbraio 2012, ore 9.00-19.00

Centro Congressi – Porto antico di Genova

Partecipa: Antonio Di Pietro

PROGRAMMA

Ore 9.00: Saluti

Giovanni Paladini – Segretario Regionale IdV Liguria

Ore 9.30: Apertura lavori

Maurizio Zipponi – Responsabile Dipartimento Lavoro IDV”

Ore 9.45 – 11.30: “Smart Future”

Mario Agostinelli – Coordinatore Energia Felice

Gianni Silvestrini – Direttore Scientifico Kyoto Club

Claudia Bettiol – Bettiol & Parteners

Gloria Piaggio – Dirigente Comune di Genova

Livio Gallo – Direttore Infrastrutture e Reti Enel SpA

Sergio Piffari – Commissione Ambiente, Territorio, Lavori Pubblici della Camera

Conclude

Paolo Brutti – Responsabile Dipartimento Ambiente IdV

Ore 11.30: Break

Ore 11.45 – 13.30: “Green Approach”

Valerio Rossi Albertini – Ricercatore CNR

Stefania Crotta – Dirigente Regione Piemonte

Mons. Luigi Molinari – Delegato Curia Arcivescovile di Genova

Diego Gavagnin – Giornalista Quotidiano Energia

Patrizia Bugnano – Commissione Commercio, Industria, Turismo del Senato

Gianni Mattioli – Professore Università La Sapienza

Conclude

Maurizio Zipponi – Responsabile Dipartimento Lavoro IdV

Ore 13.30 – 14.45: Pausa colazione

Ore 14.45 – 17.00: “Renewable Actors”

Gianluigi Angelantoni – Presidente Gruppo Angelantoni

Giuseppe Zampini – CEO Ansaldo Energia

Guido Stratta – Responsabile Enel.Si

Giovanni Calvini – Presidente Confindustria Genova

Stefano Conti – Direttore Affari Istituzionali Terna spa

Luigi Sampaolo – Eni spa – Rapporti con gli stakeholder di sostenibilità e con il territorio

Giuseppe Fano – Corporate Director Mossi & Ghisolfi

Conclude

Antonio Di Pietro – Presidente IdV

Ore 17.00: Break

Ore 17.15 – 19.00: “Basket of Words”

Le parole chiave del convegno discusse insieme a blogger e mediattivisti.

 

Le tavole rotonde sono moderate dall’Ing. Maurizio Urbani – Esperto di settore

Partecipano: Marylin Fusco – Vicepresidente Regione Liguria e Nicolò Scialfa – Capogruppo IdV Regione Liguria

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Boom fotovoltaico, ma a Merano chiude la Memc

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano online – 8 gennaio 2012

Tante chiacchiere sulla necessità di sostenere le produzioni di avanguardia e nei mercati più stimolanti; reprimende continue ai sindacati perché non accettando i licenziamenti arbitrari bloccano la ripresa; espulsione della Fiom dagli stabilimenti del supermanager Marchionne. Tutta qui la risposta delle classi dirigenti alla crisi?

Intanto a Merano la Memc, tra i maggiori produttori mondiali, ha annunciato, nell’ambito di una ristrutturazione globale delle attività societarie, la cessazione delle attività dell’unico impianto italiano di silicio per fotovoltaico. Sono a rischio 310 posti di lavoro, più un altro centinaio nell’indotto, e una produzione d’avanguardia partita da pochissimo: i nuovi reparti per il silicio policristallino, che hanno richiesto un investimento di 19 milioni di euro, sono stati inaugurati poco più di un anno fa. Gli operai hanno tenuto un’assemblea prima di Natale bloccando il traffico e risultano gli unici a preoccuparsi della continuità produttiva di un settore strategico.

Per caso, i ministri Fornero e Passera hanno provato a riflettere con i dipendenti Memc sullo scandalo per cui la più grande performance mondiale di installazione di fotovoltaico per il 2011 si è registrata in Italia (6.900 MW, che, sommati a quelli esistenti, fanno segnalare dal GSE al 29 dicembre 12.408 MW allacciati alla rete, suddivisi in 316 mila impianti!) comperando quasi tutto il materiale e le apparecchiature all’estero? Se hanno diritto di parola e decisione solo i “tecnici” e ci si proietta unicamente nel loro mondo esclusivo, mentre si zittisce la gente in carne ed ossa con il proprio vissuto, ci si abbandona solo alla “giostra dello spread”, che non lambisce nemmeno da lontano la democrazia, non suscita partecipazione e ci allontana da un quotidiano in cui prevalga la solidarietà. Questo ci ricordano le lotte in corso in molte parti del Paese.

Per la vicenda del lavoro meranese si può fare molto, avendo a cuore però le famiglie dei dipendenti prima che gli interessi della multinazionale americana. Nell’immediato, per garantirsi che gli impianti non vengano fermati, si può agire sulla leva fiscale a partire da un’aliquota Irap ridotta a favore di quelle aziende che investono in ricerca e sviluppo nel settore delle energie rinnovabili. Si può anche stabilire temporaneamente una riduzione selettiva del costo dell’energia elettrica da parte della provincia e del comune, che sono propietari al 50% delle centrali elettriche fornitrici. Oppure, consentire l’importazione dalla vicina Austria, il cui governo non carica la bolletta di oneri impropri.

Soprattutto occorre progettare il medio-lungo periodo per uscire dall’emergenza e garantire un futuro socialmente desiderabile per il territorio. Il “libero mercato” non basta, anzi, spesso fa danni irrecuperabili. E’ indispensabile che “il pubblico” (Stato, Provincia e Comuni) assumano compiti di indirizzo e di programmazione economica sul territorio, intervenendo con idee, programmi, strumenti (comprese le municipalizzate e i centri di ricerca pubblici) e finanziamenti. Le energie rinnovabili (e non solo il fotovoltaico) hanno caratteristiche di filiera tipicamente territoriale, entro cui la missione della Memc può a buona ragione essere integrata con vantaggi dovuti alla specializzazione del mercato alpino attentissimo agli aspetti ecologici e interessato all’integrazione dell’energia nel paesaggio e nella valorizzazione della salute. La riconversione ecologica di cui spesso si parla è a portata di mano e, in questo caso, nemmeno tanto complessa. Perché non provarci proprio a partire, con uno sforzo straordinario e esemplare, da un’azienda in difficoltà ma ancora solida come la Memc?

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Crisi, clima, governo Monti e attacchi alle rinnovabili

di Mario Agostinelli e Giovanni Carrosio

In questi giorni di inebriamento per la cultura (?!) bocconiana si evidenzia drammaticamente la mancanza di autonomia, se non la subalternità della sinistra, non solo per la debolezza delle sue risposte politiche, ma per il silenzio dei suoi intellettuali, o per il rigetto di posizioni critiche travolte dalla banalità delle argomentazioni dei sacerdoti del mercato. Qui mi limito a riprendere alcune valutazioni sugli incentivi alle rinnovabili che vengono fatte girare come se non fossero dettate da interessi corposi che hanno rappresentanza nel “governo tecnico” e non sono contrastate come deludenti ripetizioni a sostegno del modello che ci ha portato alla crisi.

Per tutto l’anno, il professor Giorgio Ragazzi – Professore associato di Scienza delle Finanze all’Università di Bergamo, che in passato ha lavorato come Economista al Fondo Monetario Internazionale ed è stato Direttore Esecutivo della Banca Mondiale e dirigente (settore finanza) della Montedison, ascoltatissimo consigliere per l’energia dell’area montiana – si è sbizzarrito sugli attacchi alle energie rinnovabili ed alle politiche di incentivazione del settore, su importanti riviste on line come lavoce.info e nelmerito.com. Le sue posizioni non riflettono necessariamente la linea delle due testate, che si presentano come mezzi pluralistici di divulgazione di riflessioni accademiche, ma certamente hanno una importante visibilità nel dibattito pubblico. È allora importante affrontare le critiche con ordine, mettendo in evidenza come il suo ragionamento sia parziale, conservatore e acritico rispetto al sistema energetico basato sulle fonti fossili e viziato da una prospettiva economicistica di breve termine che non gli permette di vedere i reali benefici economici, sociali ed ambientali delle energie rinnovabili e come le politiche di incentivazione messe in atto rappresentino un investimento per il futuro e non un costo irragionevole per il presente.

Ma andiamo con ordine. Al centro della critica di Ragazzi vi sono quattro argomenti principali, che vengono affrontati tenendo insieme una serie di sottotematiche conseguenti volte a rafforzare i motivi di disappunto:

– Il sistema di incentivi alle rinnovabili grava eccessivamente sulle bollette dei consumatori;

– Gli incentivi sono eccessivamente alti rispetto alla capacità produttiva delle energie rinnovabili;

– Le rinnovabili non hanno riscontri positivi sotto il profilo ambientale;

– Non ha senso incentivare nuova produzione di energia in una fase di recessione dei consumi energetici.

Ragazzi non solo ritiene che i prelievi a carico del consumatore per incentivare le rinnovabili siano troppo onerosi, ma considera sbagliata la scelta di scaricare sui consumi i costi di incentivazione.

E’ cosa indubbia che incentivare le rinnovabili scaricando i costi sulle bollette rappresenti una forma di tassazione indiretta di tipo regressivo, poiché i consumi di energia sono scarsamente correlati con i redditi. Ma ritenere sbagliato il metodo di incentivazione significa proporre una strada alternativa, ad esempio proponendo il ricorso alla fiscalità generale, strumento certamente più equo. Oppure imponendo tasse ambientali molto onerose ai grandi inquinatori. Ma in questa fase, dominata da un garbato neo-liberismo, proporre di attingere fondi dalla fiscalità generale sarebbe come strozzare il sistema di incentivazione e tassare ulteriormente le imprese, a detta del mainstream economico, significherebbe intaccare la loro competitività sui mercati internazionali. Difficilmente riusciremo a perseguire queste strade. Il professore, però, non offre proposte alternative perché utilizza la critica del metodo per contestare il merito dell’incentivazione.

Incentivare le energie rinnovabili è sbagliato, a detta sua, per tre motivi: sono poco produttive; non apportano benefici all’ambiente e non serve produrre energia in più in una fase di recessione dei consumi. Ben vengano queste critiche, perché ci consentono di toccare argomentazioni e problematiche che sono taciute da molti.

Valutare i costi di incentivo sulla base dell’energia prodotta è totalmente ingeneroso e miope: l’obiettivo non è avere alcuni Twh oggi, ma sviluppare un settore industriale per il futuro. Il costo del programma energetico, come sostiene il professore Arturo Lorenzoni (IEFE – Bocconi), va rapportato al cambio di paradigma energetico, all’avvio di nuovi settori industriali, all’autonomia energetica dei territori di fronte ad un sempre più alto rischio di shock petrolifero. Per l’energia fotovoltaica, inoltre, il sistema incentivante sta accompagnando il settore verso l’autonomia dagli incentivi, raggiungendo le soglie di economicità per stare sul mercato senza alcun tipo di aiuto.

E non dimentichiamo che le rinnovabili non solo rappresentano un nuovo settore globale sul quale investire per creare occupazione e ricchezza, ma sono anche uno strumento importante per la lotta al cambiamento climatico e per la riduzione delle emissioni di inquinanti in atmosfera. Importanti risvolti ambientali, che il professor Ragazzi nega tirando in ballo “lo scempio di campi agricoli coperti da pannelli, l’invadenza ambientale delle pale eoliche, il rialzo dei prezzi del granturco “bruciato” negli impianti a biomasse con pesanti effetti negativi sull’economia locale delle stalle, per non parlare dell’energia (e conseguente inquinamento) consumata nelle produzioni di pannelli, strutture metalliche, pale eoliche ecc” (vedi qui).

Va da sé che installare pannelli fotovoltaici su terreni agricoli sia una pratica poco virtuosa e che il sistema incentivante, soprattutto nei passati Conti Energia, abbia favorito le speculazioni nel settore. Ma non possiamo certamente imputare soltanto alle politiche di incentivo la responsabilità delle installazioni sui terreni agricoli: le regioni, le province e i comuni devono fare la loro parte per rendere gli investimenti sui propri territori sostenibili sotto ogni profilo, innanzitutto approvando piani energetici ambiziosi, e le procedure di valutazione degli impatti delle nuove fonti energetiche devono essere basate sulla partecipazione dei cittadini e il ricorso ad esperti immuni dalla pressione dei portatori di interesse. Sulla rimodulazione degli incentivi si può discutere, provando a creare un sistema per cui sia incentivato il medio-piccolo impianto che porta un effetto moltiplicatore sulla nostra economia, piuttosto che i grandi investimenti fatti con capitali stranieri, dove i nostri territori diventano soltanto luoghi di accumulazione di flussi globali di capitale.

È bene non confondere la tutela del paesaggio (sacrosanta) con la questione ambientale e non lanciare allarmi propagandistici sulle bioenergie. Esistono esperienze decisamente negative, per le quali dovevano e dovranno essere previste rigorose procedure di valutazione di impatto ambientale, ma esistono moltissimi casi virtuosi di produzione di energia da biomasse, che consentono alle aziende agricole di raggiungere buoni margini di autonomia dai mercati internazionali per il reperimento di fattori produttivi primari come quello energetico. [Sarà nostra cura scrivere sulle differenze tra cattive e buone pratiche nei prossimi articoli].

È poi falsa l’affermazione che i bilanci energetici della costruzione di pannelli e pale sia negativo. Per le pale eoliche i bilanci sono sempre stati positivi, e per i pannelli ormai abbiamo superato anche quel problema.

Nella critica di Ragazzi c’è un vulnus che lascia molto perplessi: attaccare le rinnovabili senza metterle a confronto con il sistema energetico dominante è una operazione che non ha senso. Vuole dire, il professore, che un campo fotovoltaico è peggio di un pozzo petrolifero? O che un campo eolico è più impattante di una centrale a carbone? Il punto della questione è questo: ci stiamo liberando da un sistema energetico fondato sulla geopolitica di guerra e sui disastri ambientali sistematici. Il costo delle rinnovabili va confrontato con tutti i costi reali che abbiamo dovuto sostenere e che dovremo sostenere ancora. E soprattutto bisognerebbe fare il calcolo dei costi (economici, ambientali e sociali) al lordo dei disastri ambientali, non come se questi non si verificassero. E allora, possiamo calcolare quanto costa l’energia nucleare senza tenere in conto i danni economici, sociali e ambientali di Fukushima? O quelli delle fonti fossili, senza tenere in conto del disastro nel Golfo del Messico?

Infine, Ragazzi sostiene l’inutilità di incentivare ulteriore produzione di energia in una fase di recessione dei consumi. Qui tocca un tasto dolente, pur sbagliando il ragionamento. Le energie rinnovabili devono diventare sostitutive delle energie fossili e non sovraproduzione energetica. Dobbiamo fare sì che ogni Gwh prodotto dalle rinnovabili comporti la soppressione di un Gwh prodotto grazie alle fonti fossili.

Possiamo farlo investendo molto sul risparmio energetico, riducendo anche del 30-40% i consumi energetici, e investendo nelle reti intelligenti. Possiamo farlo creando dei sistemi territoriali di produzione e consumo di energia, adottando piani energetici ambiziosi che prevedano la riduzione dei consumi e la contestuale sostituzione delle energie fossili con quelle rinnovabili. Possiamo farlo pensando ad innovativi modelli organizzativi, lavorando sulle cooperative di consumo, introducendo forme di democrazia partecipativa nella gestione delle ex municipalizzate, per rivendicarne la ormai perduta vocazione territoriale, pensando a nuove relazioni tra grandi città e campagne sulla scorta di quanto sta accadendo per le filiere corte del cibo.

Le rinnovabili, prima di un fatto tecnico-economico, sono un grande fatto sociale. Anche per questo, il loro valore è immenso. Non si può ridurlo ad una insana disputa sul costo degli incentivi.

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Debito pubblico: appello dalla Francia

Dalla Francia proviene un appello per creare una commissione di audit del debito pubblico in grado di visionare come è fatto quel debito, come è stato contratto a favore di chi e di quali interessi. Noi vogliamo fare nostra questa proposta per rivedere in profondità l’entità del debito pubblico italiano accumulato nel tempo per favorire rendite, profitti, interessi di casta e di una ristretta elite e non certo per favorire le spese sociali, l’istruzione, la cultura, il lavoro.

Una proposta che serve per impostare un’altra politica economica, del tutto alternativa a quella avanzata in questi anni dai vari governi che si sono succeduti e improntata alla redistribuzione della ricchezza, alla valorizzazione dei beni comuni, del lavoro, del welfare, dell’ambiente contro gli interessi del profitto e della speculazione finanziaria. Una politica economica per il 99% contro l’1% del pianeta.

APPELLO PER UN AUDIT DEI CITTADINI SUL DEBITO PUBBLICO

Scuole, ospedali, alloggi d’urgenza… pensioni, disoccupazione, cultura, ambiente… viviamo quotidianamente l’austerità finanziaria e il peggio deve venire. “Noi viviamo al di sopra dei nostri mezzi”, questo è il ritornello che ci viene ripetuto dai grandi media. Ora “occorre rimborsare il debito” ci si ripete mattina e sera. “Non abbiamo scelte, occorre rassicurare i mercati finanziari, salvare la buona reputazione, la tripla A”. Non accettiamo questi discorsi colpevolizzanti.

Non vogliamo assistere da spettatori alla rimessa in discussione di tutto ciò che ha reso ancora vivibile le nostre società, anche in Europa. Abbiamo speso troppo per la scuola e la sanità oppure i benefici fiscali e sociali dopo venti anni hanno prosciugato i bilanci? Questo debito è stato contratto nell’interesse generale oppure può essere considerato in parte come illegittimo? Chi possiede questi titoli e approfitta dell’austerità? Perché gli Stati devono essere obbligati a indebitarsi presso i mercati finanziari e le banche mentre queste possono farsi concedere prestiti direttamente e a un costo più basso dalla Banca centrale europea?

Non accettiamo che queste questioni siano eluse o affrontate alle nostre spalle da esperti ufficiali sotto l’influenza delle lobbies economiche e finanziarie. Vogliamo dire la nostra nel quadro di un ampio dibattito democratico che deciderà del nostro avvenire comune. In fine dei conti, siamo dei giocattoli nelle mani degli azionisti, degli speculatori e dei creditori oppure cittadini, capaci di deliberare insieme sul nostro avvenire? Noi ci mobiliteremo nelle nostre città, nei quartieri, nei villaggi, nei nostri luoghi di lavoro, lanciando l’idea di un grande audit del debito pubblici. Vogliamo creare sul piano nazionale e locale dei collettivi per un audit dei cittadini con i nostri sindacati e associazioni, con esperti indipendenti, con i nostri colleghi, i vicini, i concittadini. Prenderemo in mano i nostri destini perché la democrazia riviva.

 

Primi firmatari: Marie-Laurence Bertrand (CGT); Jean-Claude Chailley (Résistance sociale); Annick Coupé (Union syndicale Solidaires); Thomas Coutrot (Attac); Pascal Franchet (CADTM); Laurent Gathier (Union SNUI-Sud Trésor Solidaires); Bernadette Groison (FSU); Pierre Khalfa (Fondation Copernic); Jean-François Largillière (Sud BPCE); Philippe Légé (Économistes atterrés); Alain Marcu (Agir contre le Chômage!); Gus Massiah (Aitec); Franck Pupunat (Utopia); Michel Rousseau (Marches européenne); Maya Surduts (Collectif national pour les droits des femmes); Pierre Tartakowsky (Ligue des droits de l’homme); Patricia Tejas (Fédération des Finances CGT); Bernard Teper (Réseau Education Populaire); Patrick Viveret (Collectif Richesse) ; Philippe Askénazy, économiste; Geneviève Azam, économiste; Étienne Balibar, philosophe; Frédéric Boccara, économiste; Alain Caillé, sociologue; François Chesnais, économiste; Benjamin Coriat, économiste; Cédric Durand, économiste; David Flacher, économiste; Susan George, écrivain; Jean-Marie Harribey, économiste; Michel Husson, économiste; Stéphane Hessel, écrivain; Esther Jeffers, économiste; Jean-Louis Laville, sociologue; Frédéric Lordon, économiste; Marc Mangenot, économiste; Dominique Méda, sociologue; Ariane Mnouchkine, artiste; André Orléan, économiste; Dominique Plihon, économiste; Christophe Ramaux, économiste; Denis Sieffert, journaliste; Henri Sterdyniak, économiste.

 

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Bioeconomia e sviluppo, di Massimo Pieri

Breve riassunto della relazione di Massimo Pieri che si è tenuta oggi, martedì 22 novembre 2011, a Milano.

La bioeconomia si pone in opposizione all’economia classica che è la visione corrente del processo economico. Viene presentata la Funzione di Cobb-Douglas, secondo la quale il capitale finanziario ha il sopravvento sulle risorse. Secondo questo schema si propone una visione meccanicistica del mondo. I processi economici si susseguono periodicamente senza considerare che ci siano limiti ambientali e di risorse.

In questo contesto si sviluppa una critica allo “sviluppo sostenibile”, che è uno dei concetti più nocivi che si possano pensare, che è un ossimoro o una antinomia. È fallita l’idea che “lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni” (Rep. Brundtland, 1987). Analisi dei termini di povertà, consumo, rifiuto, green-economy, rendimento, energia rinnovabile.

Rapporto tra entropia e economia: un punto fondamentale sta nell’impossibilità di poter riprodurre i processi, nel tempo, trascurando la degradazione di risorse e attrezzature, secondo la Legge dell’Entropia. Il reale prodotto dei processi economici è il godimento della vita che dipende da tre elementi: il flusso dei beni consumati, il tempo libero e il tempo lavorativo. La bioeconomia considera i processi economici come processi vitali e quindi irreversibili. Tutto ciò che ha una qualche utilità e consumo è costituito da bassa entropia.

I concetti fondamentali della bioeconomia sono:

– l’attività economica di ogni generazione ha un’influenza su quella delle generazioni successive;

– è necessario ridurre il consumo di energie e di risorse, come l’inquinamento locale e globale;

– si deve incrementare il lavoro con competitività nell’agricoltura e nell’industria, lavorare meno per lavorare tutti;

Alcuni principi devono essere presi in considerazione in questo cambiamento: di precauzione, di valutazione del rischio, di omeostasi, di accessibilità, di adattamento, di etica, di solidarietà, di riparazione, di negoziato, di extraterritorialità, di decrescita. A partire da queste considerazioni si può allora elaborare un programma per lo sviluppo che implichi programmi di adattamento, programmi energetici, programmi per il cambiamento climatico e programmi di bioeconomia differenziata.

 

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