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Arci in festa 2011

Dall’1 al 5 giugno la festa dei circoli Arci tra teatro, musica e dibattiti pro-referundum

E’ la festa dei circoli Arci delle province di Milano, Monza e Brianza, Lodi. E quest’anno vanta un programma densissimo: 5 giorni a Carroponte tra teatro (quello narrativo civile di Ascanio Celestini che sarà in scena mercoledì 1 giugno e il teatro canzone che parte il 5 giugno con il collettivo di comici milanesi Democomica e caratterizzerà tutte le domeniche di giugno), musica e presentazioni di libri che saranno occasione per intrattenersi e discutere sui temi del referendum previsto per il 12 e il 13 giugno prossimi.

Si parte mercoledì 1 giugno alle ore 21.30 con il dissacrante e tagliente nuovo spettacolo di ASCANIO CELESTINI “La fila indiana -Il razzismo è una brutta storia”. (Ingresso 10€). Chiude la serata un’extra festa al Maglio a cura dell’Arci Bitte.

Si prosegue giovedì 2 giugno alle ore 21.00 con la presentazione della compilation “Esistere – Resistere” prodotta dall’Anpi Tom Benetollo di Milano. Si tratta di una nuova sezione dell’Anpi nata da poco in seno al comitato provinciale dell’Arci di Milano e intitolata ad un grande antifascista, Tom Benetollo. E’ fatta di giovani donne e giovani uomini che vogliono mantenere viva una memoria che ha sin troppe falle. Da questa sezione nasce il progetto della compilation ESISTERE <- RESISTERE volta ad individuare artisti e brani idonei per vocazione e spirito a rimettere in circolo i valori della Resistenza, modernizzandoli e slegandoli da un immaginario ormai logoro. L’obiettivo di questa compilation è quindi quello di porre luce sulla resistenza “contemporanea” , che è quella che viene fatta da chi porta avanti discorsi artistici di qualità in un mondo di brutture, e da chi in tempi di individualismo sfrenato pone l’accento attraverso la propria pratica artistica su problematiche sociali o comunque sulle dinamiche io-società in un’ottica di analisi. Il tutto anche per far sì anche gli Anpi non muoiano insieme ai vecchi partigiani ma ringiovaniscano e si riattualizzino. Sul palco del Carroponte saliranno alcune perle estratte da questo lavoro: VOCI DI MEZZO, FABRIZIO COPPOLA, FRISER e NEMA PROBLEMA ORKESTAR. L’ingresso alla serata è gratuito.

Venerdì 3 giugno alle ore 21.00 presso la Libreria Interno4 Mario Agostinelli presenta il libro “Cercare il sole, dopo Fukushima” Agostinelli, Tronconi e Meregalli, Ediesse editore. “Si tratta di uno sforzo compiuto da me, Tronconi e Meregalli (gli autori) per affrontare la svolta di politica energetica necessaria e urgente su basi rigorose e, credo, innovative” dice Mario Agostinelli. “L’accento è spostato sulla scelta solare, ma l’approdo è “conquistato” sulla base di considerazioni e bilanci spesso sottaciuti o, addirittura, non portati convenientemente alla luce. Il lavoro ha una attenzione interdisciplinare, non strettamente specialistica, con finalità in parte didattico-formative e in parte volutamente informative, – conclude – data la cortina di silenzio che si è fatta calare sui referendum”.

Alle 22.30 la serata prosegue con il live di MIXER 102 Un’iniezione di Hip Hop, New Wave e Reggae, con la formazione live di un gruppo che registra in un box (quello n.102) di Cusano Milanino. I componenti del gruppo: Gianpaolo Giannattasio – voce; Nicola Perrone – chitarre; Claudio Marra – tastiere & synth ; Francesco Abisso – basso elettrico; Alessandro Angiulli – batteria.

A chiudere la serata la Big Orkestra del Crams (Centro Ricerca Arte Musica Spettacolo) di Lecco: una compagine orchestrale costituita da una quindicina di elementi che negli ultimi due anni lsi è concentrata su il repertorio della “Dedication Orchestra” una formazione costituita come un’omaggio ai musicisti esuli sudafricani nucleo del “The Blue Notes”. La “Dedication orchestra” si appropria delle radici africane, unendole con il jazz europeo, la musica colta d’avanguardia creando una miscela di ritmi e suoni veramente unico. Per l’occasione sul palco due componenti della “Dedication” originale: Lol Coxill e Steve Berenson.

Sabato 4 giugno a partire dalle 21.00 è prevista la presentazione del libro di Michela Bianchi- “Acqua, la prima narrazione “- MC Editrice. Interviene Marco Manunta, magistrato, esperto di beni comuni, autore di vari testi della collana sull’acqua MC, autore dell’ultimo libro ” Uno statuto per l’acqua a portata di voto”. Previsto un intervento dal palco di Roberto Fumagalli del Comitato italiano sul Contratto mondiale dell’Acqua. Il libro di Michela Bianchi percorre diversi sentieri e si articola su diversi piani di lettura, in un intreccio incessante di immagini e testi, dalla narrazione mitica agli appunti di Leonardo da Vinci, dalle leggende alla poesia, fino ai dati della realtà economicosociale.

La serata si chiude alle 22.30 con un doppio concerto live: HERBADELICI – funky (a cura del circolo Arci Groove) e e a seguire NEBEL – tra cantautorato folk e sonorità etniche, tra guizzi swing e sferzate rock.

Domenica 5 giugno Arci in festa 2011 chiude con l’inaugurazione della rassegna “ORGOGLIOSAMENTE TEATRO CANZONE”, una rassegna curata da Arci La Casa 139 e il circolo Cicco Simonetta. La rassegna, dedicata a una forma d’arte che ha segnato la storia di questo Paese e che dovrebbe diventare un bene culturale da tutelare e valorizzare, prevede un appuntamento domenicale gratuito per tutto il mese di giugno: ci sarà da ascoltare, da ridere, da piangere, da riflettere. E poi di nuovo da ridere. Ci sarà tutto quello di cui oggi abbiamo bisogno.

Domenica 5 giugno alle ore 21.00 si parte col collettivo di comici milanesi DEMOCOMICA. Uno spettacolo di cui Milano è sfondo e meta perché l’intento è quello di raccontarla, Milano, in una serata che le somigli: comica, elegante, intrigante, cinica, leggera, periferica, tradizionale e musicale. L’ingresso è gratuito.

La festa dei circoli sarà occasione per conoscere meglio il tessuto associativo che caratterizza l’ARCI e le attività che alcuni tra i nostri circoli svolgono da anni nel territorio e con il territorio. Sono previsti stand con materiali informativi e attività pomeridiane a cura di alcuni circoli. Tra queste le attività a cura del circolo Club Giallo, laboratori culinari per bambini a cura di Arci Zaghridì, attività giornaliere di benessere a cura del circolo Centro del Benessere.

ARCI IN FESTA 1-5 GIUGNO 2011 CARROPONTE, Via Granelli 1, Sesto San Giovanni

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8 maggio: Fiera del DES a Saronno

Quarta fiera dell’economia solidale della Provincia di Varese

Saronno – Parco dell’ex seminario e biblioteca

La Fiera provinciale dell’Economia Solidale è un evento annuale che intende promuovere e presentare al territorio provinciale i valori, le tematiche e le prospettive dell’economia solidale nonché le realtà locali che hanno sino ad ora aderito alla Rete. Essa si rivolge a tutti i cittadini che sono interessati a conoscere nuovi stili di vita e  buone pratiche orientati alla ricerca di un reale “ben-essere” della persona e della collettività, nel rispetto dell’ambiente naturale e dei diritti delle generazioni future.

E’ previsto uno spazio espositivo con numerose realtà rappresentative del commercio equo, gruppi di acquisto solidali, finanza etica, agricoltura biologica e produttori locali,  cooperative sociali, turismo responsabile, associazioni o gruppi che promuovono il rispetto dei diritti umani e la tutela dell’ambiente, artigiani e piccoli commercianti, esperienze di riuso e riciclo di materiali e risorse, attività di ricerca e applicazione di energie rinnovabili, gruppi che utilizzano e promuovono il software libero.

Il programma della Fiera comprende inoltre Dibattiti, Seminari, Concerti, Spettacoli, Laboratori di autoproduzione. Sarà attivo un servizio ristoro con cucina e bar.

La Fiera è organizzata dal Distretto di Economia Solidale di Varese (D.E.S.), una rete di realtà della provincia (e non solo) impegnate a diffondere e praticare i valori dell’economia solidale e del consumo critico nelle loro diverse declinazioni.

Il D.E.S. è promosso e coordinato dall’Associazione di Promozione Sociale “DES-VA”, che si è costituita nel 2007 proprio con lo scopo di costruire nel territorio della Provincia di Varese un Distretto di Economia Solidale.

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Referendum del 12 e 13 giugno

Intervista a Mario Agostinelli apparsa su Zero Emission

Domenica 12 e lunedì 13 giugno sono date fondamentali per il futuro del nostro paese, da annotare bene in agenda. Perciò, si spera che all’invito di andare al mare gli italiani rispondano esercitando il proprio diritto ad esprimersi su questioni cruciali come la gestione dell’acqua e l’energia nucleare

Sì all’acqua pubblica, no al nucleare e al legittimo impedimento. Ecco, in sintesi, le questioni sulle quali sono chiamati ad esprimersi i cittadini italiani ai referendum di domenica 12 e lunedì 13 giugno. Tematiche che per quanto possano apparire eterogenee, hanno invece in comune la necessità di riportare al centro del dibattito politico il “bene comune” e gli interessi dei cittadini italiani al posto di quelli di pochi, o peggio, di uno solo. I referendum sull’acqua e sul nucleare forniscono inoltre a noi tutti l’occasione di “ridare supremazia alla vita sull’economia” e “consentono alla società di ristabilire l’obiettivo primario della sopravvivenza della specie umana attraverso la conservazione di un rapporto con la natura”. Lo spiega a zeroEmission Mario Agostinelli, ex consigliere regionale lombardo, un passato da ricercatore chimico-fisico presso l’Enea e l’Ispra prima di ricoprire la carica di segretario generale della Cgil Lombardia, oggi portavoce del Comitato Vota Sì per fermare il nucleare in Lombardia e membro della presidenza del Comitato nazionale, impegnato come al referendum del 1987 per far passare il ‘no al nucleare’, ma questa volta con la ferma intenzione di ricacciare indietro definitivamente le tentazioni nucleariste di questo e dei futuri Governi.

Agostinelli, perché è importante andare a votare ai referendum del 12 e del 13 giugno?

Perché si tratta di un’occasione straordinaria per ridare supremazia alla vita sull’economia e permettere alla società, dopo la sbornia liberista che dura ormai da tanto, troppo tempo, di ritrovare finalmente un rapporto con la natura ristabilendo come obiettivo primario il recupero di uno stile di vita in armonia con i tempi biologici.

Come possono favorire i referendum il raggiungimento di questi obiettivi?

Ferma restando anche l’importanza della consultazione sul legittimo impedimento, in questo senso assumono particolare rilievo i due referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare. Il primo riaffida infatti alle istituzioni, che fanno capo ai cittadini, il governo di un bene comune che non può dipendere dal mercato. Con i due quesiti si punta a definire in maniera inequivocabile e irreversibile il carattere non commerciale, non economico, e quindi l’aspetto di proprietà comune dell’acqua, anche come bene da tramandare alle generazioni future. Il referendum contro l’energia nucleare, invece, abroga tutte le disposizioni, approvate tra l’altro senza nemmeno un dibattito pubblico e imposte al Parlamento attraverso il voto di fiducia, che permettono la produzione di energia da processi nucleari nonché lo stoccaggio delle scorie radioattive.

La catastrofe nucleare di Fukushima sta avendo un grande impatto sull’opinione pubblica mondiale. Ha fatto rinascere tutti i dubbi sulla sicurezza di questa tecnologia. Tanto da indurre molti governi, a partire dalla Germania, a un ripensamento sullo spazio da destinare all’atomo nei programmi energetici. Persino il Governo italiano ha detto che è necessaria una ‘pausa di riflessione’ sul piano nucleare ed ha approvato una moratoria di un anno. Come interpreta questa mossa?

E’ un passo puramente tattico. Il suo obiettivo è, per così dire, far passare la nottata. Il Governo non ha nessuna intenzione di fare dietrofront sull’atomo. Sono in gioco importanti interessi economici. Il messaggio che si vuole far passare è che non valgono le decisioni prese sull’onda dell’emotività. Non c’è dubbio che il Governo tornerà al nucleare quando sarà passata l’emergenza nucleare di Fukushima. Ma intanto la cosa più importante è svuotare di significato il referendum. In questo senso, la moratoria è una mossa insidiosa che serve a togliere peso alla decisione dei cittadini che, si dirà, è stata presa sotto l’influenza della tragedia giapponese.

Anche questa volta, per una triste coincidenza, il referendum avrà luogo in seguito a una catastrofe nucleare di dimensioni planetarie. Nel 1987 a poco più di un anno dal disastro di Chernobyl, questa volta a tre mesi dal dramma di Fukushima. Già nel primo caso i cittadini italiani hanno già fatto sapere cosa pensano dell’atomo, cosa significherebbe ora una sua nuova bocciatura?

Il messaggio sarebbe chiarissimo: nessuna possibilità di ritorno del nucleare nel nostro paese, tranne al massimo nei settori della ricerca. Ed è questo quello che più teme il Governo, che invece ha puntato molto sull’atomo e sul quale ha incentrato gran parte dei suoi interessi economici, non certo del paese.

Rispetto a Chernobyl, qual è la lezione che dobbiamo imparare da Fukushima?

L’elemento nuovo è un ribaltamento completo di posizione: lo dimostra la linea che stanno adottando tutti i Governi che hanno a che fare con il nucleare, in questo senso più sfortunati di noi che al momento non abbiamo questo problema: cioè riuscire a spiegare il problema posto dall’incidente di Fukushima, che non lo dimentichiamo è avvenuto nel paese più avanzato tecnologicamente al mondo. Il che impone di considerare il nucleare sotto il suo aspetto più caratteristico: cioè che esiste qualcosa di intrinseco, che fa sì che l’incidente sia un elemento fisiologico, non patologico, a questa tecnologica.

Vuol dire che l’incidente fa parte della natura del nucleare?

In realtà il reattore nucleare è lui stesso un incidente latente, o meglio, un incidente in corso che viene governato, moderato con mille accorgimenti, tenuto sotto controllo dai dispositivi di sicurezza, che normalmente si estrinseca lentamente nella durata di vita di una centrale, ma che in caso di errore umano o di un cataclisma come lo tsunami giapponese può sprigionare in pochi, brevissimi istanti tutto il suo potenziale distruttivo, danno luogo a una catastrofe il cui impatto non è assolutamente paragonabile a nessun altra forma di inquinamento poiché le sostanze sprigionate hanno un carattere assolutamente estrinseco e incompatibile alla vita sulla terra, che la natura stessa non riesce assolutamente a disperdere e i cui effetti risultano persistenti nell’arco di migliaia di anni.

Ma perché allora si continua a correre questo rischio?

In realtà il nucleare favorisce una sorta di continuità con il modello energetico oggi predominante in quanto risponde alle stesse dinamiche geopolitiche (presidiare con gli eserciti le miniere di uranio non è poi molto diverso da farlo per i giacimenti di petrolio) ma consente anche l’utilizzo delle stesse tecnologie. Che si utilizzi petrolio, gas, carbone o uranio l’obiettivo è lo stesso: produrre calore per fare bollire l’acqua in un pentolone, il cui vapore sarà poi utilizzato per fare girare una turbina elettrica. Questa continuità conviene dunque ai grandi gruppi energetici. Peccato che non si possa dire la stessa cosa per i cittadini. Basti pensare che oggi per realizzare 1,6 GW ci vorrebbero 8 miliardi, è una stima di Moody’s. Ma i costi sono in costante crescita. In Italia c’è poi l’aggravante dell’incapacità da parte del Governo di una visione di lungo termine. Il passaggio alle energie rinnovabili comporterebbe invece l’abbandono di un sistema centralizzato a favore di uno decentrato: una vera e propria rivoluzione in cui la generazione di energia distribuita oltre a togliere il controllo della produzione di energia dalle mani di pochi, presenterebbe anche anche un altro inconveniente per i fautori dello status quo: richiederebbe un sistema di distribuzione dell’energia fatto di reti completamente nuove sul territorio. Un modello assolutamente incompatibile con quello attuale.

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Il nucleare militare e il referendum

Tutti possono arrivare da soli – ci può riuscire anche un ragazzino! – a cogliere il “mistero” del nucleare. Il metodo è semplice. Subito dopo aver letto i giornali o guardato i notiziari TV, dobbiamo riflettere sulle notizie in essi riportate, ad esempio sul caso dell’ Iran che nasconderebbe l’intenzione di farsi l’atomica dietro i suoi progetti di centrali “civili”; poi abbiamo da sistemarle in relazione reciproca – queste notizie – ed infine da eseguire operazioni elaborative semplicissime, a livello di due più due fa quattro: ecco che, allora, alcune verità saltano fuori. Il presupposto dell'”illuminazione” è dismettere l’abitudine della delega all’esperto e cominciare a ragionare con la propria testa. Del resto le vere e proprie risse in cui, anche nell’arengo dei media, vediamo sempre e comunque, su qualsiasi cosa, impegnati gli scienziati ed i tecnici dovrebbero averci ormai edotto su questa realtà: la neutralità e l’oggettività se non proprio della Scienza in quanto ideale, ma della comunità scientifica reale sono un miraggio pericoloso, soprattutto per quei problemi sociali complessi la cui interdisciplinarità di approcci, causata dalla molteplicità degli elementi implicati, vanifica in partenza la possibilità dell’esperto unico.

Proviamo semplicemente a ragionare, adoperando l’unico strumento del nostro buon senso, su due notizie esemplari ampiamente diffuse dai media all’inizio di questo nuovo anno (2011):
1- un cyberattacco scatenato da Israele, con l’aiuto USA, mediante il virus Stuxnet, ha ritardato significativamente i programmi nucleari iraniani (non potranno farsi la Bomba prima del 2015) perché ha messo fuori uso un terzo delle centrifughe con cui Teheran si arricchisce da sè l’uranio;
2- le trattative tra l’ONU (5+1, i cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza più la Germania) e l’Iran in materia nucleare ristagnano perchè Teheran si rifiuta di trasferire il proprio uranio arricchito all’estero per ulteriori lavorazioni e rifiuta di far gestire a Francia e Russia il ciclo del combustibile atomico per la propria centrale di Busher (arricchimento dell’uranio, appunto, ma anche ritiro e trattamento delle scorie).Occorrerebbero, con la tecnologia iraniana, 1.000 kg di uranio arricchito al 3,5% per ottenere 50 kg di uranio arricchito al 90% buono per un ordigno atomico.

Cosa ci dicono, allora, queste due notizie, per nulla segrete, squadernate belle belle sotto i nostri occhi? E che praticamente ogni giorno possiamo trovare su tutti i giornali che compriamo nelle edicole?
Delle cose di tutta evidenza:
1- esistono delle tecnologie di “arricchimento dell’uranio” che così come preparano il combustibile atomico da “bruciare” nelle centrali, allo stesso modo, con un grado superiore di presenza di U235 nel materiale fissile, producono l’esplosivo nucleare per le bombe atomiche;
2- i programmi “civili” di un Paese possono benissimo essere piegati a finalità militari ed è lo Stato l’attore principale che li progetta, finanzia e coltiva;
3- questi programmi cripto-militari si attaccano spesso a giustificazioni di utilità sociale che non stanno in piedi. Si pensi alle centrali nucleari che dovrebbero, si fa per dire, risolvere il problema energetico dell’Iran: i persiani sono tra i principali produttori di petrolio al mondo ma non hanno le raffinerie per prodursi la benzina che farebbe circolare le loro auto. Se avessero una reale preoccupazione energetica non penserebbero innanzitutto a come procurarsi delle semplici tecnologie di lavorazione petrolifera? A chi la vuole raccontare Ahmadinejad?

Queste osservazioni contengono gran parte di quello che occorre per penetrare i misteri del nucleare ed in particolare evidenziano uno dei due aspetti della base tecnica del rapporto tra nucleare civile e nucleare militare: l’arricchimento dell’uranio che pone capo all’equazione: combustibile = esplosivo. Il combustibile con il quale produci l’elettricità nelle centrali può diventare la carica esplosiva atomica nelle bombe nucleari. L’altro aspetto di questa base tecnica, non esplicitamente menzionato, e che quindi andrebbe rintracciato con ulteriori ricerche, è l’estrazione del plutonio che si ricava “ritrattando” le scorie radioattive. Ma non ci vuole poi molto a procurarsi la notizia che dalle scorie radioattive di un anno di centrale da 1.000 Megawatt puoi estrarre 50 kg di plutonio buono per 10 bombe atomiche. Tanto per avviarsi a comprendere, con quanto sopra enucleato, l’affermazione di Amory Lovins: “L’elettricità è solo un sottoprodotto dei programmi nucleari”.

Detto in termini semplificatori, lapalissiani, avviarsi, come taluno ha fatto, semplicemnete ragionando su quanto i media mainstream propongono, e come lo stesso può mettersi a fare ciascuno di noi, a conoscere la “causa” di un problema – il fattore che muove, determina, una situazione – è importante, decisivo, perchè ti permette di progettare e realizzare l’intervento che pone realmente rimedio all’effetto dannoso, svantaggioso, indesiderato.

Rigirando ancora il concetto nei termini, “sistemici della complessità”, oggi di moda, si tratta, analogamente, di individuare l’input più impattante che origina, in una catena di eventi interconnessi, nonché attivi e retroattivi, l’output non voluto. Un po’ come quando si calcolano le emissioni di CO2 e ci si propone di ridurle per moderare il ricaldamento globale. Serve un appiglio a cui agganciare una azione, un anello risolutivo nella catena delle cause e degli effetti da prendere e tirare per ritrovarsi tra le mani, sotto controllo, l’oggetto della mutevole e sfuggente realtà.
Torniamo quindi alla domanda basilare ed originaria di tutta la faccenda: perché si torna al nucleare? a chi conviene?
E veniamo anche alla banale risposta corrente risposta, in verità spesso non esplicitata chiaramente dell’ambientalismo professionistico: siamo succubi della spinta di vecchie, “dinosauresche”, lobby industriali che vogliono, con l’aiuto di poteri incompetenti e forse corrotti, lucrare profitti indebiti caricando sulle casse dello Stato una tecnologia obsoleta, in via di abbandono da parte di tutti i Paesi a sviluppo avanzato.
Ma questa, a parere di chi scrive, che non è un “esperto” nel senso comune, ma è comunque uno “competente” perché ha fatto per 30 anni di seguito lo stesso percorso di ragionamento critico che ho provato a descrivere, è una mezza verità. Nel senso che coglie alcuni aspetti delle dinamiche economiche, sociali e politiche, tuttavia finisce per occultare l’essenziale. Quindi una mezza verità, come sappiamo, finisce per tradursi in un mito ideologico, menzognero. Una mezza verità equivale ad una mezza bugia.

Alla base di tutto c’è l’esigenza di profitto delle società elettriche e soprattutto delle imprese multinazionazionali elettromecaniche? Il fattore profitto industriale certamente conta nel ricorso al nucleare. Ma il punto che non si deve trascurare e che si rivela addirittura determinante è che il business si regge sullo Stato che paga e garantisce le banche che finanziano. Lo attestano papale papale proprio i fautori del nucleare: possiamo citare in proposito “Energia nucleare, Sì, grazie?”, (Castelvecchi Editore, 2009) il libro di Luca Iezzi, giornalista di “Repubblica”, la cui lettura – non è un paradosso – consiglio vivamente perché ci ricorda e dimostra che non esiste produzione nucleare, in nessuna parte del mondo, senza investimento pubblico diretto o senza massicci incentivi pubblici.
E’ lo Stato che, alla fine, deve giustificare l’investimento.
Lo può fare:
– in termini ideologici, quando parla di elettricità sicura, conveniente, pulita;
– in termini, diciamo, più realistici, quando fa appello al’orgoglio nazionale: diventiamo più forti come Paese, contiamo di più sulla scena internazionale, disponiamo di uno strumento decisivo per farci rispettare, possiamo difendere meglio i nostri interessi: l’istanza geopolitica, insomma!

Lo Stato che, alla fine, paga, è anche quello che, all’inizio, in origine, dà l’impulso all’apparato nucleare, civile o militare che sia, perchè, stringi stringi, l’energia atomica significa la bomba atomica. Magari solo per lo Stato che gestisce il ciclo del conbustibile (fornisce l’uranio e ritira le scorie ad alta intensità da cui ricava il plutonio) e non la centrale in sé. E la bomba atomica, che rappresenta il massimo della potenza distruttiva, a causa di ciò esprime anche il massimo della potenza geopolitica. Vale a dire della capacità, da parte di un attore politico, un soggetto-Stato, di dominare, egemonizzare ed influenzare l’ambiente territoriale circostante, fino allo spazio-mondo, sottraendolo al dominio-egemonia-influenza degli attori concorrenti. Negare questa realtà del gioco internazionale della potenza o ridurlo alla sola competizione economica ci porta ad ignorare la forza della spinta al nucleare.

Il nucleare non si fa solo per movimentare business, anche se sul nucleare si fa anche business. Il sistema nucleare, nel suo complesso, produce la Bomba, cioé la Potenza, e solo come “sottoprodotto” (Amory Lovins, citato) fabbrica elettricità e soldi. Questo è il nocciolo della questione da cogliere. Se questo aspetto per lo più sfugge è per la pigrizia generale che ci rende sottomessi al paradigma economicista dominante, anche quando pretendiamo di posare uno sguardo critico ed analitico sulla realtà. E’ la pigrizia che, secondo me, fa prendere, nel loro modo espositivo, una “cantonata” agli ambientalisti “storici”, che pure sono stati i miei eccellenti maestri quando, da giovane obiettore, mi avventuravo nelle prime ricerche sulla connessione tra nucleare civile e nucleare militare. Sono più che sicuro che gli esperti alla Mattioli e Scalia questa connessione la hanno molto ben presente, e tecnicamente la concepiscono molto meglio di me, anche se dimenticano di richiamarla nei loro articoli (e la relegano praticamente nelle note a piè di pagina nei loro libri).
Il nucleare non è “obsoleto” e non diventerà mai tale finchè la bomba atomica servirà alla potenza di uno Stato. Quando diventerà “obsoleta” quella che è chiamata, nella strategia militare, “deterrenza nucleare”, allora e solo allora diventerà “obsoleta” la tecnologia nucleare (da fissione per collisione neutronica) anche nelle sue applicazioni civili, cioè, nell’essenza, per la produzione di energia elettrica. Superata la Bomba, verranno poi finalmente chiuse anche le centrali elettronucleari (quelle concepite nell’attuale stadio storico della scienza fisica).
L’espressione: “si scrive energia atomica, si legge, nella sostanza, bomba atomica”, per quanto sopra esposto, vale anche in presenza di una caduta della quota di domanda elettrica coperta dalle centrali nucleari. Il problema vero non è quanta elettricità producono gli impianti nucleari civili, ma quanto materiale fissile che ruota attorno alle applicazioni civili può avere un impiego militare. L’energia atomica – nell’attuale stadio tecnologico – non servirà mai a coprire in misura rilevante il nostro fabbisogno elettrico, meno che mai completamente, non foss’altro perché, anche ipotizzando incredibili miglioramenti nell’estrazione e nella lavorazione, non ci sarebbe mai abbastanza uranio (o torio o quanto altro di minerali radioattivi) da sfruttare. L’energia atomica non risolverà in percentuali significative il nostro problema elettrico, il problema energetico mondiale, né ora, né mai, non è fatta per questo, non viene prodotta per questo. Ma si faranno sempre centrali “civili” a copertura dei programmi militari, nella misura in cui, sostanzialmente, saranno utili, con il loro materiale fissile, a questi ultimi.

Il nucleare non è funzione della questione energetica,  ma funzione della partita geopolitica, funzione della potenza. La deterrenza militare da quantitativa diventa qualitativa? Il ricorso al megatonaggio bruto diventa “obsoleto” perchè conta di più la qualità tecnologica delle armi atomiche? Ecco che serve meno materiale fissile in circolazione e si ridimensionano i programmi “civili” (come è avvenuto dal 1987 in poi, in seguito agli accordi di disarmo tra Reagan e Gorbacev: le testate nucleare da 100.000 vennero ridotte a circa 30.000).
Si è in fase avanzata per prototipi di armi nucleari di Quarta Generazione basate su nuovi principi fisici (vedi gli studi che Angelo Baracca conduce da anni)? Ecco che si cominciano a studiare centrali nucleari di Quarta Generazione. Ad ogni generazione di armi nucleari corrisponde e segue, in seconda battuta, una generazione di centrali “civili”. Le primissime atomiche danno luogo ai primissimi reattori “civili” sperimentali di piccola taglia (max 300 Megawatt elettrici). In Italia sono presenti tre impianti che possono considerarsi di prima generazione. Gli impianti sono spenti dal 1986 e attualmente in fase di decommissioning: Latina (GCR – 210 MWe), Garigliano (BWR – 160 MWe) e Trino (PWR – 270 MWe).

La seconda generazione “quantitativa” di armi protagonista della Mutua Distruzione Assicurata degli anni ’60 e ’70 fa nascere i reattori degli anni ”70 e ’80. La loro potenza elettrica tocca i 1.000 Megawatt. In Italia la centrale nucleare di Caorso (BWR – 860 MWe) può considerarsi di seconda generazione, anche se è attualmente spenta e in fase di decommissioning.

La terza generazione “qualitativa” di armi atomiche su cui oggi è basata la deterrenza è alla base dell’odierno “rinascimento nucleare civile”, limitato numericamente ma più pregiato e sofisticato tecnologicamente. Le filiere “civili” più note di terza generazione sono l’EPR (European Pressurized water Reactor), l’AP1000 (Advanced Passive) e l’ABWR (Advanced Boiling Water Reactor), e derivano dall’ottimizzazione, in termini di economia e sicurezza, degli attuali reattori ad acqua leggera. Questi reattori sono caratterizzati da una potenza elettrica oltre i 1000 MWe, gli EPR francesi che abbiamo acquistato hanno una potenza di 1600 MWe. Tre stadi (per la precisione, due e mezzo) di tecnologia nucleare, per l’Italia, corrispondono a tre nostri tentativi testimoniati da due ex ambasciatori (sergio Romano ed Achille Albonetti) ed un ex ministro (Lello Lagorio) di arrivare a costruirci la nostra bomba atomica con l’aiuto della Francia.
La studio e l’applicazione militare della tecnologia nucleare precedono ed accompagnano sempre quello civile, ne costituiscono, per così dire, il fondamento e il coronamento.

Le centrali nucleari civili sono funzionali alla potenza militare, creano la situazione per la quale uno Stato può assurgere alla posizione di “potenza nucleare latente”, come sono oggi, di serie A,  il Giappone e la Germania, come forse lo è l’Italia, anche se di serie B, e come vorrebbe diventarlo l’Iran. Per Stato atomico virtuale o latente si intende quello che dispone della capacità di assemblarsi  in proprio le testate atomiche ma tiene, per così dire, le varie componenti separate per non violare formalmente il Trattato di non proliferazione nucleare.

La potenza latente quindi ha:
– la tecnologia per arricchire l’uranio ed estrarre e raffinare il plutonio
– materiale fissile stoccato in quantità
– risorse professionali, organizzative ed industriali adeguate per unire e montare le bombe
– le piattafome e la tecnologia dei vettori missilistici per portare l’ordigno sui bersagli.

Riproponiamoci, a questo punto, che possiamo tenere presente la natura militare, funzionale alla potenza, della tecnologia in oggetto, l’interrogativo  ” : “perché si torna al nucleare? a chi conviene?” La risposta ora può sopraggiungere con maggiore chiarezza e plausibilità rispetto ai nostri sforzi di comprensione del contesto che ci circonda ed in cui viviamo ed operiamo. Si torna perché in realtà il mondo non ne è mai fuoriuscito e sta vivendo un nuovo round del match internazionale della competizione di potenza. Il nucleare non se ne è mai andato, ha sempre abitato, convissuto con noi. Persino l’Italia, nonostante il referendum del 1987, l’ha sempre tenuto con sè. L’ha fatto con l’ENEL che, pur essendo interdetta, ha continuato a costruire (o ad acquisire e gestire) centrali nucleari all’estero. L’elenco è lungo: in Francia, Spagna, in ex Jugoslavia, in Iraq, eccetera… L’ha fatto con la SOGIN, che ci ha addebitato sulle bollette elettriche la gestione delle scorie delle “vecchie” centrali nel momento stesso in cui le movimentava e le movimenta, andata e ritorno, per ferrovia (ma anche via mare e via aereo) verso la Francia e l’Europa.
Possiamo adesso accettare come espressione di profondità e lucidità analitica la seguente ricostruzione storico-sistemica di Giulietto Chiesa, che troviamo nel su libro “La menzogna nucleare” (Edizioni Ponte alle Grazie, 2010)

“Il problema nucleare riemerge perché è finita la fase unipolare, dominata da un’unica superpotenza planetaria, e ci si avvia a una configurazione inedita, al tempo stesso globale e multipolare…
Componenti cruciali di questa nuova situazione sono la Cina e l’India, entrambe impegnate nella costruzione di un proprio arsenale, inclusa la sua componente nucleare militare. Due giganti in crescita vorticosa e ormai chiaramente destinati ad imprimere il proprio marchio sul XXI Secolo…

Ecco perché sia gli Stati Uniti che la Russia (nel frattempo nuovamente proiettata su disegni ambiziosi…) hanno ricominciato a programmare la crescita e lo sviluppo delle tecnologie militari nucleari. Si tratta di non rimanere spiazzati, o addirittura superati da altri concorrenti che sono ormai entrati nel club nucleare, e perfino da outsider che vi si affacciano ormai prepotentemente, a cominciare dal Pakistan, per continuare con il Brasile e l’Iran, senza dimenticare Israele che, al momento, è la quinta potenza nucleare mondiale …
“E’ in questo contesto che USA, Russia, Cina, India, Iran, ma anche Brasile e Pakistan, si muovono ora verso un nuovo sviluppo del nucleare civile. La Francia va aggiunta a questo elenco, ma solo per rilevare che Parigi non aveva mai rinunciato, nemmeno per un istante, al proprio sviluppo nucleare, militare e civile. Per quanto concerne la Gran Bretagna, il suo comportamento in materia è nient’altro che la copia di quello americano. Il tutto a conferma dell’assunto di partenza: dietro a ogni discorso sul nucleare civile si nasconde sempre un discorso più importante che concerne le armi nucleari”.

Il nucleare sarà forse in declino come fonte energetica, se si misura la sua quota elettrica, non è affatto in decadenza, dati, fatti alla mano, quale fonte di potenza militare ed in questa funzione “risorge” negli USA (devono mantenere la loro superiorità tecnologica negli arsenali militari) e “fiorisce” tra le potenze emergenti (il cosiddetto BRIC) diventando oggetto del desiderio tra le nazioni che aspirano ad un ruolo di potenza regionale (l’Iran è il caso più eclatante).

Prendere atto di questa verità, di questa realtà effettuale, e tradurla poi in termini comunicativi, non è inutile pignoleria ma opera indispensabile di chiarimento e sensibilizzazione utile – a mio parere – anche a gestire in termini efficaci il confronto con la lobby nuclearista nella sfida referendaria. A livello comunicativo è, infatti, perdente attaccarsi ad un argomento facilmente confutabile dai fatti: “non si costruiscono più centrali nel mondo, noi siamo gli unici “fessi” che ci prendiamo dei bidoni che gli altri non vogliono più”…

Vogliamo vincere il referendum? Evitiamo di citare a sproposito Barack Omama! E’ vero che il presidente USA gira il mondo a tenere bei discorsi sulla “green economy”… Ma è altrettanto vero che – Bush non aveva osato farlo! – ha stanziato 57 miliardi di dollari – forse anche di più, su questo punto sono indietro con i dati – a garanzia dei prestiti bancari per il nucleare “civile” e svariati miliardi di dollari sono già stati materialmente “impegnati” per due nuovi reattori in costruzione in Georgia. I reattori sono gli AP1000 della Westinghouse, la società elettrica costruttrice è la Southern Company. Altri progetti approvati di centrali nucleari riguardano South Carolina, Maryland e Texas.

L’ultimissima novità (21 gennaio 2011), non di poco conto, è che Obama ha nominato a capo dei suoi consiglieri economici il CEO di General Electric, Jeffrey Immelt, noto republicano. Stiamo parlando dell’azienda posta al vertice del Complesso militare industrial energetico (MIEC), la più importante produttrice di bombe atomiche del mondo…
Fossi Chicco Testa, per chiudere la bocca ai “detrattori dell’atomo”, semplicemente manderei in onda delle video-interviste con il Messia ambientalista “nero” che sta facendo “risprofondare il Partito Democratico nell’abisso atomico”…

Sulla fragile piattaforma del “nucleare obsoleto” la nostra navigazione, insomma, è destinata ad infrangersi contro la realtà (ripetiamolo ancora: gli USA riprendono a costruire le centrali, la Francia le esporta in tutto il mondo, la Germania non le chiude, nei BRIC conoscono un boom, in Medio Oriente ed in Asia sono ambitissime) e otteniamo il bel risultato di pregiudicare la credibilità delle altre, giuste, critiche, con le quali condanniamo la scelta per le energia atomica.

Le critiche classiche che sentiamo scontatamente ribadire dagli ambientalisti specialistici, ma che si appuntano sul dito, e non sulla luna:
– dalla dipendenza del petrolio passiamo a quella dell’uranio, una risorsa estera ancora più scarsa e perciò destinata a divenire sempre più costosa;
– la tecnologia è troppo complessa ed inaffidabile, può produrre eventi catastrofici e non mette al riparo da rischi sanitari neppure nel normale funzionamento di una centrale;
– il problema delle scorie radioattive non è stato risolto e non è responsabile lasciare questa eredità di grave inquinamento ai posteri;
–  i costi di produzione del KWh elettrico sono difficilmente definibili e comunque superiori rispetto ad altre fonti pulite e rinovabili;
– il contributo alla riduzione delle emissioni di CO2 non è significativo.
Tutto vero, tutto giusto, ma tutto secondario rispetto al nocciolo duro e “violento” del problema che è anche il cuore duro e violento del potere che lo alimenta e con il quale, alla fine, da cittadini che sperano in un futuo operoso di pace, ci si deve,  ci si dovrà per forza confrontare, se si vogliono cambiare le cose, se si vogliono risolvere i problemi alla radice.
Un conflitto perciò imprescindibile che possibilmente, anzi certamente, dovrà rifuggire dall’adottare le sue – del potere militarista e violento – stesse logiche e di misurarsi sul suo terreno preferito della forza distruttiva: non solo perché non è eticamente giusto ma soprattutto perché è stupido.

L’associazionismo ambientalista per lo più lo vediamo evitare il confronto con il nocciolo duro, violento, del potere: che risiede nella disponibilità della forza di intimidazione fisica, nel controllo coattivo sulle risorse materiali (a partire dagli spazi territoriali). Si dispone al compromesso, alla convivenza con esso per coltivare le sue –  bellissime, per carità – alternative parallele a margine. Un po’ quello che ha sempre riservato ai “buoni” la gerarchia vaticana complice del potere temporale: fare i crocerossini a valle, lenire gli effetti, non intervenire sulle cause dell’oppressione e dell’ingiustizia …

Alfonso Navarra – obiettore alle spese militari e nucleari (5 febbraio 2011)

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Energie rinnovabili (da La Repubblica)

Rinnovabile significa lavoro ma in Italia ancora troppi ‘no’

Articolo di Antonio Cianciullo (La Repubblica.it, 24 gennaio 2011)

Guglielmo Epifani, ex segretario della Cgil, lancia l’Associazione Bruno Trentin. E affronta le questioni che legano occupazione e green economy, il nucleare che rischia di rallentare la corsa del Paese, e l’opportunità rappresentata dalle nuove fonti di energia. “Ma l’Italia è dominata da una logica che blocca l’innovazione e il futuro”

I POSTI di lavoro assicurati dalla green economy? Tra qualche anno in Germania supereranno quelli nel settore automobilistico. Il ritorno al nucleare? Una sottrazione di fondi e di attenzione che rischia di rallentare la corsa dell’Italia che può riagganciare il locomotore dei paesi guida. Parola di Guglielmo Epifani. L’ex segretario della Cgil ha scelto un tema caldo e una platea qualificata per lanciare l’Associazione Bruno Trentin, il nuovo laboratorio di riflessione sindacale.

Il tema è il rapporto tra energia e lavoro. A intervenire sono stati, tra gli altri, il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, il segretario dell’Ueapme (l’associazione europea delle piccole e medie imprese) Andrea Benassi, il presidente della Lega Coop Giuliano Poletti, il segretario della Cgil Susanna Camusso. Guest star: Jeremy Rifkin, il teorico della terza rivoluzione industriale che ha dipinto lo scenario di una democrazia rafforzata dalla creazione di una rete energetica diffusa che toglie potere agli oligopoli, distribuisce ricchezza, offre garanzie contro i blackout e protegge l’ambiente.

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