Intervista a Mario Agostinelli apparsa su Zero Emission
Domenica 12 e lunedì 13 giugno sono date fondamentali per il futuro del nostro paese, da annotare bene in agenda. Perciò, si spera che all’invito di andare al mare gli italiani rispondano esercitando il proprio diritto ad esprimersi su questioni cruciali come la gestione dell’acqua e l’energia nucleare
Sì all’acqua pubblica, no al nucleare e al legittimo impedimento. Ecco, in sintesi, le questioni sulle quali sono chiamati ad esprimersi i cittadini italiani ai referendum di domenica 12 e lunedì 13 giugno. Tematiche che per quanto possano apparire eterogenee, hanno invece in comune la necessità di riportare al centro del dibattito politico il “bene comune” e gli interessi dei cittadini italiani al posto di quelli di pochi, o peggio, di uno solo. I referendum sull’acqua e sul nucleare forniscono inoltre a noi tutti l’occasione di “ridare supremazia alla vita sull’economia” e “consentono alla società di ristabilire l’obiettivo primario della sopravvivenza della specie umana attraverso la conservazione di un rapporto con la natura”. Lo spiega a zeroEmission Mario Agostinelli, ex consigliere regionale lombardo, un passato da ricercatore chimico-fisico presso l’Enea e l’Ispra prima di ricoprire la carica di segretario generale della Cgil Lombardia, oggi portavoce del Comitato Vota Sì per fermare il nucleare in Lombardia e membro della presidenza del Comitato nazionale, impegnato come al referendum del 1987 per far passare il ‘no al nucleare’, ma questa volta con la ferma intenzione di ricacciare indietro definitivamente le tentazioni nucleariste di questo e dei futuri Governi.
Agostinelli, perché è importante andare a votare ai referendum del 12 e del 13 giugno?
Perché si tratta di un’occasione straordinaria per ridare supremazia alla vita sull’economia e permettere alla società, dopo la sbornia liberista che dura ormai da tanto, troppo tempo, di ritrovare finalmente un rapporto con la natura ristabilendo come obiettivo primario il recupero di uno stile di vita in armonia con i tempi biologici.
Come possono favorire i referendum il raggiungimento di questi obiettivi?
Ferma restando anche l’importanza della consultazione sul legittimo impedimento, in questo senso assumono particolare rilievo i due referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare. Il primo riaffida infatti alle istituzioni, che fanno capo ai cittadini, il governo di un bene comune che non può dipendere dal mercato. Con i due quesiti si punta a definire in maniera inequivocabile e irreversibile il carattere non commerciale, non economico, e quindi l’aspetto di proprietà comune dell’acqua, anche come bene da tramandare alle generazioni future. Il referendum contro l’energia nucleare, invece, abroga tutte le disposizioni, approvate tra l’altro senza nemmeno un dibattito pubblico e imposte al Parlamento attraverso il voto di fiducia, che permettono la produzione di energia da processi nucleari nonché lo stoccaggio delle scorie radioattive.
La catastrofe nucleare di Fukushima sta avendo un grande impatto sull’opinione pubblica mondiale. Ha fatto rinascere tutti i dubbi sulla sicurezza di questa tecnologia. Tanto da indurre molti governi, a partire dalla Germania, a un ripensamento sullo spazio da destinare all’atomo nei programmi energetici. Persino il Governo italiano ha detto che è necessaria una ‘pausa di riflessione’ sul piano nucleare ed ha approvato una moratoria di un anno. Come interpreta questa mossa?
E’ un passo puramente tattico. Il suo obiettivo è, per così dire, far passare la nottata. Il Governo non ha nessuna intenzione di fare dietrofront sull’atomo. Sono in gioco importanti interessi economici. Il messaggio che si vuole far passare è che non valgono le decisioni prese sull’onda dell’emotività. Non c’è dubbio che il Governo tornerà al nucleare quando sarà passata l’emergenza nucleare di Fukushima. Ma intanto la cosa più importante è svuotare di significato il referendum. In questo senso, la moratoria è una mossa insidiosa che serve a togliere peso alla decisione dei cittadini che, si dirà, è stata presa sotto l’influenza della tragedia giapponese.
Anche questa volta, per una triste coincidenza, il referendum avrà luogo in seguito a una catastrofe nucleare di dimensioni planetarie. Nel 1987 a poco più di un anno dal disastro di Chernobyl, questa volta a tre mesi dal dramma di Fukushima. Già nel primo caso i cittadini italiani hanno già fatto sapere cosa pensano dell’atomo, cosa significherebbe ora una sua nuova bocciatura?
Il messaggio sarebbe chiarissimo: nessuna possibilità di ritorno del nucleare nel nostro paese, tranne al massimo nei settori della ricerca. Ed è questo quello che più teme il Governo, che invece ha puntato molto sull’atomo e sul quale ha incentrato gran parte dei suoi interessi economici, non certo del paese.
Rispetto a Chernobyl, qual è la lezione che dobbiamo imparare da Fukushima?
L’elemento nuovo è un ribaltamento completo di posizione: lo dimostra la linea che stanno adottando tutti i Governi che hanno a che fare con il nucleare, in questo senso più sfortunati di noi che al momento non abbiamo questo problema: cioè riuscire a spiegare il problema posto dall’incidente di Fukushima, che non lo dimentichiamo è avvenuto nel paese più avanzato tecnologicamente al mondo. Il che impone di considerare il nucleare sotto il suo aspetto più caratteristico: cioè che esiste qualcosa di intrinseco, che fa sì che l’incidente sia un elemento fisiologico, non patologico, a questa tecnologica.
Vuol dire che l’incidente fa parte della natura del nucleare?
In realtà il reattore nucleare è lui stesso un incidente latente, o meglio, un incidente in corso che viene governato, moderato con mille accorgimenti, tenuto sotto controllo dai dispositivi di sicurezza, che normalmente si estrinseca lentamente nella durata di vita di una centrale, ma che in caso di errore umano o di un cataclisma come lo tsunami giapponese può sprigionare in pochi, brevissimi istanti tutto il suo potenziale distruttivo, danno luogo a una catastrofe il cui impatto non è assolutamente paragonabile a nessun altra forma di inquinamento poiché le sostanze sprigionate hanno un carattere assolutamente estrinseco e incompatibile alla vita sulla terra, che la natura stessa non riesce assolutamente a disperdere e i cui effetti risultano persistenti nell’arco di migliaia di anni.
Ma perché allora si continua a correre questo rischio?
In realtà il nucleare favorisce una sorta di continuità con il modello energetico oggi predominante in quanto risponde alle stesse dinamiche geopolitiche (presidiare con gli eserciti le miniere di uranio non è poi molto diverso da farlo per i giacimenti di petrolio) ma consente anche l’utilizzo delle stesse tecnologie. Che si utilizzi petrolio, gas, carbone o uranio l’obiettivo è lo stesso: produrre calore per fare bollire l’acqua in un pentolone, il cui vapore sarà poi utilizzato per fare girare una turbina elettrica. Questa continuità conviene dunque ai grandi gruppi energetici. Peccato che non si possa dire la stessa cosa per i cittadini. Basti pensare che oggi per realizzare 1,6 GW ci vorrebbero 8 miliardi, è una stima di Moody’s. Ma i costi sono in costante crescita. In Italia c’è poi l’aggravante dell’incapacità da parte del Governo di una visione di lungo termine. Il passaggio alle energie rinnovabili comporterebbe invece l’abbandono di un sistema centralizzato a favore di uno decentrato: una vera e propria rivoluzione in cui la generazione di energia distribuita oltre a togliere il controllo della produzione di energia dalle mani di pochi, presenterebbe anche anche un altro inconveniente per i fautori dello status quo: richiederebbe un sistema di distribuzione dell’energia fatto di reti completamente nuove sul territorio. Un modello assolutamente incompatibile con quello attuale.