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19 settembre: discussione a Milano

Dopo la decisione del Sol Levante di uscire dall’atomo: europei, non vinciamo alla maniera dei giapponesi! Preveniamo nuovi disastri più che probabili con i 197 reattori funzionanti!

Il lavoro per un network antinucleare europeo.

Mercoledi 19 settembre 2012, ore 18.00 – 20.00

Discussione presso lo Spazio Kronos – via Borsieri, 12 Milano

 

testo a cura di Alfonso Navarra, vice presidente di Energia Felice

La nuova Strategia energetica nazionale-SEN avrebbe deciso che il Giappone chiuderà con il nucleare entro 30 anni, quindi nel 2040 (all’incirca). Possiamo confessare che è un risultato che ha sorpreso molti ecopacifisti “scafati”: non ci aspettavamo tanto presto una simile vittoria del movimento antinucleare e della gente.
Ed è, vogliamo sottolinearlo, una vittoria di tutti coloro che hanno a cuore un mondo più pulito e pacifico.
Una vittoria quindi anche per gli “italiani” in quanto esseri umani in carne ed ossa; e di gran lunga più importante, proprio per noi italiani – si può ritenere – della conservazione di qualche posto di lavoro nel settore carbonifero, per la quale vengono a chiederci “solidarietà” (?).

Il nostro ringraziamento va pertanto agli attivisti giapponesi che, rintuzzando le manovre della lobby atomico-militare e difendendo le ragioni della salute e della sicurezza collettiva, hanno animato ed organizzato le grandi manifestazioni di questi mesi (vedi le massicce, ripetute, continue mobilitazioni locali, vedi i 250.000 che hanno sfilato a Tokyo nello scorso luglio). Il nostro pensiero e la nostra gratitudine vanno anche a Yukari Saito ed al centro “Semi sotto la neve” che, con l’aiuto di Angelo Baracca, ci hanno sollecitato, in Italia, a “non dimenticare Fukushima” e a seguire e sostenere la lotta del popolo giapponese per farla finita con il nucleare.

Il grande disastro di Fukushima, quello che secondo gli “esperti” alla Veronesi e ed alla Ricotti non sarebbe mai potuto accadere, ha quindi fatto “rinsavire”, dal nostro punto di vista, il terzo grande Paese, dopo Germania e Svizzera. Ma, a pensarci bene, possiamo aggiungere anche l’Italia nell’elenco, grazie al referendum del giugno 2011!

(Stiamo invece molto attenti a parlare di ripensamenti da parte della Francia: Hollande, subentrato a Sarkozy, si impegna a chiudere il “catorcio” di Fesseneheim solo nel 2017 (questa centrale solo pochi giorni fa ha subito un incidente di una certa rilevanza) e promette che il peso del nucleare si ridurrà al 50% nel 2050, rispetto al 75% previsto dal suo predecessore!)

Il Giappone è stato il Paese più tragicamente toccato dall’incidente ma anche quello, al contempo, nel quale la lobby atomica, ben rappresentata al governo, aveva dispiegato una strenua resistenza nei confronti di un’opinione pubblica giustamente sempre più arrabbiata. E’ stata molto significativa, in proposito la vicenda della contrastatissima riaccensione dei reattori di Ohi (gli unici attualmente rientrati in funzione dopo lo spegnimento degli altri 52 per verifiche sulla sicurezza).

La stampa riportava e riporta sondaggi per i quali l’80% dei giapponesi sarebbe decisamente contraria al riavvio delle centrali e quello che meraviglia è che siano così pochi dopo le notizie terrificanti che appaiono sui media locali. Ce ne riferisce, ad esempio, il quotidiano della Confindustria italiana del 15 settembre, in un articolo a firma di Marco Magrini (vedi file allegato): «Aiuti internazionali per evitare un incendio al reattore 4», recitava un titolo del Japan Times di una settimana fa. L’articolo racconta della drammatica situazione al reattore numero quattro di Fukushima, l’unico che era spento al momento dello tsunami. «Il combustibile esausto nell’unità 4 è un drago che dorme», sentenzia Arnie Gundersen, un ingegnere nucleare e attivista americano, che due settimana fa ha incontrato membri del Parlamento di Tokyo per levare l’allarme: il reattore è devastato e 1.500 barre di cesio, ricoperte di una lega di zirconio che brucia a contatto dell’aria, rischiano di causare un’esplosione. Finora, la Tepco – la disgraziata società che gestisce la centrale – ha rimosso due barre sole. Dice che comincerà a fare il resto l’anno prossimo, e finirà in tre anni. Non basta questo, a cambiare il vento dell’opinione pubblica?».

L’articolo prosegue: «Chi è favorevole al nucleare, ripete che quella resta l’energia più conveniente che c’è. Ma per favore, non ditelo ai giapponesi. Il premier Noda ha detto che il paese spenderà almeno mille miliardi di yen (10 miliardi di euro) per decontaminare 29 milioni di metri cubi di terreno. Ma quelle sono noccioline. Lo stesso governo calcola che ci vorranno quarant’anni per rammendare lo strappo di Fukushima. E, secondo Tatsuhiko Kodama del’Università di Tokyo, il costo finale si aggirerà sui 50mila miliardi di yen, 503 miliardi di euro. Mai ci fu bolletta più cara.»

Quanti morti farà Fukushima, allo stato attuale, cioè se si riuscirà ad evitare il peggio, che forse, lo ammette lo stesso Sole 24 Ore, deve ancora arrivare? Per quanto riguarda le conseguenze ambientali, citiamo quanto riportato su Wikipedia, e quindi a disposizione anche del più sprovveduto web-surfer: “La natura e pericolosità della contaminazione di Fukushima,  non può propriamente essere comparata a quella del disastro di Chernobyl per due ragioni: in primo luogo, la maggior parte della contaminazione è di natura sotterranea: per prevenire il surriscaldamento di noccioli e piscine di stoccaggio, è necessaria una continua immissione di acqua di raffreddamento che si disperde nel sottosuolo, attraverso le crepe aperte dal terremoto. La seconda differenza critica rispetto a Chernobyl è che questo fu sigillato dentro ad un sarcofago in un limitato lasso di tempo, mentre a Fukushima questa soluzione è impraticabile; la contaminazione sta procedendo ininterrottamente fin dal primo giorno, e durerà ancora per un imprecisato numero di anni, secondo certe stime, e se non avvengono crisi sistemiche nell’economia del Giappone, dai 10 ai 20 anni. E’ ancora incerto quale tipo di percorso possa seguire la massa d’acqua radioattiva attraverso le falde freatiche della regione: di certo un gran parte si riversa continuamente in mare, ed una parte si diffonde nell’entroterra. Della data del 22 agosto 2012 è la notizia che da misurazioni su pesce catturato nella regione, sono stati rilevati elevatissimi tassi di radioattività presenti nelle carni, tali da suggerire il blocco della distribuzione di pesce”.

Per quanto riguarda più specificamente la mortalità nei prossimi decenni (i cancri ci mettono il loro tempo a svilupparsi), teniamo presente che Greenpeace calcolò per Chernobyl 500.000 morti in giro per il mondo (stima esagerata? forse per niente affatto), e qui siamo di fronte a qualcosa di molto più grave, con – come si è detto – nuovi, possibili, sviluppi catastrofici.

Ma torniamo ai festeggiamenti per la vittoria. Non tutto è limpido, nelle “flessibili” dichiarazioni del premier Noda. Ma il tabù è stato finalmente infranto: sarà pure elettoralismo, sarà pure un calendario “a passo di lumaca”, ma il governo giapponese dice, nero su bianco, che “deve essere chiaro che il nostro obiettivo è l’uscita”. Prima del disastro di Fukushima, si puntava addirittura a soddisfare con l’atomo oltre metà del fabbisogno elettrico, scusate se è poco! Le centrali oggi ferme si tenterà, ovviamente, di riaprirle (previ test sulla sicurezza). Addirittura non si fermerà la messa in pratica dei progetti già approvati!

Aggiungiamo, ad esempio di quanto sostenuto, questa interessante notizia, del 15 settembre, che riportiamo per intero, tratta da www.lastampa.it : “Il governo giapponese, che aveva annunciato ieri la progressiva fine della produzione nucleare entro i prossimi 30 anni, ha fatto sapere oggi che non ha intenzione di revocare la licenza per la costruzione di tre nuovi reattori già in cantiere. “Non pensiamo di ritirare il permesso già accordato dal ministero”, ha dichiarato il ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria, Yukio Edano. Due dei tre reattori in questione sono in costruzione ad Aomori, nel nord del paese, dove il ministro è stato ieri in visita. Edano ha comunque precisato che, una volta costruiti, l’attività dei tre reattori sarà sottoposta all’approvazione di un’apposita Commissione creata dal governo per il controllo dell’industria nucleare”.

L’obiettivo del Giappone ora è quello di triplicare il suo utilizzo di energie rinnovabili, arrivando al 30% del totale. Ma bisogna anche continuare il percorso di razionalizzazione del consumo di energia, e, nell’immediato, altra faccia della medaglia, anche aumentare le importazioni di petrolio, carbone e gas naturale.
Secondo i calcoli (finti, si ha l’impressione) del governo giapponese, l’addio al nucleare aumenterà di circa 40 miliardi di dollari Usa la spesa per importare petrolio e carbone. Intanto, per portare la produzione nucleare a zero nel 2034, il Paese seguirà tre principi: no a nuovi reattori (ma, a quanto pare, si salvano le nuove licenze già concesse), smantellamento di quelli con più di 40 anni di vita, non accettare il riavvio di impianti sospesi se non dopo esami sulla loro sicurezza condotti da “autorità ad hoc”.

Siamo intervenuti, a nome dell’Associazione Energia Felice, al Seminario, svoltosi a Milano nei giorni scorsi (13-14-15 settembre), per preparare il Forum Sociale Europeo di novembre a Firenze, rivolgendo un invito ai movimenti partecipanti: diamoci da fare, in Europa, per non finire vincitori alla maniera dei giapponesi!
L’esposizione al rischio atomico continua in Giappone ma continua anche in Europa, dove sono attivi ben 197 reattori “civili”. Cosa ci rende così sicuri del fatto che noi siamo al riparo da catastrofi tipo Chernobyl o Fukushima? Il fatto forse che noi europei occidentali siamo più tecnologici e scrupolosi nelle misure di salvaguardia e sicurezza dei russi e degli orientali in genere? Ma siamo seri!

Ricordiamo il detto: prevenire è meglio che curare. Agire ex ante è più saggio che pentirsi ex post. Maglio attivi oggi che radioattivi domani. Se lasciamo il fuoco atomico acceso in casa questa prima o poi si incendierà, possiamo scommetterci! La nostra prima preoccupazione deve essere di spegnerlo al più presto, questo fuoco.
E dobbiamo dimostrare la sensatezza di non chiamare menagramo chi ci esorta alla ragionevole e doverosa prudenza! Perché quando avremo la nostra inevitabile Chernobyl o Fukushima europea avremo poi voglia di recriminare: perché non mi ero dato da fare prima?

Anche noi italiani, vediamo di non credere tutto risolto con il risultato referendario del 2011!
Mi è saltata una centrale francese o svizzera a poche decine di Km dal confine: non sarò mica scemo, io valdostano, io piemontese, io lombardo, a restarmene ancora a casa credendo di poter vivere e lavorare in tranquillità (magari per il futuro dei miei figli!) e a non emigrare lasciando in loco tutte le masserizie contaminate?  Perché mi sono accalorato, agitato  e sbracciato per ogni accenno di nuova, futura, discarica di rifiuti tradizionali solo proposta mentre, che so, per la discarica radioattiva già funzionante (si fa per dire) da anni a Saluggia, e che ora, alluvionata come era logico che accadesse, ha reso radioattiva tutta l’acqua del Po e con essa l’intero Mediterraneo, ho continuato a fare orecchie da mercante, come se la cosa riguardasse solo i vercellesi di provincia? Forse che lo stesso Nobel Carlo Rubbia non aveva parlato in proposito di catastrofe annunciata?

No, allora non ho dato retto ai “grilli parlanti” come Rubbia. Per questo mi ritrovo adesso con una moglie più lunatica del solito, con mio figlio che ha strani sintomi… e, osservando le strane chiazze che mi si diffondono sul petto, a dover disperatamente credere ad un governo che mi assicura che è tutto sotto controllo…

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La nuova strategia energetica nazionale

A cura di Roberto Meregalli, 3 settembre 2012

Dopo anni di attesa, venerdì 31 agosto è iniziata a circolare via web la bozza della fatidica nuova strategia energetica nazionale, che prossimamente verrà messa in pubblica consultazione.

Quattro sono gli obiettivi dichiarati:
· Ridurre significativamente il gap di costo dell’energia per i consumatori e le imprese
· Continuare a migliorare la nostra sicurezza e ridurre la dipendenza di approvvigionamento dall’estero, soprattutto nel settore gas.
· Favorire la crescita economica sostenibile attraverso lo sviluppo del settore energetico.
· Raggiungere e superare gli obiettivi ambientali definiti dal Pacchetto europeo Clima-Energia 2020.

Obiettivi condivisibili, ma le proposte per raggiungerli lo sono molto meno. Nei link a fondo pagina vi sono alcuni approfondimenti sui singoli punti, qui di seguito una nota generale.

SCARICA IL TESTO IN FORMATO PDF (98 Kb) >>>

Sette le priorità citate nel documento, innanzitutto la promozione dell’Efficienza Energetica e su questo punto non si può che plaudire, nel testo si sono buoni propositi e una sezione fra le migliori dell’intero documento, però di concreto c’è solo la proposta di estendere nel tempo le detrazioni fiscali del 55%, differenziando la  percentuale di spesa detraibile e/o la durata del rimborso in relazione all’effettivo beneficio dell’intervento, introducendo tetti di costo per tipo di intervento ed escludendo dalla detrazione gli impianti già incentivati con altri strumenti.

La seconda priorità è quella di fare del nostro Paese un hub del gas: nel concreto si tratta di costruire rigassificatori (impianti che trasformano in gas il metano precedentemente liquefatto per essere trasportato via nave) e nuovi metanodotti, per aumentare la sicurezza e la concorrenza alfine di abbassare i prezzi. E’ molto opinabile questa tesi, da anni ciclicamente si torna a parlare del nostro paese come di un possibile centro di arrivo e smistamento di gas per l’Europa. Il ministro Passera rispolvera dunque un progetto caro ai suoi predecessori (Bersani) e vale la pena ricordare che nel 2006 anche l’allora ministro delle infrastrutture, Antonio di Pietro, parlava della necessità di costruire 11 rigassificatori (Adnkronos, 19 agosto 2006).

Purtroppo l’argomento gas non è facilmente semplificabile, il termine “hub del gas” non rappresenta una formula magica in grado di abbassare il costo del gas che consumiamo, il discorso è complesso ed esente da certezze e i rigassificatori non sono impianti magicamente pronti a ricevere gas liquefatto (GNL) bypassando i metanodotti, ovviamente a prezzi concorrenziali. E’ un’illusione pensare che un rigassificatore possa essere costruito avendo in mente solo il mercato spot senza avere alle spalle, almeno per una consistente parte di disponibilità di rigassificazione, uno o più contratti di fornitura a lungo termine. Tant’è che nel mondo nel 2011 su una capacità di liquefazione pari a circa 270 milioni di t. ne sono state contrattate 240 milioni e di queste solo 26,6 sul mercato spot, il resto con contratti a lungo o breve termine.

Nel 2011 il prezzo spot del gas GNL (liquefatto) è stato conveniente perché il Qatar ha esportato GNL in Europa per mantenere un prezzo elevato in Asia dove stava facendo affari vendendolo all’affamato Giappone, orfano dei suoi reattori nucleari. Ma il mercato è instabile e in questi ultimi mesi del 2012 sono intervenuti mutamenti che rischiano di bruciare le nostre ambizioni. A segnalarlo sono proprio le imprese che seguono la bussola della redditività degli investimenti; è di un mese fa la notizia dell’abbandono di Erg dal progetto del rigassificatore di Priolo, in ritardo è quello della OLT di Livorno (che doveva già essere pronto), idem per Falconara Marittima, silenzio per Gioia Tauro e l’Enel pare ben poco stimolata per accelerare su Porto Empedocle. Nessuno dei grandi produttori di GNL pensa all’Italia come hub del gas, perché comanda il prezzo e il prezzo dice Asia, non Europa. Occorrerebbe che esportassero GNL Australia e USA, dove il gas costa sempre meno, ma per ora questi Paesi non esportano.

Il discorso è complesso e non è sintetizzabile in poche battute ma di certo l’idea di Passera non abbasserà il prezzo del gas, anzi visto che nel testo si riconosce implicitamente che il “mercato” oggi non investirebbe in queste nuove infrastrutture, si introducono le cosiddette “essential facilities”, infrastrutture da costruire con “garanzia di ricavi” e “iter autorizzativi accelerati”, il che significa che i nuovi impianti saranno costruiti grazie a incentivi che graveranno sulle bollette di tutti.

E per quanto riguarda le fonti rinnovabili? Beh, è l’unico settore per cui lo sviluppo è previsto compatibilmente con la sostenibilità economica. In effetti questo governo quando parla di queste fonti non utilizza mai il termine sostenibile per qualificarle ma come condizione economica per il loro sviluppo, quindi nel concreto si tratta di una scelta non strategica. Il testo sottolinea che in campo elettrico si è già oltre i vecchi obiettivi, si danno per prodotti nel 2011 circa 92 TWh di corrente da FER anche se i dati definitivi Terna-Gse hanno sancito 83 TWh (e visto che nel 2012 l’idrico è in calo del 17,5% non c’è da aspettarsi una crescita iperbolica anche se il fotovoltaico ha sinora salvato i conti), si risottolinea per l’ennesima volta la generosità dei vecchi incentivi quando ormai siamo nel V conto energia ed il problema è archiviato. Quali iniziative concrete di sviluppo da oggi in avanti? Nessuna, si citano i due recenti decreti ministeriali che però sono stati redatti per contenere la spesa e non per raggiungere obiettivi sfidanti. Per le rinnovabili termiche si parla del fatidico conto energia termico che si attende da un anno, per i trasporti si annuncia che non ci saranno incentivi per il biometano (economicamente insostenibile) ma si punta sui biocarburanti di seconda generazione, ma nel concreto nulla di nuovo.

Ed eccoci al rilancio della produzione nazionale di idrocarburi, tramite cui, così recita il documento: “è possibile raddoppiare l’attuale produzione, con importanti implicazioni in termini di investimenti, occupazione, riduzione della bolletta energetica ed incremento delle entrate fiscali”.

Che dire? Già altri hanno sottolineato i problemi ambientali, lasciamo perciò parlare i numeri: nel 2011 in Italia sono stati estratti circa 5,3 milioni di tonnellate di greggio (per la precisione 5.286.041 t, cfr. Rapporto annuale del 2011 redatto dal DIPARTIMENTO PER L’ENERGIA, Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche del Ministero per lo sviluppo economico). Il consumo di petrolio è stato invece di 71,2 milioni di tonnellate. Secondo il bollettino redatto dal Ministero per lo sviluppo economico, le riserve certe ammontano a 76 milioni di t, quindi poco più del nostro consumo in un anno, pertanto “Il rapporto fra le sole riserve certe e la produzione annuale media degli ultimi cinque anni, indica uno scenario di sviluppo articolato in 7,2 anni per il gas e 14 per l’olio”. Certo, sono considerati probabili 110 milioni di t. e possibili 95 milioni ma rispetto ai consumi sono comunque valori che non indicano alcuna rivoluzione per il nostro sistema energetico. Per il gas il discorso è analogo: le estrazioni nazionali nel 2011 sono state pari a 8,4 miliardi di metri cubi mentre i consumi hanno sfiorato la quota dei 78 miliardi di metri cubi. Le riserve certe (62,3 miliardi di mc) sono inferiori alle nostre importazioni di un singolo anno.

Un’altra priorità descritta è quella relativa allo sviluppo delle infrastrutture e del mercato elettrico, nel documento se ne parla con cognizione di causa ma di novità c’è solo la proposta di un superamento del prezzo unico nazionale, il PUN, poiché le differenze fra le varie zone del Paese si sono ridotto e dovrebbero scomparire con l’attivazione di un nuovo cavo di collegamento con la Sicilia (in costruzione), presumibilmente nel 2015. Per il resto c’è già il Piano di sviluppo di Terna e le sue iniziative in tema di sistemi di accumulo.

Anche il capitolo dedicato alla ristrutturazione della raffinazione e della rete di distribuzione dei carburanti risulta sterile, a parte l’annuncio di un decreto ministeriale relativo a un Fondo per la razionalizzazione della rete carburanti (per ridurre il numero dei distributori), non c’è molto, il fisco continuerà a pesare.

L’ultima priorità annunciata è quella della modernizzazione del sistema di governance, in cui si propone quanto da tempo richiesto da Confindustria: modificare la Costituzione per far tornare l’energia argomento di competenza dello Stato e non più materia concorrente fra Stato e Regioni. La motivazione è ovvia: accelerare gli iter autorizzativi.

Silenzio, infine, sul termoelettrico. Eppure una parola sull’attuale eccesso di centrali e sui progetti relativi al carbone andrebbero spesi, considerando che con la conversione in legge (avvenuta venerdì 3 agosto) del provvedimento 83/2012 meglio conosciuto come Decreto sviluppo sono state stabilite due nuove forme di sostegno per le fonti fossili: gas e olio combustibile (vedi link più avanti).

In sintesi il documento di 100 pagine, pur nella ricchezza di dati e di buoni propositi, risulta deludente perché non contiene analisi costi-benefici e “senza alcuna quantificazione tutto diventa discrezionale” (cfr. Luigi De Paoli pubblicata su Staffetta Quotidiana il 2 giugno 2012). In questo momento di crisi manca di indicazioni puntuali e a breve termine per giungere a qualcuno degli obiettivi dichiarati. Eppure per abbassare il costo dell’energia qualche cosa si potrebbe fare da subito. Ad esempio perché non abbassare il prezzo del gas per il comparto della generazione elettrica allo stesso livello di quanto pagato dai grandi consumatori industriali? (questi ultimi pagano 32,03 centesimi al metro cubo mentre gli “elettrici” pagano 33,45 centesimi). Perché non eliminare il pagamento dell’IVA sulla parte oneri della bolletta? Perché non prevedere in tempi ristretti la costruzione di distributori a metano sulla rete autostradale? Perché non permettere la vendita diretta dell’energia elettrica senza passare dalla rete? (si tratta delle SEU, sistemi efficienti d’utenza, in questo modo anche senza incentivi il fotovoltaico sarebbe già oggi conveniente in gran parte del Paese).

Ma è soprattutto il futuro delineato da questo documento ad essere poco appetibile, un futuro che pare un ritorno al passato, smaltita la “sbornia del solare fotovoltaico”. In questo senso è una strategia per vecchi offerta ad un Paese stanco che ha fame di speranza, è una strategia al di fuori di quello scenario di un mondo per quasi all’80% a trazione rinnovabile delineato dall’IPCC per il 2050 in un rapporto diffuso il 3 settembre, uno scenario, scrive l’IPCC, possibile “solo se sostenuto da politiche pubbliche corrette”.

Link

Bozza della Nuova strategia energetica

Analisi nuovi incentivi alle fonti fossili

Analisi consumi energetici nazionali

Nota sull’opzione Italia hub del gas

Nota sulle estrazioni di petrolio e gas in Italia

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La terza rivoluzione industriale secondo Jeremy Rifkin (video)

Crisi economica, riscaldamento globale, scarsità di combustibili fossili: la nostra civiltà si sta avvicinando alla fine di un ciclo. La stessa specie umana è minacciata. Jeremy Rifkin, economista americano e consulente della Commissione europea ha appena pubblicato il libro “La terza rivoluzione industriale”. Secondo l’economista solo con la diffusione di energia rinnovabile e con il potere laterale possiamo superare la crisi e garantire un futuro felice per i nostri figli.

Intervista pubblicata da Euronews l’11 luglio 2012.

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14 luglio: convocazione Assemblea Energia Felice

Carissimi,

Sabato 14 Luglio per Energia Felice è una data importantissima, che richiede la vostra partecipazione. Abbiamo concordato con il comitato acqua nazionale una riunione di approfondimento sulla Multiutility del Nord a cui parteciperanno anche le realtà locali interessate sia sul tema acqua che energia.

Così abbiamo anche ritenuto necessario abbinare questa riunione nazionale alla convocazione dell’assemblea generale della nostra Associazione Energia Felice con i soci, allargata ai simpatizzanti e possibili nuovi soci. La giornata, come vedete qui sotto, è organizzata in modo da rendere produttive entrambe le riunioni.

1) alle ore 9.30 puntuali presso lo spazio di via Borsieri 12 a Milano (zona stazione Garibaldi), per due ore fino alle 11.30 si riunisce l’assemblea dell’Associazione Energia Felice (situazione prospettive, convenzioni, sportelli, stato collaborazioni con Comuni ed Enti, tesseramento, risorse e situazione bilancio, iniziative territoriali). Dalle 11,30 potremo quindi convogliare in Via Confalonieri 3 (Spazio Caffè Piano Basso, a 200 metri da via Borsieri) dove si svolgeranno i lavori congiunti sui temi della Multiutility del Nord.

2) dalle ore 11.30 alle 17.00 presso il Laboratorio Caffè Piano Terra in Via Confalonieri 3, si tiene la riunione sulla Multiutility del Nord.

Al fine di dare un più ampio respiro al percorso di contrasto alla Multiutility sarebbe opportuno che tutti i comitati acqua e energia territoriali interessati si mobilitino e assicurino la presenza. Per avere un quadro della situazione il più aggiornato possibile sarebbe auspicabile che si arrivasse alla riunione del 14 luglio con i diversi assetti societari delle aziende coinvolte e con le posizioni che gli enti locali hanno assunto in questo periodo sull’operazione Multiutility. Oggi serve una gestione dell’acqua, dei rifiuti, del TPL, dell’energia, prossima ai cittadini e alle amministrazioni locali, per garantirne la trasparenza e la partecipazione nella gestione dei servizi, in particolare sul tema centrale dell’energia.

E’ pleonastico rilevare quanto sia importante organizzare la presenza ad entrambe le riunioni.

Per Energia Felice fare il punto e disegnare la prospettiva prima della pausa estiva è determinante. Lo stesso mio sforzo di presenza in una condizione personale certamente non facile indica la necessità di non mancare.

Un grande abbraccio

Mario Agostinelli, presidente Associazione Energia Felice

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Per raggiungere via Borsieri e via Confalonieri le indicazioni sono: da Piazza Duca d’Aosta (stazione centrale) con Km 1.1 a piedi oppure con metropolitana linea verde scendendo a Melchiorre Gioia (una fermata) + 400 mt a piedi oppure dalla stazione Garibaldi con il sottopasso per via Pepe (Punto Rosso) + 250 mt. a piedi

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