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Energia Bene comune – Festival Sabir Lampedusa

LAMPEDUSA 1-5/10/2014

Quale energia – Bene comune solo se rinnovabile
intervento a cura di Giuseppe Farinella, delegato di Energia Felice

Il protocollo di kyoto e il contratto mondiale dell’energia nel 2005
Riflessione su quanto hanno inciso le nostre proposte
– garantire a tutti l’accesso all’energia e di conseguenza combattere la povertà ed il sottosviluppo
– limitare i cambiamenti climatici e l’inquinamento dell’aria, che l’attuale tipo di sviluppo produce;
– limitare l’impatto ambientale e sociale della produzione e della trasformazione di energia su larga scala;
– ribaltare il paradigma energetico basato sul controllo centralizzato delle risorse, decentralizzando la produzione;
– favorire democrazia e partecipazione perché sole vento e biomasse in quanto rinnovabili e distribuite sul territorio, non monopolizzabili, come invece il petrolio, il carbone, il metano e il nucleare;
Obbiettivi che avevano la necessità di essere praticati e che hanno inciso profondamente nel modo di pensare e affrontare le questioni energetiche.

Cosa è cambiato
Europa 20/20/20 (-20% co2, +20% rinnovabili, +20% efficienza), direttiva europea 2009 con la quale si sono ottenuti enormi risultati che stanno incidendo sulle scelte politiche mondiali.
Grazie alla direttiva europea e alla azione politica della sinistra in Italia negli ultimi 10 anni abbiamo raddoppiato la produzione di energia da fonti rinnovabili (+PV +eolico +biomasse) mettendo in crisi le centrali a metano e a carbone e dimostrando che esiste una alternativa praticabile all’uso dei combustibili fossili.
E’ possibile delineare un percorso che entro il 2050 potrebbe consentire a qualunque nazione industrializzata di affrancarsi dal petrolio, dal carbone e dal nucleare.
Auto, camion, navi e aeroplani ultraleggeri e, quando possibile, elettrici o ibridi; edifici super efficienti e progettati con modalità innovative; cogenerazione di calore ed elettricità , cicli chiusi e biomimesi; reti intelligenti, apporti massicci di energia da fonti rinnovabili…

Il clima, se fosse una banca l’avrebbero salvato” articolo di Mario Agostinelli
“Il negoziato che si svolge nell’ambito della Convenzione sui Cambiamenti Climatici è lungo e complesso, ma sembra arrivato a un punto cruciale nel percorso per l’approvazione di un nuovo strumento legale che favorisca la riduzione globale delle emissioni di gas serra. I leader internazionali sono convocati nel mese di dicembre in Perù per preparare un accordo globale sul clima nel 2015 a Parigi.
Dalla mobilitazione di tante persone, organizzazioni e popoli diversi, agli annunci dei banchieri Rockefeller (ieri padroni di Exxor e oggi di Standard Oil) di non voler più investire nei combustibili fossili; dai piani ambiziosi di alcuni Paesi alle coalizioni di grandi aziende: tutto si è riversato all’interno del Palazzo di Vetro, lasciando interdetti i grandi e i piccoli della Terra”.

Riflettere sull’analisi dell’economista Fitoussi: la crescita economica dei paesi in via di sviluppo solo se sostenuta da energia da fonti rinnovabili potrà creare più occupazione e ridurre la domanda di fossili creando un circolo economico virtuoso per uscire dalla crisi.

Quale energia: Bene comune solo se rinnovabile
Il footprint sta peggiorando ad un ritmo insostenibile: da un consumo di 3/4 delle risorse generate dal pianeta negli anni ’60 ad oggi che già dal mese di settembre siamo in deficit.
Il nodo è politico non più tecnico o scientifico: movimento mondiale sempre più ampio e capace di incidere.
Agire per creare economia dal basso democratica, capace di valorizzare risorse locali.

Proposte operative
– Promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili con progetti di cooperazione e di sostegno allo sviluppo nei paesi che si affacciano sul mediterraneo
“In the Mediterranean region, the level of urbanisation reached 60% in 2010. The annual urbanisation rate has been around 2% during the last decade. In absolute figures, population in urban areas in the MENA region has already reached 165 million. This is expected to increase by another 80 million by 2025, which will make the region one of the most urbanised in the world, with around 80% of the total population living in urbanised areas. Presently, Mediterranean cities face a range of challenges relating to sustainable development and climate change. Consequently, the need for investments in many areas, including transport systems, water and waste management infrastructure and energy saving activities, is already significant and is expected to increase sharply over the ensuing years.”
– A Vienna (8-9 dicembre 2014) cominciamo a liberare il Pianeta da tutte le armi nucleari
La “ribellione” degli Stati non nucleari (contiamo ben 125 dichiarazioni ufficiali!), supportata dai movimenti della società civile, come l’ICAN e i Mayors for Peace, a livello internazionale, ed ESIGIAMO! in Italia, rende finalmente possibile un negoziato internazionale che porti ad un Trattato per la messa al bando e l’eliminazione di tutte le armi nucleari. Un negoziato che può partire dalla Conferenza internazionale che si terrà a Vienna l’8 e 9 dicembre 2014.

Giuseppe Farinella

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Lavoro, precarietà e nuovo schiavismo: quale Europa?

11maggio201411 maggio 2014, ore 16.00
Nova Milanese (Monza) – Auditorium Comunale – Piazza Gio.I.A. – via Giussani

Gianni Rinaldini, Scenari e prospettive del lavoro in Italia

Argiris Panagopoulos, La distruzione del lavoro in Grecia

Daniela Padoan, Il razzismo contro i poveri e la nuova schiavitù

Stefano Sarti, Ambiente e lavoro – oltre la contraddizione

Pino Viola, Precariato in Italia

Guido Viale, Lavoro e riconversione ecologica

Mario Agostinelli, Scenari per l’Europa

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Ilva, Alcoa, Sulcis e l’energia fossile di Passera

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano online – 2 ottobre 2012

 

Ilva, Alcoa e Sulcis rimbalzano cupe nelle manifestazioni di piazza, mostrando a dito l’impotenza dei banchieri, dei professori al governo, dei maghi dello spread quando si tratta di affrontare la crisi dal lato delle persone in carne ed ossa. Dietro questi tre simboli del declino di un modello di sviluppo, c’è innanzitutto il dramma del lavoro e della salute. Un nodo intricato che si scioglierebbe, secondo dichiarazioni stampa di ministri e imprenditori, con la riduzione dei costi dell’energia e con una maggiore offerta di fonti fossili a buon mercato. Prendo in considerazione quest’ultimo aspetto, significativo dell’informazione distorta e dell’insensatezza della politica industriale ed energetica dell’attuale governo.

A fine agosto ha visto la luce una bozza della “nuova” strategia energetica nazionale. Un irritante ritorno al passato (gas, petrolio e “carbone pulito”) già anticipato dalle rivelazioni di Wikileaks sulla presenza delle maggiori banche nazionali, di Enel ed ENI ai banchetti russi e turchi. Lì infatti, si stava tracciando il potenziamento delle reti di fonti fossili da Oriente a Occidente. Si tratta di un piano vetusto, mascherato dalla retorica della diminuzione del costo del Kwh, della minore dipendenza dall’estero, dell’incremento dell’occupazione. Niente di più improbabile.

L’idea di fondo è quella di cercare petrolio in casa e di costruire rigassificatori e nuovi metanodotti, al fine – si scrive – di abbassare i prezzi. Ma perforare i nostri fondali corrisponde ad avere un numero irrilevante di barili ad alto costo, mentre fare dell’Italia un “hub del gas” non rappresenta affatto una formula in grado di abbassare il costo del gas che consumiamo. È un’illusione pensare che attraverso i rigassificatori ci si rivolga solo al mercato spot (quello alimentato in borsa dal trasporto su nave) senza avere alle spalle contratti di fornitura a lungo termine (quelli siglati con i Paesi grandi produttori che spediscono “via tubo”).

La proposta quindi non abbasserà il prezzo del gas. In compenso, darà il via a grandi opere e all’introduzione delle cosiddette “essential facilities”, infrastrutture da costruire con “garanzia di ricavi” e “iter autorizzativi accelerati”. Il che significa che i nuovi impianti saranno costruiti grazie a incentivi che graveranno sulle bollette di tutti.

Esattamente quanto è già successo per “invitare” Alcoa in Sardegna. Alcoa è una multinazionale statunitense, leader mondiale nella produzione di alluminio, che sbarca in Italia acquisendo nel 1966 dallo Stato la società ALUMIX (gruppo EFIM). Fino al 2009 la società acquistava energia elettrica a prezzi scontati e per evitare le sanzioni Ue il Governo italiano aveva emanato un decreto legge contenente nuove norme che permettessero all’Alcoa di continuare a rifornirsi di energia elettrica a prezzi scontati. Scontati di quanto? Beh a 30 euro al MWh rispetto ai circa 70 di mercato. Tanto per avere un riferimento, noi consumatori finali in bolletta paghiamo 90 euro al MWh. La differenza fra i 30 euro e il prezzo di mercato viene “ovviamente” coperta da tutte le bollette.

Ora si cerca un nuovo acquirente che garantisca i 702 posti di lavoro. Prima della rottura della trattativa, solo qualche giorno fa, la più gettonata era la svizzera Glencore, multinazionale specializzata in materie prime, dotata di magazzini e di flotte navali. Glencore è il numero uno nel trading di carbone. Esperta in fonti fossili, per fare l’accordo chiede la stessa cosa per cui Alcoa se n’è andata: energia elettrica a basso prezzo, che il governo si è affrettato ad assicurare. Ecco una politica energetica avventurosa, basata sul rilancio dei fossili dal costo imprevedibile.

Anche lo stabilimento Ilva di Taranto, come Alcoa, subisce un passaggio dallo Stato ad una multinazionale privata. Ed anche per esso si parte con uno sconto energetico. Lo stabilimento per tubi saldati di grande diametro, nasce come oggetto di un accordo riservato tra Urss, Eni e Finsider: greggio a basso prezzo dall’Unione sovietica in cambio di tubi saldati. Esaurito col tempo l’accordo sull’energia, si è fatto avanti un tacito accordo sulle emissioni, che Riva, il proprietario attuale, ha rigorosamente reclamato, producendo inquinanti e tralasciando il costo dell’effettivo e necessario risanamento. Lavoro, in questo caso, al prezzo della salute.

Infine il Sulcis. Il passaggio di proprietà in questo caso è anomalo: dall’Eni alla Regione sarda. Con un unico cliente (obbligato), l’Enel, che utilizza la miniera prevalentemente come discarica, mentre estrae un carbone di scarsa qualità. Non per beneficenza, ma per supportare un mix di combustibile solido che tenga aperte le porte alla chimera del “carbone pulito”, producendo nel frattempo quasi alla chetichella grandi quantità di inquinanti.  In questo quadro risulta davvero sbagliata la proposta di investire per creare nella miniera un impianto di cattura e sequestro della CO2. Ha senso investire un miliardo e mezzo di euro per continuare a bruciare carbone? È un futuro a carbone, col trucco del sequestro dei gas serra, che immaginiamo?

Si capisce allora perché scompaiano i sostegni alle rinnovabili, l’unico settore per cui nel progetto di Monti-Passera lo sviluppo è previsto compatibilmente con la sostenibilità economica. In realtà, questo Governo non considera queste fonti una scelta strategica per il settore elettrico e termico. A riprova di ciò il fatto che per i trasporti punti sui biocarburanti di seconda generazione, verso i quali si sposterebbero gli incentivi tolti al fotovoltaico.

E sulla governance l’ultima chicca: la nuova strategia energetica nazionale individua nell’accentramento il sistema migliore per depotenziare la diffusione delle rinnovabili e salvaguardare il tradizionale oligopolio legato alle fonti convenzionali. Meno democrazia e basta con la programmazione territoriale, il ricorso alle fonti naturali, la riduzione degli sprechi, visto che la questione climatica non toccherà gli over 60 che comandano. Loro si stanno svenando per governare i picchi di un tenace quanto irriducibile spread, non per una politica industriale ed energetica che porti salute e buona occupazione.

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Fotoracconto della Conferenza sulla decrescita a Venezia

Ecco alcuni dati sulla Conferenza sulla decrescita tenuta a Venezia dal 19 al 23 settembre: cinque giorni, sessantun workshops, undici activity-workshops, sei parallel forum, tre forum tematici, due assemblee delle reti dei movimenti e una serie nutrita di eventi collaterali. Mille il numero dei partecipanti presenti alle sessioni plenarie.

Un successo oltre ogni aspettativa con confronti molto aperti e rappresentanze internazionali qualificatissime. Le immagini qui fornite ci aiutano ad immetterci in un mondo che la stampa e i media trascurano colpevolmente.

 

 

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Solare Usa e Ue: la Cina è vicina

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano online – 18 settembre 2012

In questi mesi è stata più volte sottolineata la “rivoluzione” in atto sul mercato dell’energia elettrica. In sintesi, i 13 GW (milioni di kW) di pannelli fotovoltaici installati in Italia producono dalle 9 del mattino alle 18 serali un flusso di energia elettrica sufficiente a modificare la determinazione del prezzo del kWh in borsa, cosicché oggi l’energia elettrica all’ingrosso tocca il suo massimo costo non alle ore 12, come da tradizione, ma alle 22 di sera, realizzandosi così un disaccoppiamento fra prezzi e consumi: il costo non è più massimo quando massima è la domanda. Ad esempio il prezzo delle ore 12 (ora di maggior richiesta quando di questi tempi il picco della domanda sale a 43 GW) contrattato per l’8 giugno 2012 è stato pari a 86,49 euro al MWh, mentre alle ore 22 era a 100,15 (quando la potenza richiesta in rete è intorno ai 38 GW) e 96,85 alle 24 (32 GW di richiesta – dati da Gestore Mercati Energetici).

Tutto questo contribuisce a dimostrare che c’è una nuova speranza per il cambiamento climatico: il 20% dell’energia elettrica mondiale è già prodotto da energie rinnovabili. La Cina ha investito miliardi in energia solare, il che rende questa fonte ormai a buon mercato come i combustibili fossili. Sembrerebbe insensato dal punto di vista della cooperazione ambientale, eppure la Ue e gli Usa sono intenzionati a imporre tariffe per le importazioni di pannelli solari cinesi, finendo con ostacolare questa rivoluzione energetica pulita. Lo denuncia Avaaz, che avanzerà una richiesta formale al Commissario per il commercio della Ue e la International Trade Commission degli Stati Uniti per aprire un dialogo e non ricorrere a dazi odiosi.

Pur avendo la Cina un triste primato in materia di diritti umani e ambientali, sta aprendo con le sue politiche industriali un raggio di speranza. Negli ultimi dieci anni, ha investito miliardi in energia solare e ha avviato strategie ambiziose per sovvenzionare la produzione, il che significava il crollo dei prezzi dei pannelli. Stati Uniti e Ue stanno tornando a concedere sovvenzioni pubbliche alle lobbies del petrolio e del carbone, e ora sono in procinto di aumentare il costo dell’energia solare, imponendo tariffe alla Cina. La partita è aperta: l’Occidente punta ad abbassare sul mercato il prezzo di petrolio e gas ottenuti da nuovi giacimenti di scisti bituminosi ad altissimo costo ambientale. Un prezzo fittizio reso praticabile dalla speculazione sul mercato finanziario e gravoso di debiti ambientali verso le future generazioni.

Alcuni sostengono che il basso costo dei pannelli solari cinesi mette in pericolo i posti di lavoro dei lavoratori locali, ma la maggior parte del lavoro che il settore dell’energia solare procura riguarda l’installazione e l’adattamento dei pannelli, la manutenzione e l’integrazione nelle reti intelligenti, oltre che la loro fabbricazione.

Tornare indietro, per fortuna, non è più possibile. Le fonti rinnovabili hanno mostrato una curva di apprendimento straordinaria e in alcune regioni sono già pronte a far concorrenza a quelle fossili anche senza incentivi. La concorrenza cinese non significa estromissione delle nostre tecnologie e della crescita di competenze locali: più energia “verde” significa più imprese e quindi più lavoro. Nel primo trimestre 2012 sono sorte complessivamente 120.278 imprese ma ne sono morte 146.368, quindi un saldo negativo (-0,43%). Per le imprese energetiche invece il saldo è positivo per 511 unità (+7,6%). Ed è dal 2007 che di trimestre in trimestre ciò accade. Fra il primo trimestre 2012 e quello 2011, le imprese del comparto energetico sono cresciute del 37,1% mentre il totale delle imprese italiane è calato dello 0,3%.

Lavorare a un nuovo sistema energetico non significa quindi rifluire nel protezionismo, ma creare lavoro di qualità, innovare su base territoriale, armonizzare attività umana e natura, fare ricerca per valorizzare risorse naturali che possono integrarsi, ma non essere semplicemente surrogate dalla contabilità del commercio internazionale.

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