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Intervento di Serge Latouche a Parma. Decrescita: una soluzione alla crisi

Buongiorno a tutti e tutte.
Dopo il 16 settembre 2008 e la caduta della Lehman Brothers, è più difficile dire che c’è una buona notizia nel mondo. Quella cui abbiamo assistito, era solo la prima fase della crisi e subito dopo è arrivata una seconda fase perché la governance mondiale non è stata cambiata né a livello internazionale né nazionale. Hanno salvato la finanza, hanno speso una somma astronomica (23mila miliardi di dollari) per salvare l’economia. E poi è iniziata la fase dell’austerità. Oggi purtroppo assistiamo alla rivincita, alla rinascita dei banchieri. Una società che vive di crescita la cosa peggiore che possa accadere è non crescita. Ma oggi è la realtà. I governo obbedienti alle ingiunzioni dei mercati finanziari hanno deciso di far pagare ai popoli il salvataggio delle banche. La situazione della Grecia ne è un esempio evidente.

Ci sarà però una terza fase.
E questa è la buona notizia: la crisi non è finita, siamo solo all’inizio. E spero che sarà al fine della società della crescita. Unica possibilità per costruire una società di decrescita severa è una crisi profonda.
Questo programma della destra, l’austerità, fa pesare la minaccia deflazionistica ed è un vicolo cieco del rigore, proposta a Toronto dalla Merkel. Si fonda sulla distruzione del potere di acquisto. Subito dopo abbiamo assistito a una diminuzione totale dei salari mondiali (ad esempio in Grecia, Portogallo, Francia) in un concorso al ribasso. Questa austerità è la cosa più terribile per il mondo.  Si tratta solo di non fare crescita in una società formata per la crescita. Ci saranno sempre meno crediti per la salute, la scuola, i servizi pubblici in generale.
La proposta della sinistra è quella di rilanciare la crescita. Ma questa è la vecchia ricetta keynesiana. Questa terapia non è più sopportabile perché il pianeta non può più accettare questa distruzione. I piccoli passi fatti nel rispetto dell’ambiente si sono dimenticati com’è stato dimostrato a Stoccolma. Questo rilancio è molto illusorio e fallace per l’occupazione. Se ci sarà una ripresa sarà solo speculativa.
C’è ancora una cosa più terribile. La sintesi cui si è optato è questa: rilancio e austerità. Nell’incontro di Toronto i capi di stato si sono messi d’accordo su questo punto di vista.
Per i nostri governi di destra si tratta di rilancio per il capitale e austerità per tutti. Tutto questo, dicono, servirà alla ripresa. Per la sinistra, purtroppo, non sarebbe molto diverso.
Basta osservare quanto è successo in Grecia con un governo di sinistra, dove sono state scelte politiche di austerità tipiche della destra. E la stessa situazione avviene nella Spagna di Zapatero.

Qual è la nostra soluzione per risolvere il problema? Come potremmo uscire dal problema del debito pubblico se ci fosse chiesto di governare un Paese?

Nell’immediato la soluzione sarebbe decretare la bancarotta dello Stato ma questo creerebbe un problema di relazioni con gli altri Paesi e i debitori. Sarebbe meglio decidere una bancarotta parziale e negoziare una riconversione del debito e delle misure condensatrici per i piccoli portatori. Proponiamo un prelievo sui benefici delle banche. Proponiamo di ritornare al diritto di emissione di denaro anche con la prospettiva di provocare un leggero aumento d’inflazione per favorire l’auspicabile eutanasia del sistema.
Per la decrescita il primo obiettivo di transizione dovrebbe essere di restaurare la piena occupazione per rimediare alla penuria di una parte del popolo. Infine, la riduzione drastica del tempo di lavoro: lavorare meno per lavorare tutti e per vivere meglio. Questa è la cosa fondamentale.  Questo programma della decrescita non è politico ma è la concezione politica di una società alternativa. La società della decrescita è una società di “abbondanza frugale”. La frugalità ritrovata permette di ricostruire una società fondata sulla riduzione della dipendenza dal mercato. Si tratta di riuscire a “re-incastonare” il dominio dell’economia nel sociale e nel politico vero, non quello che conosciamo oggi.

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Il clima della democrazia

Si è svolta ieri al Centro Congressi Ex Eridania, nel Parco Falcone-Borsellino, la prima giornata del convegno internazionale “Il clima della democrazia”. Oltre 40 relatori internazionali, più di 100 partecipanti, 180 studenti delle scuole superiori di Parma coinvolti; un successo a livello partecipativo che ha portato Parma al centro del dibattito sulla decrescita, la sostenibilità e la giustizia socioambientale (guarda le foto della prima giornata del convegno).

Una giornata di lavori intensa che continua oggi, arricchita dalla presenza di Serge Latouche (Università de Paris Sud), Hervé Kempf (Giornalista e saggista), Gustavo Soto Santiesteban (direttore del Centro Studi Applicati ai Diritti Economici, Sociali e Culturali in Bolivia), Marco Revelli (Università del Piemonte Orientale).

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In diretta dal Convegno di Parma “Il clima della democrazia Decrescita, Sostenibilità, Giustizia Socio-Ambientale”

Prospettive politiche sulla crisi ecologica, economica e di civiltà

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Inquinamento atmosferico, riscaldamento globale, scioglimento dei ghiacci e innalzamento dei mari, crisi idrica e desertificazione, perdita di biodiversità, esodi ambientali, picco del petrolio e dei minerali, crisi energetica, crisi alimentare, smaltimento dei rifiuti tossici, sprawl urbano. Difficile elencare uno per uno tutti i problemi e le sfide ambientali che oggi si profilano davanti a noi.
La civiltà moderna che credeva – grazie alla scienza, alla tecnologia e ad un’enorme performance produttiva – di rendersi sempre più indipendente dalla natura, riscopre infine nella maniera più drammatica la propria inestirpabile dipendenza dall’ambiente. Il sogno della vittoria sulla natura si è trasformato nell’incubo di riscoprirsi vittime di processi ingovernabili e potenzialmente catastrofici.
Da un altro punto di vista abbiamo conflitti per le risorse, rivolte per il cibo, movimenti contro la privatizzazione dei beni comuni, per la difesa dei saperi indigeni, delle culture locali, dei territori e delle foreste, lotte per la giustizia ambientale, climatica, energetica, per la sovranità alimentare, opposizione alle grandi opere, rivendicazione dei diritti dei migranti, reti di consumo critico e solidale, movimenti per la decrescita, gruppi che promuovo l’autoproduzione o il riciclo, interi pezzi di società che si autorganizzano per sperimentare nuovi stili di vita più equi e sostenibili.
Insomma il modello di benessere fondato sulla crescita e sullo sviluppo si trova a fare i conti con limiti ambientali, sociali, politici e culturali. La crisi economica si intreccia con quella ecologica ed entrambe con quella politica fino a comporre insieme quella che è stata chiamata una “crisi di civilizzazione”. Eppure di fronte a tutto questo non solo i decisori globali e locali ma anche la riflessione politica sembrano essere in grave ritardo. La tradizione democratica ha semplicemente dato per scontato
una natura generosa, un progresso e una crescita infinita. Istituzioni, valori, tempi e processi politici hanno incorporato questa visione del mondo e questa è probabilmente una delle ragioni per cui la democrazia non sembra all’altezza dei problemi del nostro tempo. Occorre dunque ripensare le sfide del nostro tempo – decrescita, sostenibilità e giustizia socioambientale – insieme ai soggetti e alle istituzioni che le devono affrontare, con il coraggio di discutere i limiti, i lati oscuri e le opportunità di
trasformazione della tradizione democratica.
Il convegno si inserisce nell’ambito di “Kuminda – Il diritto al cibo. Festival del cibo equo e sostenibile” e si propone di riprendere e sviluppare le tematiche emerse nel convegno di Parma dell’ottobre 2009 “Crisi economica, crisi ecologica, crisi alimentare Passaggi di civiltà…” e nella Second conference on Economic Degrowth. For ecological Sustainability an Social Equity svoltasi presso l’Università di Barcellona nel marzo 2010.

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