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Collaborazione con la Rete civica italiana

Le organizzazioni italiane che si occupano di democrazia diretta stanno organizzando la Settimana della Democrazia diretta 2011 che avrà luogo dal 26 maggio al 2 giugno. La campagna mira a dare migliori strumenti di DD agli italiani (es. raccolte di firme per PdL di iniziativa popolare con tempi certi di discussione). In questo senso – per i movimenti che raccolgono firme – è un investimento per lavorare più efficacemente in futuro.

Avendo lavorato al WWF per 20 anni e essendomi spesso occupato di campagne, propongo alcune riflessioni su slogan e possibili sinergie tra le nostre campagne anche in vista delle future raccolte di firme.

1) A mio avviso, è fondamentale capitalizzare l’enorme sforzo che i volontari faranno ai banchetti per dire agli italiani che gli strumenti di cui dispongono per incidere direttamente sulle scelte amministrative sono veramente di basso livello e che quindi devono/possono recuperare spazi democratici. Basti pensare che abbiamo recentemente raccolto 100.000 firme per il progetto di legge per la promozione delle energie rinnovabili e, nonostante lo sforzo disumano, non abbiamo tempi certi per la discussione dell’iniziativa in parlamento, non siamo interlocutori privilegiati per andare a trattativa con lo Stato. Delle 213 iniziative di legge nazionali che si sono avute dal 1948 al 2005 solo il 13,6% (29) sono diventate legge; delle 153 iniziative regionali solo 18 (11,8%) sono diventate legge…

Detto questo mi pare che sarebbe intelligente lavorare anche per migliorare l’efficacia delle nostre iniziative future e utilizzare la imminente campagna referendaria per prendere due piccioni con una fava. Vi proporrei quindi di inserire sui volantini che distribuiremo per la campagna referendaria una frase del tipo: “Miglioriamo insieme gli strumenti per far esercitare la sovranità popolare prevista dall’art.1 della Costituzione. Andate a votare Sì ai referendum e partecipate alla Settimana della democrazia diretta 26 maggio – 2 giugno 2011”.

2) Per quanto riguarda gli adesivi e gli slogan a mio avviso dobbiamo stare attenti a non fare errori di prospettiva e di linguaggio. Intendo dire che tra noi parliamo di referendum tutti i giorni per cui sento persone noi che propongono ingenuamente slogan del tipo “Sì alle rinnovabili, no al nucleare”. Non si potrebbe fare niente di più sbagliato perché probabilmente da parte dei media e dei partiti ci sarà il tentativo di non informare per non far raggiungere il quorum. Lo slogan deve quindi dire che ci sono i referendum, deve dire la data e dire come votare e su quale argomento. Quindi essere del tipo: “Sostieni la democrazia. Vota Sì ai referendum acqua e nucleare del gg mm 2011”.

3) Per quanto riguarda il linguaggio e lo stile in generale della campagna a mio avviso non dobbiamo cadere nell’errore di far diventare i referendum una battaglia di “sinistra” per cercare di recuperare consensi partitici. Dobbiamo usare un linguaggio molto semplice, concreto e “asettico” che dica anche all’elettorato di centro destra perchè conviene votare e che disinneschi quindi quelle dinamiche che portano a non votare o a votare per schieramenti ideologici precostituiti senza entrare nel merito delle questioni.

Per il volantinaggio: http://retecivicaitaliana.it/volantinaggio-diffuso-sincronizzato/

Per la “Settimana della democrazia diretta: http://retecivicaitaliana.it/le-iniziative/democrazia-diretta/

A cura di Roberto Brambilla

 

 

 

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Milano: A difesa della Costituzione

A difesa della Costituzione

Sabato 12 marzo, manifestazioni in tutta Italia

A MILANO: appuntamento in largo Cairoli ore 15.00

(fino alle 19.00) con Qui Milano Libera.

Interventi previsti: Gioacchino Genchi, Nando dalla Chiesa, Salvatore Borsellino, Dario Fo, Vincenzo Consolo, Guido Scorza, Jorge Carazas, Daniele Biacchessi, Marilisa D’Amico, Mario Agostinelli

Info: www.adifesadellacostituzione.it

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Acqua e nucleare: votiamo a Maggio!

Roma, 3 Marzo 2011 – Ore 11.00

Presidio a Piazza Montecitorio

Poco più di un mese fa la Corte costituzionale ha ammesso i quesiti referendari per la ripubblicizzazione dell’acqua e contro il nucleare. A questo punto il Governo deve indire le date in cui i cittadini italiani saranno chiamati a votare.

Per questo, Giovedì 3 Marzo, saremo davanti a Montecitorio per chiedere che la tornata referendaria sia accorpata a quella delle elezioni amministrative che con ogni probabilità si realizzeranno entro Maggio.

Riteniamo che questo sia doveroso per almeno due motivi: in primo luogo perché sia garantita la partecipazione democratica a scelte fondamentali per la vita di questo paese e che non venga usata come una clava la strategia del silenzio e dell’astensionismo.

In secondo luogo ci sembrerebbe ingiustificabile in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo che vengano indetti tre appuntamenti elettorali nel giro di un mese e mezzo con l’aggravio della spesa pubblica. Infatti sganciare i referendum dalle elezioni amministrative costerebbe alla collettività più di 400 milioni di €.

Per questo chiediamo a tutti i movimenti sociali, per la difesa ambientale e dei beni comuni, alle realtà sindacali ed associative di unirsi a noi ed aderire a questa richiesta.

Perché vogliamo chiedere che vengano garantiti i diritti di tutti e che non si speculi politicamente facendo pagare i cittadini e le cittadine.

Sì per l’acqua bene comune.

Sì per fermare il nucleare.

Comitato Referendario 2 Sì per l’Acqua Bene Comune

Comitato “Vota SI’ per fermare il nucleare”

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Appello per il fotovoltaico

A tutti coloro che sono interessati alla sopravvivenza del fotovoltaico

Il Governo intende presentare in pre-consiglio martedi una bozza che di fatto bloccherà il fotovoltaico con effetto quasi immediato se non retroattivo. Tetto di 8.000 MW e stop agli incentivi un MW dopo. Chi finanzierà gli impianti in queste condizioni di incertezza e dopo tutta la disinformazione che è stata fatta in questi giorni?

Stiamo agendo su vari fronti per cercare di parare il colpo:

1) oltre 55 parlamentari hanno firmato la lettera da noi predisposta per il capo dello stato e il presidente del consiglio dei ministri

2) lunedì terremo una conferenza stampa congiunta di fronte al ministero dello Sviluppo con Legambiente, WWF, GreenPeace, Aper, Anev, AssoSolare, Grid Parity Project e Kyoto Club

3) stiamo cercando di organizzare una manifestazione di fronte a Palazzo Chigi per il giorno previsto di approvazione del Dlgs (mercoledi).

Tutto questo potrebbe non bastare purtroppo. E’ il momento di fare sentire quanti interessi sono toccati da un provvedimento cosi sbagliato.

Abbiamo predisposto il testo di una lettera. Ciascuno di noi lo dovrebbe inviare e impegnarsi a farlo inviare a quante più persone possa. Se non ci muoviamo ora faremo la fine della Spagna e saremo spazzati via. Dobbiamo far capire che non siamo pochi speculatori ma un vero settore industriale. Ogni operaio, ogni elettricista, ogni collaboratore dovrebbe mandare la mail.

Se ci credete diffondete agli amici, ai colleghi e ai collaboratori. Se non lo facciamo adesso la settimana prossima potrebbe essere troppo tardi.

L’e-mail dovrebbe essere indirizzata ai seguenti indirizzi e-mail:

segreteria.presidente@governo.it, Segreteria.ministro@sviluppoeconomico.gov.it, Saglia.segreteria@sviluppoeconomico.gov.it, Segreteria.capogabinetto@sviluppoeconomico.gov.it, Ufficio.legislativo@sviluppoeconomico.gov.it, segreteria.ministro@minambiente.it, atelli.massimiliano@minambiente.it, Lucarelli.paola@minambiente.it, Degiorgi.marco@miniambiente.it, segreteriaMinistroSacconi@lavoro.gov.it

in cc andrebbe messo il seguente indirizzo:

info@sosrinnovabili.it

Ancora meglio se potete fare inviare anche dei fax. Vi fornisco i numeri di fax:

Presidenza del Consiglio dei Ministri: 06 67793067

Ministero dello Sviluppo economico: 06.47887964

Ministero dell’Ambiente: 0657288513

Ministero del Lavoro: 064821207

Se avete un profilo su Facebook, su Linkedin o su un altro social network diffondete la lettera. Di silenzio si muore.

Testo del messaggio da spedire:

On. Presidente del Consiglio dei Ministri
On. Ministro dello Sviluppo Economico
On. Ministro dell’ambiente, della tutela della natura e del mare
On. Ministro del Lavoro, Salute e Politiche Sociali

In questi giorni, si decide la morte per decreto delle energie rinnovabili in Italia. Quindicimila famiglie rischiano di perdere in pochi mesi il posto di lavoro, un indotto che occupa  altre 100.000 persone sarà colpito. E’ un prezzo altissimo, in termini sociali ed economici, che verrà pagato da uno dei pochissimi settori produttivi non colpiti dalla crisi e da un numero importante di lavoratori e famiglie. E’ quello che succederà se il Consiglio dei Ministri approverà il decreto sulle rinnovabili nella versione che circola in questi giorni all’interno del Parlamento e su cui si leggono anticipazioni di stampa.

Dopo pochi mesi dalla (lungamente attesa) approvazione, nel mese di agosto dello scorso anno, della legge sul nuovo conto energia, lo scorso 31 gennaio la Commissione europea ha adottato, come noto, una raccomandazione in cui invita gli Stati membri ad incoraggiare le politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili, scoraggiando esplicitamente strumenti normativi retroattivi, causa di incertezza sul mercato e di congelamento degli investimenti.

A dispetto di queste premesse, nelle bozze del decreto legislativo rinnovabili leggiamo la previsione di introdurre retroattivamente un limite vincolante di 8.000 MW. Stop ai progetti autorizzati e in corso di autorizzazione. Stop a molti cantieri in corso. Un vero e proprio tetto al fotovoltaico, più di 6 volte inferiore a quello fissato dalla Germania. È questa la prospettiva che annienterebbe il settore fotovoltaico a partire dalla prossima settimana con l’eventuale approvazione in Consiglio dei Ministri. A farne immediatamente le spese saranno circa 150.000 lavoratori impiegati direttamente e indirettamente nel fotovoltaico.

In queste condizioni  un’industria nascente è condannata a morte prima ancora di essere diventata pienamente adulta. Se nell’arco di pochi giorni non si riuscirà a introdurre dei correttivi, il fotovoltaico rischia una Caporetto, con ripercussioni molto pesanti sia in termini occupazionali che di credibilità del sistema Paese. Mentre gli Stati Uniti di Obama, pur in presenza di un taglio delle spese pubbliche molto robusto, mantengono saldo il timone verso lo sviluppo delle rinnovabili, l’Italia rischia un nuovo tracollo dopo quello degli anni Ottanta.

Siamo sbigottiti, è incomprensibile. Non è abbastanza promuovere l’ambiente e la salute di noi tutti, generare ricchezza e dare lavoro a oltre 15.000 addetti diretti e fino a 100.000 indiretti, offrire l’opportunità a oltre 160.000 famiglie di diventare indipendenti energeticamente? Quali interessi si vogliono davvero tutelare? Chi sono i poteri forti che stanno eliminando ad una ad una tutte le rinnovabili? Prima l’eolico, oggi il fotovoltaico. Che destino attende un paese che distrugge sistematicamente le proprie opportunità di sviluppo?

Nonostante il parere positivo in sede di Commissioni Parlamentari (per cui lo schema di decreto attuativo della direttiva 2009/28 sull’energia da fonti rinnovabili si inserisce nel quadro della politica energetica europea volta a ridurre la dipendenza dalle fonti combustibili fossili e le emissioni di CO2) il dibattito in corso, specie per le notizie di stampa spesso espressione di interessi non necessariamente palesi e esplicati in sede politica e sociale, sembra preludere ad un intervento legislativo che andrà, si teme, in senso diametralmente opposto a quello, voluto dalla Commissione, di incoraggiamento delle politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili.

La realtà è diversa. A fronte di una crisi che non smette di mordere il tessuto produttivo, è vero che il settore delle rinnovabili si muove in netta controtendenza. Gli incentivi (che, ricordiamo, non gravano sul bilancio dello Stato ma nemmeno su quello delle famiglie, come invece si è letto in questi giorni) hanno creato un volano virtuoso che ha consentito al Paese di riavvicinarsi al gruppo dei paesi leader nel campo dell’innovazione e della capacità produttiva. Il fotovoltaico, in un contesto così difficile come quello che abbiamo visto delinearsi negli ultimi anni, rappresenta un settore in crescita occupazionale e di fatturato, oltre che un settore tecnologicamente in evoluzione.

Confidiamo nell’equilibrio e nella saggezza del Governo e del Parlamento affinché si voglia intervenire per evitare che un altro tassello della nostra economia cada vittima di contrapposti interessi e di battaglie ideologiche. Confidiamo che saprete dare un futuro alle nostre famiglie e ai nostri figli che si trovano oggi incolpevoli nella precarietà e nell’incertezza.”

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Il nucleare militare e il referendum

Tutti possono arrivare da soli – ci può riuscire anche un ragazzino! – a cogliere il “mistero” del nucleare. Il metodo è semplice. Subito dopo aver letto i giornali o guardato i notiziari TV, dobbiamo riflettere sulle notizie in essi riportate, ad esempio sul caso dell’ Iran che nasconderebbe l’intenzione di farsi l’atomica dietro i suoi progetti di centrali “civili”; poi abbiamo da sistemarle in relazione reciproca – queste notizie – ed infine da eseguire operazioni elaborative semplicissime, a livello di due più due fa quattro: ecco che, allora, alcune verità saltano fuori. Il presupposto dell'”illuminazione” è dismettere l’abitudine della delega all’esperto e cominciare a ragionare con la propria testa. Del resto le vere e proprie risse in cui, anche nell’arengo dei media, vediamo sempre e comunque, su qualsiasi cosa, impegnati gli scienziati ed i tecnici dovrebbero averci ormai edotto su questa realtà: la neutralità e l’oggettività se non proprio della Scienza in quanto ideale, ma della comunità scientifica reale sono un miraggio pericoloso, soprattutto per quei problemi sociali complessi la cui interdisciplinarità di approcci, causata dalla molteplicità degli elementi implicati, vanifica in partenza la possibilità dell’esperto unico.

Proviamo semplicemente a ragionare, adoperando l’unico strumento del nostro buon senso, su due notizie esemplari ampiamente diffuse dai media all’inizio di questo nuovo anno (2011):
1- un cyberattacco scatenato da Israele, con l’aiuto USA, mediante il virus Stuxnet, ha ritardato significativamente i programmi nucleari iraniani (non potranno farsi la Bomba prima del 2015) perché ha messo fuori uso un terzo delle centrifughe con cui Teheran si arricchisce da sè l’uranio;
2- le trattative tra l’ONU (5+1, i cinque Paesi del Consiglio di Sicurezza più la Germania) e l’Iran in materia nucleare ristagnano perchè Teheran si rifiuta di trasferire il proprio uranio arricchito all’estero per ulteriori lavorazioni e rifiuta di far gestire a Francia e Russia il ciclo del combustibile atomico per la propria centrale di Busher (arricchimento dell’uranio, appunto, ma anche ritiro e trattamento delle scorie).Occorrerebbero, con la tecnologia iraniana, 1.000 kg di uranio arricchito al 3,5% per ottenere 50 kg di uranio arricchito al 90% buono per un ordigno atomico.

Cosa ci dicono, allora, queste due notizie, per nulla segrete, squadernate belle belle sotto i nostri occhi? E che praticamente ogni giorno possiamo trovare su tutti i giornali che compriamo nelle edicole?
Delle cose di tutta evidenza:
1- esistono delle tecnologie di “arricchimento dell’uranio” che così come preparano il combustibile atomico da “bruciare” nelle centrali, allo stesso modo, con un grado superiore di presenza di U235 nel materiale fissile, producono l’esplosivo nucleare per le bombe atomiche;
2- i programmi “civili” di un Paese possono benissimo essere piegati a finalità militari ed è lo Stato l’attore principale che li progetta, finanzia e coltiva;
3- questi programmi cripto-militari si attaccano spesso a giustificazioni di utilità sociale che non stanno in piedi. Si pensi alle centrali nucleari che dovrebbero, si fa per dire, risolvere il problema energetico dell’Iran: i persiani sono tra i principali produttori di petrolio al mondo ma non hanno le raffinerie per prodursi la benzina che farebbe circolare le loro auto. Se avessero una reale preoccupazione energetica non penserebbero innanzitutto a come procurarsi delle semplici tecnologie di lavorazione petrolifera? A chi la vuole raccontare Ahmadinejad?

Queste osservazioni contengono gran parte di quello che occorre per penetrare i misteri del nucleare ed in particolare evidenziano uno dei due aspetti della base tecnica del rapporto tra nucleare civile e nucleare militare: l’arricchimento dell’uranio che pone capo all’equazione: combustibile = esplosivo. Il combustibile con il quale produci l’elettricità nelle centrali può diventare la carica esplosiva atomica nelle bombe nucleari. L’altro aspetto di questa base tecnica, non esplicitamente menzionato, e che quindi andrebbe rintracciato con ulteriori ricerche, è l’estrazione del plutonio che si ricava “ritrattando” le scorie radioattive. Ma non ci vuole poi molto a procurarsi la notizia che dalle scorie radioattive di un anno di centrale da 1.000 Megawatt puoi estrarre 50 kg di plutonio buono per 10 bombe atomiche. Tanto per avviarsi a comprendere, con quanto sopra enucleato, l’affermazione di Amory Lovins: “L’elettricità è solo un sottoprodotto dei programmi nucleari”.

Detto in termini semplificatori, lapalissiani, avviarsi, come taluno ha fatto, semplicemnete ragionando su quanto i media mainstream propongono, e come lo stesso può mettersi a fare ciascuno di noi, a conoscere la “causa” di un problema – il fattore che muove, determina, una situazione – è importante, decisivo, perchè ti permette di progettare e realizzare l’intervento che pone realmente rimedio all’effetto dannoso, svantaggioso, indesiderato.

Rigirando ancora il concetto nei termini, “sistemici della complessità”, oggi di moda, si tratta, analogamente, di individuare l’input più impattante che origina, in una catena di eventi interconnessi, nonché attivi e retroattivi, l’output non voluto. Un po’ come quando si calcolano le emissioni di CO2 e ci si propone di ridurle per moderare il ricaldamento globale. Serve un appiglio a cui agganciare una azione, un anello risolutivo nella catena delle cause e degli effetti da prendere e tirare per ritrovarsi tra le mani, sotto controllo, l’oggetto della mutevole e sfuggente realtà.
Torniamo quindi alla domanda basilare ed originaria di tutta la faccenda: perché si torna al nucleare? a chi conviene?
E veniamo anche alla banale risposta corrente risposta, in verità spesso non esplicitata chiaramente dell’ambientalismo professionistico: siamo succubi della spinta di vecchie, “dinosauresche”, lobby industriali che vogliono, con l’aiuto di poteri incompetenti e forse corrotti, lucrare profitti indebiti caricando sulle casse dello Stato una tecnologia obsoleta, in via di abbandono da parte di tutti i Paesi a sviluppo avanzato.
Ma questa, a parere di chi scrive, che non è un “esperto” nel senso comune, ma è comunque uno “competente” perché ha fatto per 30 anni di seguito lo stesso percorso di ragionamento critico che ho provato a descrivere, è una mezza verità. Nel senso che coglie alcuni aspetti delle dinamiche economiche, sociali e politiche, tuttavia finisce per occultare l’essenziale. Quindi una mezza verità, come sappiamo, finisce per tradursi in un mito ideologico, menzognero. Una mezza verità equivale ad una mezza bugia.

Alla base di tutto c’è l’esigenza di profitto delle società elettriche e soprattutto delle imprese multinazionazionali elettromecaniche? Il fattore profitto industriale certamente conta nel ricorso al nucleare. Ma il punto che non si deve trascurare e che si rivela addirittura determinante è che il business si regge sullo Stato che paga e garantisce le banche che finanziano. Lo attestano papale papale proprio i fautori del nucleare: possiamo citare in proposito “Energia nucleare, Sì, grazie?”, (Castelvecchi Editore, 2009) il libro di Luca Iezzi, giornalista di “Repubblica”, la cui lettura – non è un paradosso – consiglio vivamente perché ci ricorda e dimostra che non esiste produzione nucleare, in nessuna parte del mondo, senza investimento pubblico diretto o senza massicci incentivi pubblici.
E’ lo Stato che, alla fine, deve giustificare l’investimento.
Lo può fare:
– in termini ideologici, quando parla di elettricità sicura, conveniente, pulita;
– in termini, diciamo, più realistici, quando fa appello al’orgoglio nazionale: diventiamo più forti come Paese, contiamo di più sulla scena internazionale, disponiamo di uno strumento decisivo per farci rispettare, possiamo difendere meglio i nostri interessi: l’istanza geopolitica, insomma!

Lo Stato che, alla fine, paga, è anche quello che, all’inizio, in origine, dà l’impulso all’apparato nucleare, civile o militare che sia, perchè, stringi stringi, l’energia atomica significa la bomba atomica. Magari solo per lo Stato che gestisce il ciclo del conbustibile (fornisce l’uranio e ritira le scorie ad alta intensità da cui ricava il plutonio) e non la centrale in sé. E la bomba atomica, che rappresenta il massimo della potenza distruttiva, a causa di ciò esprime anche il massimo della potenza geopolitica. Vale a dire della capacità, da parte di un attore politico, un soggetto-Stato, di dominare, egemonizzare ed influenzare l’ambiente territoriale circostante, fino allo spazio-mondo, sottraendolo al dominio-egemonia-influenza degli attori concorrenti. Negare questa realtà del gioco internazionale della potenza o ridurlo alla sola competizione economica ci porta ad ignorare la forza della spinta al nucleare.

Il nucleare non si fa solo per movimentare business, anche se sul nucleare si fa anche business. Il sistema nucleare, nel suo complesso, produce la Bomba, cioé la Potenza, e solo come “sottoprodotto” (Amory Lovins, citato) fabbrica elettricità e soldi. Questo è il nocciolo della questione da cogliere. Se questo aspetto per lo più sfugge è per la pigrizia generale che ci rende sottomessi al paradigma economicista dominante, anche quando pretendiamo di posare uno sguardo critico ed analitico sulla realtà. E’ la pigrizia che, secondo me, fa prendere, nel loro modo espositivo, una “cantonata” agli ambientalisti “storici”, che pure sono stati i miei eccellenti maestri quando, da giovane obiettore, mi avventuravo nelle prime ricerche sulla connessione tra nucleare civile e nucleare militare. Sono più che sicuro che gli esperti alla Mattioli e Scalia questa connessione la hanno molto ben presente, e tecnicamente la concepiscono molto meglio di me, anche se dimenticano di richiamarla nei loro articoli (e la relegano praticamente nelle note a piè di pagina nei loro libri).
Il nucleare non è “obsoleto” e non diventerà mai tale finchè la bomba atomica servirà alla potenza di uno Stato. Quando diventerà “obsoleta” quella che è chiamata, nella strategia militare, “deterrenza nucleare”, allora e solo allora diventerà “obsoleta” la tecnologia nucleare (da fissione per collisione neutronica) anche nelle sue applicazioni civili, cioè, nell’essenza, per la produzione di energia elettrica. Superata la Bomba, verranno poi finalmente chiuse anche le centrali elettronucleari (quelle concepite nell’attuale stadio storico della scienza fisica).
L’espressione: “si scrive energia atomica, si legge, nella sostanza, bomba atomica”, per quanto sopra esposto, vale anche in presenza di una caduta della quota di domanda elettrica coperta dalle centrali nucleari. Il problema vero non è quanta elettricità producono gli impianti nucleari civili, ma quanto materiale fissile che ruota attorno alle applicazioni civili può avere un impiego militare. L’energia atomica – nell’attuale stadio tecnologico – non servirà mai a coprire in misura rilevante il nostro fabbisogno elettrico, meno che mai completamente, non foss’altro perché, anche ipotizzando incredibili miglioramenti nell’estrazione e nella lavorazione, non ci sarebbe mai abbastanza uranio (o torio o quanto altro di minerali radioattivi) da sfruttare. L’energia atomica non risolverà in percentuali significative il nostro problema elettrico, il problema energetico mondiale, né ora, né mai, non è fatta per questo, non viene prodotta per questo. Ma si faranno sempre centrali “civili” a copertura dei programmi militari, nella misura in cui, sostanzialmente, saranno utili, con il loro materiale fissile, a questi ultimi.

Il nucleare non è funzione della questione energetica,  ma funzione della partita geopolitica, funzione della potenza. La deterrenza militare da quantitativa diventa qualitativa? Il ricorso al megatonaggio bruto diventa “obsoleto” perchè conta di più la qualità tecnologica delle armi atomiche? Ecco che serve meno materiale fissile in circolazione e si ridimensionano i programmi “civili” (come è avvenuto dal 1987 in poi, in seguito agli accordi di disarmo tra Reagan e Gorbacev: le testate nucleare da 100.000 vennero ridotte a circa 30.000).
Si è in fase avanzata per prototipi di armi nucleari di Quarta Generazione basate su nuovi principi fisici (vedi gli studi che Angelo Baracca conduce da anni)? Ecco che si cominciano a studiare centrali nucleari di Quarta Generazione. Ad ogni generazione di armi nucleari corrisponde e segue, in seconda battuta, una generazione di centrali “civili”. Le primissime atomiche danno luogo ai primissimi reattori “civili” sperimentali di piccola taglia (max 300 Megawatt elettrici). In Italia sono presenti tre impianti che possono considerarsi di prima generazione. Gli impianti sono spenti dal 1986 e attualmente in fase di decommissioning: Latina (GCR – 210 MWe), Garigliano (BWR – 160 MWe) e Trino (PWR – 270 MWe).

La seconda generazione “quantitativa” di armi protagonista della Mutua Distruzione Assicurata degli anni ’60 e ’70 fa nascere i reattori degli anni ”70 e ’80. La loro potenza elettrica tocca i 1.000 Megawatt. In Italia la centrale nucleare di Caorso (BWR – 860 MWe) può considerarsi di seconda generazione, anche se è attualmente spenta e in fase di decommissioning.

La terza generazione “qualitativa” di armi atomiche su cui oggi è basata la deterrenza è alla base dell’odierno “rinascimento nucleare civile”, limitato numericamente ma più pregiato e sofisticato tecnologicamente. Le filiere “civili” più note di terza generazione sono l’EPR (European Pressurized water Reactor), l’AP1000 (Advanced Passive) e l’ABWR (Advanced Boiling Water Reactor), e derivano dall’ottimizzazione, in termini di economia e sicurezza, degli attuali reattori ad acqua leggera. Questi reattori sono caratterizzati da una potenza elettrica oltre i 1000 MWe, gli EPR francesi che abbiamo acquistato hanno una potenza di 1600 MWe. Tre stadi (per la precisione, due e mezzo) di tecnologia nucleare, per l’Italia, corrispondono a tre nostri tentativi testimoniati da due ex ambasciatori (sergio Romano ed Achille Albonetti) ed un ex ministro (Lello Lagorio) di arrivare a costruirci la nostra bomba atomica con l’aiuto della Francia.
La studio e l’applicazione militare della tecnologia nucleare precedono ed accompagnano sempre quello civile, ne costituiscono, per così dire, il fondamento e il coronamento.

Le centrali nucleari civili sono funzionali alla potenza militare, creano la situazione per la quale uno Stato può assurgere alla posizione di “potenza nucleare latente”, come sono oggi, di serie A,  il Giappone e la Germania, come forse lo è l’Italia, anche se di serie B, e come vorrebbe diventarlo l’Iran. Per Stato atomico virtuale o latente si intende quello che dispone della capacità di assemblarsi  in proprio le testate atomiche ma tiene, per così dire, le varie componenti separate per non violare formalmente il Trattato di non proliferazione nucleare.

La potenza latente quindi ha:
– la tecnologia per arricchire l’uranio ed estrarre e raffinare il plutonio
– materiale fissile stoccato in quantità
– risorse professionali, organizzative ed industriali adeguate per unire e montare le bombe
– le piattafome e la tecnologia dei vettori missilistici per portare l’ordigno sui bersagli.

Riproponiamoci, a questo punto, che possiamo tenere presente la natura militare, funzionale alla potenza, della tecnologia in oggetto, l’interrogativo  ” : “perché si torna al nucleare? a chi conviene?” La risposta ora può sopraggiungere con maggiore chiarezza e plausibilità rispetto ai nostri sforzi di comprensione del contesto che ci circonda ed in cui viviamo ed operiamo. Si torna perché in realtà il mondo non ne è mai fuoriuscito e sta vivendo un nuovo round del match internazionale della competizione di potenza. Il nucleare non se ne è mai andato, ha sempre abitato, convissuto con noi. Persino l’Italia, nonostante il referendum del 1987, l’ha sempre tenuto con sè. L’ha fatto con l’ENEL che, pur essendo interdetta, ha continuato a costruire (o ad acquisire e gestire) centrali nucleari all’estero. L’elenco è lungo: in Francia, Spagna, in ex Jugoslavia, in Iraq, eccetera… L’ha fatto con la SOGIN, che ci ha addebitato sulle bollette elettriche la gestione delle scorie delle “vecchie” centrali nel momento stesso in cui le movimentava e le movimenta, andata e ritorno, per ferrovia (ma anche via mare e via aereo) verso la Francia e l’Europa.
Possiamo adesso accettare come espressione di profondità e lucidità analitica la seguente ricostruzione storico-sistemica di Giulietto Chiesa, che troviamo nel su libro “La menzogna nucleare” (Edizioni Ponte alle Grazie, 2010)

“Il problema nucleare riemerge perché è finita la fase unipolare, dominata da un’unica superpotenza planetaria, e ci si avvia a una configurazione inedita, al tempo stesso globale e multipolare…
Componenti cruciali di questa nuova situazione sono la Cina e l’India, entrambe impegnate nella costruzione di un proprio arsenale, inclusa la sua componente nucleare militare. Due giganti in crescita vorticosa e ormai chiaramente destinati ad imprimere il proprio marchio sul XXI Secolo…

Ecco perché sia gli Stati Uniti che la Russia (nel frattempo nuovamente proiettata su disegni ambiziosi…) hanno ricominciato a programmare la crescita e lo sviluppo delle tecnologie militari nucleari. Si tratta di non rimanere spiazzati, o addirittura superati da altri concorrenti che sono ormai entrati nel club nucleare, e perfino da outsider che vi si affacciano ormai prepotentemente, a cominciare dal Pakistan, per continuare con il Brasile e l’Iran, senza dimenticare Israele che, al momento, è la quinta potenza nucleare mondiale …
“E’ in questo contesto che USA, Russia, Cina, India, Iran, ma anche Brasile e Pakistan, si muovono ora verso un nuovo sviluppo del nucleare civile. La Francia va aggiunta a questo elenco, ma solo per rilevare che Parigi non aveva mai rinunciato, nemmeno per un istante, al proprio sviluppo nucleare, militare e civile. Per quanto concerne la Gran Bretagna, il suo comportamento in materia è nient’altro che la copia di quello americano. Il tutto a conferma dell’assunto di partenza: dietro a ogni discorso sul nucleare civile si nasconde sempre un discorso più importante che concerne le armi nucleari”.

Il nucleare sarà forse in declino come fonte energetica, se si misura la sua quota elettrica, non è affatto in decadenza, dati, fatti alla mano, quale fonte di potenza militare ed in questa funzione “risorge” negli USA (devono mantenere la loro superiorità tecnologica negli arsenali militari) e “fiorisce” tra le potenze emergenti (il cosiddetto BRIC) diventando oggetto del desiderio tra le nazioni che aspirano ad un ruolo di potenza regionale (l’Iran è il caso più eclatante).

Prendere atto di questa verità, di questa realtà effettuale, e tradurla poi in termini comunicativi, non è inutile pignoleria ma opera indispensabile di chiarimento e sensibilizzazione utile – a mio parere – anche a gestire in termini efficaci il confronto con la lobby nuclearista nella sfida referendaria. A livello comunicativo è, infatti, perdente attaccarsi ad un argomento facilmente confutabile dai fatti: “non si costruiscono più centrali nel mondo, noi siamo gli unici “fessi” che ci prendiamo dei bidoni che gli altri non vogliono più”…

Vogliamo vincere il referendum? Evitiamo di citare a sproposito Barack Omama! E’ vero che il presidente USA gira il mondo a tenere bei discorsi sulla “green economy”… Ma è altrettanto vero che – Bush non aveva osato farlo! – ha stanziato 57 miliardi di dollari – forse anche di più, su questo punto sono indietro con i dati – a garanzia dei prestiti bancari per il nucleare “civile” e svariati miliardi di dollari sono già stati materialmente “impegnati” per due nuovi reattori in costruzione in Georgia. I reattori sono gli AP1000 della Westinghouse, la società elettrica costruttrice è la Southern Company. Altri progetti approvati di centrali nucleari riguardano South Carolina, Maryland e Texas.

L’ultimissima novità (21 gennaio 2011), non di poco conto, è che Obama ha nominato a capo dei suoi consiglieri economici il CEO di General Electric, Jeffrey Immelt, noto republicano. Stiamo parlando dell’azienda posta al vertice del Complesso militare industrial energetico (MIEC), la più importante produttrice di bombe atomiche del mondo…
Fossi Chicco Testa, per chiudere la bocca ai “detrattori dell’atomo”, semplicemente manderei in onda delle video-interviste con il Messia ambientalista “nero” che sta facendo “risprofondare il Partito Democratico nell’abisso atomico”…

Sulla fragile piattaforma del “nucleare obsoleto” la nostra navigazione, insomma, è destinata ad infrangersi contro la realtà (ripetiamolo ancora: gli USA riprendono a costruire le centrali, la Francia le esporta in tutto il mondo, la Germania non le chiude, nei BRIC conoscono un boom, in Medio Oriente ed in Asia sono ambitissime) e otteniamo il bel risultato di pregiudicare la credibilità delle altre, giuste, critiche, con le quali condanniamo la scelta per le energia atomica.

Le critiche classiche che sentiamo scontatamente ribadire dagli ambientalisti specialistici, ma che si appuntano sul dito, e non sulla luna:
– dalla dipendenza del petrolio passiamo a quella dell’uranio, una risorsa estera ancora più scarsa e perciò destinata a divenire sempre più costosa;
– la tecnologia è troppo complessa ed inaffidabile, può produrre eventi catastrofici e non mette al riparo da rischi sanitari neppure nel normale funzionamento di una centrale;
– il problema delle scorie radioattive non è stato risolto e non è responsabile lasciare questa eredità di grave inquinamento ai posteri;
–  i costi di produzione del KWh elettrico sono difficilmente definibili e comunque superiori rispetto ad altre fonti pulite e rinovabili;
– il contributo alla riduzione delle emissioni di CO2 non è significativo.
Tutto vero, tutto giusto, ma tutto secondario rispetto al nocciolo duro e “violento” del problema che è anche il cuore duro e violento del potere che lo alimenta e con il quale, alla fine, da cittadini che sperano in un futuo operoso di pace, ci si deve,  ci si dovrà per forza confrontare, se si vogliono cambiare le cose, se si vogliono risolvere i problemi alla radice.
Un conflitto perciò imprescindibile che possibilmente, anzi certamente, dovrà rifuggire dall’adottare le sue – del potere militarista e violento – stesse logiche e di misurarsi sul suo terreno preferito della forza distruttiva: non solo perché non è eticamente giusto ma soprattutto perché è stupido.

L’associazionismo ambientalista per lo più lo vediamo evitare il confronto con il nocciolo duro, violento, del potere: che risiede nella disponibilità della forza di intimidazione fisica, nel controllo coattivo sulle risorse materiali (a partire dagli spazi territoriali). Si dispone al compromesso, alla convivenza con esso per coltivare le sue –  bellissime, per carità – alternative parallele a margine. Un po’ quello che ha sempre riservato ai “buoni” la gerarchia vaticana complice del potere temporale: fare i crocerossini a valle, lenire gli effetti, non intervenire sulle cause dell’oppressione e dell’ingiustizia …

Alfonso Navarra – obiettore alle spese militari e nucleari (5 febbraio 2011)

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