Mario Agostinelli – il Fatto Quotidiano
Al posto del carbone: gas o rinnovabili? In un editoriale su Il Messaggero del 4 dicembre, Romano Prodi definiva una svolta storica la firma di 196 Paesi all’accordo di Parigi 2015 sul clima, che prevedeva severi obiettivi e misure concrete per la riduzione della CO2 auspicata da tutti, Cina e Stati Uniti compresi. Tre anni dopo, a Katowice per la Cop 24, quegli stessi firmatari possono annunciare un clamoroso quanto angosciante fallimento. Le convenienze economiche hanno prevalso sugli impegni politici e il limite di 1,5° C di aumento della temperatura sembra allontanarsi.
L’escamotage degli inquinatori per aggirare i patti siglati, sta nel sostituire allo “sporco” carbone il finto “salvagente” del gas fossile,
come se i naufraghi in vista della tempesta scampassero per magia,
aggrappandosi a una ciambella bucata. Bruciare gas comporta un po’ meno
emissioni dell’equivalente in carbone, ma è pur sempre un’aggiunta di
climalteranti in atmosfera. Non doveva essere questa la via d’uscita
dall’allarme climatico certificato da tutti gli scienziati, ma i corposi
interessi del sistema centralizzato delle fonti fossili ha suggerito
trucchi adeguati per continuare a legittimarsi agli occhi dei cittadini
distratti. I negazionisti climatici hanno così estratto
un “jolly” fasullo, tenuto nella manica, per calarlo sul tavolo a
partita aperta. Una carta decisamente differente dagli assi indicati a
Parigi per frenare l’aumento di temperatura e, invece, paragonabile a un
due di picche, quale è la sostituzione del gas al posto del carbone.
Bene, seguendo la metafora, andiamo allora a vedere il mazzo intero, per
capire come mai tutti, governi e cittadini, si dichiarano disposti al
cambiamento, ma alcuni non ne vogliono pagare il prezzo.
1. La domanda di energia si sposta verso Oriente
Lo scenario in termini di domanda globale di energia sta cambiando profondamente. Se solo nel 2000 Europa e Nord America rappresentavano il 40% della domanda mondiale e l’Asia il 20%,
da qui al 2040 questa situazione si invertirà. Se solo 15 anni fa, le
società elettriche europee erano le protagoniste nella top ten mondiale,
ora sei delle prime dieci sono utility cinesi. Inoltre, la composizione del mix energetico globale vedrà salire la quota di rinnovabili dall’attuale 25% a oltre il 40%
nel 2040, non comunque abbastanza da impedire a gas+carbone di rimanere
la fonte principale. Come vedremo avanti, non a causa delle
arretratezze degli asiatici, ma per la pressione formidabile che lo shale gas statunitense, tenuto a basso prezzo, impone sul mercato delle importazioni in Europa e in Asia.
2. Le fonti fossili crescono
Un quadro significativo di quanto accade e probabilmente accadrà lo offre l’International Energy Agency (Iea) attraverso il World Energy Outlook 2018. “Nei
mercati dell’energia, le rinnovabili sono ormai diventate la tecnologia
preferita, costituendo quasi due terzi delle capacità globali
aggiuntive al 2040, grazie al calo dei costi e
all’aumento della domanda derivante dall’economia digitale, dai veicoli
elettrici e da altri cambiamenti tecnologici”. Secondo la Iea, il
prossimo scenario energetico dipenderà dalle scelte politiche
governative in tema di limitazione delle emissioni di CO2. Ma dopo Parigi si è fatto ben poco: dopo due anni sostanzialmente stabili, la CO2 è cresciuta dell’1,6%
nel 2017 e i primi dati suggeriscono un aumento continuo nell’anno in
corso. Il gas naturale è il maggior responsabile della loro crescita.
Nel 2017 gli investimenti energetici globali sono arrivati a 1,8 trilioni di dollari con un calo del 2% sul 2016, ma “dopo diversi anni di crescita, gli investimenti mondiali nelle rinnovabili sono calati del 7% nel 2017 rispetto all’anno precedente e gli investimenti globali combinati nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica sono diminuiti del 3% nel
2017 e stanno rallentando ulteriormente nel 2018. Ciò a differenza
degli investimenti in fonti fossili, che lo scorso anno sono saliti per
la prima volta dal 2014, a 790 miliardi di dollari,
contro i 318 miliardi delle rinnovabili. Il mattatore lo fa il gas
naturale. Lo rivela l’ultimo studio World Energy Investment 2018
dell’Iea che definisce “preoccupante” un andamento che mette a rischio
la sicurezza energetica e gli obiettivi di taglio all’inquinamento.
3. Lo spostamento verso l’elettricità
Il settore dell’elettricità sta vivendo, secondo la Iea, la sua
trasformazione più drammatica dalla sua nascita più di un secolo fa.
“Nel 2017 il settore elettrico ha attratto la maggior
parte degli investimenti energetici, sostenuto da una forte spesa per le
reti, superiore perfino a quella dell’industria petrolifera
e del gas per il secondo anno consecutivo. L’energia elettrica è sempre
più il “carburante” prescelto nelle economie che si affidano in modo
crescente a settori industriali più leggeri e a servizi e tecnologie
digitali”. La sua quota in termini di consumi finali a livello mondiale
sta raggiungendo il 20% ed è destinata a salire.
L’impatto dell’elettrificazione nei trasporti, negli edifici e
nell’industria è una caratteristica irreversibile. L’elettrificazione
apporta benefici, in particolare riducendo l’inquinamento, ma richiede ulteriori misure per decarbonizzare l’alimentazione elettrica.
4. E qui rispunta il gas
Le decisioni finali di investimento per le centrali a carbone da
costruire nei prossimi anni sono diminuite per il secondo anno
consecutivo, raggiungendo un terzo del livello del 2010. Tutto bene? Niente affatto, perché sull’altro fronte fossile il miglioramento delle prospettive per il settore statunitense dello shale gas
sta lanciando questo prodotto in tutti i continenti. Con una base
finanziaria più solida e sostenuto dal proprio governo, si è trasformato
nel maggior concorrente mondiale nel mercato dei fossili con una
produzione che, a dispetto dei danni sull’ambiente, sta crescendo al
ritmo più veloce mai registrato.
Le compagnie e i governi sono alla ricerca continua di fonti fossili
ancora intatte e a minimi costi concorrenziali, in barba alle
preoccupazioni per la temperatura della Terra. La produzione di shale gas
statunitense, che si è già espansa a un ritmo record, dovrebbe
raggiungere più di 10 milioni di barili al giorno da oggi al 2025.
Sarebbe come aggiungere una seconda Russia alla fornitura globale in sette anni, un’impresa storicamente senza precedenti. Per queste ragioni Trump ripudia Parigi e spedisce alla Cop 24 di Katowice
autentiche comparse non certo dotate di poteri. Intanto, qui da noi,
drammi o commedie si trasformano sempre in farsa. Governi, industriali,
giornali e “madamine” di balzacchiana riesumazione duellano con le
popolazioni locali sulla Tav e sulla Tap e si genuflettono alle “grandi opere” senza distinzione alcuna. Ci verranno mai a dire con quale impronta ecologica e con quale combustibile inquinante le faranno funzionare?