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La presidenza di Trump: poco sole, tanto petrolio e… nucleare

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Allo stato attuale delle nomine del suo governo, possiamo già avere idea di quali saranno gli orizzonti energetici della presidenza Trump. E’ un governo di Paperoni e si profila come “il più ricco della storia moderna americana“. La squadra di Bush nel 2001 vantava un patrimonio complessivo stimato in circa 250 milioni di dollari, pari ad appena un decimo della ricchezza del solo Wilbur Ross, il ministro del Commercio scelto da Trump che, secondo Forbes, ha un patrimonio di 2,5 miliardi di dollari.

Todd Ricketts, il vice designato di Ross al Commercio “è figlio di un miliardario ed è comproprietario dei Chicago Cubs”, mentre Steven Mnuchin che Trump ha nominato per guidare il dipartimento del Tesoro, è un ex manager di Goldman Sachs, executive di un fondo speculativo e finanziatore di Hollywood.

Miliardaria anche Betsy DeVos, selezionata come futuro ministro dell’Istruzione: la ricchezza della sua famiglia ammonta a 1,5 miliardi di dollari. Mentre Elaine Chao, prossimo ministro dei Trasporti, è la figlia di un magnate delle spedizioni marittime. Harold Hamm, papabile ministro dell’Energia, è un magnate del petrolio che si è fatto da solo e che figura al 30esimo posto nella classifica di Forbes sui 400 uomini più ricchi d’America.

L’assunzione recente a segretario del Dipartimento di Stato di Tillerson, il Ceo di Exxon (la più grande azienda energetica del mondo). Se si stima la ricchezza del presidente eletto Donald Trump sui 3,7 miliardi di dollari, si può calcolare che i patrimoni del governo che entra in carica valgono più del Pil delle ultime 120 nazioni.

Una squadra siffatta ha presente il business assai più del clima del pianeta. Chris Mooney, Brady Dennis e Steven Mufson, a nome dei gruppi ambientalisti, hanno protestato l’8 dicembre per la nomina di Scott Pruitt, il procuratore generale del petrolio e del gas ad alta intensità dello stato di Oklahoma, a capo della Environmental Protection Agency (Epa), una mossa di aggressione alla pur prudente politica sui cambiamenti climatici del presidente Obama e un segno di svolta dell’eredità ambientale. Pruitt, che è stato anche attivo in gruppi religiosi e ricopre il ruolo di diacono della Prima Chiesa Battista di Broken Arrow, ha trascorso gran parte della sua vita, come procuratore generale, combattendo la stessa agenzia che è stato nominato a guidare.

Pruitt ha difeso la ExxonMobil quando cadde sotto inchiesta da parte dei procuratori generali di Stati più liberali che cercavano informazioni sul fatto che il gigante del petrolio non avesse rivelato informazioni sui cambiamenti climatici. Ora il suo amico siede addirittura al Dipartimento di Stato, con l’applauso dell’Eni di Descalzi e l’assenso di Putin che ha messo in fibrillazione i giacimenti russi in una fase in cui tornerà in crescita il prezzo di petrolio e metano.

L’Oklahoma, il “protettorato di Pruitt, è classificata al quinto posto nella nazione per la produzione di petrolio greggio nel 2014, ha cinque raffinerie di petrolio, 73 impianti di perforazione e ospita Cushing, il gigante di stoccaggio di petrolio da fracking. Appena nominato le quotazioni dell’etanolo per biocarburante sono crollate del 7%.

Ma non è tutto: è partita un’autentica caccia alle streghe. I consulenti per il presidente eletto Donald Trump stanno sviluppando piani per rimodellare i programmi del Dipartimento di Energia, sostenere l’invecchiamento delle centrali nucleari in opera e identificare il personale che ha giocato un ruolo nella promozione dell’agenda per il clima del presidente Barack Obama.

La squadra di transizione ha infatti chiesto all’Agenzia di elencare i dipendenti e collaboratori che hanno partecipato agli incontri sul clima delle Nazioni Unite (Parigi e Marrakesh in particolare) insieme a coloro che hanno contribuito a sviluppare le metriche dei costi sociali dell’emissione di carbonio durante l’amministrazione Obama, utilizzate per la stima e la giustificazione dei benefici per il clima di nuove regole di risparmio e promozione delle rinnovabili.

I consulenti sono anche alla ricerca di informazioni sui programmi di prestito dell’agenzia, per le le attività di ricerca e per fornire la base per le statistiche. In fondo Trump aveva promesso di eliminare gli “sprechi” del governo a favore del pubblico e di annullare l’accordo sul clima di Parigi nel quale quasi 200 paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra. Non sfiniti dal loro attivismo negazionista, gli stessi consulenti del Presidente stanno studiando come rilanciare il piano sospeso di deposito delle scorie di rifiuti radioattivi a Yucca Mountain del Nevada. Se il buongiorno si vede dal mattino…

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Ripartire dagli individui – dal Forum Sociale Mondiale (3)

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Saprà il Forum Sociale Mondiale 2016 di Montreal dimostrare la attualità del Fsm? Se lo chiedeva Ronald Cameron il 17 giugno 2016 di fronte al primo World Social Forum (FSM in italiano) che si svolgeva nel nord del Mondo. A conclusione di una iniziativa certamente in discontinuità con quelle precedenti, che ho avuto l’occasione di frequentare tutte, avanzo qui alcune considerazioni.

 

1. Non credo che l’unico aspetto su cui valutare le differenze rispetto al percorso dei Fsm avviati 15 anni prima a Porto Alegre dipenda dalla latitudine e dalla discriminante dovuta al minore potere politico-economico e sociale detenuto dai paesi dell’emisfero Sud. E’ vero che i partecipanti erano in gran parte locali e che questa volta si è entrati nella “tana del lupo”, a fianco delle sedi delle più potenti multinazionali, dentro le aule delle Università che ospitano e spesso organizzano altrettanti “think tank” del potere globale, in una cultura in cui la tradizione cristiana non ha tratti provinciali o scaramantici, ma ecumenici e a radicamento sociale (ascoltatissimi i seminari sull’Enciclica Laudato Sì e quelli organizzati contro le multinazionali dalla rete mondiale dei comboniani di Zanotelli, oltre a quelli dei giovani scout). Ma è pur vero che la crisi ha confuso anche i sacerdoti del liberismo che si riuniscono a Davos, al punto che l’interpretazione del mondo e del futuro con cui misurarci non ha più ricette di riferimento.

A Montreal le proposte avanzate sono state tutte estremamente concrete, smorzando quel dato di utopia caratteristico delle riunioni passate: in Italia non se ne è fatto cenno continuando a dar d’intendere che l’unica questione riguardante il futuro sia ossessivamente quella della permanenza del governo. Ho potuto ascoltare il premio Nobel Stiglitz sostenere che il referendum istituzionale in Italia, con la limitazione ai poteri del Parlamento, sia un errore di prospettiva e un abbaglio su quali siano oggi le priorità.

2. Il principio su cui si è sempre fondato il Fsm è quello di uno spazio aperto. L’obiettivo condiviso è quello di creare il più ampio fronte possibile al fine di offrire un’alternativa alla globalizzazione neoliberista, attraverso la creazione di nuovi rapporti di solidarietà all’interno e tra i movimenti sociali, su basi indipendenti dai partiti politici. Con Porto Alegre, l’esperienza del PT brasiliano era diventata l’esempio di un approccio dal basso verso l’alto (bottom-up), come espressione politica dei movimenti, ma da questo anno è in atto una profonda crisi di questo partito e la perdita di riferimento esemplare per l’autonomia di una battaglia nel contempo radicale e di massa. Si è così rafforzata, anche di fatto, una opposizione di principio tra spazio politico e movimento, tendente a far diventare il Forum la massima espressione mondiale della società civile, anche se ancora incapace di conquistare uno spazio deliberativo.

3. Se tutto è in ridiscussione nell’organizzazione politica e sociale della partecipazione democratica, il Fsm non poteva esserne esente. Così, il Fsm a Montreal ha limitato il ruolo che le organizzazioni sociali hanno tenuto in passato nello svolgimento dell’evento. Questa volta per la collettività, la legittimità del Forum si è basata sul raggruppamento nel coinvolgimento degli individui e dei movimenti presenti, senza distinzioni di status, fino a mettere in discussione l’abolizione del Consiglio Internazionale, considerata fin qui l’autorità suprema, con una condizione privilegiata.

Considero questa tendenza a “spruzzare” gli attori del Fsm a Montreal in sintonia con quanto si verifica nelle società capitaliste, il cui livello di organizzazione di individui è sempre più alto. Mi sembra tuttavia un salto eccessivo rispetto alle pratiche che considerano l’organizzazione e i soggetti sociali un aspetto primario della politica. Ma, al di là di ogni giudizio, questa mi è sembrata la linea di tendenza, di cui tenere conto: come stabilire una unità politica più attiva, senza forzare organizzazioni e movimenti con modalità di delega.
4. A riprova di questi assunti, non si sono visti a Montreal né politici (tranne – non a caso – Bernie Sanders) né partiti-movimento come Podemos o Syriza o il M5S. Il declino dell’economia suggerisce anche una ricostruzione di una alternativa che non passi necessariamente dagli appuntamenti internazionali e dalle alleanze o scontri con i singoli governi. Paradossalmente, questo approccio mira a provocare una rinascita basata su nuove dinamiche globali incentrate sulla mobilitazione sociale. Certamente non si vuole abbandonare l’enorme patrimonio di quindici anni dei Forum, purché venga aggiornato alle esigenze e pratiche della nuova situazione politica, cominciando magari subito dalla rotazione delle cariche nel Consiglio Internazionale. Nel dibattito finale è apparsa la proposta di creare un procedimento parallelo, una sorta di tribunale dello stato della democrazia in diverse parti del pianeta.

Penso comunque che il Fsm abbia un futuro: diventare la spina dorsale di movimenti e reti che, a loro volta, mobilitano gli individui. La centralità delle organizzazioni mi è sembrata uscire appannata e andrebbe rivalutata con la dovuta attenzione. Promuovere movimenti concertati e il loro piano d’azione risulta la grande sfida di questo primo Forum nel Nord, nell’attuale contesto politico e storico. La fase di preparazione del prossimo appuntamento risulterà quindi perfino più importante dello svolgimento dello stesso per poter dar ragione del nuovo slogan coniato in Canada: Un altro mondo è necessario, insieme è possibile.

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Una politica migliore – dal Forum Sociale Mondiale (2)

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Imperdibile una delle grandi assemblee (sono 20 in tutto) guidate e introdotte da intellettuali, artisti e protagonisti dei movimenti per il cambiamento: quella illustrata in un lungo e lucido intervento da Naomi Klein, canadese, accolta con ovazioni da quattromila partecipanti distribuiti anche in collegamenti esterni. L’intera assemblea, arricchita dalle comunicazioni di altri quattro speaker, è stata dedicata al rapporto tra cambiamento energetico e clima: decarbonizzazione e abbandono dell’estrazione dei fossili sono state le parole d’odine su cui si è sviluppato un ricco dibattito che qui sintetizzo:

Naomi Klein è partita da un duro intervento contro il governo che non ha concesso visti ad attivisti palestinesi e africani di grande notorietà (Aminata Traoré tra questi) e che fa una campagna solo d’immagine, lasciando alle compagnie dello shale gas e delle sabbie bituminose privilegi fiscali e concessioni illegali all’esportazione. Si è chiesta se il breakink point per le emissioni di CO2 possa essere ancora considerato in termini di anni solari e non invece nella prospettiva di quante generazioni potranno subire lo scioglimento dei ghiacci e l’impoverimento delle colture agricole e alimentari. Urgenza è stato il termine più usato. Ha poi ricordato come l’occupazione in settori rinnovabili e nel risparmio moltiplichino per sei volte l’occupazione e come i green jobs diano benefici a tutte le generazioni Molto dura con la politica che è inchiodata sulla distribuzione iniqua di ricchezza e non pone come priorità il cambiamento delle politiche energetiche e la lotta alle multinazionali sostenute dall’apparato militare.

Naomi Klein al Forum Sociale Mondiale di Montréal

Anne Celine Guyon è presidente dei comitati del Quebec che lottano per chiudere i pozzi di shale gas e i giacimenti di sabbie bituminose, in particolare intervenendo con le popolazioni sulla distruzione del paesaggio e sulla pericolosità del trasporto. Anche il sindacato del Quebec si oppone al progetto di estrazione da sabbie bituminose e scisti e la coalizione sociale si è arricchita di comitati locali (oltre 80) mobilitandosi per il blocco dei trasporti boicottando la costruzione di oleodotti. Chiedono rapporti con i movimenti europei perché prevedono che il futuro mercato sia quello del nostro continente. La loro battaglia contro il Ttip (Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti) in tutte le versioni anche bilaterali è intransigente.

Maltè Lianos, argentina, è stata per me una graditissima sorpresa. Rappresenta un nuovo sindacato globale – Trade Unions for Energy Democracy nato nel 2013 a cui partecipano diverse sigle sindacali tra cui la Cgil. Ha come programma la transizione energetica e dichiara che un’energia per il profitto contrasta un’energia per il lavoro. “Occorre superare il concetto di posto di lavoro” ha detto “come prodotto di un’economia a qualsiasi costo. Giustizia sociale ed ecologia vanno di pari passo. Il futuro del lavoro non sta nel business as usual. La transizione non può affidarsi al mercato e perciò bisogna contrastare i pericolosissimi articoli sull’energia dei trattati commerciali, a partire dal Ttip”. Interessantissima la valutazione di come le regole liberiste di mercato impediscono la nascita di sistemi energetici locali, diffusi, articolati, pubblici, fino a negare che i popoli indigeni abbiano loro sistemi energetici naturali. Il Ttip prevede assoluta neutralità per le tecnologie energetiche (il fracking o il nucleare stanno commercialmente sullo stesso piano, senza cenni agli effetti sanitari, ambientali, sociali).

Forum Sociale Mondiale di Montréal

Tadzo Muller, tedesco, ha richiamato la questione nucleare, asserendo che i costi dell’abbandono dei reattori civili ricadranno sulle popolazioni, che la transizione verrà protratta all’inverosimile e che il modello centralizzato – che significa potere – lotterà strenuamente per essere al più integrato, ma non sostituito.

Infine Clayton Thomas Muller, un rappresentante del popolo Manitoba, provincia occidentale del Canada, che parla con nella destra una penna d’aquila, ha con lucida concretezza ricordato come le riserve indigene siano tuttora residui di colonizzazione e come la civiltà occidentale voglia imporsi senza ascolto e senza contaminarsi con altre culture. Facendo riferimento ai giovani che tornano alla terra ricorda che sono la generazione più sensibile al cambiamento climatico, che si rendono conto di quanto aumentino i parassiti e scarseggi l’acqua, mentre si innalzano le temperature. Conta il cambiamento strutturale, profondo, non l’illusione tecnologica. L’amore per la terra equivale al rispetto degli dei.

In conclusione, molta affinità con le riflessioni che sembrano maturare con forza anche nel nord ricco del pianeta e che il mondo scientifico ha ormai fatto proprio. C’è qui una grande predisposizione del mondo religioso (i comboniani hanno tenuto una sessione sulla Cop 21) e una vivacissima attivazione dei giovani e giovanissimi. Molto lontana è invece la compenetrazione dei temi e l’unificazione delle campagne: qui nessuno conosceva le iniziative attive in Italia per le rinnovabili e per un diverso modello energetico, né quelle antiscisto, anti Ttip e contro il nucleare: eppure ci sono stati referendum di successo e grandi manifestazioni, che non riescono a elevarsi a un linguaggio universale. E’ un segno di reale difficoltà a fronte di poteri globali ovunque presenti e ferocemente determinati.

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Il passaggio di testimone – dal Forum Sociale Mondiale (1)

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Strana città Montreal. Un po’ New York con però tutti i grattacieli cuspidati, un po’ England con le pietre e mattonelle rosse che si infilano tra le chiese di arenaria, un po’ Alsazia per il neo gotico grigio delle numerosissime cattedrali, un po’ Buenos Aires per i tanti murales che trovi in ogni spazio pubblico, un po’ Oslo per il retroterra verde collinoso tutto boschi e un po’ Genova per il porto e le locande sul mare e tra i pontili.

Qui il Forum Sociale Mondiale sta giocando una sfida generazionale e geografica importante. Rimane tuttora la riunione più ampia di società civile che cerchi soluzioni di giustizia all’emergenza e all’incertezza di un futuro migliore per la nostra specie. Dal primo Forum (2001) a Porto Alegre ad oggi le speranze si sono affievolite soprattutto in termini di rapporti di forza, ma, fortunatamente, la consapevolezza della crisi del modello di crescita distruttiva è aumentata e gli obiettivi dei movimenti sono meno generali e più alla portata dell’esperienza quotidiana e delle lotte territoriali. Quel che è rimasto del precedente Fsm a guida brasiliano-francese – progettato e vissuto come contrappunto alternativo al neoliberismo di Davos e come forza spendibile per il cambiamento a livello globale anche in relazione alla crescita dei Brics – si sposta nel “centro dell’Impero”, punta anche sulle novità politiche e intellettuali del Nord del mondo, cambia la gerarchia degli slogan e della comunicazione.

Corrispondenza dal Forum Sociale Mondiale di Montreal N°1

In testa nettamente il clima, lo spreco di energie fossili e le nuove tecnologie di estrazione, il diritto all’emigrazione e l’abolizione delle barriere ai diritti umani, la minaccia nucleare e il diritto della pace. L’uguaglianza sociale e la lotta al capitalismo e alla rapina del liberismo sono coniugate attraverso queste lenti. Gli slogan multicolori trascinati cantando per il corteo di apertura il 9 agosto alludevano quasi esclusivamente a questi temi.

E’ buon segno: significa aggiornare un progetto ambientale politico sociale nato ad inizio millennio, rispetto alle emergenze che l’attaccamento al contingente, al parziale, al presente tout court della classe dirigente mondiale, impedisce di affrontare, per non dover spostare il dibattito politico sociale dalla continuità dell’economia dominante al futuro che viene a mancare. Così come è buon segno il cambio di testimone generazionale avvenuto in un luogo mai sfiorato prima dal Forum: la gioventù canadese e statunitense, presente in massa e con creativa allegria al corteo, ha sfilato per oltre un’ora, mescolata ai più anziani fondatori di Porto Alegre, Mumbay, Bamakò, Nairobi, che procedevano riconosciuti, un po’ affaticati dal sole radente, ma sorridenti e applauditi.

Corrispondenza dal Forum Sociale Mondiale di Montreal N°1

Per consolidata esperienza sindacale potrei dare i numeri del grande corteo di apertura che si è snodato lungo le ampie circolari fino alla piazza Centrale di Montreal: 20 per fila, una sfilata di 100 minuti abbondanti, 12 file al minuto più almeno la metà dei manifestanti a scorrere e attendere a fianco del percorso fanno 40.000 circa. Alla fine, in piazza, durante i concerti di 12 band fino a mezzanotte, si alterneranno 50.000 spettatori. Insisto: i presenti erano quasi tutti giovani ventenni (più ragazze che ragazzi e molte unite in gruppi femministi) mentre era completamente svanita la generazione tra i 35 e i 55 anni, non certo rimpiazzati dai resistenti over 60. Dal punto di vista della provenienza: italiani da contarsi sulle dita di una mano, tedeschi forse una cinquantina, un centinaio di francesi organizzati e visibili, gruppi folti di giovani brasiliani contro il golpe presidenziale, africani, profughi di guerra siriani e somali, molte presenze di chiese locali e una folta delegazione del consiglio mondiale dei missionari comboniani. Rappresentanti politici nessuno.

Le attività del Forum sono cominciate ieri, 10 agosto: sono articolate in 1500 iniziative con la presenza di 140 Paesi. Ne renderemo conto periodicamente. Molte le presenze eccellenti: Riccardo Petrella, Omar Barghuti, Bennie Sanders, Garzia Linera, Chico Withaker, Aminata Traorè, Edga Morin, Naomi Klein, per elencarne alcune.

Corrispondenza dal Forum Sociale Mondiale di Montreal N°1

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Le conseguenze di Brexit sull’energia

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Ci vorranno due anni per sostituire completamente gli accordi tra Ue e Gran Bretagna dopo il Brexit e c’è di mezzo una caduta prevista del Pil inglese del 5% medio, che evidentemente il governo inglese vuole diluire nel massimo tempo possibile. Il risultato del referendum di fine giugno può sembrare avere poche implicazioni dirette per l’energia pulita o il mercato elettrico ma è probabile che avrà importanti effetti indiretti – sia perché verrà cambiata la compagine di governo, sia perché sarà inevitabile una battuta d’arresto per l’economia del Regno Unito (si ricordi che Farage auspica un rilancio del carbone a scapito delle rinnovabili, ritenute troppo costose e inefficienti, e parla di sviluppo del fracking).

Gli investitori e le banche esiteranno a immettere nuovi capitali, il che potrebbe causare una caduta innanzitutto nelle nuove attività per le rinnovabili. La caduta della sterlina innalzerà i prezzi degli apparati importati, aumentando i costi dei progetti da finanziare. Non è chiaro se la Bei (Banca Europea per gli Investimenti) rimarrà il più grande fornitore di prestiti per energia pulita per la Gran Bretagna, avendo investito ben 31 miliardi dal 2011 al 2016. Non va dimenticato che gli inglesi detengono il 16% di quote nella banca, ma saranno i cambiamenti nella politica interna ad avere un impatto più grande del voto per quanto riguarda gli investimenti in rinnovabili. Il governo Cameron era impegnato a realizzare la seconda tranche per il contratto per il grande progetto dell’eolico offshore. Difficilmente il progetto non incontrerà ostacoli, e ancor peggio andrà per il solare fotovoltaico e l’eolico onshore.

La previsione, fornita dagli analisti di Bloomberg in comunicazioni riservate, è che, in seguito a Brexit, potrebbero scendere i prezzi del carbone, data una sua maggiore richiesta su impianti anche obsoleti. Ci saranno meno investimenti in nuovi interconnectors transnazionali. Il mercato dell’elettricità della Gb si avvale oggi di 4 Gw di capacità dovuta a interconnessioni con il continente; si stima che per ogni Gw dovuto alle interconnessioni, il prezzo dell’energia in Gb si riduce dell’1 o 2%. Secondo le stesse stime di Bloomberg, la Parity grid sul territorio della Regina aumenterà del 2% rispetto all’attuale 6% per il fotovoltaico e dell’8% per l’eolico. Sarà quindi impossibile per il Regno Unito rispettare la quota del 20% al 2020 fissato dall’Ue.

E’ ormai sicuro che il grandioso progetto nucleare di Hinkley Point, un sito con 3.200 MWe di potenza nucleare con due reattori Epr (European Pressurized Reactor), verrà rimandato o abbandonato. Questo interessa da vicino la società francese Edf, l’industria nucleare Areva, la Commissione europea (che aveva promesso incentivi) e l’apparato militare inglese, tutti coinvolti e interessati al progetto di ben 18,1 miliardi di euro. Edf chiede che Hinkley Point vada a compimento in ogni caso. Ma aumenta il rischio di insuccesso anche di fronte all’interesse manifestato dai cinesi, che si rivolgerebbero altrove al minimo inconveniente (sul “nuovo” nucleare interverremo nei prossimi post). Ad un crollo previsto di domanda di energia, seguirà una riduzione degli impegni sull’efficienza energetica e, complessivamente, si punterà sulla riduzione della CO2 (- 80% al 2050 con una pluralità di sistemi e un largo commercio di quote), più che su aumento sostitutivo delle rinnovabili (che si fermeranno al 15% al 2020).

Molti degli sforzi saranno spostati sulle reti intelligenti e sull’accumulo. Da questo punto di vista ne soffrirà anche l’Europa, visto che un mercato unico digitale che consentirebbe servizi on-line e contenuti applicabili alla distribuzione e al consumo di elettricità deve essere valutato e distribuito in maniera singolare in tutto il continente. Il referendum del 23 giugno ha lasciato fuori dal dibattito i temi energetici e ambientali, che però sono tornati alla ribalta dopo la vittoria del leave. Quale sarà il ruolo di Londra nell’agenda climatica internazionale? Christiana Figueres, segretario esecutivo della Unfccc (United Nations Framework Convention on Climate Change), parlando dell’ipotesi Brexit prima del 23 giugno, era stata molto chiara: “Dal punto di vista degli accordi di Parigi, la Gran Bretagna è parte dell’Unione europea e ha manifestato il suo impegno come membro dell’Ue”. Tradotto: l’eventuale uscita di Londra rimetterà in discussione i patti della Cop21.

Infine, la Brexit obbliga a rivedere anche la nostra strategia energetica, rendendo più marginale il gas e ricorrendo all’acqua sia per produrre biometano che come accumulo, in sinergia con sole, vento e biomasse. Ma, dato che il governo prende gli orientamenti che gli passa il trio Eni-Enel-Terna, ci troviamo con il paradosso di un aumento della bolletta elettrica quando cala il prezzo dei fossili e un’occasione persa per “rilanciare” le rinnovabili, come rivela la conferenza stampa del premier commentata da Francesco Ferrante su La Stampa.

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