dal blog di Mario Agostinelli
Il 22 novembre scorso, il direttore della Autoritè de suretè nucleaire francese (Asn) Pierre-Franck Chevet, in seguito alla scoperta di una crepa nella copertura del reattore sperimentale Epr (reattore ad acqua pressurizzata) in costruzione a Flamanville, comune situato nel dipartimento della Manica nella regione della Bassa Normandia, ha deciso di riconsiderare l’intera “catena di controllo” per rendere l’atomo più sicuro e di chiudere, per un certo tempo, 20 dei 58 reattori nucleari presenti sul territorio francese. Il problema riscontrato riguarda un eccesso di carbonio nella copertura in acciaio speciale nell’impianto in costruzione (dal 2005!) e si accompagna ad altri riscontri di insufficiente affidabilità in alcune centrali in attività.
La Francia, che è il più grande Paese esportatore netto al mondo di energia elettrica e vende principalmente in Italia, Gran Bretagna, Svizzera, Belgio e Spagna, produce per il 75% con l’atomo, con una disponibilità di potenza di 63.200 MW, ma si è trovata costretta a ridurre pesantemente gli obbiettivi di generazione – dal 1998 previsti sopra ai 400 TWh – in seguito alle ispezioni e ai fermi in atto. Data la mancanza di flessibilità del sistema elettrico francese, le interruzioni di massa drenano potenza da tutta Europa oltre a mettere in discussione il “prestigio” del nucleare transalpino nel mondo.
La produzione è in costante calo da maggio, secondo la Reuters, per due ragioni:
1) EDF possiede la maggior parte dei reattori di Francia, ma l’azienda ha gravi problemi finanziari e molti dei suoi progetti hanno un rating inferiore all’investment grade. Con più di 40 miliardi di dollari di debito le azioni di EDF, di cui il governo francese detiene l’85%, sono crollate del 55% nel corso dell’anno passato.
2) Una legge approvata dal governo francese lo scorso novembre allo scopo di sostenere l’energia solare, richiede di ridurre la quota di produzione di energia nucleare a solo il 50 per cento entro il 2025.
In un Sistema interconnesso come quello europeo, l’aumento del prezzo del MWh nucleare fa arretrare l’importazione dalla Francia per i paesi confinanti mentre richiede che quest’ultima sfrutti impianti sottoutilizzati in territorio estero per supplire il calo di produzione. Ciò vale in primis per la Germania che ha diversificato le sue fonti di alimentazione e accresciuto la sua capacità da fonti rinnovabili lasciando sottoutilizzata in parte la sua flotta convenzionale (i prezzi tedeschi sono stati di 33,65 € / MWh contro i 45,60 € / MWh dell’atomo dei vicini).
L’Italia intanto ha aumentato le sue esportazioni del 198% e ridotto le importazioni nette (-62%) dando fiato a quelle voci che al ministero dello Sviluppo vorrebbero la ripresa della produzione da fonti fossili, pur sapendo che la buona diffusione delle rinnovabili (ora contrastata) fa la differenza tra le varie zone del Paese (l’Italia settentrionale è quella che sta soffrendo di più per l’attuale situazione).
E qui si inserisce il colpo a effetto dell’italiano ministero dello Sviluppo economico: riaprire la centrale a carbone di Genova. Era stata spenta questa estate, dopo aver esaurito le 2.200 ore di produzione autorizzate per il 2016. Per quest’anno era in programma la dismissione programmata dall’Enel, con una chiusura anticipata nonostante sulla carta avesse ancora 2.000 ore previste. Ma la colpa è dei Francesi… Il pericolo di carenze energetiche risveglia dunque appetiti che sembravano sopiti. “Una decisione gravissima – dichiara Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia – che usa scuse rese risibili dalla enorme sovracapacità italiana: siamo in grado di produrre quasi 117 GW di energia elettrica a fronte del massimo picco di domanda interna di 60,5 GW”.
La risposta del Gestore dei mercati elettrici (GME) è stupefacente: “La produzione termoelettrica a carbone, la cui quota attualmente è limitata dalla forte competizione con le rinnovabili soprattutto nelle ore vuote, potrebbe tornare a un funzionamento baseload nel medio periodo. Questa possibilità si conferma nell’ipotesi che i mercati delle commodities mantengano lontano lo switching nel merit order fra impianti a carbone e cicli combinati a gas”.
L’uso ormai smodato dell’inglese significa che tra carbone e rinnovabili si torna al punto di prima, con buona pace per la vista sul porto da Sampierdarena, per chi vuole continuare a trivellare in mare, per A2A che brucia lignite in Montenegro, per le nostre bollette in aumento e per l’accordo per la riduzione di emissioni di anidride carbonica COP21, che recentemente è andato in vigore anche con l’approvazione di governo e parlamento italiani.