Archivi tag: agostinelli

Referendum: alta la guardia, ma niente trucchi!

A cura di Mario Agostinelli

Condivido l’analisi e l’allarme di cui si fa portavoce Asor Rosa ed anche il suo sgomento per la inammissibile riluttanza delle forze che dovrebbero difendere la Costituzione ad entrare in partita. La mia convinzione è che ci sono due appuntamenti strategici per mutare corso alla stagione politica: la vittoria di Pisapia a Milano e il successo pieno dei referendum. Berlusconi lo capisce a tal punto da giocare tutto il volume di fuoco di cui dispone sulle elezioni nella capitale lombarda e da oscurare e depotenziare l’attenzione per i contenuti della consultazione popolare, tenuta viva a suo dispetto dal più sconvolgente cambiamento in atto nella biosfera da quando la nostra specie abita il pianeta. Con l’unica osservazione riguardo alle amministrative sul fatto che parliamo troppo poco e distrattamente di acqua e energia, al punto da aver consentito alla Moratti – imprenditrice e legata agli interessi petrolieri – di impunemente impadronirsi di un “sì” tattico-strumentale, mi concentro qui sul 12 e 13 giugno.

Non condivido i toni di soddisfazione, che sono seguiti all’annuncio dell’azzeramento di tutte le norme previste per la realizzazione degli impianti nucleari, peraltro già opzionati nell’accordo Berlusconi-Sarkozy e normati tra ENEL e EDF con l’entusiasmo delle lobbies e degli industriali nostrani destinatari delle commesse. Come non capire che semplicemente tentano di sospendere la partita e, diciamola tutta, di vincerla a tavolino. Si legga bene il dispositivo con cui il Governo vuole togliere di mezzo il quesito: rimanda ad un approfondimento “scientifico” quando saremo “lontani dall’emozione suscitata dal disastro giapponese” (come se non fosse “scientifico” l’accadimento in sé) e ad una valutazione complessiva in sede europea sulla “sicurezza compatibile” – perché di questo si tratta – dei reattori in funzione nell’intero continente. Ovvero, se ne chiuderanno i cinque o sei più esposti, si vareranno alcune misure di sicurezza di effetto mediatico e si proporranno i reattori più recenti (gli EPR già opzionati o gli AP1000 in offerta, con buona pace di Areva e Westinghouse) come compensativi. E chi meglio di un governo Berlusconi-Tremonti, con quella maggioranza parlamentare che ci fa inorridire tutti i giorni, potrebbe far digerire, in base ad un accordo tra governi europei non certo propensi alla fine dell’atomo, la chiusura di un reattore “insicuro” vicino alle Alpi con l’apertura di uno “nuovo fiammante” sull’asta del Po? E’ la democrazia diretta che oggi fa più paura ed è essa che va in tutti i modi esorcizzata, con l’obiettivo aggiuntivo di separare le sorti della privatizzazione dell’acqua dall’accesso incentivato alla fonte solare.

E’ qui che mi sento di avanzare una proposta. Al di là dell’esito dei trucchi governativi (e non è detto ancora che il referendum venga definitivamente aggirato) gettiamoci nella campagna referendaria parlando insieme di acqua e sole, confermando una lettura della trasformazione epocale che la politica non vuole cogliere, ma la società ha capito. Teniamo tutti gli appuntamenti congiunti, raccontiamo come non si possa riconquistare l’acqua pubblica, senza tener conto della cogenza della crisi climatica, del consumo dell’”oro blu” per tradurre il calore della combustione dei fossili e della fissione dell’uranio in consumi innaturali, senza chiarire che, se la sosteniamo col consenso popolare, siamo alla più grande svolta di politica economica dopo lo sconquasso liberista, che prevede il ritorno nel campo dei beni comuni del sole e dell’acqua, due fonti di vita, di giustizia climatica e sociale, di lavoro qualificato e di occupazione dignitosa.

Hermann Scheer, il compianto parlamentare della SPD che più di ogni altro ha politicamente creato le condizioni per fare della fonte solare l’alternativa concreta ai fossili e all’atomo, ripeteva che era giunto il momento per cui le leggi della fisica avrebbero dovuto mettere da parte quelle dell’economia liberista. E sarebbe stato un entusiasta sostenitore dei Sì nella consultazione popolare del 12 e 13 giugno per proiettare acqua e sole in una coerente e unitaria dimensione collegata alla vita. Facciamo allora deflagrare nell’opinione pubblica i contenuti comuni ai tre quesiti, che rappresentano una svolta nei rapporti proprietari e nella democrazia economica non dissimile da quanto il divorzio rappresentò per la valorizzazione della laicità. Parliamo della sopravvivenza della specie e del diritto alla vita e della possibilità di sottrarli all’economia per ricomporli nel quadro delle leggi della natura.

Quando la notte guardiamo le stelle e la luna risplende nel buio, noi osservatori – non certo indispensabili per l’esistenza di quelle meraviglie – dovremmo ricordare che l’Universo si sta espandendo e raffreddando da miliardi di anni. È solo perché è trascorso tanto tempo dal Big Bang e tutta l’energia allora concentrata si è conservata, ricondensandosi talvolta e diluendosi in uno spazio immenso nonché trasformandosi attraverso innumerevoli processi dispersi, che è stato possibile che su un Pianeta del sistema solare sia apparsa la vita che si è evoluta e differenziata fino ai nostri giorni e che verrebbe meno senza acqua o con troppo consumo istantaneo di energia accumulata nei millenni quando l’uomo non abitava ancora la terra.

La fruizione efficiente della fonte solare, il ritorno alle rinnovabili, la dimensione territoriale e cooperativa della produzione di energia, l’integrazione di terra, aria, fuoco e acqua nei cicli naturali, la riduzione del consumo di merci, la sufficienza cui improntare gli stili di vita, sono una necessità. Abbiamo modo di ribadirlo senza dover seguire l’agenda infernale di Berlusconi. Facciamolo, senza adattarci in patria a improbabili vittorie che hanno il sapore della furbizia che ci fa vergognare all’estero.

Condividi

29 aprile: serata a Mozzate (CO)

Venerdì 29 aprile 2011, ore 21.00

presso il Salone del Centro Giovanile, piazza S. Alessandro 1, Mozzate (CO)

l’Associazione “Amici per il Centrafrica Onlus” organizza una serata di approfondimento sulle tematiche di Energia e Ambiente

Relatore: Mario Agostinelli, portavoce del Contratto Mondiale per l’Energia e il Clima

Info: www.amicicentrafrica.it

SCARICA IL VOLANTINO (PDF, 614 Kb)

Condividi

20 aprile: incontro pubblico a Varese

Sinistra Critica organizza

NO al NUCLEARE

Mercoledì 20 aprile 2011, ore 21.00

Istituto interpreti e traduttori, Via Cavour 30, Varese

Dopo l’ultimo disastro causato dall’energia nucleare a Fukushima (Giappone), referendum contro il nucleare del prossimo 12 giugno, energie alternative… Perché le nostre vite devono valere più dei loro profitti

Relatori: Nadia De Mond, Coordinamento nazionale Sinistra Critica – Mario Agostinelli, Responsabile comitato per il referendum contro il nucleare.

Presenta: Stefano Ferrario

SCARICA IL VOLANTINO (PDF, 94 Kb)

Condividi

Referendum del 12 e 13 giugno

Intervista a Mario Agostinelli apparsa su Zero Emission

Domenica 12 e lunedì 13 giugno sono date fondamentali per il futuro del nostro paese, da annotare bene in agenda. Perciò, si spera che all’invito di andare al mare gli italiani rispondano esercitando il proprio diritto ad esprimersi su questioni cruciali come la gestione dell’acqua e l’energia nucleare

Sì all’acqua pubblica, no al nucleare e al legittimo impedimento. Ecco, in sintesi, le questioni sulle quali sono chiamati ad esprimersi i cittadini italiani ai referendum di domenica 12 e lunedì 13 giugno. Tematiche che per quanto possano apparire eterogenee, hanno invece in comune la necessità di riportare al centro del dibattito politico il “bene comune” e gli interessi dei cittadini italiani al posto di quelli di pochi, o peggio, di uno solo. I referendum sull’acqua e sul nucleare forniscono inoltre a noi tutti l’occasione di “ridare supremazia alla vita sull’economia” e “consentono alla società di ristabilire l’obiettivo primario della sopravvivenza della specie umana attraverso la conservazione di un rapporto con la natura”. Lo spiega a zeroEmission Mario Agostinelli, ex consigliere regionale lombardo, un passato da ricercatore chimico-fisico presso l’Enea e l’Ispra prima di ricoprire la carica di segretario generale della Cgil Lombardia, oggi portavoce del Comitato Vota Sì per fermare il nucleare in Lombardia e membro della presidenza del Comitato nazionale, impegnato come al referendum del 1987 per far passare il ‘no al nucleare’, ma questa volta con la ferma intenzione di ricacciare indietro definitivamente le tentazioni nucleariste di questo e dei futuri Governi.

Agostinelli, perché è importante andare a votare ai referendum del 12 e del 13 giugno?

Perché si tratta di un’occasione straordinaria per ridare supremazia alla vita sull’economia e permettere alla società, dopo la sbornia liberista che dura ormai da tanto, troppo tempo, di ritrovare finalmente un rapporto con la natura ristabilendo come obiettivo primario il recupero di uno stile di vita in armonia con i tempi biologici.

Come possono favorire i referendum il raggiungimento di questi obiettivi?

Ferma restando anche l’importanza della consultazione sul legittimo impedimento, in questo senso assumono particolare rilievo i due referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare. Il primo riaffida infatti alle istituzioni, che fanno capo ai cittadini, il governo di un bene comune che non può dipendere dal mercato. Con i due quesiti si punta a definire in maniera inequivocabile e irreversibile il carattere non commerciale, non economico, e quindi l’aspetto di proprietà comune dell’acqua, anche come bene da tramandare alle generazioni future. Il referendum contro l’energia nucleare, invece, abroga tutte le disposizioni, approvate tra l’altro senza nemmeno un dibattito pubblico e imposte al Parlamento attraverso il voto di fiducia, che permettono la produzione di energia da processi nucleari nonché lo stoccaggio delle scorie radioattive.

La catastrofe nucleare di Fukushima sta avendo un grande impatto sull’opinione pubblica mondiale. Ha fatto rinascere tutti i dubbi sulla sicurezza di questa tecnologia. Tanto da indurre molti governi, a partire dalla Germania, a un ripensamento sullo spazio da destinare all’atomo nei programmi energetici. Persino il Governo italiano ha detto che è necessaria una ‘pausa di riflessione’ sul piano nucleare ed ha approvato una moratoria di un anno. Come interpreta questa mossa?

E’ un passo puramente tattico. Il suo obiettivo è, per così dire, far passare la nottata. Il Governo non ha nessuna intenzione di fare dietrofront sull’atomo. Sono in gioco importanti interessi economici. Il messaggio che si vuole far passare è che non valgono le decisioni prese sull’onda dell’emotività. Non c’è dubbio che il Governo tornerà al nucleare quando sarà passata l’emergenza nucleare di Fukushima. Ma intanto la cosa più importante è svuotare di significato il referendum. In questo senso, la moratoria è una mossa insidiosa che serve a togliere peso alla decisione dei cittadini che, si dirà, è stata presa sotto l’influenza della tragedia giapponese.

Anche questa volta, per una triste coincidenza, il referendum avrà luogo in seguito a una catastrofe nucleare di dimensioni planetarie. Nel 1987 a poco più di un anno dal disastro di Chernobyl, questa volta a tre mesi dal dramma di Fukushima. Già nel primo caso i cittadini italiani hanno già fatto sapere cosa pensano dell’atomo, cosa significherebbe ora una sua nuova bocciatura?

Il messaggio sarebbe chiarissimo: nessuna possibilità di ritorno del nucleare nel nostro paese, tranne al massimo nei settori della ricerca. Ed è questo quello che più teme il Governo, che invece ha puntato molto sull’atomo e sul quale ha incentrato gran parte dei suoi interessi economici, non certo del paese.

Rispetto a Chernobyl, qual è la lezione che dobbiamo imparare da Fukushima?

L’elemento nuovo è un ribaltamento completo di posizione: lo dimostra la linea che stanno adottando tutti i Governi che hanno a che fare con il nucleare, in questo senso più sfortunati di noi che al momento non abbiamo questo problema: cioè riuscire a spiegare il problema posto dall’incidente di Fukushima, che non lo dimentichiamo è avvenuto nel paese più avanzato tecnologicamente al mondo. Il che impone di considerare il nucleare sotto il suo aspetto più caratteristico: cioè che esiste qualcosa di intrinseco, che fa sì che l’incidente sia un elemento fisiologico, non patologico, a questa tecnologica.

Vuol dire che l’incidente fa parte della natura del nucleare?

In realtà il reattore nucleare è lui stesso un incidente latente, o meglio, un incidente in corso che viene governato, moderato con mille accorgimenti, tenuto sotto controllo dai dispositivi di sicurezza, che normalmente si estrinseca lentamente nella durata di vita di una centrale, ma che in caso di errore umano o di un cataclisma come lo tsunami giapponese può sprigionare in pochi, brevissimi istanti tutto il suo potenziale distruttivo, danno luogo a una catastrofe il cui impatto non è assolutamente paragonabile a nessun altra forma di inquinamento poiché le sostanze sprigionate hanno un carattere assolutamente estrinseco e incompatibile alla vita sulla terra, che la natura stessa non riesce assolutamente a disperdere e i cui effetti risultano persistenti nell’arco di migliaia di anni.

Ma perché allora si continua a correre questo rischio?

In realtà il nucleare favorisce una sorta di continuità con il modello energetico oggi predominante in quanto risponde alle stesse dinamiche geopolitiche (presidiare con gli eserciti le miniere di uranio non è poi molto diverso da farlo per i giacimenti di petrolio) ma consente anche l’utilizzo delle stesse tecnologie. Che si utilizzi petrolio, gas, carbone o uranio l’obiettivo è lo stesso: produrre calore per fare bollire l’acqua in un pentolone, il cui vapore sarà poi utilizzato per fare girare una turbina elettrica. Questa continuità conviene dunque ai grandi gruppi energetici. Peccato che non si possa dire la stessa cosa per i cittadini. Basti pensare che oggi per realizzare 1,6 GW ci vorrebbero 8 miliardi, è una stima di Moody’s. Ma i costi sono in costante crescita. In Italia c’è poi l’aggravante dell’incapacità da parte del Governo di una visione di lungo termine. Il passaggio alle energie rinnovabili comporterebbe invece l’abbandono di un sistema centralizzato a favore di uno decentrato: una vera e propria rivoluzione in cui la generazione di energia distribuita oltre a togliere il controllo della produzione di energia dalle mani di pochi, presenterebbe anche anche un altro inconveniente per i fautori dello status quo: richiederebbe un sistema di distribuzione dell’energia fatto di reti completamente nuove sul territorio. Un modello assolutamente incompatibile con quello attuale.

Condividi

Il tramonto del nucleare

Da Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2011

Fukushima segna la fine del ciclo del nucleare civile. Il Giappone ha rappresentato nel mondo del dopoguerra l’eccellenza nell’uso consapevole della tecnologia; esibisce una tradizione secolare di potenza industriale; mantiene un’efficienza degli apparati statali che gli consente di resistere a una catastrofe altrove insostenibile e di ricostruire in quindici giorni tre quarti delle autostrade squarciate dal terremoto. Eppure l’incidente nucleare più grave mai avvenuto – e in ogni caso possibile, perché intrinseco al processo di fissione – esce di controllo e assume contorni sempre più spaventosi. Le difese messe in atto sembrano richiamare un passato di guerra: interventi d’emergenza disperati, reticenza voluta nell’informazione, sacrificio di vite umane e di tecnici eroi come kamikaze. La linea di difesa di chi continua a proporre “reattori sicuri” è quella della ridondanza dei sistemi di sicurezza (tripli circuiti, contenitori ultraresistenti, software sofisticatissimi) che renderebbero le macchine fornitrici di energia elettrica sempre più complesse e costose.

L’avventura del nucleare si scontra così con l’insostenibilità dei costi e con la progressiva maggiore convenienza delle altre fonti, in particolare quelle rinnovabili. Riporto qui un’analisi convincente delle “curve di apprendimento” del nucleare statunitense e francese e del fotovoltaico (l’energia oggi più cara). Si definiscono economie di apprendimento quelle che consentono, coll’affermarsi di una tecnologia e all’aumentare del volume di produzione cumulato di un prodotto, di osservare una riduzione dei costi medi unitari. Si presume che le competenze accumulate dalle imprese durante la loro permanenza sul mercato permettano un miglioramento continuo dei processi di produzione, dell’allocazione delle risorse e via dicendo. Generalmente, con l’affermarsi di una tecnologia, scendono i costi. È così per i microchip, per le automobili, per l’industria del vetro, per le centrali a gas, per l’energia eolica e per il fotovoltaico.

Esistono tuttavia rari casi di apprendimento ‘negativo’ dove i costi crescono, anziché diminuire, con la produzione cumulata. È il caso, sorprendentemente ignorato, dell’industria nucleare – qui analizzata per i reattori costruiti negli Usa (curva blu) e per quelli installati in Francia (curva rossa) – dovuto alla complessità crescente del sistema e al ciclo del combustibile, per cui non è ancora fattorizzato in maniera convincente il trattamento delle scorie. Proviamo quindi ad accostare le curve di apprendimento di nucleare e fotovoltaico fornite dallo studioso austriaco A. Gluber. L’andamento parla da solo.

Alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni, la relazione tra sicurezza nucleare, tecnologia degli impianti e risultati porterebbe le curve totalmente fuori controllo. Nel giro di un anno abbiamo la possibilità di installare più capacità di generazione con le rinnovabili di quanto permetterebbe il programma nucleare italiano in 10 anni. Che fare? Moratoria o un razionale De profundis?

Condividi