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Arci in festa 2011

Dall’1 al 5 giugno la festa dei circoli Arci tra teatro, musica e dibattiti pro-referundum

E’ la festa dei circoli Arci delle province di Milano, Monza e Brianza, Lodi. E quest’anno vanta un programma densissimo: 5 giorni a Carroponte tra teatro (quello narrativo civile di Ascanio Celestini che sarà in scena mercoledì 1 giugno e il teatro canzone che parte il 5 giugno con il collettivo di comici milanesi Democomica e caratterizzerà tutte le domeniche di giugno), musica e presentazioni di libri che saranno occasione per intrattenersi e discutere sui temi del referendum previsto per il 12 e il 13 giugno prossimi.

Si parte mercoledì 1 giugno alle ore 21.30 con il dissacrante e tagliente nuovo spettacolo di ASCANIO CELESTINI “La fila indiana -Il razzismo è una brutta storia”. (Ingresso 10€). Chiude la serata un’extra festa al Maglio a cura dell’Arci Bitte.

Si prosegue giovedì 2 giugno alle ore 21.00 con la presentazione della compilation “Esistere – Resistere” prodotta dall’Anpi Tom Benetollo di Milano. Si tratta di una nuova sezione dell’Anpi nata da poco in seno al comitato provinciale dell’Arci di Milano e intitolata ad un grande antifascista, Tom Benetollo. E’ fatta di giovani donne e giovani uomini che vogliono mantenere viva una memoria che ha sin troppe falle. Da questa sezione nasce il progetto della compilation ESISTERE <- RESISTERE volta ad individuare artisti e brani idonei per vocazione e spirito a rimettere in circolo i valori della Resistenza, modernizzandoli e slegandoli da un immaginario ormai logoro. L’obiettivo di questa compilation è quindi quello di porre luce sulla resistenza “contemporanea” , che è quella che viene fatta da chi porta avanti discorsi artistici di qualità in un mondo di brutture, e da chi in tempi di individualismo sfrenato pone l’accento attraverso la propria pratica artistica su problematiche sociali o comunque sulle dinamiche io-società in un’ottica di analisi. Il tutto anche per far sì anche gli Anpi non muoiano insieme ai vecchi partigiani ma ringiovaniscano e si riattualizzino. Sul palco del Carroponte saliranno alcune perle estratte da questo lavoro: VOCI DI MEZZO, FABRIZIO COPPOLA, FRISER e NEMA PROBLEMA ORKESTAR. L’ingresso alla serata è gratuito.

Venerdì 3 giugno alle ore 21.00 presso la Libreria Interno4 Mario Agostinelli presenta il libro “Cercare il sole, dopo Fukushima” Agostinelli, Tronconi e Meregalli, Ediesse editore. “Si tratta di uno sforzo compiuto da me, Tronconi e Meregalli (gli autori) per affrontare la svolta di politica energetica necessaria e urgente su basi rigorose e, credo, innovative” dice Mario Agostinelli. “L’accento è spostato sulla scelta solare, ma l’approdo è “conquistato” sulla base di considerazioni e bilanci spesso sottaciuti o, addirittura, non portati convenientemente alla luce. Il lavoro ha una attenzione interdisciplinare, non strettamente specialistica, con finalità in parte didattico-formative e in parte volutamente informative, – conclude – data la cortina di silenzio che si è fatta calare sui referendum”.

Alle 22.30 la serata prosegue con il live di MIXER 102 Un’iniezione di Hip Hop, New Wave e Reggae, con la formazione live di un gruppo che registra in un box (quello n.102) di Cusano Milanino. I componenti del gruppo: Gianpaolo Giannattasio – voce; Nicola Perrone – chitarre; Claudio Marra – tastiere & synth ; Francesco Abisso – basso elettrico; Alessandro Angiulli – batteria.

A chiudere la serata la Big Orkestra del Crams (Centro Ricerca Arte Musica Spettacolo) di Lecco: una compagine orchestrale costituita da una quindicina di elementi che negli ultimi due anni lsi è concentrata su il repertorio della “Dedication Orchestra” una formazione costituita come un’omaggio ai musicisti esuli sudafricani nucleo del “The Blue Notes”. La “Dedication orchestra” si appropria delle radici africane, unendole con il jazz europeo, la musica colta d’avanguardia creando una miscela di ritmi e suoni veramente unico. Per l’occasione sul palco due componenti della “Dedication” originale: Lol Coxill e Steve Berenson.

Sabato 4 giugno a partire dalle 21.00 è prevista la presentazione del libro di Michela Bianchi- “Acqua, la prima narrazione “- MC Editrice. Interviene Marco Manunta, magistrato, esperto di beni comuni, autore di vari testi della collana sull’acqua MC, autore dell’ultimo libro ” Uno statuto per l’acqua a portata di voto”. Previsto un intervento dal palco di Roberto Fumagalli del Comitato italiano sul Contratto mondiale dell’Acqua. Il libro di Michela Bianchi percorre diversi sentieri e si articola su diversi piani di lettura, in un intreccio incessante di immagini e testi, dalla narrazione mitica agli appunti di Leonardo da Vinci, dalle leggende alla poesia, fino ai dati della realtà economicosociale.

La serata si chiude alle 22.30 con un doppio concerto live: HERBADELICI – funky (a cura del circolo Arci Groove) e e a seguire NEBEL – tra cantautorato folk e sonorità etniche, tra guizzi swing e sferzate rock.

Domenica 5 giugno Arci in festa 2011 chiude con l’inaugurazione della rassegna “ORGOGLIOSAMENTE TEATRO CANZONE”, una rassegna curata da Arci La Casa 139 e il circolo Cicco Simonetta. La rassegna, dedicata a una forma d’arte che ha segnato la storia di questo Paese e che dovrebbe diventare un bene culturale da tutelare e valorizzare, prevede un appuntamento domenicale gratuito per tutto il mese di giugno: ci sarà da ascoltare, da ridere, da piangere, da riflettere. E poi di nuovo da ridere. Ci sarà tutto quello di cui oggi abbiamo bisogno.

Domenica 5 giugno alle ore 21.00 si parte col collettivo di comici milanesi DEMOCOMICA. Uno spettacolo di cui Milano è sfondo e meta perché l’intento è quello di raccontarla, Milano, in una serata che le somigli: comica, elegante, intrigante, cinica, leggera, periferica, tradizionale e musicale. L’ingresso è gratuito.

La festa dei circoli sarà occasione per conoscere meglio il tessuto associativo che caratterizza l’ARCI e le attività che alcuni tra i nostri circoli svolgono da anni nel territorio e con il territorio. Sono previsti stand con materiali informativi e attività pomeridiane a cura di alcuni circoli. Tra queste le attività a cura del circolo Club Giallo, laboratori culinari per bambini a cura di Arci Zaghridì, attività giornaliere di benessere a cura del circolo Centro del Benessere.

ARCI IN FESTA 1-5 GIUGNO 2011 CARROPONTE, Via Granelli 1, Sesto San Giovanni

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Appuntamenti del fine settimana

Venerdì 13 maggio 2011 – ore 20.30
presso Casa del Popolo, Viale Stazione 31, Bellinzona

LA SINISTRA ITALIANA IN SVIZZERA VOTA 4 SI’
Incontro pubblico sui referendum

Volantino 13 maggio

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Sabato 14 maggio 2011 – ore 14.30-18.00
presso Auditoruim La Piastra, Sondrio

ACQUA, SOLE, VENTO E LEGITTIMO IMPEDIMENTO
Incontro pubblico sui referendum del 12-13 giugno

Volantino 14 maggio

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Chi non vuole il fotovoltaico e perché

A cura di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

È davvero straordinario quanto successo nel nostro Paese in materia di energia in questi mesi. Nessun altro Paese sarebbe stato in grado di redarre una legge per recepire una Direttiva Europea che ha il solo scopo di favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili, bloccandone la crescita. Col Decreto del 3 marzo scorso, il ministro Romani è entrato a gamba tesa sulle società del settore in maniera brutale: su un campo di calcio sarebbe stato espulso, ma tutto è consentito dentro l’agone politico italiano ai rappresentanti delle lobbies per cui presta la sua opera il Cavaliere. Il Decreto era stato preceduto da una campagna stampa che da più di un anno si accanisce sulle energie pulite. Una propaganda che oggi si concretizza nell’allestimento puntiglioso da parte del Governo di un percorso a ostacoli nei confronti dell’espansione delle fonti naturali. A vantaggio di una stabilizzazione dell’impiego delle fonti fossili e del rilancio del nucleare.

Confindustria ha così lanciato un fuoco di sbarramento, accusando le imprese fotovoltaiche di desiderare il metodo tedesco ma con incentivi all’italiana e insinuando che volessero “nascondere l’interesse a garantirsi inaccettabili rendite sulle spalle dei cittadini e dell’industria”. Detto dallo staff della Marcegaglia, che il 21 febbraio 2011 ha inaugurato un impianto di ben 3 MW a Taranto sui suoi stabilimenti – assicurandosi così per vent’anni con il vecchio conto energia quelle che definisce ora “inaccettabili rendite” – fa una certa impressione! Anche Enel ha perorato la causa per la riduzione degli incentivi, scandalizzandosi per gli oneri in bolletta, ma ignorando deliberatamente che gli incentivi per le fonti rinnovabili pesano per meno della metà del totale degli oneri di sistema che compongono la bolletta elettrica: nel 2010 circa 2,7 miliardi alle rinnovabili su un totale di oltre 5,8 miliardi di euro, con il povero fotovoltaico a pesare per 826 milioni. Perché Confindustria ed Enel non puntano invece il dito contro un miliardo di euro di IVA che in maniera del tutto scorretta lo Stato incamera sugli oneri? Nessuno ricorda poi che ogni anno milioni di euro li paghiamo per il vecchio nucleare (285 milioni nel solo 2010: più del costo del fotovoltaico nel 2009) e che si sono versati 1,2 miliardi di euro per il noto CIP6 che, seppur in esaurimento, ancora nel 2010 incentivava gli scarti di raffinerie.

Confartigianato ha spiegato che “gli incentivi alle rinnovabili hanno fatto nascere 85.000 imprese e 150.000 posti di lavoro, a differenza di altre forme di agevolazione ben più costose che di fatto si traducono in meri sussidi senza generare né sviluppo né occupazione”. Prendiamo ad esempio i 3,3 miliardi l’anno di minor gettito nelle casse dello Stato dovute ad agevolazioni tariffarie su energia e carburanti. Di queste, 1.6 miliardi sono per il trasporto aereo, 817 milioni per l’agricoltura, 492 milioni per il trasporto marittimo. Oppure consideriamo le industrie energivore che non pagano accise sull’energia per 241 milioni di euro l’anno (e si tratta delle stesse industrie che accusano il fotovoltaico per i suoi incentivi!).

Ma c’è un ulteriore motivo per cui il fotovoltaico vede una dura opposizione, in particolare da parte del mondo dei produttori di energia elettrica (Assoelettrica): il suo effetto sul mercato elettrico, perché si comincia ad intuire che questa fonte riduce il prezzo dell’energia elettrica. Pochi italiani sanno che con la fine del monopolio statale e la trasformazione di Enel in una società per azioni, i produttori di energia si sono moltiplicati e per definire il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica è stata creata una Borsa elettrica, dove vengono scambiate quantità stabilite di energia e vengono definiti i programmi di immissione e di prelievo di elettricità della Rete di Trasmissione Nazionale, gestita da Terna. Il Gestore del Mercato Elettrico (GME) riceve le offerte, ora per ora, fino alla saturazione del fabbisogno previsto per il giorno seguente. Per ogni ora del giorno però, l’energia elettrica viene acquistata in blocco al prezzo più alto offerto in quell’ora. Ciò significa che chi ha “piazzato” 100 MWh prodotti col carbone (la fonte fossile meno costosa) riceve lo stesso prezzo (al MWh) di chi ha visto accogliere la propria offerta per una quantità pari a 10 MWh prodotta con un turbogas a costi molto superiori. Nelle ore di punta sono gli impianti più flessibili e più costosi (come i turbogas) a dover essere attivati e ad alzare i prezzi. A meno che ci sia disponibile una fonte calmierante. Ora, siccome il fotovoltaico funziona negli orari di punta ed ha un costo di produzione “marginale” (di esercizio) molto basso, entra in concorrenza con queste fonti fossili più costose, abbassando il prezzo orario e modificando così la formazione dei prezzi. Così, volumi crescenti di energia a costo marginale trascurabile (eolica e solare) spostano la curva di offerta e provocano una riduzione del prezzo di equilibrio. Francesco Meneguzzo di ASPO Italia stima che 1.000 MW di solare fotovoltaico sono in grado di far risparmiare 500 milioni di euro in bolletta, ovvero di pareggiare il relativo costo attuale di incentivazione (pari a circa 450 milioni), così demonizzato da Romani, Confindustria, Enel e compagnia. Il che significherebbe che il fotovoltaico, anche con il vecchio conto energia, si ripaga da sé e in più produce lavoro e fatturato (valutato dal Politecnico di Milano in 7,6 miliardi di euro nel 2010).

Un governo che pensa ai propri cittadini saprebbe da che parte stare. Ma è lo stesso governo che si è prefisso di far saltare il referendum contro il nucleare e di ammazzare le rinnovabili.

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Il nucleare che non c’è ci costa già 4 miliardi

Da Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2011

Questa al cifra stimata per il riprocessamento del combustibile dalle scorie. Un lavoro pericoloso cui gli Usa hanno rinunciato. Ancora più esorbitanti i costi di smantellamento delle vecchie nucleare. Quasi tutte quelle attive oggi risalgono agli anni 70 ed entro il 2020 verranno chiuse.

Tra i  molti dubbi una cosa è certa: il costo che gli italiani stanno già pagando per il “riprocessamento” del combustibile esausto e per il decommissioning (smantellamento) dei loro impianti nucleari non più funzionanti.

“Riprocessare” il combustibile significa, infatti, separare dalle scorie le parti riciclabili: l’uranio non ancora utilizzato e soprattutto il plutonio formatosi nel combustibile stesso durante il funzionamento del reattore. Si tratta di lavoro “sporco” perché presenta rischi di proliferazione dovuti al fatto che parte del materiale sia sottratto senza che ve ne sia evidenza. Per evitare questi rischi gli Stati Uniti sino ad oggi hanno scelto di non riprocessare le loro scorie, considerando il combustibile come un vero e proprio rifiuto a perdere. Molti altri Paesi sono in una situazione di attesa, cosicché – secondo i dati forniti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, l’Aiea – solo un terzo del combustibile nucleare irraggiato prodotto sino a oggi nei reattori di tutto il mondo è stato riprocessato, mentre tutto il resto è stoccato, in attesa dello smaltimento o della decisione circa il suo destino.

L’Italia sceglie di trattare le scorie

A differenza di questi Paesi, l’Italia ha sposato, per il combustibile esausto proveniente dagli impianti oggi fermi, la scelta del riprocessamento, una strada rischiosa e costosa, tant’è che per onorare il contratto con la francese Areva, dal primo gennaio 2007 è stata triplicata la quota della componente A2 (nella bolletta), i cosiddetti “oneri nucleari”, che hanno comportato, come dice l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, “un aumento dell’ordine di un punto percentuale sulla tariffa domestica”. Al netto di imprevisti, la stima degli oneri complessivi del programma di riprocessamento trasmesso all’Autorità, a dicembre 2006 e confermato a marzo 2007, ammonta a 4,3 miliardi di euro, comprensivi, sia dei costi già sostenuti dal 2001 a moneta corrente, sia di quelli ancora da sostenere a moneta 2006.

La stima dei costi per la chiusura del ciclo del combustibile è articolata in tre distinte partite:

1. la sistemazione del combustibile irraggiato delle centrali di Trino, Caorso e Garigliano ancora stoccato in Italia, del quale è previsto l’invio in Francia per il riprocessamento, con ritorno dei prodotti post-ritrattamento al deposito nazionale

2. la sistemazione della quota parte Sogin del combustibile della Centrale di Creys-Malville, per la quale è prevista la cessione onerosa a EdF, con la conseguente presa in carico da parte di Sogin del relativo plutonio presso gli stabilimenti della Areva e quindi la successiva cessione onerosa di detto plutonio

3. la sistemazione del combustibile irraggiato che, a fronte di contratti già stipulati, è stato già inviato in Inghilterra e i cui prodotti post-trattamento saranno trasferiti direttamente al deposito nazionale

Devono poi aggiungersi i costi per le attività tecniche a carattere generale, di supporto, funzionamento sede centrale e imposte. Tutti questi costi sono oggi fatti pagare agli utenti con la bolletta dell’energia elettrica.

Smantellare le centrali

La grandissima maggioranza delle centrali nucleari oggi operanti nel mondo sono state ordinate negli anni ’60 e ’70 (quelle ordinate dopo il 1979 sono pochissime) e sono entrate in servizio negli anni ‘70 e ’80. All’inizio si assegnava a una centrale nucleare una vita produttiva di trent’anni, estesa poi a quarant’anni. Entro il 2020 tutte o quasi le centrali nucleari oggi attive nel mondo compiranno quarant’anni e dovrebbero essere smantellate.

Nel caso italiano gli esperti sostengono che i costi di decommissioning (comprensivi anche del confinamento delle scorie) equivalgono a una volta e mezzo il costo di una nuova centrale. D’altra parte Francia, Inghilterra e Stati Uniti fanno valutazioni analoghe. Nel 2005 il ministero dell’Industria francese, in base a un criterio stabilito nel 1991, valutava in 13,5 miliardi di euro il costo di smantellamento del parco nucleare, ma già nel 2003 la Corte dei conti aveva valutato tale costo in una forchetta di 20-39 miliardi di euro, mentre una commissione ad hoc parla oggi di centinaia di miliardi di euro (e si capisce che i francesi, che pagano oggi il 30% in meno degli Italiani la bolletta elettrica, in realtà stanno staccando un acconto e che la richiesta di Edf al governo di un aumento di 20 euro al Mwh per il decommissioning, finisce col pareggiare già adesso il conto).

L’Inghilterra ha prodotto la sua prima stima del costo della “uscita “ del Paese dal nucleare in circa 80 miliardi di euro, una cifra gigantesca, oltre il doppio del costo di costruzione ex-novo dell’intero parco nucleare inglese. Per il governo Usa trattare i 25 reattori a minore potenza già fermi costa attorno a 500 milioni di dollari a impianto. Senza contare che lo stesso studio di previsione ritiene che occorrano almeno 50 anni di “fermo impianto” per poter consentire nei 60 anni successivi l’accesso sicuro degli operatori. Tutti rilievi e conti confermati dall’Ue, che, attraverso il Joint Research Center nel sito di Ispra (Varese), si appresta al decommissioning di Essor – un reattore sperimentale di 42 MW che ha prodotto nella sua attività 3.000 m3 di scorie – con un budget ventennale di oltre 1,5 miliardi di euro complessivi.

Da ciò si deduce che i costi “nascosti” e “rinviati” del nucleare sono ancora ben lontani dall’essersi manifestati interamente e sono dello stesso ordine di quelli di costruzione. Oggi cominciano a venire al pettine. La chiusura degli impianti che compiono 40 anni di attività, a seguito della crisi finanziaria e dei bilanci statali, viene rinviata di qualche anno, come in Germania e Spagna, ma è una necessità ineludibile. Quindi i costi (e i problemi) del decommissioning salgono alla ribalta e quelli “veri” del nucleare inevitabilmente lievitano. Potremmo dire che, per ogni euro pagato in fase di costruzione di un nuovo reattore oggi, occorre ipotecare un analogo pagamento che andrà a scadenza entro la fine del secolo.

di Mario Agostinelli (Portavoce del Contratto mondiale per l’energia e il clima. L’articolo, pubblicato in anteprima da ilfattoquotidiano.it, uscirà a Maggio sul mensile Valori)

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Disastri nucleari: chi previene e chi paga?

Da Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2011

Nel post precedente, ho esposto i criteri che il Parlamento tedesco applicherà per la revisione della sicurezza dei reattori sul suolo germanico. Criteri così restrittivi da mettere in discussione il mantenimento della maggior parte degli impianti. L’allarme dimostrato dai tedeschi è ripreso negli Stati Uniti. La Commissione sulla sicurezza nucleare americana avrebbe voluto dire molto di più sulla crisi atomica di Fukushima, ma è stata censurata dai grandi produttori di reattori nucleari come Westinghouse e General Electric. Nonostante ciò, lo Us Health Care System per le maggiori emergenze nucleari affermava, il 7 aprile, che “non c’è negli Stati Uniti alcuna strategia per la comunicazione al pubblico in tempo reale di raccomandazioni sulle priorità di ricovero o di evacuazione”. La relazione rivela che è stato interrotto circa due anni fa l’acquisto dell’agente più noto – ioduro di potassio – per contrastare lo iodio radioattivo che induce cancro alla tiroide nei giovani. La decisione di interrompere lo stoccaggio era stata presa, in parte, perché la distribuzione avrebbe richiesto troppo tempo in una situazione di emergenza in rapido movimento. Ora, la crisi nucleare del Giappone spingerà i funzionari a rivedere questa conclusione. Sta di fatto che con livelli di radiazione in alcune aree superiori al previsto anche al di fuori delle zone di evacuazione, il Governo giapponese ha recentemente chiesto agli Stati Uniti dello ioduro di potassio. Il governo federale ha deciso di inviare solo gli stock con data di scadenza entro un anno.

È impressionante al riguardo come le strutture sanitarie italiane abbiano riconosciuto di non avere a disposizione ioduro di potassio per un’emergenza. Molti degli Stati americani non hanno un piano di emergenza da radiazione per la comunicazione con il pubblico o per far fronte ai rischi per la salute. Recentemente la Casa Bianca e altri funzionari federali si sono riuniti con gli esperti, riconoscendo che i funzionari sono poco disposti a comunicare con il pubblico e che l’attuale organizzazione delle cure mediche “non supporta il livello dei requisiti previsti” a seguito di un attentato con un ordigno nucleare o di un incidente come quello giapponese. Non è noto, per esempio, come un’esplosione nucleare e impulsi elettromagnetici conseguenti inciderebbero nel moderno sistema di infrastrutture di comunicazione, o in che misura gli edifici moderni siano in grado di proteggere le persone dal calore e dagli effetti delle radiazioni.

Una relazione svolta in 38 Stati Federali, ha concluso che il sistema sanitario pubblico rimane impreparato a rispondere a ad un incidente nucleare “dato che i fondi tendono a diminuire piuttosto che aumentare a causa del massiccio deficit federali e statali”. Senza prevenzione c’è da aspettarsi un grande esodo dalle zone contaminate, che porterebbe a “estendere il panico e la devastazione ben oltre il luogo dell’incidente, drenando cibo, acqua, medicine, benzina, e altre risorse dalla comunità circostante e, potenzialmente, causando ingorghi che potrebbero seriamente compromettere molti elementi della risposta ai disastri ufficiali”. Siamo quindi ovunque seduti su un vulcano e i nostri sacerdoti del nucleare non trovano di meglio che “tirar sera” sdrammatizzando, nella speranza che il non raggiungimento del quorum al referendum li avvolga in un irresponsabile letargo.

Cosa hanno in comune la grande crisi economica scoppiata nel 2008 e il disastro nucleare di Fukushima? Dice Stiglitz che entrambi costituiscono importanti ammonimenti sul fattore “rischio” e su quanto malamente i mercati e le nostre società siano in grado di comprenderlo e gestirlo. Gli esperti in campo nucleare e finanziario ci avevano assicurato che le nuove tecnologie avevano pressoché eliminato il rischio di una catastrofe. Gli eventi li hanno smentiti categoricamente: non soltanto i rischi sussistevano, ma oltretutto le loro conseguenze sono state di tale immane portata da annientare d’un sol colpo e assai facilmente i presunti vantaggi dei sistemi che i massimi esponenti di questi settori promuovevano.

Il fatto è che l’esistenza del settore nucleare dipende da sussidi pubblici occulti, mentre in caso di disastro nucleare è la società intera a doversene accollare palesemente le terribili conseguenze, come pure i costi dello smaltimento delle scorie nucleari. Nel caso di un rilascio di materiale radioattivo, l’esposizione della popolazione può essere ridotta solo da contromisure applicate alla gente (evacuazione) o all’ambiente (interdizione del terreno, confisca dei prodotti contaminati). L’adozione delle contromisure andrebbe basata sul confronto rischi-benefici tra il danno economico causato e la riduzione delle conseguenze sanitarie.

Ma già nel 1981 Frittelli e Tamburano del Cnen (oggi Enea, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) avevano provato a valutare il danno economico in caso di incidente, includendo la perdita di valore della proprietà interdetta, il costo della decontaminazione del territorio e delle strutture, nonché la perdita di lavoro della popolazione evacuata. E avevano calcolato che nel caso di rilasci ben inferiori a quelli poi verificatesi a Chernobyl e a Fukushima nessun valore del livello di intervento di “riparazione” e emergenza avrebbe potuto ottimizzare il bilancio tra le conseguenze sanitarie e quelle economiche. O morti certe e perdita di salute, o esborsi compensativi per l’evacuazione e la decontaminazione superiori ad ogni ragionevole possibilità di spesa per la comunità. E sappiamo bene che nel sistema attuale le ragioni dell’economia prevalgono su quelle della vita. Perché il Forum di Chicco Testa, nella famosa partita a scacchi, non ha preso in considerazione un lavoro scientifico rigoroso come questo, volutamente nascosto all’opinione pubblica?

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