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Quorum raggiunto

La vittoria deve essere confermata dalle lotte popolari ed in esse prendere corpo

di Alfonso Navarra – obiettore alle spese militari e nucleare

I risultati di questa tornata referendaria parlano di una grande felicità per chi aveva sperato nel “miracolo” del raggiungimento del quorum. Si è recato alle urne, stando al sito di Repubblica, circa il 57 % del corpo elettorale (non è, sottolineamolo, ancora il dato ufficiale definitivo) ed è scontato che la stragrande maggioranza si sia pronunciata per l’abrogazione dei piani nucleari. Questi numeri valgono in modo quasi identico anche per gli altri quesiti, i due sull’acqua e quello sul legittimo impedimento. La magagna del voto degli italiani all’estero diventa, per fortuna, ininfluente:  questa incognita avrebbe richiesto il superamento del 53,51 per cento.

Possiamo parlare di “miracolo” perché nessuno avrebbe, fino ad ieri, scommesso sul raggiungimento del quorum, con l’informazione in mano a “Media-Rai (o Rai-set, che dir si voglia), con l’amministrazione pubblica e giudiziaria intralcianti, con i grandi partiti sabotanti, con ampie fasce di popolazione confuse nelle idee e nei sentimenti.

Ma si vede che “il vento in Italia sta cambiando”. E, nel nostro caso specifico di antinucleari, possiamo riferirci più precisamente ed appropriatamente al “vento di Fukushima”: il disastro giapponese ha sicuramente scosso in modo decisivo l’opinione pubblica in senso antinucleare.

Era stato tentato, da parte del governo, con il “decreto omnibus”, un vero e proprio “scippo antidemocratico” per impedire il voto. L’imbroglio dello stop temporaneo alle centrali è stato sventato, dalla Cassazione prima, dalla Corte costituzionale dopo, stavolta attente più alla sostanza che non ai cavilli truffaldini degli azzeccagarbugli di professione. Una manovra convergente di boicottaggio (mediante “depotenziamento politico”) era stata portata avanti anche sui due quesiti referendari per l’acqua bene comune con il decreto che istituisce una pseudo-Authority ad hoc.

I referendari erano persino già stati proclamati vincitori morali . Il nostro premier lo aveva ammesso senza possibilità di equivoci nella conferenza stampa di Roma con il Presidente francese Sarkozy. “Il nucleare è il futuro, ma siamo costretti a rinviare l’attuazione dei nostri piani perché l’opinione pubblica, spaventata da Fukushima, si esprimerà “emotivamente” nel voto referendario”.

Aveva quindi riconosciuto pubblicamente che noi antinuclearisti, e quindi tutto l’associazionismo civile che ha portato avanti la campagna referendaria, interpretiamo l’opinione e gli umori maggioritari tra la gente. Il gioco democratico non è stato condotto correttamente, questo è innegabile, ma il quorum su tutti i quesiti, anche sull’acqua pubblica e sulla giustizia, trainati dal nucleare, è stato lo stesso raggiunto.  Quello che era successo poco prima con il voto consultivo in Sardegna lo aveva anticipato: 60% di votanti nell’Isola, 98% di no a nuove centrali atomiche.

Il governo iraliano si era mosso al rimorchio dello “Stato atomico” francese. Sarkozy, da parte di Silvio Berlusconi, tra una barzelletta e l’altra, era stato al contempo rassicurato che i patti nucleari italo-francesi sarebbero stati rispettati: la Francia ci avrebbe sbolognato i suoi 4 reattori EPR20 miliardi di euro come minimo – in cambio di un occhio “benevolo” da parte della Unione Europea sul nostro stratosferico debito pubblico (godiamo, per intercessione dei cugini transalpini, di sconti e di rinvii sui tagli che l’Italia deve effettuare per rispettare il parametro del 60% del PIL). L’ENEL, oberato di debiti, avrebbe potuto tuffarsi, insieme ai soliti affaristi delle “Grandi Opere”, sulla grande torta delle commesse garantite dalle casse pubbliche.

La gente non si è lasciata però imbrogliare ed ha reagito con intelligenza ed orgoglio. Queste prospettive affaristiche sono state seriamente “scombinate” dalla risposta popolare al referendum, che ha deciso di non dargliela vinta alla sfrontata ed arrogante lobby nuclearista (spesso intrecciata e sovrapposta a quella della privatizzazione dell’acqua).

Ma i “Signori dell’atomo” non molleranno, possiamo scommetterci. Non è bastata Chernobyl e neanche Fukushima (provocherà negli anni, se va bene, centinaia di migliaia di morti) per capire, da parte di costoro, legati alle lobby industriali, militari e dell’energia “dura” e centralizzata, che la tecnologia nucleare sedicente “civile” (in realtà funzionale alle esigenze di potenza degli “Stati atomici”) è troppo pericolosa e non ha futuro!

Silvio Berlusconi, mentre si stava ancora votando per i referendum, coglieva l’occasione della conferenza stampa a Villa Madama con il premier israeliano per dare praticamente per acquisito il no degli italiani al nucleare: “Dovremo dire addio al nucleare, ora forte impegno su energie rinnovabili“. Ma la credibilità delle prese di posizioni del premier è scesa sotto i tacchi: siamo ormai abituati, da questo personaggio, a sentirci dire, con la faccia tosta più inossidabile, tutto e il contrario di tutto nel giro di pochissimo tempo.

Presto verrà certificato che l’assetto politico del “berlusconismo” non è in grado di garantire, in Italia, il complesso dei poteri forti ed il loro modello di business.

Gli interessi in gioco, di potenza, di profitto, sono fortissimi a livello mondiale e la loro pressione continuerà ad investire l’Italia. Occorre uno sforzo di analisi e di ricerca del movimento per documentarlo in modo puntuale, e trovare risposte politiche giuste ed efficaci.

Vorrei che si capisse che non ha senso dormire sugli allori, allentare la vigilanza, accontentarsi di quanto già ottenuto. In passato abbiamo già sperimentato molti risultati referendari disattesi. Un esempio riguarda proprio il campo nucleare: il voto del 1987 aveva escluso la partecipazione di aziende di Stato in progetti nucleari all’estero. L’ENEL, sempre in collegamento con l’atomo francese, se ne è bellamente impipato fin da subito.

Non è che un inizio, la lotta continua. La stessa mobilitazione avviatasi con la e nella campagna referendaria induce comunque ad un certo ottimismo sulla capacitò di sostenere la sfida che abbiamo di fronte. L’esperienza di coinvolgimento ed “alfabetizzazione” popolari, indotti dallo sforzo complessivo della cittadinanza attiva, resta a prescindere ed è una base di partenza che fa bene sperare. In generale si è realizzata una maturazione culturale collettiva che ha dato nuovo significato alle parole diritti, beni comuni, democrazia, partecipazione. Al di là dei risultati numerici formali, c’è stata comunque una vittoria su punti sostanziali.

Il più importante dei quali è quello di aver permesso, dopo anni di sequestro della democrazia reale a tutti i livelli, di affermare un principio antico come il mondo, ma che oggi appare “nuovo”: su ciò che a tutti appartiene, l’energia, l’acqua, la giustizia, tutte e tutti devono poter decidere.

Non solo. Nulla resterà come prima. Il moto popolare ha costretto il mondo della “politica politicante” ad abbandonare i circoli viziosi di una dinamica tutta giocata nelle porte chiuse dei Palazzi, lo ha costretto a discutere una volta tanto di problemi concreti, beni comuni, ecologia, diritti, società. È un movimento culturale, quello  espressosi nei referendum, che ha lasciato retaggi importanti nei cuori e nelle menti delle persone.

Durante la campagna referendaria, oltre al panico dei grandi gruppi finanziari ed industriali che intravedono il blocco delle commesse di Stato e delle privatizzazioni, abbiamo assistito alla mobilitazione, opportunistica quanto si vuole, ma risoluta, di partiti politici, governatori di regione, esponenti politici in favore dei sì.

Ecco un altro straordinario risultato di una mobilitazione che nella sua capillare opera di animazione sociale è riuscito a coinvolgere tanto direttamente le persone da costringere le oligarchie partitiche a dover prendere atto che fermenti nuovi stanno maturando.

Il 12 e il 13 giugno sono state due bellissime giornate: si è votato per l’energia pulita, per la ripubblicizzazione dell’acqua, per la difesa dei beni comuni e per la riappropriazione della democrazia. Proprio per questo, e soprattutto ai partiti della Seconda (?) Repubblica, vorremmo fosse chiaro un punto essenziale: quel voto non è stato solo un sondaggio d’opinione, o l’espressione di generici stati “umorali”, “emotivi”, che il mondo politico istituzionale dovrà poi interpretare ed elaborare con programmi “razionali” calati dall’alto.

Dentro la mobilitazione sociale palesatasi in questi giorni c’è molto di più: c’è l’avvio della costruzione di una nuova democrazia sostanziale, c’è il primo vero rifiuto “indignato” dell’ideologia pseudo-liberista, c’è l’avvio della riappropriazione sociale dei beni comuni.

C’è di nuovo, come nei tempi d’oro dei movimenti di opposizione sociale, un “futuro”, una idea di alternativa, di modello ecologico e pacifico di società, che sarà comunque difficile eludere perché tantissima gente sta cominciando a crederci – o ricrederci – sul serio.

PS – si ricorda di partecipare alla discussione di mercoledi 15 giugno – ore 17.00 – via Borsieri, 12 Milano, presente il coportavoce di “Energia Felice”, Mario Agostinelli.

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Comunicato stampa

Aver registrato un numero di votanti così alto nonostante le condizioni in cui i comitati referendari si sono trovati ad operare, è un risultato che molti non prevedevano. Ed in tanti non auspicavano. Quel che è avvenuto con i referendum è scandaloso per un verso ed entusiasmante per l’altro. Il quorum registrato segna un passaggio epocale. La società civile nonostante i poteri economici, malgrado le burocrazie e la farraginosità della politica e a dispetto della televisione e di tutti i “liberi servitori” che la umiliano.  Ha funzionato il passaparola, il racconto di un mondo nuovo possibile, la convinzione di dover cambiare partecipando, per salvare noi stessi e il pianeta. Finalmente anche noi ci sentiamo parte del vento che cambia – lo stesso vento in tutto il Mediterraneo –  che si armonizza finalmente con l’acqua e il sole, a cui dovremo dedicare l’attenzione che meritano i beni comuni che abbiamo in prestito dalle generazioni future.Finalmente, torna a guardarci l’Europa.

Mario Agostinelli

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Vento nuovo da acqua e sole

Da Il Manifesto, domenica 12 giugno 2011

A cura di Mario Agostinelli

Siamo al “batti-quorum” e la convinzione di quanti hanno impegnato le loro forze nella campagna per acqua e nucleare è rafforzata nelle ultime settimane dalla percezione di una crescita impetuosa di voglia di rappresentanza diretta e di segnali netti da mandare alla politica, ben al di là delle tradizionali appartenenze. Credo che il sequestro di informazione, l’insistenza ad esorcizzare il dibattito sui contenuti dei referendum e lo scellerato boicottaggio del voto da parte di tutto il Governo si vada a scontrare irreversibilmente con la percezione vasta dei cittadini di essere di fronte alla più costruttiva opzione sul futuro che l’agenda elettorale degli ultimi anni abbia loro riservato. Ritengo molto probabile un effetto boomerang, sotto cui un esecutivo arrogante e irresponsabile verrà ridicolizzato. Dopo quindici anni di rituali consultazioni popolari, prevalentemente su marchingegni elettorali o su questioni care all’ingegneria istituzionale, alla casta o alle corporazioni, questa volta siamo interpellati nientemeno che su privatizzazioni, compromissione dei beni comuni, qualità della politica energetica e uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Non solo assi strategici del governo in carica, ma cardini da sempre della politica economica e sociale che ha a che vedere, nell’immediato, con il superamento della crisi e delle disuguaglianze economiche e, nel medio termine, addirittura con la sopravvivenza e con la specificità della convivenza sociale. Ma, soprattutto in questa fase, prodotti di una riflessione e di una maturazione collettiva sullo spostamento dell’attenzione dall’economia alla vita. Uno spostamento che caratterizza quello che viene chiamato il “vento nuovo” e che la politica si ostina a non capire.

Non a caso sono proprio le nuove generazioni che non ci stanno a farsi monetizzare l’esistenza, ad ammonirci che decenni di amministrazione degli interessi dei più forti a danno del bene comune li priva dell’essenza della democrazia, che è la possibilità di creare una società in cui valga la pena di vivere, relazionarsi, studiare, lavorare, procreare. Io non credo che ci sarebbero stati i risultati emersi d’improvviso alle amministrative delle scorse settimane, i Pisapia, i De Magistris, gli Zedda, ma nemmeno la sconfitta pesantissima del leghismo nella sua patria di origine, senza dieci anni di penetrazione diffusa della riscoperta dei beni comuni, di faticosa ma convinta sottrazione dell’acqua alla sfera dell’economia, di spazi di rivendicazione dell’irriducibilità dei diritti e delle libertà nel lavoro, di pretesa risintonizzazione del sistema energetico con il sole e la natura. Insomma, senza movimenti, FIOM e CGIL e senza una nuova generazione che prende la ribalta, non saremmo già entrati in una stagione nuova. E se le nuove amministrazioni vogliono governare con il consenso devono certamente trovare risposte convincenti e partecipate alle domande poste dai referendum. Ci stiamo infatti tutti accorgendo – a destra come a sinistra – che siamo di fronte alla rarefazione delle risorse necessarie e indispensabili a vivere , alla mercificazione e monetizzazione di ogni forma di vita e salute, alla privatizzazione delle decisioni pubbliche relative alla valorizzazione e uso dei servizi comuni come l’energia, l’acqua, la scuola.

Da questa constatazione sono nati i quesiti di Giugno e la gente se ne è accorta, al punto da partecipare in questa campagna a migliaia di iniziative, darsi momenti di ritrovo, puntare sulla creatività e, potrei dire, sull’allegria dello stare insieme. Qualcosa che supera temporalmente i referendum e che dovrà produrre nel tempo che viene tutte la sue potenzialità, dato che non ci è stata data la possibilità di una discussione pubblica limpida e di una registrazione del cambiamento così inconfutabile da costringere il mondo politico e i manipolatori dei media a non sottovalutarlo. Perché di vera discriminante si tratta per l’appuntamento di fine settimana e i casi dell’energia e dell’acqua sono tra i più emblematici e di rilevanza strategica per il divenire delle società umane e della biosfera che caratterizza il pianeta.

In questa prospettiva mi sento di “forzare” i quesiti su acqua e nucleare dentro una dimensione comune, che fino ad ora la campagna referendaria ha mantenuto ancora disarticolata. La prendo volutamente da lontano. La questione dell’alternativa tra atomo e sole va impostata non solo sul piano della sfida tra tecnologia e sicurezza, o del conflitto tra interpretazione prometeica e precauzionale del ruolo della scienza, ma, utilizzando continue allusioni alla metafora dell’universo,va collegata alla sopravvivenza della specie, alla necessità di una condivisione dello spazio e del tempo tra uomo e natura, alla constatazione dell’incompatibilità tra giustizia sociale e spreco dei beni comuni, a cominciare dall’acqua. Niente cattura l’attenzione quanto l’accostamento delle parole vita e universo. Ci sono voluti miliardi di anni per formare i mattoni necessari a qualunque forma di complessità chimica come quella del fenomeno che chiamiamo «vita», così dipendente – come sappiamo – dall’acqua. Questi mattoni si sono formati in seguito a una lenta sequenza di reazioni nucleari all’interno delle stelle: dall’idrogeno diffusissimo fino all’uranio, relativamente instabile. Se l’universo non fosse così “vecchio” e espanso, sarebbe così denso di energia in tutti i suoi punti da non consentire pianeti raffreddati e stelle assai distanti che li irraggiano e li illuminano. E’ per questo che su un pianeta del sistema solare come la Terra è apparsa la vita, che si è evoluta e differenziata fino ai nostri giorni e che verrebbe meno senza acqua o con troppo consumo istantaneo di una energia accumulata nei millenni, quando l’uomo non abitava ancora la Terra, come è nel caso del petrolio o, ancor più, dell’uranio.

Cercare di non mandarci a votare per impedire una discussione pubblica sull’insostituibilità dei beni comuni o sull’alternativa tra atomo e sole, corrisponde a precluderci il confronto centrale di questa fase storica: come assicurare la sopravvivenza e un avanzamento civile quando le risorse naturali incominciano a scarseggiare. Tutti, dopo Chernobyl e Fukushima, hanno capito che un reattore a fissione funzionante come quelli ad altissima potenza che Berlusconi vorrebbe acquistare da Sarkozy, è in termini energetici un incidente latente “moderato e controllato”, fatale per la vita e divoratore fino al paradosso del “termometro” della salute: il liquido incolore che piove dal cielo e circola negli enormi condensatori delle centrali e che viene riversato degradato e contaminato nei fiumi e nei mari. Un incidente “scientificamente” predisposto, contenuto e tenuto a bada da barre, circuiti di raffreddamento, contenitori a tenuta stagna, complessi sistemi software, fintantoché non se ne scopre l’insostenibile effetto termico e radiante, a seguito di qualche incidente non eliminabile in principio, in quanto prodotto dall’ambiente naturale o dalla quotidianità di cui l’impianto è entrato a far parte. Una quotidianità, ai tempi del cambiamento climatico, sempre più sensibile alla siccità, all’aumento di temperatura e di contenuto energetico dell’atmosfera, all’evaporazione di mari, fiumi e laghi e allo scioglimento dei ghiacciai. La scelta di abbandono del nucleare, come quella di sottrarre alla privatizzazione l’acqua per consegnarla al governo territoriale dei cittadini, non è quindi roba da ingegneri, ma riflessione alla portata di qualsiasi persona responsabile che ha diritto di voto.

E come non collegare la proiezione vorace delle multinazionali verso l’”oro blu” alla volontà delle stesse di mantenere in vita un sistema elettrico centralizzato, concentratore di risorse finanziarie e dissipatore di risorse naturali, “sicuro” solo fintanto che se ne possano trarre profitti privati e scaricare costi sulla collettività?

Forse, dopo lo sconquasso dei decenni passati, siamo alla più importante svolta di politica economica e sociale del nuovo millennio, che prevede il ritorno nel campo dei beni comuni del sole e dell’acqua, due fonti di vita, di giustizia climatica e sociale, di lavoro qualificato e di occupazione dignitosa. Perché farcela sfuggire e non imprimergli invece quella torsione permanente che solo la democrazia praticata e la partecipazione consapevole e informata assicurano nel tempo?

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Chiusura della campagna referendaria

Venerdì 10 giugno 2011 – ore 17.00
Presso Circolone di Via San Bernardino, Legnano (MI)
CHIUSURA DELLA CAMPAGNA REFERENDARIA
Volantino 10 giugno a Legnano

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Venerdì 10 giugno 2011 – ore 18.30
Presso Teatro CIAK, Fabbrica del Vapore, Via Procaccini, 4 – MILANO
GRANDE SERATA DI CHIUSURA DELLA CAMPAGNA REFERENDARIA – Dal palco: musicisti, attori, comici e rappresentanti dei comitati promotori dei referendum nazionali e cittadini
Volantino 10 giugno a Milano

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Venerdì 10 giugno 2011 – ore 21.00
Presso “Il Giardinetto”, via Indipendenza, Verghera (VA)
DIBATTITO REFERENDARIO – Intervengono Mario Agostinelli, Barbara Meggetto, Alberto Patrucco
Volantino 10 giugno a Verghera

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Venerdì 10 giugno 2011 – ore 21.00
Presso Piazzale Cologno Centro MM2 – Cologno Monzese (MI)
CHIUSURA DELLA CAMPAGNA REFERENDARIA
Volantino 10 giugno a Cologno Monzese

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