“Pace e disarmo provocano insieme sofferenza e gioia“.
Questa l’affermazione di uno dei 400 giovani giunti da tutto il mondo per la XV Conferenza del M.U.N di Milano, esperienza didattica e civica che si è tenuta il 12 marzo presso il Liceo Linguistico Manzoni di Milano, e cui ha partecipato Energia Felice con una relazione di Mosca sul tema del nucleare.
Archivi tag: agostinelli
Fukushima, quattro anni dopo e oltre. Davvero si investe ancora sul nucleare?
di Mario Agostinelli – dal blog de Il Fatto Quotidiano
Il notiziario di Bloomberg del 25 febbraio svela le preoccupazioni della Tepco, la corporation elettrica giapponese, che, a quattro anni dalla fusione del nocciolo dei reattori di Fukushima e delle barre di combustibile esauste, sta indagando le cause di un picco di livelli di radiazione registrato a febbraio nell’acqua di drenaggio riversata nell’oceano Pacifico.
Evidentemente, l’acqua piovana viene ancor oggi contaminata dal contatto con sostanze radioattive. La Tepco aveva già scoperto 23.000 becquerel per litro di Cesio 137 nell’acqua piovana accumulata sul tetto dell’edificio del reattore n° 2, quando il limite legale per il rilascio di cesio 137 dovrebbe non superare i 90 becquerel per litro. Una dose mortale, che permane e si diffonde nel tempo, in aggiunta al fatto che una simile esposizione aumenta in modo incalcolabile lo sviluppo di tumori. Evidentemente, le perdite nell’oceano sono ancora in corso, anche dopo l’evacuazione di 160.000 persone nella zona e dopo che il governo giapponese si era prefisso di bonificare 11 delle municipalità più gravemente contaminate della Prefettura di Fukushima entro il marzo 2014, per ridurre la dose annua a 1 milliSievert.
La presenza di acqua radioattiva costituisce una novità a cui l’incidente di Chernobyl non ci aveva esposto: i reattori di Fukushima, al contrario di quello ucraino, sono reattori moderati ad acqua e la fusione del nocciolo, se c’è sversamento in mare dell’acqua di raffreddamento, comporta una diffusione delle radiazioni attraverso la dinamica delle correnti e la propagazione attraverso le catene alimentari che l’oceano ospita. Purtroppo le informazioni che abbiamo seguono lo standard di segretezza e non trasparenza di tutto il sistema nucleare: nulla è sotto controllo e ormai i dati sulla contaminazione e le conseguenze sanitarie sono stati talmente nascosti e manipolati fin dall’inizio, che è veramente difficile fare bilanci e previsioni serie.
Occorrerebbe riflettere a fondo in questo quarto anniversario e chiedersi come sia possibile che gli analisti della Iaea (l’Agenzia per l’energia nucleare) possano ancora sostenere che dal 2015 l’industria nucleare dovrà creare 12 gigawatt di potenza (grosso modo 10 reattori!) ogni anno per il prossimo decennio, al fine di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di un aumento di temperatura non superiore ai 2°C. La Cina per prima si appresta a costruire 21 centrali e a metterne in progettazione altre 27, ma sta incontrando serie opposizioni da parte delle popolazioni e forti dubbi nei gruppi dirigenti. Ancora una volta si divaricano le decisioni dei gruppi dominanti dalle aspettative della gente comune e si indicano soluzioni sbagliate e insostenibili, non tenendo in conto l’alternativa ormai concretamente realizzabile di un sistema energetico in armonia con i processi naturali e di pace. Già, perché questa è la questione all’ordine del giorno per il futuro del pianeta.
La dimensione energetica dei processi radioattivi è fuori scala rispetto alla normale percezione dei nostri sensi e non sappiamo controllarne appieno gli effetti sulla vita. Gli incidenti registrati sollevano una questione che va al di là del tempo e del luogo in cui sono avvenuti: il problema del fallout radioattivo globale, dovuto a Fukushima, ma anche a Chernobyl del 1986, a Three Mile Island del 1979, ad una quantità di incidenti minori sconosciuti, e soprattutto a decenni di test per mettere a punto gli arsenali atomici (i 511 test atmosferici dopo la seconda guerra mondiale hanno raggiunto una potenza totale di 438 megatoni, pari a 29.000 bombe come quelle di Hiroshima!).
A che prezzo di salute e di decessi si può auspicare un futuro per una tecnologia che si rivela intrinsecamente insicura e imponderabile nelle sue ricadute? In tempi in cui si ridislocano armi letali assemblate con i prodotti delle fissioni all’interno di impianti destinati all’elettricità, è bene non dimenticare che nucleare civile e militare spesso si sono sostenuti l’un l’altro.
Per il futuro: rinnovabili a buon mercato o petrolio drogato?
di Mario Agostinelli
Siamo costantemente messi di fronte all’esaurimento delle fonti fossili e al drammatico deterioramento del clima e dell’ambiente. Ma l’una e l’altro sono sovrastati da un chiassoso dibattito sul “benefico” crollo del prezzo del petrolio (ma i mercati scommettono che quel prezzo tornerà a 90 $ al barile entro un paio di anni…) e sull’acclamata opportunità di una estrazione di gas e olio con percorsi che si rivelano pazzeschi (permafrost, Artico, sabbie bituminose, fracking di scisti), sia dal lato del bilancio energetico sia da quello del danno ambientale. Una leadership mondiale che non sa come uscire dalla crisi da lei stessa prodotta e che fissa “road map” di rientro dal debito finanziario ad ogni incontro dei big (quanti sono e quanta CO2 per questi inutili e incessanti meeting?), mette in conto perfino la guerra perché non vuole uscire dal vincolo di un sistema energetico centralizzato e non si preoccupa del debito contratto verso la natura. Banalmente spera che tutto si appiani con uno sconto provvisorio sul barile.
La vita moderna si basa sull’uso onnipresente di combustibili fossili, tutti con rilevanti svantaggi non solo per gli effetti climatici. Il carbone, il più economico e più abbondante, è stata ed è la fonte più sporca, che contribuisce massicciamente all’inquinamento, non solo termico. Le forniture di petrolio sono vulnerabili agli shock geopolitici e a collusioni sui prezzi da parte dei produttori. Il gas naturale ha bisogno di lunghissime e vulnerabili pipeline, che limitano l’autonomia energetica e marcano le dipendenze da giacimenti fuori controllo, come nel caso dell’Europa dalla Russia. L’energia nucleare è afflitta da esposizioni finanziarie e da complicazioni politiche, intensificate dagli allarmi dell’opinione pubblica dopo gli incidenti di Chernobyl e Fukushima. Al contrario, le fonti rinnovabili come l’eolico e il solare comportano un basso impatto, ma sono ostacolate e mantenute in un ruolo marginale, nonostante un consenso crescente e saldo nei loro confronti.
In questo scenario, l’impressione che l’enfatizzazione del calo temporaneo del prezzo del petrolio faccia parte della volontà di dilazionare i tempi del cambiamento, non è solo giustificata, ma va analizzata in tutte le sue implicazioni, in particolare per quanto riguarda il modello sociale e economico che si vorrebbe procrastinare. Non si deve sottovalutare quanto il rilancio oggi del petrolio, a pochi mesi da un decisivo vertice sul clima, sia un elemento diabolicamente razionale e sapientemente ricattatorio, che le corporation e i grandi produttori dell’energia hanno messo in campo in una crisi economica per cui il liberismo non ammette alternative.
Nel 2013 nel mondo ben 550 miliardi dollari sono stati spesi per sovvenzionare i combustibili fossili, favorendo le multinazionali, distorcendo le economie e aggravando l’inquinamento. Per le rinnovabili gli investimenti (non i sussidi!) hanno registrato una media di 260 miliardi di dollari all’anno nel corso degli ultimi cinque anni. La IEA, l’organizzazione intergovernativa per l’energia, certamente di ispirazioni conservatrici, dice che il mondo dovrà sborsare circa 23.000 miliardi dollari nei prossimi 20 anni per finanziare l’estrazione di gas, petrolio e carbone, sempre meno accessibili. E, inoltre, stima che gli investimenti necessari oggi per la “decarbonizzazione” della sola produzione di energia elettrica si aggirano sui 44.000 miliardi dollari.
Proviamo allora a chiederci non tanto quello che il calo dei prezzi del petrolio significhi per l’energia pulita, ma quello che significherà la prospettiva di energia pulita e di efficienza energetica per il prezzo del petrolio.
Proviamo allora ad allargare lo sguardo. E’ addirittura l’edizione online di metà Febbraio di Bloomberg Energy ad affermare che vale la pena di investire nelle rinnovabili, data la conferma di un andamento costantemente positivo del settore. Cioè, uno dei guru più prestigiosi del sistema finanziario e bancario mondiale sostiene la possibilità di ricorrere ad energia pulita per sopravvivere oltre la temporanea caduta del prezzo del petrolio. Da metà ottobre, mentre il greggio è sceso di quasi 30 dollari al barile, non ci sono stati cambiamenti nelle quotazioni dell’energia da fonti naturali, come misurato dal NEX (New Energy Global Innovation Index). E questo perché godono ormai di fatto di un sostegno politico e sociale generale, anche se contrastato nei media e disdegnato da Governi alla giornata come il nostro.
Una presa d’atto, quella del mondo degli affari più avvertito, che prevede stabilità oltre la tempesta. In pratica, la valutazione dei rischi da parte delle agenzie di credito all’esportazione risulta più vantaggiosa per investimenti nelle rinnovabili che non per opere di estrazione e trasporto dei fossili. Di conseguenza, si sono aperti mercati all’estero per le imprese “green” tedesche, danesi, coreane e statunitensi, sostenute dalle azioni dei loro governi.
Di fatto, i costi nell’eolico offshore sono sempre più ridotti, dopo che è stata raggiunta competitività nei due settori principali (vento onshore e PV). E la parity grid è stata ormai raggiunta anche senza particolari incentivi. Secondo il National Renewable Energy Laboratory (NREL), il costo di pannelli solari su una tipica casa americana è sceso di circa il 70 per cento negli ultimi dieci anni e mezzo. In Europa la convenienza è ormai accertata e migliorerà con investimenti in reti intelligenti e accumuli appropriati. I dati di produzione, poi, sono illuminanti: nel 2014 l’energia “pulita” nel mondo è volata ancora in alto, superando le aspettative (v. Ansa del 9 Gen 2015), con una crescita del 16% – pari a 310 miliardi di $ in investimenti – con un balzo record in Cina (+32%) e con crescite assai maggiori rispetto ai settori tradizionali anche in USA (+8%), Giappone (+12%), Canada (+26%), India (+14%), mentre da noi gli investimenti sono calati del 60% rispetto al 2013.
Il mondo cambia più rapidamente di quanto gli esperti sappiano immaginare e non è sufficiente studiare il passato per prevedere il futuro. La fame di energia dell’Asia e del Sud del mondo non è infinita e il loro sviluppo non sarà la fotocopia del nostro, perché rinnovabili ed efficienza sono ad uno step evolutivo ben diverso rispetto a quelli dei tempi della nostra crescita.
Alla luce di un esame attento, petrolio e gas di scisto non hanno inaugurato una nuova stagione dell’abbondanza: hanno solo reso accessibili risorse già conosciute e recuperabili grazie al prezzo elevato tenuto dal greggio fino a qualche tempo fa e solo a tale prezzo avranno ancora chance. E qui aggiungo: se glielo permetteranno lo sviluppo prevedibile delle fonti naturali diffuse e il risparmio praticabile negli edifici. I prodotti “shale” sono oggetto di aumentate preoccupazioni e perdita di consenso, con probabili effetti sul loro prezzo in futuro, come è già avvenuto per il nucleare.
A riprova, le preoccupazioni in USA e Canada per i rischi per l’acqua e il suolo, dato che il boom di estrazione da scisto richiede cambiamenti dirompenti nella gestione delle falde e dei terreni, ha indotto le comunità locali a chiedere garanzie con investimenti onerosi nella depurazione e nelle compensazioni ambientali, nonché nella sicurezza dei sistemi di tubazione e in quelli ferroviari di trasporto. Per di più, le nuove riserve energetiche si trovano in aree che non sono ben collegate ai porti o alle raffinerie già sviluppate nel secolo precedente e le imprese del settore energetico sono impegnate a costruire infrastrutture per abbinare la mutata geografia alla nuova offerta.
Un esempio delle riserve nell’opinione pubblica sulla tecnologie di estrazione non convenzionali viene anche dalla Germania, che, ha in queste settimane presentato un progetto di legge che ha cambiato le carte in tavola, anticipando al 2019 il permesso per estrarre gas da scisto. Quando il Ministro dell’Ambiente Barbara Hendricks ha detto che saranno applicate “le regole più severe che siano mai esistite nel settore del fracking”, ha freudianamente aggiunto che le perforazioni “saranno consentite solo con il massimo rispetto per l’ambiente e l’acqua potabile”.
Con un sapore da umorismo noir, la ministra prevede che il fracking sia vietato in tutte le aree di approvvigionamento idrico pubblico e consentito solo con criteri chiari per la gestione dell’acqua del serbatoio in cui finiscono i fluidi dell’operazione, suscitando un po’ di sconsolata ilarità e l’allarme dell’Associazione di Municipal Utilities (VKU), che fornisce circa l’80% di acqua potabile ai tedeschi. Vincoli e normative rigide e sempre da migliorare per le popolazioni: costi in ascesa, quindi, o non se ne fa niente.
Intanto la Cina, il maggior consumatore in prospettiva, prevede l’autosufficienza energetica e la riduzione radicale delle emissioni di carbonio. Il presidente Xi Jinping annuncia sul South China Morning Post del 7 Febbraio di puntare ad abbassare il picco delle emissioni di anidride carbonica prima del 2030, con un ricorso al nucleare, ma, soprattutto, con una crescita impressionante delle rinnovabili. E aggiunge, significativamente, che “il cambiamento in atto nel mix energetico del Paese si basa su una minore dipendenza da carbone, lignite e petrolio e sull’aumento del consumo di energia pulita, cui seguirà il riequilibrio economico della nazione con un marcato rallentamento della crescita delle industrie manifatturiere ad alta intensità energetica e una rapida espansione del benessere e delle attività dei servizi”.
Per raggiungere gli obiettivi programmati, il “continente” ha bisogno di creare ex novo entro il 2030 da 800 a 1.000 GW di capacità di produzione di energia elettrica con zero emissioni. Il dettaglio presentato mette all’ultimo posto il ricorso al nucleare: 275 GW di capacità eolica, 385 GW di capacità solare e 120 GW di capacità idroelettrica, contro 85 GW di capacità nucleare. Suscettibili oltretutto di contenimento, per le riserve che si manifestano dopo l’incidente di Fukushima. L’esplosione degli impianti rinnovabili sulla scala macro del territorio cinese comporterà una drastica caduta del prezzo del kwh prodotto da pale, pannelli, digestori etc., con tecnologie di facile esportazione e adattamento anche nei paesi poveri.
Si ridurrà di conseguenza l’offerta eccedente di petrolio e gas da cui dipende in parte l’attuale caduta dei prezzi, pronti a risalire per l’impiego nei settori della mobilità, dei derivati post cracking e in quelli che richiedono la più alta densità energetica.
Se queste sono le condizioni nel medio periodo, meglio non adagiarsi sul prezzo attuale del greggio, ma prendere il tempo per le corna e accelerare il cambio di paradigma energetico che le energie naturali e rinnovabili – incardinate in stili di vita sostenibili – possono già innescare. Deve farsi strada la consapevolezza, fra chi governa e i cittadini, che essere sullo stesso pianeta e alimentarsi delle stesse risorse impone una politica globale di collaborazione, quando si ha come obiettivo la sicurezza, la guerra alla povertà, la difesa del clima e una vita e un lavoro decente per tutti. E questa è, forse, la chance vincente per decidere di superare rapidamente il sistema fossile e nucleare.
Di tutto questo non si è accorta l’organizzazione di EXPO 2015, che ha ridotto l’occasione di un appuntamento mondiale nel nostro Paese al solo capitolo alimentazione, privilegiando implicazioni prevalentemente commerciali rispetto alla sfida che quel binomio “energia-vita” – originalmente presente all’avvio, ma praticamente cancellato dalla manifestazione che si aprirà – avrebbe comportato per un ripensamento della sostenibilità a partire dalla Lombardia e dalla città di Milano.
Lavoro, precarietà e nuovo schiavismo: quale Europa?
11 maggio 2014, ore 16.00
Nova Milanese (Monza) – Auditorium Comunale – Piazza Gio.I.A. – via Giussani
Gianni Rinaldini, Scenari e prospettive del lavoro in Italia
Argiris Panagopoulos, La distruzione del lavoro in Grecia
Daniela Padoan, Il razzismo contro i poveri e la nuova schiavitù
Stefano Sarti, Ambiente e lavoro – oltre la contraddizione
Pino Viola, Precariato in Italia
Guido Viale, Lavoro e riconversione ecologica
Mario Agostinelli, Scenari per l’Europa
13 ottobre: Manifestazione Nazionale contro Aermacchi
Per sabato 13 ottobre è indetta una MANIFESTAZIONE NAZIONALE presso l’AleniaAermacchi di Venegono-Varese contro le produzioni belliche ed in particolare contro la vendita degli aerei AleniaAermacchi M346 ad Israele.
Perché questa manifestazione?
Perché noi varesini, che il problema ce lo abbiamo in casa -buona parte delle produzioni aeronautiche belliche italiane sono insediate nella nostra provincia-, ci sentiamo in dovere di far emergere e denunciare questa realtà.
Già negli anni scorsi avevamo denunciato la cronica dipendenza del nostro territorio dalle produzioni belliche indicendo manifestazioni attorno ad AgustaWestland (elicotteri) ed AleniaAermacchi (aerei) e, più recentemente, anche iniziative e convegni contro l’F35, il nuovo supercacciabombardiere americano (prodotto e revisionato a Cameri, provincia di Novara, Piemonte, ma sempre da Alenia Aermacchi -Finmeccanica-, che ha sede centrale a Venegono, Varese).
Inoltre nella sua recente visita in Italia, il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman, ha fatto una tappa del suo tour semisegreto proprio qui all’AleniaAermacchi di Venegono a cui è seguita la firma dell’accordo. Un accordo che non è stato scalfito neppure dall’ “Operazione piombo fuso” del dicembre 2008 – gennaio 2009, che ha visto Israele colpire con il suo “potere aereo” la popolazione palestinese civile inerme (1400 uccisi, di cui circa 400 bambini). Un’azione militare brutale, senza giustificazioni, nella quale sono state usate anche armi sconosciute o già vietate dalle Convenzioni internazionali (fosforo bianco, bombe D.I.M.E., uranio impoverito) e nella quale Israele ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità (come documentato all’ONU dal “Rapporto Goldstone”).
I promotori di questo “affare” vanno dal deputato varesino del PD Daniele Marantelli (al quale piace molto la definizione di Varese “provincia con le ali” da guerra) all’ex Premier Berlusconi “commesso viaggiatore” per Finmeccanica, dai Sindacati confederali metalmeccanici locali a diversi esponenti di spicco della Lega Nord varesina (Giuseppe Orsi, Presidente e Amministratore Delegato di Finmeccanica, e Dario Galli, tra gli undici del Consiglio di Amministrazione nonché presidente della Provincia di Varese).
Questa manifestazione è contro la pratica bellica, affermatasi negli ultimi 20 anni, che chiama “pace” la guerra e la vorrebbe giustificare come strumento di “sicurezza preventiva” e di “esportazione di democrazia”, sino a definirla “umanitaria”.
Ma “guerra umanitaria” è un ossimoro: la guerra provoca solo morti, feriti, distruzioni e genera odio, rancori e vendette; essa è quanto di più disumano si possa immaginare. Non ci sarà mai pace fin quando l’affare più redditizio sarà la produzione delle armi e di tutti gli strumenti di morte Per questo, dopo averne discusso ampiamente a livello locale, abbiamo deciso di indire questa manifestazione, cui chiediamo di aderire, inviando una e-mail di conferma a: nessunm346xisraele@gmail.com.
Parteciperanno e interverranno tra gli altri Alex Zanotelli, Massimo De Santi, Mauro Cristaldi, Mario Agostinelli, Luisa Morgantini.
PROGRAMMA
ORE 10.30: laboratorio coi bambini “Creare percorsi di Pace” presso il Castello dei Missionari Comboniani di Venegono Superiore, in preparazione della Manifestazione, con eventuale pic-nic e poi partecipazione alla stessa.
ORE 14.00: concentramento in PIAZZA MERCATO via C. Menotti – Venegono Inferiore (VA)
ORE 15.00: partenza corteo (Km da percorrere: 6)
ORE 18.00: fine corteo presso il castello dei Comboniani, con musica e vari interventi. L’INTERVENTO di ALEX ZANOTELLI è previsto in una sosta lungo il percorso.
ORE 19.30: chiusura della manifestazione
Per contatti
nessunm346xisraele.blogspot.it
Filippo Bianchetti 339 7354336 Comitato Varesino per la Palestina -Varese
Elio Pagani 331 3298611 DisArmiAmoLaPace – Varese