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4 novembre a Milano: convegno sull’enciclica Laudato si’
Fede, scienza, ragione: un’alleanza per il clima, la terra e la giustizia sociale
Mercoledì 4 novembre, dalle ore 10, nell’auditorium della Società Umanitaria, a Milano, un incontro per riflettere sui temi proposti da Papa Bergoglio
Un’enciclica, la «Laudato si’», che non si rivolge solo ai cattolici ma che sollecita apertamente il mondo laico ad agire, insieme ai credenti, per la salvezza del pianeta e dell’umanità.
Un concetto di ecologia integrale, cuore della lettera di Papa Francesco sulla casa comune, che rovescia la prospettiva da cui devono discendere scelte importanti e decisive a livello economico, sociale e ambientale.
Un cambio di paradigma, onnipresente nelle proposte di Papa Bergoglio, che vede la lotta alla povertà come leva di cambiamento che fa scattare reali meccanismi di giustizia e spinge ad adottare nuovi modelli economici, finanziari, ambientali e di sviluppo economico.
Partendo da queste considerazioni, sollecitata da movimenti e da organizzazioni di base, da personalità del mondo della cultura e del sociale, credenti e non credenti, la Casa della carità ha raccolto la proposta di organizzare un momento di riflessione sui temi della «Laudato sì» proprio nei giorni in cui a Parigi è in preparazione Cop21, la conferenza Onu sul cambiamento climatico.
L’iniziativa è promossa da:
Fondazione Casa della carità “Angelo Abriani”, Artigiani di Pace, A-Sud, Associazione Co-Energia – Progetti collettivi di economia solidale, Associazione Energia Felice, Beati i Costruttori di Pace, Comitati Chico Mendes, Comitato Milanese Acqua, Comitato per la Pace del Magentino, Contratto mondiale sull’acqua, Costituzione Beni Comuni, Ecoistituto Ticino, Forum Salviamo il Paesaggio, Nord Sud del mondo, Zero Waste Italy.
Energie rinnovabili: chi ne sminuisce la crescita?
L’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) è stata creata nel 1974 da parte dei Paesi che avevano appena vissuto la crisi petrolifera per raccogliere e condividere informazioni su energia, modelli e tendenze future e contribuire a mitigare gli impatti negativi (o evitare) crisi energetiche successive. Da allora, la Iea è diventata una fonte ampiamente rispettata di dati energetici e analisi di scenari futuri. Il suo annuale World Energy Outlook (Weo) è considerato il “gold standard” nelle previsioni di energia: ha una copertura mediatica enorme ed è come una bibbia per i governi di tutto il mondo. Stupisce allora che quasi dormisse quando si diffondevano inaspettatamente sul pianeta l’eolico e il solare.
Se ne è scandalizzato un recente rapporto della Energy Watch Group (Ewg), un think tank indipendente con sede a Berlino. Con estremo dettaglio sono state riportate le installazioni effettive e il contributo alla produzione delle nuove fonti, che sono stati confrontati con le proiezioni al ribasso dell’Agenzia.
IEA: proiezioni sottostimate rinnovabili vs. realtà
Come si può vedere, l’Iea continua ad aggiustare le sue proiezioni di anno in anno, ma mai abbastanza da catturare la realtà. Addirittura, Weo 2010 prevedeva 180 Gw di capacità installata in solare fotovoltaico entro il 2024, senonché tale obiettivo è stato raggiunto nel mese di gennaio del 2015. La capacità eolica installata nel 2010 ha superato le proiezioni di Weo 2002 e 2004 del 260 e 104 per cento rispettivamente.
Altri, analisti indipendenti (come quelli di Bloomberg New Energy Finance) si sono avvicinati a prevedere con precisione lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Le uniche previsioni che corrispondono al pessimismo impreciso dell’Iea sono quelle delle grandi corporation: BP, Shell e Exxon Mobil.
Inoltre, le stime della Iea riguardo al costo d’investimento del fotovoltaico al 2020, avendone amplificato oltremodo le componenti, stanno già ora risultando sballatissime. Ad esempio, il modello di valutazione dell’Agenzia utilizza un tasso di interesse dell’8% (superiore a quello che gli sviluppatori effettivamente pagano); presuppone che gli impianti solari abbiano una durata di 25 anni (quando la prova è che decadono a meno dell’1% l’anno, dando loro molto più tempo di vita); presuppone che i buoni siti stiano scomparendo quando, in realtà, c’è un’abbondanza di buoni siti solari, e, sull’altro fronte, migliori turbine eoliche stanno aprendo nuovi siti per il vento.
Si può concludere semplicemente che l’Iea venga pesantemente influenzata dagli interessi delle utility dei combustibili fossili. Ma c’è di peggio e di cui preoccuparsi ancor più. Il prestigio di cui gode il Weo induce in errore i governi nel disinvestire in eolico e solare e spinge a mantenere incentivi nei settori meno innovativi, dando l’immagine di uno status quo che cambia molto, molto lentamente (è il caso purtroppo del nostro governo). Nel settore dell’energia è assai diffuso il conservatorismo istituzionale (il sistema energetico mondiale è sempre stato enorme e lento) e, mentre vengono accettate in ogni branca delle nuove tecnologie curve di accrescimento esponenziali, il mondo economico vuole rimanere ancorato alla rendita del sistema energetico tradizionale e simula una crescita solo lineare per le energie rinnovabili.
Strano a dirsi, ma il modello di previsione migliore per le rinnovabili è stato quello di Greenpeace, che ha fatto una stima politica di che cosa sarebbe dovuto accadere e, quindi, ha utilizzato un modello di previsione per dimostrare che sarebbe stato possibile. Questo fa pensare che le previsioni spesso sono solo una dichiarazione politica in cui noi indichiamo quello che vogliamo vedere accadere Sta quindi a noi decidere che tipo di mondo si vuole vedere e costruire uno scenario per realizzarlo. Ed impostare le azioni per fare che quello scenario diventi una realtà.
E’ chiaro allora perché i grandi interessi economici sottovalutano e nascondono volutamente la crescita impetuosa di sole e vento: fornirebbero agli elettori qualcosa a cui aspirare e ridicolizzerebbero gli incauti trivellatori dei nostri mari.
Volkswagen in Usa: ‘Questo non è il diesel di tuo padre’
L’affare Volkswagen potrebbe sintetizzarsi nello slogan pubblicizzato in America dalla casa tedesca: “Questo non è il diesel di tuo padre”. Nonostante la stizzita ironia antigufi che da giorni inonda il Foglio di Giuliano Ferrara, è difficile riabilitare una delle truffe più ignobili della storia industriale e limitarsi alla preoccupazione per le perdite e l’eventuale declino del più grande produttore di auto al mondo.
Da troppo tempo il motore a combustione interna – diesel in particolare – è sotto accusa per i danni alla salute, per le emissioni nocive e per il consumo di suolo che le autovetture occupano in relazione al trasporto di persone assai spesso singole. La “bomba” esplosa dopo le prove fornite dall’International Council on Clean Transportation non è molto lontana a mio parere dall’effetto di Fukushima, con l’aggravante che nel caso delle emissioni i consumatori hanno un ruolo diretto e assai più stringente dei governi nello scegliere le alternative. A poco vale il ricatto su centinaia di migliaia di lavoratori occupati e il coinvolgimento dei “potenti sindacati” nel solito giochetto per cui sarebbero loro i più ostinati oppositori ad una riconversione ecologica. Che invece va avviata con urgenza, partendo dagli effetti spaventosi che il trucco ha già procurato e dai vantaggi occupazionali che si potrebbero trarre da una transizione governata alla mobilità sostenibile.
Secondo il Guardian lo smog è causa di quasi mezzo milione di morti premature ogni anno, e l’Unione europea sa che quasi il 40% delle emissioni di ossido di azoto dipendono dal trasporto. L’inganno perpetrato dalla casa automobilistica rischia di aver prodotto quasi un milione di tonnellate di emissioni di ossidi di azoto (NOx), grosso modo quanto ne producono tutte le centrali elettriche, le auto, le industrie e l’agricoltura del Regno Unito. La società tedesca ha ammesso che il dispositivo potrebbe essere stato montato su 11 milioni dei suoi veicoli in tutto il mondo, con conseguenze da 10 a 40 volte quelle stimate per gli Stati Uniti.
Certamente, come appare nella pubblicità, una “Passat” di oggi non richiama immediatamente il puzzolente pick-up dei film degli anni cinquanta. Ma non per questo si può tacere su questioni, come le quattro sotto riportate a cui si è data ancora poca attenzione.
1. La scelta intenzionale di Volkswagen ridefinisce drasticamente il concetto di malware. Siamo abituati a malware che ruba password, inietta pubblicità o altera il funzionamento dei computer o dei telefonini; non era ancora capitato che del malware inserito intenzionalmente dal costruttore consentisse di nascondere un inquinamento atmosferico su vasta scala. Siamo ad una forma di crimine occultata abilmente, ma non dissimile dall’impiego dell’amianto in edilizia.
2. La vicenda non si fermerà al dolo VW. E’ impossibile che una nota dei laboratori JRC alla commissione Ue, che denuncia come i test su strada evidenzino che solo 3 modelli su 23 rispettano davvero gli standard Euro6, sia potuta passare in silenzio. Quando non c’è vigilanza si commettono abusi, e quando si invoca la segretezza in nome della sicurezza, spesso la vera ragione è che si vuole carta bianca per commettere questi stessi abusi o per nasconderli. Se poi è vero che i software ingannevoli sono già stati vietati dal 2007 con il regolamento Euro 5 e 6, allora è improbabile che il dispositivo della Bosch sia stato utilizzato solo dalla fabbrica di Wolksburg. Teniamo conto che pubblicazioni prestigiose come il report di Transport&Environment, “Don’t breathe here” (“Non respirare qui”) denunciano da mesi come in Europa ci siano sistemi e meccanismi di controllo meno rigorosi che negli USA.
3. Volkswagen ha assunto lo studio legale statunitense che difendeva BP dal disastro petrolifero della Deepwater Horizon per trattare le multe che verranno comminate. L’assunzione di Kirkland & Ellis è emersa quando il governo tedesco ha ammesso che sapeva già di “impianti di manipolazione” che potevano imbrogliare le prove di emissione. Oliver Krischer, il vice leader del partito dei Verdi, ha detto alla televisione di Berlino che questo evidenzia che il governo sapeva che i costruttori di automobili stavano cercando di manipolare le prove di emissione. Tuttavia, l’agenzia di categoria che rappresenta i produttori di automobili europei ha insistito in questi giorni sul fatto che non c’era “alcuna prova” che lo scandalo si fosse diffuso al di là di VW.
4. Dopo la firma del contratto sui cambiamenti climatici (Protocollo di Kyoto) nel 1997, la maggior parte dei Paesi ricchi sono stati obbligati per legge a ridurre le emissioni di CO2 in media dell’8% in 15 anni. Quello del Diesel era stato un mercato di nicchia in Europa fino alla metà degli anni 1990, costituendo meno del 10% del parco auto. (I diesel producono il 15% in meno di CO2 rispetto alla benzina, ma emettono quattro volte più inquinamento di biossido di azoto e 22 volte più particolati, le minuscole particelle che penetrano polmoni, cervello e cuore). Sotto la pressione Ue per ridurre le emissioni di anidride carbonica, il diesel, dall’essere una scelta stravagante, è diventato il propulsore principale in Europa. La sua quota di mercato nel Regno Unito è salita da meno del 10% nel 1995 a oltre il 50% nel 2012.
Le case automobilistiche giapponesi e americane hanno invece sostenuto ricerche di auto ibride ed elettriche, quando la Commissione europea era fortemente spinta dalle grandi case automobilistiche tedesche Bmw, Volkswagen e Daimler, ad incentivare il diesel. Il trade-off tra la riduzione delle emissioni climalteranti e l’aumento dei problemi di salute non è stato ampiamente dibattuto e le case automobilistiche di conseguenza hanno adottato la soluzione facile di ingannare il sistema attraverso i malware informatici.
Il clamore della questione qui riportata accelererà riflessioni profonde sul trasporto, a partire dalla necessità di ridurre non solo le emissioni, ma anche il traffico e la potenza per unità di peso trasportato. Nell’immediato la mobilità elettrica sembra destinata a svolgere un ruolo centrale nello scenario climatico che prevede drastiche riduzioni delle emissioni al 2050. Con le fonti rinnovabili che alla fine del prossimo decennio garantiranno la metà della domanda elettrica in Europa e che sono in forte espansione in tutto il mondo, questa tecnologia contribuirà significativamente a decarbonizzare il settore dei trasporti. In più, la presenza di un rilevante numero di auto elettriche con batteria rappresenterà un formidabile sistema di accumulo diffuso, prezioso nella gestione delle elevate quote di elettricità intermittente come quella solare ed eolica, con la connessione alla rete elettrica dei veicoli per la ricarica.