di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano on line
Siamo un po’ al paradosso. Mentre il Governo Monti-Passera fa uscire di soppiatto dalle sue stanze unpiano energetico nazionale che guarda al passato (e che impudentemente assicura di sottoporre ad “ampia verifica”), un Paese conservatore, autonomo rispetto all’Ue e fino a ieri moderatamente filonucleare come la Svizzera, mette in consultazione una suastrategia energetica al 2050. E opta per un cambiamento radicale dell’intero sistema, ritenuto necessario dopo la decisione di abbandonare l’atomo.
Paragonare il piccolo Paese elvetico all’Italia dei “tecnici” mi serve anche per interloquire con i molti commenti riservati al mio blog. Commenti che arricchiscono i miei post rendendoli assai più problematici e articolati di quanto siano in partenza e a cui non posso rispondere direttamente senza ulteriormente frammentare la discussione. Perciò provo a replicare a talune critiche o perplessità ricorrendo a riscontri insospettabili e a prima vista sorprendenti.
È il caso dell’orizzonte energetico con cui si sta misurando la Svizzera e che rende un po’ desuete le presunzioni dei sostenitori inflessibili del nucleare, dei fossili, della continuità del vecchio sistema. Si tratta di un Paese moderno, con un alto tenore di vita ed elevati consumi, con un’abbondanza della fonte idrica, ma non certo favorito quanto lo siamo noi per l’abbondanza delle altre fonti energetiche naturali. In passato, la Svizzera aveva ritenuto risolutivo il ricorso all’energia nucleare. Una riflessione critica dopo Fukushima ha finito col buttare all’aria le carte di una strategia più che consolidata e refrattaria a cambiamenti radicali.
La consigliera federale Doris Leuthard, relatrice del piano energetico, ha stupito più di un osservatore. Nel suo rapporto all’organismo parlamentare ha esordito dicendo che “a livello mondiale abbiamo prezzi molto volatili di fronte ad un aumento della domanda di energia. Dal 2001 il solo prezzo del barile di petrolio è salito da 83 agli attuali 125 dollari, con conseguente aumento del prezzo del gas e delle energie convenzionali. Nello stesso tempo vediamo che le energie alternative costano sempre meno, ma sono ancora relativamente care e vanno quindi sostenute” (Corriere del Ticino, 29 settembre 2012). E ha aggiunto che, con la decisione di abbandono del nucleare, “non resta che puntare decisamente su una graduale trasformazione del sistema energetico attuale”. Esattamente il contrario della proposta Passera che tende al rilancio delle trivellazioni e alla costituzione di un “hub del gas” che saturerebbe l’Italia di tubi, rigassificatori e depositi di fonti fossili.
La strategia elvetica risulta molto chiara: riduzione del consumo pro-capite di energia complessivamente del 35% entro il 2035 (del 50% per combustibili e carburanti); risanamento degli edifici con inasprimento degli standard; prescrizioni sulle emissioni di CO2 delle automobili (al 2020 massimo di 95 gr CO2/Km); sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili nei settori del riscaldamento e della produzione di elettricità; diffusione delle “smart grid” per consentire un ricorso più efficiente all’autoproduzione e alla generazione decentrata di elettricità. È significativo soprattutto il collegamento tra la politica energetica e quella climatica, con il varo di una riforma fiscale ecologica che accorpa in un’unica tassa sull’energia la tassa sulla CO2 e quella per immettere in rete l’elettricità e il calore autoprodotti.
La consultazione a livello statale durerà 8 mesi. Una volta noti i risultati, si aprirà il dibattito parlamentare con un contraddittorio e una pubblicità assicurata da un protocollo rigoroso per radio e televisioni statali. Da noi ci si limita ad annunciare imprecisate consultazioni online sulla bozza Passera – tutt’ora semiprivata – con formulari predisposti in forma di quesito secco, a cui si potrà rispondere con la stessa aspettativa con cui si imbuca una lettera per un destinatario che non è tenuto a rimandare la ricevuta di ritorno.
Una volta, forse con un po’ di ingenuità, per rivendicare le otto ore di lavoro si cantava “e noi faremo… come la Russia!”. Mai ci saremmo aspettati di rivendicare democrazia energetica e giustizia climatica sospirando “e noi faremo come la Svizzera!”