Chi vuole uccidere le rinnovabili?

E’ uscito in questi giorni un freebook di Edizioni Ambiente, dall’emblematico titolo “Chi vuole uccidere le rinnovabili? – Il vero ruolo del fotovoltaico in Italia”.

In questo pamphlet il coordinamento FREE affronta tutti gli argomenti evocati, snaturati e occultati dai sostenitori delle fonti fossili per denigrare la filiera italiana delle energie rinnovabili. Con ritmo incalzante e lucido affronta i seguaci del “Calunniate, calunniate, qualche cosa resterà” per raccontare e documentare come stanno le cose.

 

Prima di tutto viene contestato il tono del confronto di idee che, come in alcuni dibattiti televisivi cui siamo stati abituati, predilige le iperboli emotive per evitare di misurarsi sulla sostanza delle scelte da fare e delle soluzioni da trovare.  Ripreso il tono di rispetto nel confronto, sono via via illustrati e smontati gli argomenti proposti dai detrattori della filiera. In questo modo viene superata una rappresentazione economica, tecnologica e occupazionale che, nelle sue forme parossistiche, è equiparata ad un’associazione delinquenziale predatrice di territorio più che ad una prospettiva di sviluppo e di futuro per il paese e l’Europa.

 

Quindi, con pazienza e abile rapidità, emerge una realtà diversa. Sono ricollocati i dati omessi, smantellati rosari di inesattezze, corrette le più gravi imprecisioni, non ultime quelle che concernono i cittadini che, con le energie rinnovabili, non solo risparmiano, ma già si guadagnano l’energia per il futuro. Infatti, per dirla con Don Basilio nel Barbiere di Siviglia, “La calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile, che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente, incomincia a sussurrar. Piano piano, terra terra, sotto voce, sibillando, va scorrendo, va ronzando; nelle orecchie della gente s’introduce destramente, e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar” e perciò va subito svelata per quello che è.

 

Dopo esservi registrati al sito di Edizioni Ambinete, potete scaricare il libro gratuitamente qui: http://freebook.edizioniambiente.it/libro/79/Rinnovabili_chi_vuole_uccidere_la_verita

Il fotovoltaico in un sistema elettrico in transizione

di Gianni Silvestrini

L’irruzione del fotovoltaico in un sistema elettrico in transizione

Le utilities in Germania, Italia e Usa sono in difficoltà e la situazione per loro è destinata a peggiorare, anche se proveranno a reagire. La forte penetrazione del fotovoltaico e delle altre rinnovabili elettriche richiederà invece una profonda trasformazione dei produttori di elettricità da fonti convenzionali. Un articolo di Gianni Silvestrini pubblicato per la rivista mensile ‘FotoVoltaici’.
03 maggio 2013

Gli attacchi al fotovoltaico aumentano di intensità, come ci ricorda il pamphlet di Chicco Testa “Chi ha ucciso le rinnovabili?”. La motivazione ufficiale delle prese di posizione, che provengono anche dai grandi media, riguarda l’incidenza sulla bolletta elettrica di incentivi troppo alti. Ma è la crisi dei conti economici delle utilities, con le centrali elettriche in difficoltà anche per la crescita dell’elettricità verde, a rappresentare la preoccupazione principale sottesa agli attacchi. Lo scricchiolio del sistema elettrico, impensabile fino a qualche anno fa, non riguarda peraltro solo l’Italia e la Germania, ma coinvolge ormai anche gli Usa.

Da noi incidono, oltre all’irruzione delle rinnovabili, il declino della domanda e l’eccesso di potenza convenzionale installata. Nel 2012 il fabbisogno di elettricità, 325 TWh, era tornato sui livelli del 2004 e nel primo bimestre di quest’anno si è registrata, a parità di calendario, un’ulteriore flessione del 3,7% rispetto ai valori del 2012. In questo contesto le quote di elettricità solare ed eolica hanno costretto molte centrali a ciclo combinato a lavorare meno di 2500 ore l’anno, a volte in perdita.

Negli Usa ad essere messi in crisi dai 60 GW eolici non sono le centrali alimentate a gas, visto che in quel paese il prezzo del metano è crollato negli ultimi anni grazie al “fracking”, ma diversi impianti a carbone e nucleari che in alcune ore sono costretti a vendere elettricità a prezzi negativi. E la situazione negli Stati Uniti è destinata ad aggravarsi nei prossimi anni per la forte crescita prevista sia della potenza solare che di quella eolica.

La situazione della Germania è ancora diversa. Qui aumentano rinnovabili, esportazioni e anche carbone, mentre calano nucleare e gas, per le motivazioni che spiegheremo più avanti.

In tutti i casi descritti le utilities sono in difficoltà e la situazione per loro è destinata a peggiorare. Secondo il rapporto “The unsubsidised solar revolution” pubblicato dalla più importante banca svizzera, UBS, i prossimi anni vedranno una rapida crescita del fotovoltaico in Europa anche in assenza di incentivi. Lo studio analizza i casi di Germania, Italia e Spagna stimando che nel 2020 ci potrebbero essere 43 GW fotovoltaici installati senza incentivi diretti, in parte accoppiati a sistemi di accumulo, con un incidenza sulla domanda elettrica compresa tra il 6 e il 9% (fig. 1).

Dunque, è comprensibile la reazione degli interessi colpiti. In Germania si è tentato di mettere un tetto agli incentivi e di colpire anche retroattivamente. Ma quello delle rinnovabili è diventato un comparto ormai troppo forte e la proposta del Governo è stata bocciata. In altri paesi, come Spagna, Grecia e repubblica Ceca, la retroattività invece ha colpito. C’è dunque da aspettarsi qualche tentativo del genere anche in Italia. Tutto dipenderà dal prossimo governo.

Ma la riflessione di fondo va oltre il ruolo del fotovoltaico per investire il processo diradicale trasformazione del sistema elettrico che, come abbiamo visto, comporta e comporterà traumi che occorrerà gestire con intelligenza. Il mondo delle rinnovabili deve avanzare una proposta ragionevole che tenga conto dell’intero quadro in movimento. E una riflessione dovranno farla anche i grandi operatori per definire nuove strategie.

Per capire cosa potrà succedere in Italia, è molto interessante analizzare l’evoluzione della “Energiewende”, la trasformazione energetica avviata con grande determinazione in Germania che abbina la sfida dell’abbandono del nucleare con quella della forte riduzione delle emissioni climalteranti.

Intanto, iniziamo dalla storia di questo termine. La Energiewende venne lanciata nel 1980 dall’Öko-Institut di Friburgo per indicare la necessità del passaggio ad un sistema energetico senza atomo e senza combustibili fossili. Accolta inizialmente con forte ostilità dall’establishment, questa visione ha progressivamente preso piede e adesso è stata fatta propria, con più o meno slancio, dall’intero schieramento delle forza politiche.

Sono stati fissati obiettivi molto ambiziosi per il 2050, con una riduzione delle emissioni dei gas serra dell’80-95% e con le rinnovabili che dovrebbero coprire l’80% della domanda elettrica e il 60% dei consumi totali. Centrale in questa visione è la riduzione dei consumi e energetici e il passaggio dal modello centralizzato a quello decentrato del nuovo sistema energetico. In effetti, ci sono ormai più di 1,3 milioni di impianti fotovoltaici in funzione, che sommati alle migliaia di impianti eolici e a biomassa, stanno trasformando completamente la fisionomia del mix produttivo.

Dopo l’incidente di Fukushima, si è deciso di accelerare l’uscita dal nucleare, rendendo ancora più ambiziosa la trasformazione energetica. La vera sfida della rivoluzione in atto non consiste tanto nella crescita delle rinnovabili. La quale, anzi, ha registrato una dinamica più rapida del previsto con il passaggio dal 6 al 25% in soli dieci anni della quota di elettricità verde, percentuale che dovrebbe arrivare almeno al 35% entro il 2020. I problemi aperti riguardano da un lato il mix esistente di centrali, dall’altro l’adeguamento della rete.

L’analisi modellistica effettuata da UBS indica, ad esempio, che la sola espansione non sussidiata del solare comporterebbe al 2020 un calo medio del 10% del prezzo del kWh sul mercato elettrico, con ulteriori difficoltà per gli operatori elettrici che si vedrebbero dimezzare i profitti (Fig. 2). Da qui l’indicazione dell’Istituto bancario a vendere le azioni di una serie di utilities tedesche spiazzate dalle novità.

In questo quadro che succede delle centrali termoelettriche esistenti? Per gestire la quota crescente di rinnovabili non programmabili, i cicli combinati rappresentano l’abbinamento ideale, al contrario delle centrali a carbone e a quelle nucleari che hanno tempi di variazione della potenza piuttosto lenti. In questa fase però in Germania i cicli combinati vengono spiazzati dalle rinnovabili e dal carbone. Nel 2012 la produzione da carbone è infatti cresciuta a causa dei bassissimi valori dei prezzi della CO2 sul mercato europeo dell’Emissions Trading e degli alti prezzi del gas.

Sul lungo periodo tuttavia il ruolo dei combustibili solidi è destinato a calare (Fig. 3).  Entro il 2020 verranno chiusi 18,5 GW, parzialmente sostituiti da 11,3 GW, sempre a carbone ma più efficienti, e le dismissioni continueranno negli anni successivi. Non pare dunque esserci un grande futuro per il carbone, anche perché il sequestro della CO2 che potrebbe garantire uno spazio a questo combustibile sembra destinata ad un ruolo molto modesto per l’opposizione dei Länder.

Resta la difficoltà dei cicli combinati. Per garantire al gas nei prossimi decenni un ruolo importante e complementare alla corsa delle rinnovabili, in Germania si sta discutendo se introdurre un “capacity payment” o una “riserva strategica”.

Ma per consentire la crescita delle rinnovabili occorrerà un notevole sforzo perpotenziare e trasformare la rete elettrica e progettare la capacità di accumulo. Si tratta, in effetti, della più importante sfida infrastrutturale in Germania dal dopoguerra con investimenti che arriveranno a 200 miliardi €.

Dunque, costi elevati per la transizione tedesca. Occorre però osservare che l’impatto sulle bollette (5,3 c€/kWh a gennaio 2013) è destinato a calare sul medio periodo e che sul lungo termine la svolta sarà economicamente vantaggiosa per il paese.

E’ interessante, infine, notare come finora tutti i sondaggi diano un forte sostegno allaEnergiewende, anche perché questa scelta ha generato occupazione, 380.000 addetti solo nel comparto delle rinnovabili, e la trasformazione vede coinvolta direttamente una fetta importante della società, con milioni di cittadini coinvolti. Sono in forte crescita anche gli esempi di cooperative nella proprietà di nuovi impianti: il loro numero è passato da 101 nel 2007 a 586 con 80.000 iscritti nel 2011.

Per finire un’occhiata agli scenari mondiali del fotovoltaico. Quest’anno è prevista una leggera crescita in termini di potenza istallata che potrebbe posizionarsi a 31-33 GW con la Cina al primo posto (8 GW sembrano un risultato plausibile, anche se si parla di un target di 10 GW), seguiti da Germania, Usa, Giappone e dall’Italia che manterrebbe un onorevole quinto posto.

Il comparto solare continuerà a crescere ed entro il 2017 la potenza cumulativa fotovoltaica dovrebbe subire un altro raddoppio (vedi grafico 4)

Terminate tra il 2013 e 2014 le dolorose ristrutturazioni della filiera solare, la tecnologia si diffonderà in modo sempre meno dipendente dalle incentivazioni in un numero crescente di paesi, candidandosi a diventare la soluzione centrale della rivoluzione energetica nella seconda metà del secolo.

03 maggio 2013

Le risposte di ENEL (elusive) agli azionisti critici

Nel 2012 il 31% dei 295,8 TWh di energia elettrica prodotti da Enel è venuto dal carbone, con una crescita del 6,6% rispetto all’anno precedente. Più carbone soprattutto in Italia, tanto che nel mix dell’azienda è passato dal 34,1% del 2010 al 48,4% nel 2012, crescendo di oltre il 14,3%. Nel solo 2009 il carbone Enel ha emesso 888 tonnellate di PM10, 19.825 di NOx, 24.033 di SOx e 27,7 milioni di tonnellate di CO2, inquinamento che tradotto in danni economici fa 1,7 miliardi di euro, di cui 840 milioni di costi esterni per inquinamento, 932 per la CO2 e 3,5 milioni di danni diretti all’agricoltura. Ci sono poi i danni sanitari: gli impianti Enel, con il loro inquinamento, in quell’anno secondo gli studi commissionati da Greenpeace avrebbero provocato 366 morti premature (si veda studio). Se si considerano i piani di espansione dell’azienda, con le centrali a carbone di Porto Tolle e Rossano Calabro, in futuro si potrebbe arrivare anche a sfiorare i 500 casi di morti premature all’anno.

Eppure se un azionista del gigante energetico – che tra l’altro è per il 31,24% del ministero del Tesoro, dunque anche degli italiani – solleva dubbi sulle politiche dell’azienda su questa fonte sporca, Enel ribatte in maniera evasiva, limitandosi a ricordare che i suoi investimenti sono perfettamente legali.

Basta leggere quello che l’ex monopolista ha risposto ai numerosi quesiti che gli azionisti critici, rappresentati da Banca Etica, hanno portato all’Assemblea dello scorso 30 aprile (vedi qui e allegato in basso). Domande che chiedono conto, oltre che di investimenti controversi all’estero (come quelli nel nucleare nei paesi baltici o in grandi progetti idroelettrici in Sudamerica), anche di tutte le problematiche correlate agli investimenti in nuovi impianti a carbone o riconversioni in Italia. Interrogativi molto puntuali, cui Enel risponde in maniera piuttosto generica.

Per fare solo un esempio, sull’impianto di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia si chiede nell’ordine:

  • Qual è stato, in media, il ritorno netto di ciascun MW di elettricità prodotto da carbone nel 2012?
  • Considerato il fatto che l’impianto si trova al confine con un’area urbana, quali precauzioni si sono prese al fine di evitare, in caso di eventi accidentali, il rischio di un effetto domino?
  • Dove sono state smaltite le ceneri radioattive e quanto è alto il costo dello smaltimento?
  • Qual è l’ammontare dell’indennizzo per ciascun comune e per istituzioni e associazioni, pubbliche o private?
  • Quali sono le spese legali e processuali che la Società stima in relazione ai processi su Torrevaldaliga e quanti e quali dirigenti e impiegati, in essere o cessati, sono coinvolti nei procedimenti e per quale ragione?
  • Qual è il costo per tonnellata del tipo di carbone usato oggi?
  • Quale sarebbe il costo nel caso in cui il carbone avesse un contenuto di zolfo < 0,3%?
  • A che punto è e quanto costerà il processo per la realizzazione del “Parco dei Serbatoi”? L’area del vecchio sito è stata oggetto di una procedura di recupero in conformità alla normativa ambientale applicabile?

Risposta di Enel: “L’impianto a carbone di Torrevaldaliga Nord risponde pienamente alle prescrizioni di legge e ha ricevuto l’AIA con l’autorizzazione a restare in funzione per i prossimi 8 anni. I rapporti con il Comune sono regolati da un’apposita convenzione del 2008, che regola anche l’entità del contributo da erogare al Comune stesso per la presenza dell’impianto sul territorio”. Tutto qui. Di analogo tenore le risposte alle dettagliate domande sugli altri impianti: Rossano, Porto Tolle, la Spezia. Liquidate in maniera simile anche le obiezioni degli azionisti sul perché negli impianti geotermici del Monte Amiata Enel non stia utilizzando la tecnologia con il minor impatto ambientale disponibile, quella a ciclo binario (si veda sempre allegato in basso).

“Enel non ha mancato, in questa circostanza come in altre, di dimostrarsi un’azienda reticente – commenta amaro a QualEnergia.it Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – la solfa è sempre la stessa: i nostri impianti operano entro i limiti di legge e in base alle autorizzazioni concesse. Se anche non vi fossero indagini in corso riguardo molte delle attività produttive di Enel – da Brindisi a Genova, da Porto Tolle a Civitavecchia – e seppure non vi fossero sentenze di condanna a carico dell’azienda e dei suoi vertici passate in giudicato, questo tipo di risposte vuol dire poco o nulla. Greenpeace non contesta a Enel di operare fuori dalla legge: le contesta di causare danni sanitari ed economici enormi, col carbone, in Italia e in Europa; e di contribuire consistentemente alla distruzione del clima. Per questo chiediamo a Enel di cambiare strada, di puntare sull’innovazione, sulle fonti rinnovabili e sulla promozione dell’efficienza. Quando l’azienda non risponde con questo vuoto mantra aziendale – ‘tutto è a norma, tutto è a norma!’ – risponde attraverso le carte dei suoi avvocati. Ormai gli appuntamenti che Greenpeace ha con i legali di Enel, in molti tribunali italiani, non si contano. Per noi le carte bollate non sono un problema: già abbiamo battuto Enel sul piano legale, crediamo di poterlo fare ancora. Il punto è se un’azienda controllata dallo Stato, di fronte ad accuse gravi quali quelle che noi e altri le muovono, sia autorizzata a procedere così: senza mai rispondere davvero e – semmai – querelando, denunciando, promuovendo ricorsi e avanzando enormi richieste di risarcimento. A noi sembra un segno di gravissima irresponsabilità”.

Le risposte di Enel agli azionisti critici (pdf)

Chi inquina non paga: inciuci europei e lobby del carbone

Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano 24 aprile 2013

Quest’anno la Giornata della Terra (22 aprile) ha coinciso, almeno nel nord dell’Italia, con le fioriture in grave ritardo degli alberi, richiamando la nostra attenzione sul fatto che, per stare meglio e godere della vita, occorre anche tener conto del rapporto tra l’evoluzione del clima e i nostri comportamenti in difesa o disprezzo di terra, aria ed acqua.

A proposito, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) afferma che “nel 2012, pur con una debole economia mondiale ed il prezzo del petrolio alle stelle, le emissioni di anidride carbonicahanno raggiunto livelli record. Il modo in cui produciamo ed utilizziamo l’energia minacciano la nostra sicurezza, la salute, la prosperità economica e l’ambiente” (Energy Technology Perspectives 2013).

Nonostante i fiumi di parole sulla green economy, dobbiamo registrare che, se nel 1990 per ogni tonnellata equivalente di petrolio (Tep) di energia venivano emesse 2,39 t CO2, nel 2010 le emissioni erano scese ad appena 2,37 tonnellate. Eppure, ci sono notizie allettanti e positive, come gli investimenti in energie pulite ormai economicamente convenienti (“da oggi al 2050, ogni dollaro investito in più nelle rinnovabili può generare un risparmio di combustibile pari a tre dollari” (Energy Technology Perspectives 2012), la crescita delle vendite di vetture ibride ed elettricheche hanno raggiunto quota 1,2 milioni (+43% nel 2012). E ancora, la decisione di 46 Paesi di eliminare gradualmente entro il 2016 le lampade ad incandescenza e l’utilizzo delle tecnologie per una migliore integrazione e flessibilità dei sistemi, come le smart grid, per cui sono stati investiti 13,9 miliardi dollari nel 2012.

Il fatto è che nel mondo continua a crescere il numero di centrali a carbone (6% nell’ultimo biennio). Perfino nei Paesi più “green” del vecchio continente, si pensi alla Spagna e soprattutto alla Germania, aumenta la quota di elettricità prodotta dalle centrali a carbone, sia perché il suo prezzo è sempre più basso, sia perché eolico e solare fotovoltaico in quote ancora marginali riducono l’uso delle centrali a gas, ma non di quelle a carbone.

E’ proprio l’influente lobby d’affari del carbone che ha convinto una settimana fa (il 16 aprile) ilParlamento Europeo a votare per rifiutare la proposta della Commissione di rilanciare il sistema di scambio di emissioni (ETS), in modo da far pagare chi inquina, bloccando sul mercato i certificati a bassissimo prezzo disponibili nei prossimi anni. I certificati di emissione di anidride carbonica possono essere scambiati, con un pagamento da parte degli inquinatori in eccesso e, al contrario, un risarcimento monetario di chi riduce le emissioni.

Dal lancio del sistema nel 2005, il prezzo per tonnellata è passato da 30 euro a meno di 5, e chiaramente questo ribasso non spinge gli industriali a investire per ridurre le emissioni. Congelando una parte dei “permessi per inquinare”, la Commissione sperava di far risalire il prezzo delle quote fino a 10-12 euro. Ma dopo il rifiuto del Parlamento e la riapertura dell’asta per altre quote di emissione di CO2, il prezzo per tonnellata di gas serra è crollato. Si è così attenuata l’arma principale dell’Ue nella lotta contro il riscaldamento globale, costituita dall’obiettivo di un’effettiva riduzione almeno del 20% delle emissioni di gas serra da conseguirsi anche con forme marcate di incentivo-disincentivo. Obiettivo oggi vergognosamente monetizzabile con due soldi, in base alla decisione dell’europarlamento, approvata di stretta misura (334 contro, 315 favorevoli e 63 astenuti), ma con il plauso di Confindustria. Gli europarlamentari italiani hanno formato una “larga intesa” a favore degli inquinatori, costituita da PdL, Lega, Montiani e parte del Pd.

Analizzando l’episodio e rimarcandone le valenze, è triste dover osservare come l’abitudine a declinare la rappresentanza e le aspettative dei propri elettori non sia malcostume rilevabile solo a livello nazionale. Se la democrazia progressivamente si eclissa e gli interessi si rendono visibili solo agli eletti e rimangono invisibili agli elettori e all’opinione pubblica, l’inciucio viene esecrato a parole, ma confermato negli atti. Non sarebbe male verificare i singoli comportamenti di voto a Strasburgo in un fatidico 16 aprile, stranamente omesso tra le notizie degne di nota e invece assolutamente indicativo di un’ipocrita e nefasta celebrazione da parte della politica della “Giornata della Terra” con una settimana di anticipo.