A DUE ANNI DAL REFERENDUM SUL NUCLEARE

Il 12 e 13 giugno 2011  i Cittadini italiani hanno bocciato il nucleare per la seconda volta:

cosa è cambiato da allora?

La notizia cattiva

 

Le scorie radioattive non hanno trovato alcuna collocazione responsabile, quelle che non sono nei siti italiani a rischio si stanno godendo una costosa quanto inutile e pericolosa vacanza all’estero, a Sellafield in Inghilterra o a La Hague, in Francia, da dove torneranno tra pochi anni senza che si sappia dove sistemarle in condizioni di decente sicurezza per un periodo di almeno diecimila anni (vedere allegati di ISPRA e di Sogin).

 

Non sono ancora neppure stati individuati i criteri per scegliere il sito per il deposito nazionale, che secondo la legge vigente 368/2003 andava realizzato entro il 31.12.2008, in modo democratico e trasparente, in una località che potesse oggettivamente rendere il rischio più basso, almeno  per quanto possibile.

 

Viceversa Sogin ha avviato in tutti i centri nucleari la realizzazione di depositi, definiti “temporanei”, ma privi di scadenza: se verranno completati siamo convinti che da questi siti a rischio i rifiuti radioattivi non se ne andranno via mai più!

 

 

La notizia buona

 

I pannelli fotovoltaici nell’anno 2012 hanno prodotto oltre diciotto miliardi di kWh di energia elettrica dal sole (vedere allegato del GSE).

 

La produzione è in continua crescita, e altri quattro anni con una produzione anche solo eguale al 2012 faranno sì che il fotovoltaico da solo supererà la produzione totale di energia elettrica ottenuta da tutte e quattro le centrali nucleari italiane in tutti gli anni del loro funzionamento (93 miliardi di kWh totali), e senza lasciarci in eredità tutte quelle scorie radioattive per miliardi di miliardi di Becquerel che nessuno oggi sa come sistemare, e neppure le centinaia e centinaia di kg di quel plutonio la cui dose mortale per inalazione è di solo un decimo di milligrammo.

Desertec in crisi: le due vie alle rinnovabili

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano 10 giugno 2013

Per la prima volta nella storia umana siamo vicini alla soglia delle 400 ppm di CO2un livello critico per il riscaldamento globale. Con una rapida svolta verso le energie rinnovabili e pulite, supportata da forti misure per l’efficienza energetica, saremmo in grado di ridurre drasticamente le emissioni e la concentrazione di CO2.

Gli approcci in questa direzione, soprattutto per il fabbisogno elettrico, sono essenzialmente di due tipi. Da una parte, un mutamento radicale della struttura della fornitura e del consumo energetico, dovuto a un’ampia diffusione di apparati decentrati e di piccola-media taglia integrati nel territorio (pannelli sugli edifici, reti intelligenti, sistemi di accumulo e di risparmio etc). Dall’altra, un’enorme concentrazione della produzione in luoghi particolarmente favorevoli alla trasformazione delle fonti naturali con impianti ancora più mastodontici delle attuali centrali (campi fotovoltaici nei desertidighe che formano grandi bacini, campi eolici offshore etc.) e linee di trasporto che, dopo aver attraversato mari e continenti, si riallacciano ai sistemi ereditati e governati dalle grandi corporation elettriche oggi sul campo.

E’ evidente a chiunque come i due scenari comportino soluzioni economiche, sociali, ambientali e democratiche tra loro profondamente diverse, pur marciando nella medesima direzione di ridurre gli effetti del cambiamento climatico. Ma, mentre la diffusione di rinnovabili per sostituzione dei fossili procede, pur scoraggiata dalle grandi utilities e da governi come il nostro, la notizia clamorosa riguarda la messa in discussione quasi definitiva del progetto Desertec, voluto dal consorzio delle grandi utilities del nostro continente per l’esportazione di energia solare generata dal Sahara verso l’Europa.

In una intervista telefonica, il ceo del consorzio, Paul Van Son, ha ammesso che l’Europa può fornire la maggior parte del suo fabbisogno energetico dal proprio interno, con la creazione di mercati integrati in cui cresca la produzione locale di rinnovabili. Senza, quindi, dover costruire impianti e linee di trasporto dal Maghreb. Si tratta di una svolta clamorosa, che ha a che fare non solo con le difficoltà tecnologiche e i rischi industriali, ma – diciamolo pure – con la filosofia delle grandi opere e con la constatazione che le rinnovabili sono finalizzate al consumo territoriale e aumentano la loro efficacia solo se abbinate all’efficenza del sistema e al contenimento del trasporto.

In effetti, i critici del ricorso ad opere faraoniche per risolvere la crisi avevano messo in dubbio la fattibilità di un progetto per generare 100GW entro il 2050 a un costo di 400.000.000.000 di euro. L’Europa è già alle prese con i problemi di assorbimento di energia rinnovabile prodotta in loco e ormai concorrente con quella prodotta da fossili. Il primo compito, nell’interesse dei suoi cittadini, sembrerebbe quello delle reti, degli accumuli e dell’integrazione tra i sistemi, prima che l’importazione da altri continenti.

In compenso, i Paesi del Nord Africa si stanno concentrando sulla soddisfazione delle proprie richieste nazionali di potenza – che stanno crescendo rapidamente – e sono di conseguenza riluttanti a impegnarsi per una esportazione che richieda enormi investimenti e una gestione onerosa. L’obiettivo dell’Algeria è di produrre il 40% della sua elettricità da fonti energetiche rinnovabili entro il 2030. Il Marocco intende mettere in opera 50 MW fotovoltaici e impianti eolici per 50 MW nel Regno. In definitiva, Desertec si sta trasformando in un’ottima occasione per costruire una fornitura di energia rinnovabile per il Nord Africa.

Anche se poco riportata dai nostri media, la “riconversione” di Desertec ha un enorme significato: stiamo andando verso un modello energetico davvero nuovo, distribuito, a dimensione integrata e territoriale, non più “mimato” su quello che ci consegnano le utilities spiazzate dalla loro stessa imprevidenza nel non considerare la questione della giustizia sociale e climatica come la nuova frontiera. Che il nuovo stia avanzando – seppure contrastato – lo si poteva vedere lo scorso weekend in una affollatissima ricorrenza organizzata alla Cascina Cuccagna nel centro di Milano: alla prima edizione di “La potenza di helios”, una mostra-evento per fare il punto sulle possibilità di utilizzo dell’energia solare anche in città, una tensione realizzativa animava visibilmente gli incontri e le dimostrazioni, nella migliore sinergia tra bisogno di innovazione  e aspirazione alla convivialità.

Cinquantapercento rinnovabile

Roberto Meregalli (BCP – Energia felice)

 

Gli amministratori delegati di Enel, Gasterra, Gdf Suez, Iberdrola, Eni, Rwe, E.On, Gas Natural Fenosa (Fulvio Conti, Gertjan Lankhorst, Gérard Mestrallet, Ignacio Galan, Paolo Scaroni, Peter Terium, Johannes Teyssen, Rafael Villaseca Marco) alla vigilia del Consiglio europeo del 22 maggio, hanno posto all’attenzione dei leader europei la necessità urgente di modificare la politica energetica europea.

I big del gas hanno chiesto la remunerazione della capacità disponibile e delle reti, un mercato della CO2 che favorisca “tecnologie ecocompatibili” (la CCS?) e “un approccio più sostenibile per la promozione delle energie rinnovabili al fine di ridurre i costi per i cittadini” (basta soldi alle fer).

Si tratta del livello più elevato di pressione a cui le utility sono giunte, dopo due anni di campagna serrata e martellante sui mezzi di comunicazione e in tutte le occasioni istituzionali possibili (audizioni parlamentari, incontri, conferenze), per bloccare l’avanzata delle fonti rinnovabili.

Mai è stato così martellante l’allarme per il contenimento del costo dei prezzi dell’energia, “non possiamo accettare nulla che facci aumenta il costo dell’energia[1] tuona a ripetizione il presidente di Assoelettrica Chicco Testa: mai udita tanta veemenza in passato quando l’energia non era certo meno costosa di oggi, anzi nel corso di questo 2013 sono già scesi sia il prezzo dell’elettricità che del gas e continueranno a scendere nei prossimi mesi. Mai udita tanta foga contro i sussidi agli inceneritori o per gli oneri nucleari o gli sconti alle ferrovie e ai grandi consumatori industriali.

Il top dell’assurdo è stato raggiunto dall’appello[2] del 5 maggio scorso, sottoscritto da Italia Nostra, LIPU, Comitato per la Bellezza, Amici della Terra, Comitato nazionale del Paesaggio, Mountain Wilderness, che propongono di trovare i soldi per ridurre o abolire l’IMU sulla prima casa tassando gli “enormi profitti lucrati grazie agli incentivi più alti del mondo assegnati negli anni passati all’eolico ed al fotovoltaico industriali”. L’appello condanna “l’assalto che ha portato ad invadere vastissime aree agricole a coltura e a deturpare incontaminati paesaggi montani (in evidente spregio dell’art. 9 della Costituzione). Assalto che graverà per 12 miliardi l’anno sulle bollette degli italiani per il prossimo ventennio”. A prescindere che la colata di pannelli fotovoltaici a terra ha occupato in totale circa 133 km quadrati, non pochi certo, ma pari allo 0.044 % del territorio (un venticinquesimo della Valle d’Aosta) ben lontano da chi vaneggiava, ed era il massimo manager italiano del settore elettrico, che “Una crescita dell’1,5-2 per cento annuo [di generazione elettrica] implica una produzione di 1.500 megawatt. Per raggiungere un obiettivo del genere impiegando soltanto l’eolico o il fotovoltaico si dovrebbero installare almeno 500.000 pale eoliche e disporre di una Regione delle dimensioni dell’Umbria per il fotovoltaico[3], viene spontaneo chiedersi il perché tutta questa rabbia verso le nuove fonti e non, ad esempio, per la riduzione del numero degli aerei F35 o altre spese militari? O, rimanendo in materia di energia, verso la trattativa in corso al ministero per lo sviluppo economico per garantire “meccanismi di garanzia di remunerazione” al rigassificatore di Livorno[4] che doveva già essere in opera ma che i proprietari non fanno salpare da Dubai, dove ufficialmente è stato varato il 5 febbraio, proprio perché in attesa di contributi economici statali?

Purtroppo le prese di posizione dell’Autorità per l’energia ed il gas convergono sul tema del contenimento dei costi in bolletta, escludendo qualsiasi ragionamento di strategia, salvo poi lamentare in ogni occasione la cronica mancanza di programmazione strategica italiana. Il ridicolo è che l’eventuale tassazione della generazione fotovoltaica non ridurrebbe di un centesimo il costo dell’elettricità, servirebbe ad altro, ed anche un sussidio alle centrali a gas sottoforma di capacity payment (riconoscimento economico alle centrali a gas pronte ad entrare in servizio in caso di necessità) avrebbe lo stesso effetto, anzi costituirebbe un ulteriore onere da spalmare in bolletta. Per non parlare della richiesta dei distributori di energia (vedi comunicato di Euroelectric, guidata attualmente dal “nostro” Fulvio Conti) che chiedono “una regolamentazione tariffaria che garantisca ritorni sull’investimento” indipendentemente dai flussi effettivi di energia.

Quello che si sta svolgendo sulle spalle dei cittadini è uno scontro fra i dinosauri del passato e la nuova generazione distribuita, con l’obiettivo dei primi di bloccare il cambiamento in atto o almeno rallentarlo il più possibile. Ma fermarsi quando si è a metà del guado significa sprecare o quantomeno rendere meno produttive le spese e gli sforzi sinora effettuati. L’investimento in rinnovabili è stato rilevante (e parte del capitale è stato anticipato da investitori esteri) ma l’unica proposta sensata e davvero dalla parte dei consumatori ora sarebbe quella di pensare a come sfruttarla e valorizzarla al massimo, non a come sprecarla. Non serve più alcun sussidio, basterebbero sgravi fiscali e regolamenti che permettano a chi mette i pannelli sul tetto di vendere direttamente al vicino senza passare dalla rete.

E se qualcuno ancora non crede alle potenzialità (almeno nell’elettrico) delle FER guardi cosa sta succedendo in borsa: la scorsa settimana il 54,5% dell’elettricità offerta era da fonte rinnovabile! Il gas (per definizione uno dei nostri problemi perché ne saremmo troppo dipendenti) era relegato al 24%, all’8,5% il carbone! Siamo già al 50% rinnovabile e montagne di relazioni e di studi vanno buttati al macero perché obsoleti. Le FER hanno fatto scendere il prezzo medio d’acquisto a 49,45 euro al MWh, quando era a 61 euro il mese scorso e a 75,48 nel 2012 (e questo spiega da sé la lotta feroce delle utility).

Sui prezzi il vero discorso è che in un sistema rinnovabile il combustibile non conta più perché vento, acqua e sole sono gratis, il sistema deve cambiare perché vanno remunerati gli impianti e le reti, questo va fatto e con urgenza. Ma ogni azione (specie dell’Autorità per l’energia ed il gas) deve guardare sì all’immediato, ma contemporaneamente spingersi verso il futuro concordando sul fatto che importare meno fossili è solo positivo per il nostro Paese perché significa migliore bilancia dei pagamenti (3 miliardi di euro in meno la voce energia nel primo trimestre 2013 rispetto al primo del 2012 secondo l’istat) e minori emissioni in un cielo sempre più instabile.

 


[1] Staffetta quotidiana 28 maggio 2013

[2] http://www.amicidellaterra.it/adt/index.php?option=com_content&view=article&id=1295:tassare-le-rendite-abnormi-di-eolico-e-fotovoltaico-&catid=42:comunicati

[3] Fulvio Conti in una audizione al Senato della Repubblica, 13ª Commissione Territorio, ambiente, beni ambientali – Indagine conoscitiva sulle problematiche relative alle fonti di energia alternative e rinnovabili , Seduta n. 34 – Martedì 28 ottobre 2008.

[4] Si tratta di una nave terminale rigassificatore che verrà posizionata a 22 chilometri dalla costa livornese. Vedi articolo su quotidiano energia del 24 maggio 2013

Don Andrea Gallo e l’alternativa energetica

L’archivio di Don Gallo è stato il quartier generale di mille azioni, molo della baia dei pirati, pronto soccorso dell’ospedale da campo che è la Comunità di San Benedetto. E’ stato un confessionale, una centrale operativa, un’edicola, un luogo di preghiera e di baldoria. Qui il Don riceveva e dava, consumava sigari e scriveva, dal tramonto all’alba. C’è il suo letto, la foto di Don Bosco e del Papa Buono, la lavagna con su scritto in rosso «Pregare e fare le cose giuste fra gli uomini». C’è il cappello d’alpino di suo nonno, il borsalino bianco per l’estate, l’arcobaleno della pace, un minareto in miniatura, tanti libri e cd, le poesie dei suoi ragazzi attaccate all’armadio. C’è il suo tè lasciato a metà e una scatola di toscani vuota. C’è la croce di ferro, dono dei ragazzi della Garaventa, con su scritto “dimmi chi escludi, ti dirò chi sei”.

Don Gallo è morto qui, in questa stanza della Comunità, il 22 maggio alle 17.45. Da quel momento, fino al funerale di sabato mattina alla chiesa del Carmine, migliaia di persone sono passate a rendergli omaggio. Un flusso lento e costante, composto ed eterogeneo. Il mondo intero passa di qui. Si può stare fermi in un angolo e veder scorrere ogni antro del pianeta. Sfilano peruviani e brasiliani, africani, genovesi e genoani, punkabbestia con i cani, rastafariani, notabili, dottori, suorine, senzatetto, preti di parrocchie dimenticate, vecchi tossici e vecchie madri di tossici, ultras, ragazzi dei centri sociali, sindaci e deputati, trasandati e ingioiellati. Freak & Chic. Abbiamo visto inginocchiati davanti alla bara uomini grandi grossi e spaventosi, quelli che alla società fanno davvero paura. Lupi dolci come agnelli. Tornano i sessantottini, i primi ragazzi delle cascine, quelli che persero i fratelli di Aids, quelli che hanno smesso e ricominciato, quelli che non hanno mai smesso, quelli che non hanno mai cominciato. Volontari, operatori sociali, ubriaconi, pie donne e prostitute, direttori di banca, giornalisti, fantasisti. Mezzi nobili e mezzi ignobili, avrebbe detto Totò. Entrano camalli, uomini con grossi calli, donne con scialli, studenti, zoppi, matti. Le trans, le princese del ghetto alle quali il Don faceva il baciamano. Chi davanti al Gallo alza il pugno, chi sgrana il rosario, chi ride ripassando le sue battute e chi resta con una smorfia appesa perché gli mancheranno.
Si incontra chi col Don vive ogni ora da trent’anni e chi non lo vede da allora.

Don Gallo, come ha ben detto il suo portavoce Megu Chionetti, è un bene comune. E in fondo è stato una porzione di ciascun elemento di questa straordinaria moltitudine che accorre a San Benedetto.

Noi lo ricordiamo con questa foto, a testimonianza della sua vicinanza alla lotta per un mondo libero da carbone, per la conversione ecologica e l’alternativa energetica.

“Volete sapere chi sono i nuovi partigiani a Savona? Sono quelli che si battono contro la centrale a carbone di Vado Ligure!”

“Sto seguendo il movimento che combatte contro il carbone della centrale di Vado. Per chi mi chiede aiuto, io sono pronto a servire, quindi in questo momento sono con i cittadini e i comitati contro il raddoppio della centrale. A me sembra fondamentale una presa di coscienza dal basso, attraverso una trasparenza totale, per organizzarsi e snidare quei determinati interessi economici che proliferano a danno dell’ambiente e delle persone. Solo i movimenti come quello savonese ne possono prendere coscienza e tentare l’unica strada percorribile…”.

Energie rinnovabili, a Solarexpo il futuro è ibrido e a chilometro zero

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano 22 maggio 2013

Solarexpo, l’esposizione-convegno che si è svolta la settimana scorsa a Milano ha affrontato le potenzialità dell’“ibridazione” tra tecnologie rinnovabili, dentro un quadro di risparmio e di drastico contenimento delle emissioni. Con un settore ormai competitivo sul mercato indipendentemente dagli incentivi d’avvio, i produttori cercano di diversificare sia i mercati in cui operano sia il portafoglio tecnologico. Sono stati presentati casi interessanti come aziende del fotovoltaico che hanno iniziato ad offrire servizi di climatizzazione con pompe di calore, illuminazione stradale o pacchetti di e-mobility, superando la “monocultura” del fotovoltaico e lo specifico della singola fonte. D’altra parte, il decentramento dell’energia e la sua caratteristica territoriale fanno sì che il massimo di efficienza stia nella complementarietà tra le tecnologie di captazione di sole, vento, acqua e calore disposte sul posto. Come pure quelle di creazione di “centrali negative”, che non richiedono energia se non dall’ambiente, come gli edifici passivi o le stesse reti di scambio intelligenti, che fanno fluire la produzione in eccesso verso la domanda insoddisfatta all’istante.

Una bolletta ridotta e un elevato grado di autonomia energetica sono ormai all’orizzonte, in base ad un modello comunitario e non più individuale. Questo schema integra sotto un profilo energetico organico diversi sistemi fino ai mezzi di trasporto e rende conveniente, ad esempio, l’utilizzo dellepompe di calore reversibili abbinate al solare per la climatizzazione in estate e in inverno. In più, l’autonomia è possibile attraverso lo sviluppo di sistemi di immagazzinamento dell’elettricità da fonti discontinue: non a caso la Germania ha disposto un piano nazionale e grandi investimenti in questa direzione.

Sullo sfondo di questa evoluzione c’è la disputa commerciale tra Ue e Cina e, in alcuni paesi, le sfide che il solare pone a quei sistemi elettrici. Se nel 2013 il mercato europeo ha visto una brusca frenata delle installazioni, complice il taglio agli incentivi, su scala mondiale si valuta che l’anno in corso sarà migliore del 2012. Il merito verrà dall’azione dei mercati emergenti come Cina, Giappone, Usa, da cui ci si aspettano nuove installazioni per oltre 36 GW, contro i circa 30,6 GW del 2012. A incidere, saranno sempre di più mercati ‘nuovi’, e sotto questo punto di vista l’occasione persa dall’Italia nel campo dell’industria verde e dell’occupazione risulta sconsolante.

A livello mondiale la domanda tiene e c’è un parziale riequilibrio con l’offerta: dai primi mesi del 2013, dopo un lungo periodo di caduta libera, i prezzi di tutti i componenti del FV si sono stabilizzati e hanno ricominciato a crescere leggermente.
“In Italia siamo a 30 TWh prodotti con la generazione distribuita su un totale nazionale che è di circa 300 TWh”. Andrea Galliani, responsabile dell’unità fonti rinnovabili dell’Autorità, ha sostenuto che “questo dato comporta una esigenza regolatoria altrettanto rapida che renda sostenibile questa produzione sia a livello tecnico, cioè che garantisca la sicurezza del sistema elettrico nella sua complessità, sia a livello economico, cioè che contenga il più possibile i costi del dispacciamento”. È per questo che diventa urgente anche da noi un intervento sulla rete di distribuzione.

Infine, vale la pena di considerare qui come l’intreccio tra ibridazione delle rinnovabili e risparmio energetico consenta ormai sperimentazioni una volta impensabili anche in campo industriale. È il caso dell’azienda Loccioni (350 dipendenti ad Ancona) che si è resa energeticamente autonoma combinando lo sfruttamento termico ed elettrico del sole con l’idroelettrico del vicino fiume Esino e implementando un sistema di controllo informatico dello scambio e dell’efficienza abbinato ad un accumulo a batterie appositamente sviluppato dalla Samsung. Energia a chilometro zero, come si sarebbe fin qui detto per l’agricoltura contadina.