Don Andrea Gallo e l’alternativa energetica

L’archivio di Don Gallo è stato il quartier generale di mille azioni, molo della baia dei pirati, pronto soccorso dell’ospedale da campo che è la Comunità di San Benedetto. E’ stato un confessionale, una centrale operativa, un’edicola, un luogo di preghiera e di baldoria. Qui il Don riceveva e dava, consumava sigari e scriveva, dal tramonto all’alba. C’è il suo letto, la foto di Don Bosco e del Papa Buono, la lavagna con su scritto in rosso «Pregare e fare le cose giuste fra gli uomini». C’è il cappello d’alpino di suo nonno, il borsalino bianco per l’estate, l’arcobaleno della pace, un minareto in miniatura, tanti libri e cd, le poesie dei suoi ragazzi attaccate all’armadio. C’è il suo tè lasciato a metà e una scatola di toscani vuota. C’è la croce di ferro, dono dei ragazzi della Garaventa, con su scritto “dimmi chi escludi, ti dirò chi sei”.

Don Gallo è morto qui, in questa stanza della Comunità, il 22 maggio alle 17.45. Da quel momento, fino al funerale di sabato mattina alla chiesa del Carmine, migliaia di persone sono passate a rendergli omaggio. Un flusso lento e costante, composto ed eterogeneo. Il mondo intero passa di qui. Si può stare fermi in un angolo e veder scorrere ogni antro del pianeta. Sfilano peruviani e brasiliani, africani, genovesi e genoani, punkabbestia con i cani, rastafariani, notabili, dottori, suorine, senzatetto, preti di parrocchie dimenticate, vecchi tossici e vecchie madri di tossici, ultras, ragazzi dei centri sociali, sindaci e deputati, trasandati e ingioiellati. Freak & Chic. Abbiamo visto inginocchiati davanti alla bara uomini grandi grossi e spaventosi, quelli che alla società fanno davvero paura. Lupi dolci come agnelli. Tornano i sessantottini, i primi ragazzi delle cascine, quelli che persero i fratelli di Aids, quelli che hanno smesso e ricominciato, quelli che non hanno mai smesso, quelli che non hanno mai cominciato. Volontari, operatori sociali, ubriaconi, pie donne e prostitute, direttori di banca, giornalisti, fantasisti. Mezzi nobili e mezzi ignobili, avrebbe detto Totò. Entrano camalli, uomini con grossi calli, donne con scialli, studenti, zoppi, matti. Le trans, le princese del ghetto alle quali il Don faceva il baciamano. Chi davanti al Gallo alza il pugno, chi sgrana il rosario, chi ride ripassando le sue battute e chi resta con una smorfia appesa perché gli mancheranno.
Si incontra chi col Don vive ogni ora da trent’anni e chi non lo vede da allora.

Don Gallo, come ha ben detto il suo portavoce Megu Chionetti, è un bene comune. E in fondo è stato una porzione di ciascun elemento di questa straordinaria moltitudine che accorre a San Benedetto.

Noi lo ricordiamo con questa foto, a testimonianza della sua vicinanza alla lotta per un mondo libero da carbone, per la conversione ecologica e l’alternativa energetica.

“Volete sapere chi sono i nuovi partigiani a Savona? Sono quelli che si battono contro la centrale a carbone di Vado Ligure!”

“Sto seguendo il movimento che combatte contro il carbone della centrale di Vado. Per chi mi chiede aiuto, io sono pronto a servire, quindi in questo momento sono con i cittadini e i comitati contro il raddoppio della centrale. A me sembra fondamentale una presa di coscienza dal basso, attraverso una trasparenza totale, per organizzarsi e snidare quei determinati interessi economici che proliferano a danno dell’ambiente e delle persone. Solo i movimenti come quello savonese ne possono prendere coscienza e tentare l’unica strada percorribile…”.

Energie rinnovabili, a Solarexpo il futuro è ibrido e a chilometro zero

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano 22 maggio 2013

Solarexpo, l’esposizione-convegno che si è svolta la settimana scorsa a Milano ha affrontato le potenzialità dell’“ibridazione” tra tecnologie rinnovabili, dentro un quadro di risparmio e di drastico contenimento delle emissioni. Con un settore ormai competitivo sul mercato indipendentemente dagli incentivi d’avvio, i produttori cercano di diversificare sia i mercati in cui operano sia il portafoglio tecnologico. Sono stati presentati casi interessanti come aziende del fotovoltaico che hanno iniziato ad offrire servizi di climatizzazione con pompe di calore, illuminazione stradale o pacchetti di e-mobility, superando la “monocultura” del fotovoltaico e lo specifico della singola fonte. D’altra parte, il decentramento dell’energia e la sua caratteristica territoriale fanno sì che il massimo di efficienza stia nella complementarietà tra le tecnologie di captazione di sole, vento, acqua e calore disposte sul posto. Come pure quelle di creazione di “centrali negative”, che non richiedono energia se non dall’ambiente, come gli edifici passivi o le stesse reti di scambio intelligenti, che fanno fluire la produzione in eccesso verso la domanda insoddisfatta all’istante.

Una bolletta ridotta e un elevato grado di autonomia energetica sono ormai all’orizzonte, in base ad un modello comunitario e non più individuale. Questo schema integra sotto un profilo energetico organico diversi sistemi fino ai mezzi di trasporto e rende conveniente, ad esempio, l’utilizzo dellepompe di calore reversibili abbinate al solare per la climatizzazione in estate e in inverno. In più, l’autonomia è possibile attraverso lo sviluppo di sistemi di immagazzinamento dell’elettricità da fonti discontinue: non a caso la Germania ha disposto un piano nazionale e grandi investimenti in questa direzione.

Sullo sfondo di questa evoluzione c’è la disputa commerciale tra Ue e Cina e, in alcuni paesi, le sfide che il solare pone a quei sistemi elettrici. Se nel 2013 il mercato europeo ha visto una brusca frenata delle installazioni, complice il taglio agli incentivi, su scala mondiale si valuta che l’anno in corso sarà migliore del 2012. Il merito verrà dall’azione dei mercati emergenti come Cina, Giappone, Usa, da cui ci si aspettano nuove installazioni per oltre 36 GW, contro i circa 30,6 GW del 2012. A incidere, saranno sempre di più mercati ‘nuovi’, e sotto questo punto di vista l’occasione persa dall’Italia nel campo dell’industria verde e dell’occupazione risulta sconsolante.

A livello mondiale la domanda tiene e c’è un parziale riequilibrio con l’offerta: dai primi mesi del 2013, dopo un lungo periodo di caduta libera, i prezzi di tutti i componenti del FV si sono stabilizzati e hanno ricominciato a crescere leggermente.
“In Italia siamo a 30 TWh prodotti con la generazione distribuita su un totale nazionale che è di circa 300 TWh”. Andrea Galliani, responsabile dell’unità fonti rinnovabili dell’Autorità, ha sostenuto che “questo dato comporta una esigenza regolatoria altrettanto rapida che renda sostenibile questa produzione sia a livello tecnico, cioè che garantisca la sicurezza del sistema elettrico nella sua complessità, sia a livello economico, cioè che contenga il più possibile i costi del dispacciamento”. È per questo che diventa urgente anche da noi un intervento sulla rete di distribuzione.

Infine, vale la pena di considerare qui come l’intreccio tra ibridazione delle rinnovabili e risparmio energetico consenta ormai sperimentazioni una volta impensabili anche in campo industriale. È il caso dell’azienda Loccioni (350 dipendenti ad Ancona) che si è resa energeticamente autonoma combinando lo sfruttamento termico ed elettrico del sole con l’idroelettrico del vicino fiume Esino e implementando un sistema di controllo informatico dello scambio e dell’efficienza abbinato ad un accumulo a batterie appositamente sviluppato dalla Samsung. Energia a chilometro zero, come si sarebbe fin qui detto per l’agricoltura contadina.

Le fine dei dinosauri dell’elettricità

La Fine dei dinosauri dell’elettricità (le utilities)

By Geert De Clercq – tradotto da Mario Agostinelli

PARIS | Fri Mar 8, 2013 4:13am EST

(Reuters) – Ogni nuovo pannello solare installato come un chip sui tetti europei toglie peso al modello di produzione centralizzata di energia. Le corporation e le municipalizzate, a meno che non si reinventano presto, sono giganti che rischiano di diventare i dinosauri del mercato dell’energia.

L’industria deve affrontare il cambiamento drastico dovuto all’energia rinnovabile che trasforma i consumatori in produttori e mina il predominio delle utilities. Con le loro scorte ai minimi del decennio e una macina da mulino del debito intorno al collo, le utilities in Europa hanno poco margine di sopravvivenza.

In Germania, dove il 22 per cento della sua elettricità proviene da fonti rinnovabili nel 2012, le quattro grandi utilities – E.ON, RWE, EnBW e Vattenfall Europe – sono quasi assenti in questo nuovo settore.

Dei 71 gigawatt di capacità di energia rinnovabile installata alla fine del 2011, le quattro utilities hanno proprietà solo il 7 per cento, come  mostrano i dati del ministero dell’ambiente. Un gigawatt corrisponde all’incirca alla capacità di un impianto nucleare.

Gli individui possiedono il 40 per cento della capacità rinnovabile, operatori di nicchia dell’energia il 14 per cento, 11 per cento gli agricoltori, varie aziende industriali ad alta intensità energetica il 9 per cento, le società finanziarie l’11 per cento. Piccole società di servizi regionali e utilities internazionali possiedono l’altro 7 per cento.

Nel settore dell’energia solare le quattro grandi sono ancora più marginali, avendo ceduto il 97 per cento a investitori non appartenenti al settore energetico.

Richter, che ha intervistato 20 manager delle utilities tedesche circa l’impatto delle rinnovabili sulle loro imprese, ha detto che per anni non hanno riconosciuto il potenziale di energia solare ed eolica.

Nella sola Baviera, 200.000 dei 2,3 milioni di utenti di energia elettrica hanno i propri pannelli solari, trasformando l’8,5 per cento dei consumatori di energia elettrica in produttori indipendenti.

In Italia e in Spagna, dove il solare contribuisce a circa il 3 per cento della potenza totale, la situazione è simile a quello tedesco.

In paesi come la Francia e il Regno Unito, con il solare a soli 0,4 e 0,1 per cento della produzione, la produzione centralizzata regna ancora sovrana, ma la produzione decentrata da parte delle società e dei comuni – con biomassa e mulini a vento – sta mangiando quote di mercato alle utilities ‘.

“L’EROSIONE DEL MODELLO DI BUSINESS”

Peter Terium, CEO di RWE, riconosce che il passaggio da grandi centrali elettriche convenzionali verso impianti decentrati e le energie rinnovabili è un cambiamento fondamentale che sta danneggiando la sostenibilità economica del parco centrali di RWE.

“Dobbiamo adattarci al fatto che, nel lungo periodo, guadagnando la capacità di generazione di energia elettrica da rinnovabili , le centrali convenzionali saranno nettamente al di sotto di quello che abbiamo visto in questi ultimi anni”, aggiungendo che questo ha messo i ceppi sul modello di business di RWE.

L’onda delle rinnovabili non poteva arrivare in un momento peggiore per le utilities.

La liberalizzazione dei mercati europei dell’energia ha scatenato una competizione per il consolidamento tra le utilities, lasciando il continente con circa una dozzina di grandi ma altamente indebitati colossi.

Peggio ancora, la domanda di energia elettrica, già colpito dalla promozione dell’efficienza energetica, si è ridotto in quanto la crisi della zona euro è cominciata.

Di conseguenza, le azioni delle utilities sono state le peggiori tra i 19 principali settori di attività dall’inizio del 2008.

L’ Index Euro per le utilities elettriche, partendo dal 1 gennaio 2008 a livello calcolato su base 100, scambia ora a 46, rispetto all’indice ad 81 per l’intera industria. L’ indice di utilità per la sola zona euro è a 35 e ha perso € 312.000.000.000 (407 miliardi dollari) in capitalizzazione di mercato.

“UNA VERA RIVOLUZIONE”

Gerard Mestrallet, amministratore delegato della francese utilitY del gas GDF Suez, ha detto che 10 anni fa il mondo energetico europeo era una sovrapposizione di monopoli regionali. “Quei giorni sono finiti per sempre”, ha detto ai giornalisti in questo mese.

“Alcuni consumatori sono diventati produttori, ma è una vera e propria rivoluzione,” ha detto.

GDF Suez sta adattando la sua strategia a questo nuovo mondo, per intraprendere tre nuove linee di business, che sono state giudicate dai programmi di altre utilities in Europa, di successo opinabile.

La prima è quella di ricercare la crescita nei mercati emergenti energivori, dove il modello di produzione centralizzata in impianti termici funziona ancora – il 40 per cento della capacità di generazione di 116 gigawatt di GDF Suez è ora in mercati in forte crescita.

In secondo luogo, ha istituito una divisione per aiutare i clienti istituzionali ad utilizzare l’energia in modo più efficiente. L’unità, con più di un terzo dei 220.000 dipendenti di GDF Suez, gestisce sistemi di riscaldamento e raffreddamento, anche nei grattacieli ed ha come punto di riferimento il Burj Khalifa di Dubai.

“La nostra filosofia è quella di abbracciare l’efficienza energetica e le energie rinnovabili e, più radicalmente, di essere semplici partner di energia per i nostri clienti”, ha affermato Mestrallet.

In terzo luogo, come quasi tutti i suoi coetanei, si sta costruendo un proprio business delle rinnovabili. Le fonti rinnovabili rappresentano solo circa il 3 per cento della sua capacità di generazione, rispetto a oltre il 30 per cento per Iberdrola della Spagna. Molti programmi delle utilities hanno istituito unità di fonti rinnovabili, e alcuni hanno dato nomi e autonomia nuovi, come l’Italia di Enel Green Power.

In definitiva, le utility potrebbero diventare aggregatori di energia elettrica, nello stesso modo di come Google aggrega contenuti, con la differenza che i regolatori richiedono che il la potenza continui a scorrere e le luci a rimanere accese. Diversi paesi, tra cui Francia, Spagna e Regno Unito, stanno preparando una normativa per l’istituzione di meccanismi di storage, in base al quale le utilities potrebbero essere pagate per mantenere la capacità in standby.

“In un sistema elettrico futuro, la società della rete elettrica potrebbe essere essenzialmente una compagnia di assicurazione, che copre la mancanza di sole quando si ha bisogno di potenza”, ha detto l’economista dell’Agenzia internazionale per l’energia Laszlo Varrone.

Nel frattempo, i servizi – come le municipalizzate – non hanno ancora capito come coinvolgere i cittadini che si alimentano di sole in Europa, che Varrone dice in numero di un milione almeno, soprattutto in Germania e in Italia.

le utility potrebbero trarre grandi benefici se non trattano i tetti solari come la concorrenza per i loro impianti termici centralizzati, ma come un gateway in questo nuovo mercato.

Le Utility potrebbero vendere i pannelli solari, il finanziamento e la connessione alla rete, e costruire un rapporto di servizio per generare un flusso di entrate.

Ma mentre si fa un gran parlare di questo modello, gli esempi di applicazione sono pochi e lontani tra loro. Negli Stati Uniti, Austin Energy e PSEG del New Jersey hanno sperimentato l’aiuto ai clienti per gestire i pannelli solari su piccola scala.

“E ‘troppo ottimistico pensare che i programmi delle utility in grado di compensare il consumo ridotto di elettricità e aumentato di micro-generazione rinnovabile si concentri semplicemente sulla creazione di valore per i clienti nella gestione di tale diminuzione”, ha detto analista Guillaume Regdwell di Liberum Capitale.

Lo scenario più probabile è che il valore perduto dalle utility sarà catturato da giocatori al di fuori del modello utility, che vendono prodotti che consentono più autarchia energetica.

VINCITORI nel gioco di potere

Se le utility sono i perdenti in questo gioco, i vincitori sono i produttori di pannello solare e mulino a vento, le centinaia di piccole imprese che installano sistemi solari, e le migliaia di consumatori che hanno trasformato i loro tetti in impianti di mini-potenza.

Altri vincitori sono le aziende nel settore dell’efficienza energetica: le aziende di materiali da costruzione come Saint Gobain che vendono i doppi vetri, le aziende chimiche come Recticel che vendono l’isolamento, e i produttori di sistemi di riscaldamento di proprietà privata quali Vaillant e Viessmann, che vendono le pompe di calore e le attrezzature di salvataggio dei sistemi di energia solare.

Per illustrare il passaggio di scettro di utility, una volta potente, GDF Suez questo mese ha perso il suo posto nelle blue-chip in base all’indice Stoxx Europe 50, cedendolo a Schneider Electric, specialista in sistemi di gestione dell’energia e di reti intelligenti.

Anche i fan delle rinnovabili convengono che la generazione centralizzata non scomparirà, dato che l’energia rinnovabile avrà bisogno del back-up delle centrali elettriche tradizionali.

Più a lungo le fonti rinnovabili sono sovvenzionate, ha detto Redgwell, permettendo loro di ottenere la massa critica, più diventano economiche e maggiore è la possibilità che il loro prezzo rivaleggi con i prezzi al dettaglio, con la classica minaccia di sostituzione.

“A lungo termine, la effettiva concorrenza delle energie rinnovabili non sovvenzionate potrebbe essere una grande vittoria per la società. Ed una grande perdita per i le utility dei servizi.”

La scienza del clima tra liberisti, negazionisti e cospirazionisti

di Mario Agostinelli – 13 maggio 2013

Gli aspetti fondamentali della scienza del clima sui quali c’è un forte consenso sono che il clima sta cambiando, che i gas serra sono responsabili e che stiamo cominciando a riscontrare i cambiamenti previsti dai modelli climatici. Nonostante più del 90% dei climatologi concordino sul fatto che il clima globale sta mutando, in gran parte in seguito alle emissioni di CO2 dovute all’attività umana, sono forti e diffuse le propensioni negazioniste, alimentate sia da poteri politici ed economici sia da autentici pregiudizi. Ampi segmenti del pubblico restano scettici e sono orientati in base a valutazioni senza fondamento scientifico.

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Melbourne ha analizzato le correlazioni tra convinzioni soggettive e influenze esterne che portano l’opinione pubblica a disconoscere un’enorme mole di osservazioni e di conferme. Le loro conclusioni, che riportiamo di seguito, sono interessanti anche per quanto riguarda il dibattito che questo blog registra abitualmente.

1)  I blog su Internet sono diventati una piattaforma amplificatrice per i negazionisti del clima. Alcuni blogger professionisti hanno assunto un ruolo di primo piano e influente nel mettere in discussione i risultati della climatologia. Nella grande maggioranza, questi operatori dell’informazione condividono una concezione liberista dell’economia di mercato. L’approvazione del libero mercato ha già influenzato il rifiuto di altre scoperte scientifiche consolidate, come il fatto che l’Hiv causi l’Aids, che il fumo provochi il cancro ai polmoni, che il buco dell’ozono sia provocato dai clorofluorocarburi. Un piccolo numero di potenti organizzazioni e di individui hanno contribuito ad una disinformazione che vede come una minaccia qualsiasi scoperta scientifica con un potenziale impatto sulla regolamentazione, come nel caso della commercializzazione dei prodotti del tabacco o dei divieti d’uso di Cfc.

2)  Un’altra variabile che è stata associata al rifiuto della nozione di cambiamento climatico è il pensiero cospirativo – l’“ideologia cospirazionista” – definito come il tentativo di spiegare un evento significativo, politicamente o socialmente, come un complotto segreto da parte di individui o organizzazioni. Anche in questo caso, Internet offre agli individui che rifiutano un appurato consenso scientifico l’opportunità di alimentare sospetti di “sentimenti di persecuzione da parte di una élite corrotta”. Questi stessi negazionisti hanno sostenuto in passato diffuse teorie del complotto (ad esempio, che la Cia abbia ucciso Martin Luther King o che la Nasa abbia finto lo sbarco sulla luna). In definitiva, secondo i ricercatori australiani, l’ideologia cospirazionista contribuisce al rifiuto della scienza.

Lo spostamento di gran parte dell’informazione e del dibattito dalla carta stampata alla rete può far registrare un confronto deviato e a volte molto insidioso. Basta confutare i dati scientifici con il conformismo del pensiero dominante o con il ricorso a bufale suggestive, per essere ripresi e “forwardati” senza essere sottoposti ad un filtro critico e oggettivamente contestabile. I ricercatori in storia e sociologia spesso citano come fattore di plagio la “fabbricazione di dubbio” che proviene dainteressi particolari e da gruppi politici. Ad esempio, è stato dimostrato che oltre il 90% dei libri scettici sull’ambiente pubblicati dal 1972 sono stati promossi da think tank conservatori(Jacques PJ, Dunlap RE, & Freeman M., “L’organizzazione della negazione”, 2008).

Non c’è dubbio che i potentati che organizzano l’intera filiera delle fonti fossili (petrolieri, corporation minerarie, gestori delle reti del gas) e i grandi gruppi automobilistici e gli uomini della finanza legati alle grandi opere, mostrano una chiara propensione a disconoscere la necessità di cambiare il paradigma energetico, che oggi marginalizza ancora le fonti rinnovabili, i sistemi di mobilità sostenibili, i trasporti collettivi. Non stupiamoci quindi se li incroceremo sul web con parole d’ordine che difendono e perpetuano il modello del passato e mettono la sordina a qualsiasi preoccupazione sulla nostra salute e sulla vitalità della biosfera. Cosa dire, infine, di un governoappena formato che nel suo programma non accenna nemmeno di striscio alla temperatura del pianeta o all’inquinamento delle nostre città ed arruola tranquillamente, come ministri e sottosegretari, negazionisti incalliti?