Rinnovabili, networking per rilanciarle

da sbilanciamoci.info

Il ritardo italiano in materia di energie rinnovabili è dovuto principalmente alla struttura inefficiente degli incentivi e ad un inadeguato grado di innovazione delle aziende. Una più stretta collaborazione fra istituzioni pubbliche, imprese ed università aumenterebbe l’occupazione, soprattutto giovanile e soprattutto al Sud

Favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili dev’essere un imperativo sia del presente che del prossimo governo. Ad oggi, il trend dello sviluppo di tali tecnologie è stato sicuramente positivo, anche se una serie di ostacoli sono comunque presenti, e ne impediscono un’evoluzione continua. La ricerca cui qui si fa riferimento ([1]) è volta ad evidenziare questo tipo di barriere attraverso un’analisi del sistema energetico italiano, condotta seguendo la prospettiva e gli strumenti offerti dalla scuola di pensiero scandinava dei sistemi di innovazione.

Un sistema d’innovazione può essere definito come quell’insieme di istituzioni e organizzazioni che creano e si scambiano il knowledge arrivando a concepire nuove tecnologie, all’interno di politiche e strutture incentivanti nazionali o internazionali (Lundvall, 1992) ([2]). Attraverso tale struttura è stato quindi possibile evidenziare una serie di barriere che rallentano lo sviluppo di tecnologie rinnovabili, tra cui il disallineamento degli obiettivi delle politiche nazionali, una struttura inefficiente del sistema incentivante, la mancanza di sensibilizzazione pubblica sull’importanza dell’energia rinnovabile ed un inadeguato grado di innovazione all’interno delle aziende italiane. Quest’ultimo è uno degli aspetti più importanti, in quanto è dovuto ad un insieme di fattori che hanno fondamentalmente a che fare con la bassa attività di networking delle imprese con altre aziende, università, o istituti di ricerca pubblici. Infatti, tale attività consente uno scambio di conoscenze tra le parti, e quindi la creazione e la diffusione di nuovo sapere che è alla base di ogni processo innovativo.

Lo scenario in chiave internazionale può essere descritto tramite i dati riportati dall’Oecd ([3]): in generale, in Italia, solo il 5% delle Pmi e il 30% delle grandi aziende svolgono attività di cooperazione con università ed istituti di ricerca pubblici. La Spagna è ai nostri stessi livelli, mentre la Finlandia presenta percentuali maggiori, rispettivamente il 26% e il 67,7%. La percentuale osservata nelle PMI italiane è estremamente bassa, soprattutto se si considera l’importanza di queste ultime: è proprio nella moltitudine delle Pmi che spesso si cela l’eccellenza italiana, che è riconosciuta anche all’estero e diventa fonte di vantaggio competitivo all’interno del mercato internazionale. Non a caso, nelle filiere di diverse tecnologie rinnovabili si può identificare un alto numero di aziende italiane, molte delle quali di piccole e medie dimensioni. Basti pensare che nella filiera del solare fotovoltaico, il 70% del volume d’affari totale nel settore della distribuzione sia generato da imprese italiane; la percentuale sale al 75% per il settore del design/installazione. Inoltre, la Figura 1 mostra come in particolari settori sia della filiera eolica che fotovoltaica, la maggior parte delle aziende operanti nel territorio nazionale sia italiane.

Figura 1. Elaborazione dell’autore dei dati Anev (2012) e Agenzia per l’innovazione e la diffusione delle tecnologie per l’innovazione (2013) (4)

La presenza di un’elevata attività di networking sia a livello locale che nazionale è un fattore estremamente rilevante per consentire uno sviluppo continuo delle tecnologie rinnovabili e favorire l’innovazione. È necessario che le autorità pubbliche attuino politiche al fine di creare un terreno fertile per facilitare la cooperazione e la collaborazione tra le diverse parti. Ad oggi vi sono iniziative volte a realizzare questo obiettivo, come la creazione di distretti industriali delle rinnovabili, e di poli di innovazione. Mentre questi ultimi sono costituti a livello regionale, i primi affondano ancora di più le radici nel territorio, nascendo a livello comunale. La prova empirica della debolezza del supporto pubblico alla creazione di questa tipologia di network è evidente, in quanto la maggior parte dei distretti si forma spontaneamente, e solo pochi sono policy-driven. All’interno di questi network collaborano in larga parte istituzioni pubbliche e imprese, ma anche università, centri di ricerca e comunità locali. Un’ulteriore distinzione fra le due tipologie di network sta nell’obiettivo. Le parti coinvolte all’interno dei poli di innovazione puntano a collaborare per stimolare e sviluppare l’innovazione, mentre all’interno dei distretti delle rinnovabili si mira a favorire esclusivamente lo sviluppo di tecnologie rinnovabili. Ciò avviene in modo differenziato: la biomassa è la tecnologia in cui opera il 74% dei distretti, seguita dal solare e dall’eolico, rispettivamente al 37% e al 25%, e dalla tecnologia idroelettrica e geotermica.

In primis è quindi opportuno sviluppare politiche che puntino a favorire la creazione di simili network nelle aree in cui queste realtà sono assenti, ma non meno importante è creare politiche di integrazione fra la moltitudine di network locali presenti in Italia. È doveroso sottolineare come la presenza di tali realtà sia di maggiore densità nelle regioni del Nord Italia, le quali presentano anche la maggiore percentuale di imprese innovative. Infatti, nel Friuli-Venezia Giulia quasi il 60% delle imprese sono innovative, regione seguita a breve distanza da Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte. Le regioni del Sud presentano percentuali di gran lunga più basse: troviamo la Calabria, la Sardegna ed il Molise che gravitano attorno al 40%, seguite dalla Basilicata al 38%. Diminuire il divario fra le regioni del Nord e quelle del Sud è una sfida che può essere affrontata tramite lo sviluppo di politiche che aumentino la collaborazione e la cooperazione, per creare canali di trasferimento di knowledge da Nord a Sud e viceversa.

La creazione di tali politiche apporterebbe un rilevante contributo anche all’interno del mercato del lavoro. Infatti, una più stretta collaborazione fra istituzioni pubbliche, imprese ed università creerebbe come esternalità positiva un aumento di occupazione, soprattutto giovanile. Facendo riferimento all’ultimo dato sulla disoccupazione giovanile, che si è attestata al massimo storico di 41,9% ad aprile 2013, implementare tali politiche potrebbe almeno portare alla creazione di nuove possibilità occupazionali, soprattutto nel Sud, dove la disoccupazione è maggiore.

Da non dimenticare è anche l’impatto occupazionale sul medio e lungo termine dovuto allo sviluppo delle energie rinnovabili: si stima che il settore del solare fotovoltaico arrivi ad occupare in modo diretto 18.000 lavoratori, e 45.000 in modo indiretto. Per il 2020, le stime dell’eolico sono anche leggermente superiori, in quanto questa tecnologia creerà occupazione rispettivamente per 20.000 e 50.000 lavoratori, e sarebbero addirittura maggiori se si concedessero le autorizzazioni per la costruzione di impianti eolici offshore.

L’Italia avrebbe un enorme potenziale da poter sfruttare se solo il settore pubblico avesse il coraggio di combattere la moltitudine di interessi esistenti che mirano a rendere difficoltoso lo sviluppo delle energie rinnovabili. Averla vinta in questa battaglia porterebbe diversi benefici per l’intero paese, da una diminuzione della dipendenza energetica dai paesi stranieri (anche grazie alle innovazioni nel settore dello stoccaggio dell’energia solare), alla diminuzione del costo dell’energia elettrica, alla crescita dell’occupazione e anche dell’economia. Non di minore importanza devono essere considerati i benefici ambientali che l’uso di tali tecnologie comporterebbe, considerando la minaccia rappresentata dal cambiamento climatico, e quindi l’urgenza di un cambiamento nello stile di vita dei paesi occidentali a fronte dell’ingente crescita economica nei paesi emergenti: l’Italia potrebbe addirittura essere di buon esempio per gli altri paesi occidentali.

[1] Castiello D’Antonio, A. M., & Shaikh Sofla, R. (2013). Barriers in the Italian Energy Innovation System for the Development of Renewable Energies. Aalborg University.

[2] Lundvall, B.-Å. (1992). National Systems of Innovation: Towards a Theory of Innovation and Interactive Learning. London: Pinter Publishers

[3] OECD. (2011). “Environmental technologies”. Tratto il 10 Maggio 2013 da OECD Science, Technology and Industry Scoreboard 2011, OECD Publishing:http://dx.doi.org/10.1787/sti_scoreboard-2011-36-en

[4] Anev. (2012). Anev Report. Tratto il 4 Maggio 2013 da www.anev.it Agenzia per l’innovazione e la diffusione delle tecnologie per l’innovazione. (2013). Renewable energies and energy saving: scenarios and opportunities. Tratto il 17 maggio 2013 da http://www.aginnovazione.gov.it/attivita/collaborazione-pubblico-privato/quaderni-dellinnovazione/

L’attacco alle rinnovabili del Corsera e la risposta delle associazioni

Anche le associazioni italiane delle rinnovabili si scagliano contro l’articolo-propaganda che definiva il solare in Italia come un “flop”. L’articolo, a firma di Danilo Taino, pubblicato dal Corriere della Sera il 5 giugno, raccoglieva pareri di noti avversari delle fonti rinnovabili, senza contraddittorio e senza aggiungere il parere di nessuno degli innumerevoli e stimati ricercatori che, invece, si sono, da sempre, schierati in favore delle fonti pulite. Per questo, Aper,Assosolare Coordinamento Free hanno spedito giorni fa una lettera al direttore del prestigioso quotidiano nazionale in risposta e a commento di quell’articolo, senza però, ottenere alcuna risposta.

ZeroEmission pubblica di seguito il testo della lettera, con l’obiettivo di darne la dovuta visibilità:
Gentile Direttore,
le scriviamo in rappresentanza di APER, l’Associazione dei Produttori di Energia Rinnovabile, di Assosolare, l’associazione degli operatori dell’industria fotovoltaica, e del Coordinamento FREE, che raggruppa 35 soci tra associazioni ed enti operanti nel settore delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, in replica all’articolo “Sos Terra”, pubblicato in prima pagina il 5 giugno 2013, per fornire al lettore informazioni e dati completi, non solo di una parte, peraltro minoritaria! In primo luogo, solo il presidente di Assoelettrica, per difendere interessi delle fossili, può parlare dell’energia solare nel nostro Paese come di un flop: 18 GW di potenza installata in pochi anni, costruendo dal nulla una filiera di imprese produttrici di energia, servizi e componenti che è ormai pronta a lavorare senza incentivi – proprio in questi giorni è stato raggiunto il limite previsto dal V Conto Energia – non può in nessun modo essere considerato un insuccesso. Non servono forse a questo, gli incentivi, ad avviare un settore? Ebbene, obiettivo raggiunto: nei prossimi anni si continueranno a installare impianti fotovoltaici incrementando la quota di energia verde prodotta in Italia. In più, particolare fondamentale, ogni tonnellata di anidride carbonica risparmiata sarà a costo zero!
 
Un’analisi completa dovrebbe poi contemplare le due facce della medaglia – costi e benefici – che dovrebbero sempre essere considerate congiuntamente. Le stime più recenti (cfr. Althesys, IREX Report) indicano in circa 35 miliardi di euro il saldo tra benefici (miglioramento della bilancia commerciale, riduzione dei costi associati ai diritti di emissione, impatti su Pil e occupazione) e costi delle politiche già varate per sostenere il settore delle rinnovabili (altre stime arrivano perfino a 76 miliardi). E, si badi, si tratta di stime che non tengono in considerazione gli impatti sicuramente positivi che lo sviluppo delle rinnovabili ha sul sistema sanitario nazionale e sull’ambiente (meno malattie dovute alle emissioni inquinanti e ad effetto serra). Peraltro i costi, noti da tempo, sono stati “messi in sicurezza” dai decreti del ministro Passera dello scorso luglio, che ha fissato chiari limiti di spesa massima annuale. Rimetterli in discussione oggi significherebbe una volta di più allontanare potenziali investitori dal nostro Paese e comprometterne ulteriormente la fiducia, già gravemente minata dalle innumerevoli riforme non fatte. Premesso che l’Italia ha precisi doveri etici e materiali per rispettare impegni presi in sede internazionale e che il risparmio energetico è comunque un obiettivo da perseguire e una grande opportunità di sviluppo e di crescita, si ritiene che il vero problema in Italia sia la mancanza totale di una programmazione energetica.
 
L’ultimo Piano Energetico Nazionale risale alla fine degli anni 80, la decisione di pianificare la costruzione di una serie di centrali nucleari è naufragata con un referendum dai forti significati anche sociali, mentre gli impianti termoelettrici sono stati costruiti recentemente anche a fronte di una ben nota diminuzione delle richieste di energia e la SEN del Governo Monti è solo un insieme di buone intenzioni, senza alcuna indicazione strategica concreta. In questo vuoto si sono innestati alla rinfusa una serie di interventi, in grado di premiare ora l’una ora l’altra tecnologia, con tutte le conseguenze del caso, compreso il dilagare di norme tecniche spesso in contrasto tra di loro e di tariffe dell’energia non sempre congruenti. Ci permettiamo di suggerire di cambiare logica e capire, finalmente, che il risparmio e l’efficienza energetica si possono ottenere solamente coniugando un mix di tecnologie, in alcune delle quali, peraltro, l’industria Italia è tra i leader di mercato. Solo una seria programmazione energetica, seguita da un’altrettanto seria pianificazione delle norme tecniche e delle tariffe dell’energia potrà permettere a tutti, dai progettisti degli impianti, agli installatori fino all’utente finale, di comprendere i reali vantaggi di un investimento nella green economy. Senza posizioni talebane, né dall’una (amplificata a dismisura dall’establishment), né dall’altra parte (alla quale in verità non viene data grande possibilità di replica).

Petrolio, gas e fracking disegnano il futuro nero dell’Italia – due video di Mario Agostinelli

Mercoledì, in coincidenza con la Giornata Mondiale dell’Ambiente, il Consiglio Regionale della  si è riunito per  verificare la fattibilità di trivellazioni esplorative finalizzate all’implementazione di un progetto di estrazione di metano nel comune di Arborea (Oristano).

Le trivellazione ad Arborea rappresenterebbero solo la fase iniziale del più ampio “Progetto Eleonora”, permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi rilasciato il 18 dicembre 2009 dalla regione Sardegna alla società Saras s.p.a., di proprietà della famiglia Moratti. L’area di ricerca si estende per 44.300 ettari all’interno della provincia di Oristano. Il Progetto Eleonora se implementato, porterebbe a nuove trivellazioni in un territorio ricco di biodiversità, rappresentando quindi un’ipoteca sull’economia e sull’ambiente di uno dei paradisi terrestri presenti in Sardegna.

Il comitato civico “No al Progetto Eleonora” che si oppone alle nuove attività estrattive, denuncia tra l’altro il rischio di implementazione dei progetti di sfruttamento attraverso nuove pratiche estrattive particolarmente distruttive, tra cui il (http://noprogettoeleonora.wordpress.com).

Su questo ultimo argomento, pubblichiamo l’intervista di A Sud a Mario Agostinelli, presidente di  Felice. Agostinelli ci illustra le criticità presentate dalla tecnica estrattiva del fracking, che consiste nel frantumare la roccia usando fluidi saturi di sostanze chimiche ed iniettati nel sottosuolo ad altissima pressione per recuperare il gas intrappolato nelle porosità delle rocce. Vi sono molti rischi impliciti nell’utilizzo di questa tecnica, nello specifico la fratturazione della crosta terrestre a profondità superiori ai 1000 metri può potenzialmente innescare pericolosi effetti sismici, inoltre i materiali fossili riportati in superficie risultano avere un contenuto di radioattività superiore a quello dei combustibili fossili estratti secondo i “metodi convenzionali”. Mentre in Europa il tema e le problematiche collegate al fracking sono emerse già da tempo, in Italia il dibattito sull’estrazione di shale gas e di shale oil è ancora nelle sue fasi iniziali.

 

A Sud intervista Mario Agostinelli: “Il Fracking: un rischio ulteriore per territori e comunità”

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=o1KOsAfc0jA

Pubblichiamo inoltre la seconda parte dell’intervista ad Agostinelli, nella quale viene delineata e analizzata brevemente la Strategia Energetica Nazionale (SEN).

A Sud intervista Mario Agostinelli: ”Cosa c’è dietro la SEN – Strategia Energetica Nazionale

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=k9A3KBejDiQ

Alla strategia istituzionale di trasformare il nostro Paese nell’hub europeo della distribuzione del gas, vogliamo contrapporre alternative più praticabili e meno invasive, che rispettino l’ambiente e tutelino i territori.

 

A due anni dal referendum la lotta al nucleare continua

A due anni dal referendum la lotta antinucleare continua

 

 

E’ il secondo anniversario della vittoria popolare sul referendum che, il 12 e 13 giugno 2011:

1- ha tagliato le gambe al “rinascimento nucleare” che era stato progettato per l’Italia in aggancio al carro francese;

2- ha tirato la volata, grazie all’emozione post Fukushima, al raggiungimento del quorum anche sull’acqua pubblica.

 

Poniamo la domanda: cosa è cambiato a 2 anni dalla seconda bocciatura del nucleare da parte degli italiani?

 

 

Proviamo a fare un elenco schematico.

 

 

1- La lobby nucleare ha rinunciato ad avanzare aperte pretese revisioniste e revansciste rispetto al referendum, anche se ogni tanto questo o quel ministro, di questo o quel governo che si succede, ed il governo Letta non fa eccezione, ad esempio, “spara” dichiarazioni sulla necessità di “adeguarsi alle tendenze europee” (il che risulta però meno credibile dopo la svolta antinucleare tedesca) al traino del mito tecnologico delle “nuove generazioni di centrali sicure”. Ricordiamo comunque che l’Europa, questa Europa, può sempre fare rientrare dalla finestra quello che dall’Italia abbiamo cacciato dalla porta.

 

 

2- L’adesione italiana ad Euratom, Trattato per promuovere il nucleare, su cui il Parlamento tedesco ha appena discusso, è sempre lì, intoccabile, e nessuno neanche si sogna di sottoporla a riesame.

 

 

3 – Le grandi aziende italiane del nostro mini complesso militare-industriale-energetico (ENEL e Finmeccanica in particolare) continuano ad essere coinvolte in piani nucleari all’estero di consistente entità.

 

4 – Quanto segue lo riprendo da Giampiero Godio, di Legambiente Piemonte, impegnatissimo a denunciare la catastrofe annunciata di Saluggia: “Le scorie radioattive (delle “vecchie” centrali  italiane – ndr) non hanno trovato alcuna collocazione responsabile, quelle che non sono nei siti italiani a rischio si stanno godendo una costosa quanto inutile e pericolosa vacanza all’estero, a Sellafield in Inghilterra o a La Hague, in Francia, da dove torneranno tra pochi anni senza che si sappia dove sistemarle in condizioni di decente sicurezza per un periodo di almeno diecimila anni. Non sono ancora neppure stati individuati i criteri per scegliere il sito per il deposito nazionale, che secondo la legge vigente 368/2003 andava realizzato entro il 31.12.2008, in modo democratico e trasparente, in una località che potesse oggettivamente rendere il rischio più basso, almeno per quanto possibile. Viceversa Sogin ha avviato in tutti i centri nucleari la realizzazione di depositi, definiti “temporanei”, ma privi di scadenza: se verranno completati siamo convinti che da questi siti a rischio i rifiuti radioattivi non se ne andranno via mai più!”

 

 

5- La ricerca scientifica in campo energetico continua ad essere massicciamente focalizzata sul nucleare trascurando le rinnovabili.

 

 

6 – La strategia energetica nazionale ufficiale lancia lo slogan dell’Italia hub del gas per l’Europa, toglie il sostegno pubblico alle FER  per darlo alla costruzione dei rigassificatori e riconferma anche l’avvio delle trivellazioni per petrolio e gas a mare e a terra.

 

 

Quello che bolle nella pentola del movimento antinucleare

 

 

Dal punto di vista del movimento antinucleare qualche buona notizia c’è, anche se, a mio giudizio, di portata limitata rispetto alle sfide che sarebbe necessario sostenere.

 

(Mi scuso per le omissioni delle iniziative dei Comitati di base No-Coke e No-Triv, con i quali è necessario convergere nella lotta comune per una alternativa alla “sporca energia padrona”).

 

 

1- Si è costituito a Firenze 10+10 (novembre 2012) un nucleo promotore del network antinucleare europeo con un suo manifesto ed il Comitato per l’attuazione della volontà del referendum antinucleare;

 

 

2- a Parigi il 10 marzo (dopo la catena umana del giorno prima con 20.000 persone) una riunione ha ribadito l’interesse e l’impegno per lanciare una Iniziativa dei cittadini europei e avviato il progetto di due carovane convergano a Les Hague (Francia), da Italia e Germania, lungo il percorso del treno che trasporta le scorie nucleari per il loro ritrattamento anche a fini bellici (estrazione di plutonio per le bombe atomiche);

 

 

3- a Tunisi, Forum Sociale Mondiale (26 al 30 marzo 2013), il costituendo network europeo ha avviato la collaborazione con ICAN (Campagna internazionale contro le armi nucleari), a coordinamento francese, gestore di molti spazi di discussione nel Forum, a partire dall’appello, lanciato a Marsiglia da questa coalizione di organizzazioni (tra cui Sortir du Nucléaire), per un Mediterraneo pacifico e solidale, libero dalle armi nucleari;

 

 

4- il “Comitato SI alle rinnovabili – No al nucleare” ha organizzato l’11 aprile 2013 a Roma una conferenza stampa, presenti deputati del PD, di SEL e del Movimento 5 Stelle, sulla gestione delle scorie radioattive, nella quale si propone di scaricare la Sogin spa e passare le sue competenze ad una Autorità nazionale pubblica;

 

 

5 – la Campagna Stop Enel si è riunita a Roma ed è intervenuta il 30 aprile 2013 all’Assemblea degli azionisti della società elettrica, denunciandone tra l’altro l’impegno nel nucleare e ribadendo che il coordinamento intende promuovere un modello energetico alternativo;

 

 

6 – da “Terra Futura” a Firenze (la decima edizione che si è conclusa il 29 maggio 2013) è stato predisposto, da parte di “Energia Felice” e  “SI alle rinnovabili – No al nucleare”, un appello che propone le linee guida per una strategia energetica nazionale dal basso.

 

 

7- Un altra campagna in fase di studio, “L’energia sporca non la paghiamo”, che riprende una idea del 2008, può finalmente dare sbocchi concreti ai metodi del consumerismo critico e dell’obiezione antinucleare  in quanto si sarebbero individuate compagnie da segnalare come fornitori alternativi che danno serie garanzie sul fatto che producono energie pulita al 100% da fonti rinnovabili.

 

 

In questo secondo anniversario dei referendum, nelle manifestazioni di celebrazione, esiste ancora e sempre la necessità di dare spazio, al pari dell’acqua, al tema antinucleare e dell’energia (il fuoco) quale bene comune per affrontare la crisi in corso e fondare un altro immaginario della ricchezza, un’altra idea di società.

 

L’alleanza acqua-energia collegata anche a proposte per una nuova occupazione stenta sempre a decollare e – spero di essere smentito – non risultano iniziative in programma concordate tra i soggetti che si sentono impegnati in questa prospettiva.

 

Oggi per tutti i movimenti sociali alternativi esiste il dovere di fare i conti con la oggettiva centralità della crisi per proporre qualcosa di serio alla disperazione sociale che monta e che potrebbe essere dirottata verso una guerra sociale interna tra i poveri ed i meno poveri.

 

Ognuno deve portare il suo contributo ad uno sforzo solidale per una società intrinsecamente pacifica, coltivando intrecci di percorsi e convergenze tra le resistenze sociali alla “dittatura finanziaria” efficacemente denunciata da “Indignatevi!”, il pamphlet liberatorio di Stéphane Hessel, il Partigiano appena scomparso, estensore della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”,  che ci invita a seguire la strada della nonviolenza.

 

 

Alfonso Navarra – vicepresidente dell’Associazione ARCI Energia Felice

Fermiamo chi scherza col fuoco atomico c/o Campagna OSM-DPN

BUON COMPLEANNO REFERENDUM!!!

A due anni dalla vittoria referendaria per l’acqua bene comune e

contro il nucleare, la lotta continua

Due anni fa la stragrande maggioranza degli italiani si è espressa chiaramente ma, sia sull’acqua che sul nucleare e il modello energetico, la volontà popolare non è ancora stata recepita in leggi e atti precisi.

referendum 13 giugno

Per questo le organizzazioni e i cittadini impegnati in quella battaglia sono ancora in piazza per  chiedere e costruire un futuro energetico sicuro, pulito, rinnovabile.

  • I pericoli di quanto resta del ciclo nucleare in Italia non sono finiti, non esiste un efficiente sistema di messa in sicurezza delle scorie radioattive, lo smantellamento dei vecchi siti nucleari va a rilento, la Sogin, società pubblica  incaricata delle bonifiche, ha realizzato in 10 anni solo il 10% dei lavori a fronte di quasi 2 miliardi di Euro spesi, caricati sulle bollette dei cittadini.
  • Le centrali nucleari continuano a funzionare a poche decine di chilometri da noi, l’Enel continua a gestirle. Mentre la Germania decide di uscire gradualmente dal nucleare, altri paesi europei e del bacino mediterraneo,  tra cui la Turchia, continuano questa pericolosa avventura.

ü Vogliamo un’Europa definitivamente libera dal nucleare.

  • La politica energetica degli ultimi governi ha ostacolato la diffusione delle rinnovabili, del risparmio e dell’efficienza energetica e ha rilanciato le fonti fossili: centrali a carbone ed estrazione di idrocarburi a terra e a mare.

ü Chiediamo una moratoria sulle centrali a carbone e sulle trivellazioni.

  • Le Strategie energetiche dei singoli paesi non possono essere orientate dagli interessi delle grandi lobby energetiche fossili, ma devono essere coerenti con gli orientamenti europei che  puntano per il 2050 alla completa “decarbonizzazione”, almeno della produzione elettrica.
  • Per questo vanno promosse razionalmente tutte le fonti rinnovabili, per chiudere le centrali  più inquinanti, per ridurre inquinamento ed emissioni di CO2 , per avere un forte risparmio sulle importazioni energetiche e sulla bolletta.

ü Serve un altro modello energetico: l’obiettivo del 100% rinnovabile è raggiungibile.

Basta con i sussidi pubblici alle fonti fossili, le risorse devono convergere verso: il risparmio di materia e di energia, l’efficienza energetica nelle produzioni, la riqualificazione del patrimonio edilizio, i trasporti pubblici, l’uso diffuso delle fonti rinnovabili, gli investimenti in ricerca, la diffusione delle conoscenze.  E’ un’altra strada per uscire dalla crisi.

Per tutto ciò chiediamo a tutti i parlamentari di ripresentare e avviare la discussione sulla legge di iniziativa popolare “Sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili per la salvaguardia del clima”.