Le manifestazioni spontanee di Enel contro Greenpeace

Enel, l’azienda organizzava manifestazioni “spontanee” contro Greenpeace

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Per il buon esito di una manifestazione ci vogliono anche due megafonidieci fischietti da arbitro e dieci trombe nautiche a bomboletta. A stendere la “lista della spesa” non è il capo-ultras di una curva, ma un uomo dell’ufficio stampa di Enel. E i campi da gioco sono le centrali a carbone prese di mira da Greenpeace, più volte citata in giudizio dal colosso dell’energia per le sue azioni dimostrative.

È l’ottobre del 2008. Manca poco più di un mese all’inizio della Conferenza sui cambiamenti climatici organizzata dall’Onu a Poznań, in Polonia. Greenpeace entra in azione a Genova il 26. Lo schema è collaudato. All’alba gli attivisti attaccano la Lanterna, simbolo della città, una nave carboniera e l’impianto termoelettrico dell’Enel. Sulla facciata della centrale, sotto il simbolo della società, scrivono “clima killer”. Poche ore dopo la scritta viene oscurata da tre striscioni colorati: Andate a lavorareBasta ecoballe e Quit Greenpeace. A srotolarli sono gli operai dell’Enel che manifestano contro l’azione degli attivisti verdi. Una contro-protesta spontanea, così la definiscono i dipendenti e la descrivono i giornali. Ma i fatti non sono andati proprio in questo modo. A testimoniarlo sono le mail che i dirigenti dell’Enel si scambiano febbrilmente nelle ore e nei giorni successivi, temendo nuovi attacchi negli altri impianti a carbone.

La verità emerge dalle carte del processo che vede imputati a Brindisi dodici dirigenti Enel con l’accusa d’aver imbrattato di carbone campi e abitazioni vicini alla centrale “Federico II”. Il 9 ottobre 2009 il pm Giuseppe De Nozza ordina la perquisizione del computer di Calogero Sanfilippo, allora responsabile della filiera del carbone. E salta fuori anche questa storia collaterale, che svela un doppio livello nelle legittime azioni di contro-protesta agli attacchi di Greenpeace. Contattata da ilfattoquotidiano.it l’Enel preferisce non commentare. E il responsabile settore elettrico della Filctem CgilGiacomo Berni, è categorico: “Ho organizzato tante manifestazioni come sindacato, mai per conto terzi”. Fatto sta che gli operai protestano, ma tutto sembra essere deciso nella sede centrale di Roma. Nei minimi dettagli.

Una mail vale per tutte quelle sequestrate. È quella inoltrata il 31 ottobre 2008 da Sanfilippo ai responsabili delle centrali, ma a scriverla è Alessandro Zerboni, uomo dell’ufficio stampa. È datata 29 ottobre, tre giorni dopo l’attacco di Genova. «È di fondamentale importanza individuare cinque fidatissimi lavoratori per unità a carbone. Eleggere uno o due portavoce. Il personale – suggerisce Zerboni ai responsabili delle relazioni esterne delle macroaree – dovrà essere formato e preparato all’azione. È importante gestire le relazioni sindacali, durante e dopo la protesta in quanto si tratta sempre di AZIONI SPONTANEE dei lavoratori, MAI ORGANIZZATE dall’azienda». Così spontanee che «in caso di azione il capocentrale dovrà informare il proprio superiore, il responsabile di filiera, le relazioni esterne, l’ufficio stampa nazionale».

Poi la lista della spesa, un “press kit per le centrali a carbone” che consiste in «STRISCIONI: numero 8, lunghezza 8/10 metri – altezza almeno 1,5 metri, formato orizzontale e verticale, font: scritti con pennello (minima larghezza per lettera 10 cm). No spray. Colore: preferibilmente blu scuro/verde scuro su fondo bianco. Scritte: ANDATE A LAVORARE, BASTA ECOBALLE, SIAMO VERDI DI RABBIA, uno o due a piacere in dialetto». Due delle frasi suggerite erano già comparse a Genova. L’en plein, stando a quanto riportano i giornali dell’epoca, si registra nel 2009 durante la contro-protesta inscenata dagli operai dell’impianto di Fusina, alle porte di Marghera, subito dopo l’attacco di Greenpeace alla vigilia del G8 de L’Aquila. Sono le uniche due occasioni accertate nelle quali le proteste degli operai combaciano con le indicazioni prescritte nel “press kit”, che si chiude con gli accessori da stadio: «Due megafoni, dieci fischietti da arbitro e dieci trombe nautiche a bomboletta».

Il giorno seguente l’azione di Greenpeace a Genova, lo scambio di mail tra dirigenti, relazioni esterne e gli uomini al comando delle centrali è fitto. Bisogna prevenire altri attacchi e reagire velocemente nel caso in cui gli attivisti riescano a violare ancora le centrali. L’attenzione si concentra sugli impianti di La Spezia e Piombino, i più vicini e per questo più esposti. Dopo il blitz a Civitavecchia del 16 ottobre e il bis in Liguria, la tensione è alta. E c’è fretta di approntare quanto necessario per oscurare la protesta ambientalista. Così Sanfilippo dice al direttore della centrale spezzina di chiedere in prestito gli striscioni usati a Genova, raccomandandosi «per il futuro di realizzarli ad uso esclusivo di La Spezia». Entra in scena anche un pezzo grosso comeRoberto Renon, responsabile Area Business, che ricorda a Sanfilippo di concordare in futuro con relazioni esterne le frasi poiché «in staff meeting non era piaciuto “Quit Greenpeace”», apparso a Genova il giorno prima.

Della centrale di Piombino si occupa il responsabile delle relazioni esterne per il centro-nordLuciano Martelli, oggi in pensione. Allertato dalla security interna sulla l’imminente possibilità di un’incursione, avvisa Roma. Il capo ufficio stampa Gerardo Orsini è categorico e pronto a partire per la Toscana: «Vale la pena che tu vada direttamente sul posto per far sì che siano pronti al più presto gli striscioni, le dichiarazioni da fare, si trovi un portavoce che dichiari ai media. Se non puoi diccelo che andiamo da Roma». Martelli lo tranquillizza: «In centrale stanno già preparando qualche striscione». Gli attivisti di Greenpeace non arriveranno. Ma sempre meglio portarsi avanti con il lavoro.

Rinnovabili: il sole è ormai competitivo

di Mario Agostinelli, 15 luglio 2013

Tenere un blog tematico come questo è straordinariamente interessante, perché obbliga al confronto, ad arricchirsi dei commenti, ad acquisire nuove conoscenze che l’interattività dello strumento mette a disposizione in tempo reale. La caratteristica di un post “pubblico”, accessibile a chiunque e non indirizzato a un circuito chiuso, è tale da non consentire all’autore di rispondere se non indirettamente alle osservazioni che vengono pubblicate in successione. Di conseguenza, le risposte e le integrazioni ad alcuni argomenti, oggetto di discussione o di critica da parte dei lettori, possono ritrovarsi in note come quelle che seguono, che, pur mantenendo la struttura di un’informazione generale, sono sollecitate dalle osservazioni – di cui sono grato – registrate in coda agli articoli.

Ci sono aspetti della indubitabile marcia delle rinnovabili a sostituzione delle fonti fossili che, suffragati dai dati, vanno rimarcati come fatti incontrovertibili (v. anche www.energiafelice.it).

1) La grid parity per il fotovoltaico

In Italia, rileva uno studio di Eclareon, la grid parity nel settore domestico è stata raggiunta su tutto il territorio nazionale. Gli ingredienti che l’hanno permessa sono un calo del costo degli impianti del 18,2% l’anno dal 2009 al 2013, una buona radiazione solare particolarmente accentuata al Sud, e prezzi dell’elettricità in bolletta piuttosto elevati. Anche non tenendo conto delle detrazioni del 50% dei costi sostenuti per installare gli impianti  misura che è valida peraltro solo per i sistemi fino a 20 kW  non occorrono più incentivi per recuperare l’investimento che rende autonomi dalla fornitura tradizionale. Solo se lo scambio sul posto fosse riformato in maniera sfavorevole e se si rendesse concreta la proposta dell’Authority di far pagare gli oneri di sistema anche sull’energia autoconsumata, allora si allontanerebbe nel tempo la parità. Ma il gap sorgerebbe questa volta per scelte politiche, non per “distorsioni” introdotte dall’esterno nel mercato.

2) Benefici complessivi per l’economia:

Ricordiamo che per l’Italia il saldo import-export nel settore energetico è stato nel 2012 pari a -63 miliardi di euro, mentre quello di tutti gli altri comparti ha raggiunto lo scorso anno un valore positivo pari a 74 miliardi di euro. Si calcola che l’incremento della quota di energia rinnovabile al 20% dei consumi energetici finali nel 2020 – obbiettivo UE  garantirà alla fine di questo decennio un risparmio di una decina di miliardi/anno. Ora lo sforzo già fatto ci consente di risparmiare circa 7 miliardi. Gli incentivi per il fotovoltaico ammontano a 6,5 miliardi e non cresceranno oltre. Già ho trattato nel post precedente gli effetti benefici e crescenti della produzione fotovoltaica sulla riduzione delle tariffe da noi pagate in seguito al meccanismo della borsa elettrica. Purtroppo, riguardo all’insieme delle energie “verdi”, mentre alcune tecnologie sono esportate, per la maggior parte l’Italia è un importatore netto. Per di più, siamo in ritardo sull’approntamento di sistemi di accumulo, che renderebbero più efficiente la rete e ottimizzerebbero l’immissione di fonti intermittenti. Questo è anche il risultato di una politica industriale dei Governi poco attenta all’innovazione ed è qui che occorrerebbe concentrare gli interventi.

3) Il ritorno energetico

L’energia spesa per la produzione di pannelli solari torna entro 4 anni. Come si può riscontrare sul sito del dipartimento energia USA l’energia investita per produrre un impianto fotovoltaico nel 2013, componenti e installazione compresa, va dal 13 al 3% di quella che il sistema produrrà in 30 anni. E’ vero che l’industria fotovoltaica è altamente energivora. Ma, come spiega uno studio della Stanford University, con l’aumento della potenza installata e il miglioramento dell’efficienza nei processi produttivi, gli impianti in funzione producono più di quanto venga consumato per farne di nuovi.

4) Lo spazio occupabile sull’edificato

Con la resa attuale, alle latitudini in cui si trova il nostro Paese, per soddisfare col sole metà della domanda elettrica prevista al 2050 occorrerebbe un quadrato di 50 Km di lato. Una superficie distribuibile almeno per oltre la metà su edifici e coperture già esistenti. Per fare un confronto con la logica dei grandi impianti centralizzati e rimanendo nel campo delle rinnovabili, si pensi che ENEL Greenpower prevede 5 centrali a biomasse per un totale di 150 MW, che necessiteranno, secondo la FIPER, di circa 2.250.000 ton/annue di biomassa legnosa corrispondenti a circa 56.250 ettari di terreni coltivabili, corrispondenti a una fascia di terra di 100 metri da Roma a Milano, per fornire biocombustibile agli impianti.

5)  I vantaggi occupazionali

Secondo il ministero dello Sviluppo Economico, per ogni mille euro spesi nelle rinnovabili, rimangono in Italia tra i 500 e i 900 euro, mentre un investimento di pari importo sulla produzione elettrica da gas dà al territorio solo 200 euro, mentre i rimanenti 800 euro vanno a beneficio di economie estere.

Secondo il MIT, investendo 1 milione di dollari nelle differenti filiere energetiche si possono ottenere: 5 occupati per il gas naturale, 7 per il carbone, 12 per le smart grid, 13 per l’eolico, 14 per il solare, 16 per le biomasse, 17 per la coibentazione degli edifici, 22 per il trasporto delle merci su ferrovia.

In Italia si valuta che nelle rinnovabili siano occupati 100.000 addetti, ma non esiste un rilievo preciso. In Germania gli occupati rigorosamente censiti per fonte sono 360.000. Inutile rimarcare quale spazio occupazionale sia disponibile. Eppure, le incerte politiche governative degli ultimi anni hanno provocato nel fotovoltaico una caduta del 22% (secondo stime, da circa 42 mila nel 2011 a 34 mila nel 2012).

In definitiva, perché ostacolare e non sostenere la rivoluzione energetica in corso?

Quali sono le ragioni dell’aumento delle tariffe elettriche?

di Roberto Meregalli

Dal primo luglio sono tornate a salire (anche se di poco), le bollette dell’elettricità. E la responsabilità è stata attribuita anche questa volta alle fonti rinnovabili. Da due/tre anni le FER sono additate come causa del caro bollette e l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (AEEG) si è fatta paladina di questa posizione. Non che non ci si debba preoccupare del crescente peso degli oneri di sistema in bolletta, ma l’impressione è che si stia esagerando.

grafico meregalli

Fonte AEEG

Proviamo ad analizzare i numeri. Per prima cosa il recente aumento, pari all’1,4% non è dovuto all’aumento degli oneri relativi alla fatidica voce A3 che comprende quelli che sostengono le fonti rinnovabili (vedi nota), infatti pesavano per 98 euro l’anno e tali rimangono, anzi percentualmente scendono lievemente dal 19,23% al 18,98% della bolletta.

Prezzi medi annuali per utenti domestici con potenza pari a 3KW e consumi sino a 2.700 kWh annui

Confronto prima e dopo l’aumento del 1 luglio 2013 (valori in €)

Componente della bolletta In vigore sino al 30 giugno 2013 In vigore dal 1 luglio 2013
Energia (PED+PPE) e commercializzazione 270 276
Trasmissione   75   75
Oneri di sistema   98   98
Imposte ed IVA   68   69
Totale 511 518

Fonte: Acquirente Unico

La sola componente che sale è quella propria dell’energia, nella parte (come specifica l’AEEG) relativa al bilanciamento, cioè quei costi che Terna (società responsabile del dispacciamento) impiega per bilanciare quotidianamente domanda ed offerta di elettricità compensando gli errori di previsione e i problemi di generazione. Certo la colpa viene addossata alle rinnovabili perché intermittenti (ma non tutte), ma probabilmente se si dedicassero risorse ed energie a rendere più efficienti i mercati infragiornalieri (al fine di consentire un’efficiente partecipazione al mercato delle fonti rinnovabili intermittenti), più precise le stime di generazione e non si ostacolassero i sistemi di accumulo tutto sarebbe risolto. Pertanto se si volesse fare qualcosa di concreto per evitare sprechi ed ottimizzare la spesa fatta per incentivare le nuove fonti, è in questa direzione che si dovrebbe celermente andare, senza inutili continui lamenti da parte di Assoelettrica.

Anche perché il conto energia ha cessato di esistere il 6 luglio, pertanto il fotovoltaico non crescerà più come onere in bolletta. Il problema in verità è amplificato dal calo dei consumi, cioè dalla riduzione della quantità di energia elettrica (fatturata) su cui spalmare gli oneri di sistema, pertanto sarebbe utile in presenza di una sempre maggiore disponibilità di elettricità verde, pensare a come sostituire col vettore elettrico altre forme di energia “più sporche”. Fortunatamente anche Assoelettrica e l’Autorità stessa sembrano averlo compreso e pertanto speriamo di avere dal regolatore buone nuove.

 

 

 

 

 

Nota: Componente A3 (fonti rinnovabili e assimilate) – E’ la  più consistente fra gli oneri di sistema e finanzia sia  l’incentivazione del fotovoltaico sia il sistema del Cip 6, che incentiva le fonti rinnovabili e assimilate (impianti alimentati da combustibili fossili e da combustibili di processo quali scarti di raffineria etc).

Ancora incentivi ai rigassificatori?

I nuovi rigassificatori potrebbero avere l’incasso quasi totalmente garantito dalle nostre bollette. Avrebbero cioè diritto a un rimborso pari fino al 71% della loro capacità nel caso non riuscissero a vendere tutto il gas previsto. Una sentenza del Tar Lombardia sull’impianto di Livorno riporta in vita quell’aiutino che era stato escluso nell’autunno del 2012.
Alessandro Codegoni qualenergia.it
10 luglio 2013

A volte ritornano. No, non parliamo di mostri horror, che del resto non tornano in seguito a sentenze del Tar, ma degliincentivi per i rigassificatori, che esclusi nell’autunno 2012 adesso rientrano in gioco grazie a una sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia.

I rigassificatori sono quegli impianti che riportano a gas il metano liquefatto, proveniente da paesi non collegati direttamente a noi con i gasdotti. La loro presenza consente di differenziare l’offerta di gas, di abbassare i prezzi e di sopperire ad eventuali blocchi sui condotti. Del perché in Italia abbiano avuto finora poca fortuna, nonostante il nostro paese, per gli alti consumi di metano e la dipendenza dai gasdotti, sia uno di quelli che ne avrebbe più bisogno,  e di cosa si sia fatto per attirarne l’installazione, abbiamo parlato ampiamente in un nostro articolo (QualEnergia.it, Quel regalo ai rigassificatori fatto coi soldi nostri).

In quell’articolo si ricordava il sistema di incentivazione dei rigassificatori, chiamato“fattore di garanzia”, varato dall’’Autorità per l’energia (Aeeg) nel 2005, in seguito all’emergenza gas di quell’inverno. Consisteva nell’assicurargli un rimborso pari fino al 71% della loro capacità, nel caso non fossero riusciti a vendere tutto il gas previsto. La storia si concludeva ricordando come il fattore di garanzia fosse stato di fatto annullato dalla stessa Aeeg a fine ottobre 2013, dopo l’annuncio di una inchiesta da parte della UE su possibili “aiuti di Stato”, o, secondo la versione dell’Autority, perché ci si era resi conto che nell’attuale situazione di mercato, con le importazioni di metano scese da 75 a 67 miliardi di metri cubi annui fra 2005 e 2012, quell’incentivo rischiava di trasformarsi in un “bagno di sangue” per la bolletta degli utenti del gas.

In particolare la delibera del 31 ottobre 2012, escludeva il fattore di garanzia per tutti i futuri rigassificatori, e lo prevedeva per quelli recentemente approvati (quindi i rigassificatori di Rovigo e Livorno) solo se avessero aperto le porte a fornitori diversi dalla società proprietaria. Visto che sia Rovigo che Livorno sono gestiti in esclusiva, nessuno avrebbe goduto dell’incentivo.

Dunque partita chiusa? Si, quando mai … siamo in Italia. Dopo la delibera del 31/10/2012 la società Olt (Offshore LNG Toscana), controllata da E.On, che ha quasi ultimato il rigassificatore di Livorno, ha fatto ricorso al Tar della Lombardia, chiedendo che l’incentivo gli fosse conferito, anche se il suo impianto non è aperto a terzi. E il 7 luglio il Tar ha deciso in suo favore e la nave-rigassificatore di Olt, fino ad allora ferma a Dubai, si è immediatamente diretta a tutto gas (è proprio il caso di dirlo) verso le nostre coste.

Così, a partire dalla fine dell’anno, quando all’impianto Olt, posto a 22 km al largo del porto toscano, cominceranno ad attraccare navi gasiere per immettere il combustibile nella rete italiana, a tutti noi non resta che pregare che i suoi affari vadano a gonfie vele. Perché, se così non fosse, e nel 2014 vendesse meno del 71% della sua capacità nominale di 3,75 miliardi di metri cubi di metano annui, la differenza gliela pagheremmo noi in bolletta.

Ma non basta. Il mondo dell’energia attende con trepidazione di leggere nei dettagli la sentenza del Tar, per capire quali paletti abbia fissato. Se, nella peggiore delle ipotesi, avesse stabilito che il fattore di garanzia vada ripristinato anche per i futuri impianti di rigassificazione, c’è da scommettere che la marea di 15 nuovi rigassificatori che erano previsti fino a qualche anno fa, e che si era ritirata, viste le condizioni di mercato e l’ostilità delle popolazioni locali,  lasciando solo 4 o 5 progetti ancora in piedi,potrebbe ritornare più forte di prima. Quale venditore, infatti, si farebbe sfuggire l’occasione di avere quasi l’intero incasso garantito dallo Stato, comunque vadano gli affari?

Purtroppo, dice una fonte Aeeg che abbiamo sentito, se Olt si è decisa a fare ricorso al Tar, probabilmente è proprio perché si è resa conto che i contratti che aveva stipulato non bastavano per coprire l’ammortamento dell’impianto. E questo potrebbe prefigurare un rimborso nel 2014 per le sue mancate vendite fino a 20 milioni di euro, che si ridurrebbe poi progressivamente nei 20 anni successivi, fino ad azzerarsi appena l’impianto fosse ammortizzato.

Comunque sembra che l’Autorità farà ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar. Ma ‘Pantalone’ non sa cosa augurarsi: se non facciamo i rigassificatori, il monopolio del gas resta nelle mani di chi gestisce i gasdotti internazionali e i contratti bilaterali con i paesi fornitori, e quindi può, in larga parte, fissare i prezzi che vuole. Se facciamo i rigassificatori, sia pure in un numero ragionevole e con l’accordo delle popolazioni locali, favoriamo la concorrenza sul mercato del gas, facilitando, in teoria, la discesa dei prezzi dell’energia. Ma ora con il rischio di dover pagare noi, nel caso i loro affari andassero male. E poi si meravigliano se uno si butta sulle rinnovabili …

Deraglia un treno pieno di petrolio in Canada

Deraglia treno pieno di petrolio, città in fiamme
«Come un’atomica». Ci sono dei dispersi

Pompieri in arrivo anche dagli Stati Uniti. I soccorsi non riescono ad entrare nel quartiere incendiato. Rogo colossale

 

La città di Lac Megantic sconvolta dalle fiamme
La città di Lac Megantic sconvolta dalle fiamme

Come in un film catastrofico, ma è tutto vero. Un treno merci che trasportava petrolio greggio è deragliato venerdì notte all’1 e 20 (le 7 e 20 italiane) mentre attraversava il centro della cittadina di Lac Megantic, nel Quebec, in Canada, dando origine a un vasto incendio che ha investito una trentina di edifici. Non è ancora chiaro se vi siano vittime, le autorità non sono in grado di dirlo anche se ci sono dei dispersi. Sul posto sono intervenuti i pompieri che hanno ricevuto rinforzi da quelli statunitensi. Almeno mille dei circa 6.000 abitanti della cittadina sono stati evacuati. In un briefing per la stampa i vigili hanno spiegato di aver iniziato da poco a penetrare nel cuore dell’incendio ma di non essere ancora in grado di verificare se vi siano morti o feriti.

LE TESTIMONIANZE – Testimoni hanno raccontato che il convoglio merci della compagnia The Montreal Maine & Atlantic, che trasportava il greggio verso la costa orientale americana, è arrivato a gran velocità prima di deragliare nel centro di Lac Megantic, sita 250 km a est di Montreal. L’esplosione dei vagoni-cisterna pieni di petrolio ha liberato un grande fungo di fuoco, seguito da un incendio che si è rapidamente propagato agli edifici vicini. Incendio che non è ancora sotto controllo.