Acqua Terra Energia di Meregalli e Manunta

Acqua Terra Energia. Progettare il futuro in tempo di crisi inaugura BitBooks, la nuova collana di tascabili agili e leggeri (anche nel prezzo) dedicata agli approfondimenti e agli ultimi aggiornamenti sui temi da sempre al centro della produzione editoriale di MC.
Pensati per offrire uno strumento di informazione rapido ed economico, ideali per ogni scaffale e punto vendita, i Bitbooks sono adatti a essere letti e consultati sempre e ovunque, anche tramite dispositivi mobili in virtù dei rimandi a risorse digitali ed elementi multimediali comodamente raggiungibili grazie ai QR code integrati nel testo.
Gli effetti della crescente fame di energia sul pianeta sono rilevanti. Dove si colloca l’Italia in questo contesto? Abbiamo bisogno di nuove centrali? Di nuovo gas? Abbiamo le bollette elettriche più alte d’Europa? Il libro risponde a queste e altre domande, spiegando che il nostro paese ha sviluppato in maniera decisa il settore della generazione verde, obiettivo perseguito da molti paesi d’Europa e del mondo intero.
Come è possibile mantenere la gestione di questo bene comune sotto il controllo dei cittadini? Nonostante l’esito del referendum del 2011, continuano le manovre per tentare di smantellare i servizi pubblici e offrire ai privati ghiotte opportunità. In che modo? Quali sono i costi in bolletta di una gestione affidata al mercato? Quali sono i risultati della privatizzazione? Perché, in Europa, i Comuni decidono di tornare alla gestione interamente pubblica?
Perché la terra è sempre più oggetto di contesa? Si parla di cibo come petrolio del futuro: cosa sta succedendo all’agricoltura oggi? Quanto influisce la finanza sul prezzo del cibo nel piatto? E i cambiamenti climatici? È possibile assicurare a tutta l’umanità un’alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile?
Roberto Meregalli si occupa di energia da venticinque anni. Ha all’attivo diverse pubblicazioni e articoli sul tema dell’economia e dell’energia. Partecipa alle Associazioni Beati i costruttori di pace e Energia Felice.

Marco Manunta, magistrato presso il Tribunale di Milano, segue da anni gli aspetti giuridici relativi alla gestione dell’acqua in ambito italiano e internazionale. È autore per MC di vari titoli della collana Hydor.

Non solo energia

di Mario Agostinelli

Si sta svolgendo qui un’utilissima discussione sui temi dell’energia: articolata e feconda sotto più punti di vista. Molti dei commenti a questo blog sostengono o confutano i singoli post sotto il profilo tecnico e/o economico. Almeno altrettanti si preoccupano di sopravvivenza, stili di vita e aspetti sociali, mettendo in relazione negativa gli sprechi presenti con le potenzialità future. Perché è sempre maggiore la convinzione che l’energia non riguardi solo le merci che ci circondano ma sia cruciale per ordinare la vita e le relazioni, così come per organizzare il lavoro e definire prospettive per la società e l’ambiente in cui viviamo.

Si potrebbe affermare che l’energia sia una misura del futuro. In natura gran parte dei processi sono irreversibili e, per alimentare la vita e far funzionare l’ambiente in cui essa si evolve, occorre energia utile per eseguire lavoro al presente, pur sapendo che sarà degradata e che verrà consegnato alle nuove generazioni un pianeta meno rinnovabile e con più scarti. Sappiamo poi che energia e scorrere del tempo fisico sono tra loro legati ed il loro prodotto ha le dimensioni fisiche di un’azioneche – una volta compiuta – è unica, anche se si sarebbe potuta completare in molti modi, lasciando tracce diverse.

Ecco perché qui si leggono non solo discussioni improntate a un punto di vista “ingegneristico” o quantitativo, ma emergono spunti caratteristici sotto il profilo comportamentale e della responsabilità sociale. Anche perché solo negli ultimi anni sono venuti alla ribalta problemi complessi, che non erano presi in considerazione ai tempi dell’invenzione della macchina a vapore, della diffusione dell’auto individuale o dell’elettricità. Temi che non si risolvono tecnicamente, mapoliticamente, nel senso di far partecipare alla loro messa in agenda una opinione pubblica correttamente informata.

Non è detto che chi ci governa o chi orienta l’economia abbia interesse a un corretto coinvolgimento dei cittadini, anzi! Come attesto in un esempio rilevante, può valere il contrario.

Il 20 agosto, il Global Footprint Network ci ha avvisato che in poco più di otto mesi abbiamo usato una quantità di prodotti naturali pari a quella che il pianeta rigenera in un anno (Overshoot Day). L’umanità sta utilizzando 1,5 volte la capacità globale di rigenerazione delle risorse. Addirittura l’Europa “ingoia” 2,66 volte la capacità del suo territorio di sostenere se stessa, mentre gli Stati Uniti arrivano a 4,16 volte.

Certamente questo saccheggio della parte rinnovabile del nostro mondo è corresponsabile del grande e crescente ricorso ai fossili e del riscaldamento della terra (cambiamento climatico), ma i giornali per primi ne parlano come di una notizia di cronaca, senza sottolineare come sarebbe possibile invertire la tendenza. I paesi “debitori ecologici” sono interessati a ridurre la loro dipendenza dalle risorse, mentre i creditori hanno un interesse economico, politico e strategico per preservare il loro capitale ecologico. E se si sentenziasse che la CO2 ci ha ingannato e così la facciamo finita? Di fatto La Repubblica ha dato il via alla notizia dell’inefficacia dei gas serra e Libero (Maurizio Stefanini, 11 aprile), gongolante, ha sparato: “Il riscaldamento globale non c’è, ma ci è già costato 300 miliardi”. Non poteva certo mancare Il Foglio, che ha sentenziato: “La catastrofe può attendere”. E tutto per un’estate intiepidita meno del solito.

Si dirà: la tesi del riscaldamento globale è crollata! Assolutamente no, ma negli articoli si sono spacciate per scientifiche autentiche bufale, insinuando dubbi che sono visti di buon occhio da poteri economici e politici ben saldi nel nostro Paese.

Naomi Oreskes (CMCC), storica della scienza dell’Università di San Diego, ha provato a dare una risposta a questi episodi, documentando con grande rigore come piccoli gruppi di scienziati abbiano messo in piedi campagne molto efficaci, grazie a connessioni politiche ed economiche di altissimo livello, per distrarre l’opinione pubblica dai reali pericoli messi in luce dalle scienze mediche e ambientali sugli effetti del fumo, l’esistenza delle piogge acide, e, soprattutto, le conseguenze del riscaldamento globale.

È facile far breccia, soprattutto in questa fase di crisi che si attribuisce solo alla malvagità della finanza. Sul tavolo abbiamo i problemi della grande specializzazione di un sapere scientifico molto tecnico e quindi separato dall’esperienza comune, e il problema di fenomeni e di previsioni scientifiche, che hanno un immediato valore politico e che possono orientare scelte su larga scala e produrre effetti di massa indesiderati. Se si scoprisse che la crisi finanziaria e il nostro fallimento nel contrastare il riscaldamento globale hanno la stessa causa nel fondamentalismo del libero mercato, cosa ne sarebbe della deriva neoliberista e dei governanti di quella che una volta era l’Europa sociale?

Energia Felice aderisce all’appello “La via maestra”

Milano, Settembre 2013

Ai promotori dell’appello “La via maestra !”

Come rappresentanti di una associazione che promuove la sostenibilità e i beni comuni riteniamo molto interessante il documento programmatico “La via maestra! Applichiamo la Costituzione”, che vede come primi firmatari Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, Don Luigi Ciotti, Lorenza Carlassare, Maurizio Landini.

Al di là dell’adesione formale alla manifestazione nazionale del 12 ottobre, che qualcuno di noi a livello individuale e/o collettivo ha già dato, crediamo necessario continuare confronti, approfondimenti, coordinamenti e mobilitazioni comuni, in quello che il documento definisce “uno spazio pubblico informale”, ben più ricco dello spazio politico ufficiale, nel quale non siamo impegnati.

La difesa della Costituzione, con i diritti essenziali che sancisce, si fa innanzitutto  applicandola, inverandola nell’affrontare le contraddizioni sociali, economiche, ambientali che oggi stiamo vivendo in questa crisi molteplice. Nella quale si rischia vengano meno anche le garanzie per la protesta pacifica e le critiche documentate ai poteri forti – come sta accadendo in Val Susa, di fronte al trasporto insicuro delle scorie nucleari e nelle vertenze contro l’inquinamento dei grandi impianti energetici – oltre che una libera e imparziale informazione ai cittadini.

Proprio per delineare una uscita alternativa da questa crisi, noi crediamo che l’affermazione dei diritti fondamentali: lavoro, eguaglianza, welfare, beni comuni (che seppur non citati in questa forma sono comunque previsti dalla Carta costituzionale, a partire dall’art. 9 e 43) debba trovare una convergenza con le tante battaglie per fuoriuscire dalla crescita iniqua e per un cambio del “paradigma dello sviluppo”.

La riconversione del modello produttivo, affinché sia ambientalmente e socialmente sostenibile; la transizione verso una economia a minor intensità energetica, che possa funzionare a fonti rinnovabili e a basse emissioni di carbonio, implicano cambiamenti rilevanti e radicali nel modo di produrre, di consumare, di organizzare le città, incide sugli stili di vita collettivi e individuali. Tutto questo deve inverarsi nell’applicazione piena di tutti i diritti costituzionali, immaginando e realizzando una società diversa da quella che il neoliberismo cerca di imporre.

Per queste battaglie noi siamo disponibili al confronto e alla convergenza con tutti i soggetti sociali interessati, e proponiamo occasioni di incontro prima e dopo la manifestazione del 12 ottobre.

ASSOCIAZIONE ENERGIAFELICE

La transizione energetica fa bene al PIL

da qualenergia.it – 1 ottobre 2013

Solo considerando gli effetti dello sviluppo delle energie rinnovabili, settore passato dai 160mila addetti del 2004 ai 380mila del 2012, la Energiewende, la transizione energetica verso le energie pulite in atto in Germania, ha già prodotto un aumento del Pil di oltre 2 punti percentuali rispetto ad uno scenario business as usual mentre al 2020 il contributo sarà di quasi il 3%.

Questo processo richiede enormi e costanti investimenti, ma già da ora sta avendo un ottimo impatto dal punto di vista macroeconomico, con, come detto, un aumento del Pil, dell’occupazione e delle esportazioni, oltre ovviamente a un contributo alla riduzione dell’inquinamento e delle emissioni di gas serra. A ribadire il concetto arrivano dati interessanti (vedi allegato in basso) dal DIW, l’Istituto tedesco per la ricerca economica, che li ha in parte elaborati da quelli del ministero per l’Ambiente.

Come sappiamo, la Energiewende, decisa nel 2010 e che ha subito un’accelerazione con l’abbandono del nucleare nel 2011, ha come obiettivo 2020 di raggiungere il 18% di rinnovabili sui consumi finali lordi (nel 2010 la quota era dell’11%) e il 35% sui consumi elettrici (nel 2012 eravamo al 23%). Inoltre, prevede di dimezzare i consumi di energia rispetto ai livelli del 2008 entro il 2050 e, per quel che riguarda il fabbisogno energetico del patrimonio edilizio, tagliarlo del 20% entro il 2020 e dell’80% entro il 2050.

Lo studio del DIW prova appunto a stimare l’ammontare degli investimenti necessari per raggiungere questi traguardi e gli impatti economici che si potranno avere sul sistema-paese. In totale serviranno investimenti tra i 31 e i 38 miliardi di euro l’anno da qui al 2020.

Solo per le rinnovabili si dovranno, infatti, investire dai 17 ai 19 miliardi di euro all’anno fino al 2020; una cifra considerevole anche se nettamente inferiore a quanto investito negli anni scorsi, come si vede nel grafico (clicca per ingrandire). La riduzione degli investimenti deriva soprattutto dal calo di quelli operati nel fotovoltaico, soprattutto per il deciso calo dei prezzi.

Altri 6 miliardi all’anno (vedi grafico sotto) dovranno essere spesi per le reti elettriche,sia per linee di trasmissione (circa 4 mld) che di distribuzione; tra 6 e 13 miliardi di euro dovranno essere investiti nella riqualificazione energetica degli edifici e un altro miliardo all’anno servirà ad integrare le rinnovabili nel sistema elettrico, ad esempio realizzando sistemi di accumulo, compensando le fonti fossili per la loro flessibilità aggiuntiva o sviluppando punti di ricarica per le auto elettriche.

Investimenti che come detto avranno importanti effetti positivi a livello macroeconomico. Per calcolarli al DIW hanno utilizzato un modello che mette a confronto uno scenario in cui vengano messi in campo gli interventi previsti dalla Energiewnde, con un ipotetico “scenario zero”, in cui si assume che dal 2000 gli investimenti in rinnovabili siano, appunto, pari a zero. Ne emerge che la Energiewende è valsa alla Germania un incremento del Pil nel 2010 pari al 2,1%  rispetto allo “scenario zero”; incremento che al 2020 sarà di 2,8 punti percentuali.

Lo stesso vale per la produttività pro capite: due punti percentuali in più nel 2010 e tre nel 2020. Per quel che riguarda l’occupazione, l’impatto è più ridotto al 2020 rispetto al 2010: le rinnovabili che, come detto, sono passate dai 160mila addetti del 2004 ai 380mila del 2012 (vedi grafico sotto), danno al 2010 circa 43mila posti in più e al 2020 circa 14mila in più. Tra gli impatti positivi da considerare, oltre ad un aumento delle esportazioni (1% al 2010 e 1,2% al 2020), la riduzione dell’import di combustibili fossili.

Dunque, la Energiewende fa bene al Pil tedesco e lo si può dire anche limitandosi a guardare l’effetto degli investimenti nelle sole tecnologie rinnovabili. Lo studio, infatti, purtroppo non approfondisce la questione dal lato efficienza energetica in edilizia, dove gli impatti economici potrebbero essere enormi se si pensa che nel 2011 l’edilizia in Germania ha avuto un fatturato di 166 miliardi di €, di cui 125 in interventi sull’esistente e 38 miliardi legati a interventi di efficientamento (con circa 7 miliardi direttamente imputabili alla riqualificazione energetica).

Da questo punto di vista dal DIW si limitano a un commento, senza fornire stime: “gli investimenti in efficienza in edilizia saranno compensati dal risparmio energetico e, quindi, dalla riduzione delle importazioni di fossili; i benefici riguardo all’export sono presumibilmente minori (rispetto alla voce rinnovabili, ndr), tuttavia gli effetti positivi globali sono maggiori grazie all’alta intensità occupazionale e all’impatto sul Pil domestico del settore”.

Lo studio DIW (pdf)

Il referendum svizzero boccia il carbone della Repower in Calabria!

da Il Manifesto – 24 settembre 2013 – Eleonora Martini

Il destino dell’ambiente in quel lembo di terra che si affaccia sullo Stretto di Messina, nella punta estrema della Calabria, l’hanno deciso domenica scorsa i cittadini. Solo che a esprimersi tramite un referendum popolare e a decidere che no, la centrale a carbone progettata nel distretto industriale di Saline Joniche, frazione di Montebello, in provincia di Reggio Calabria, non s’ha da fare, sono stati i cittadini svizzeri. Grigionesi, per l’esattezza.

In quel cantone hanno discusso e si sono scontrati per anni anche aspramente e alla fine, domenica 22 settembre, in 50 mila hanno partecipato al voto, il 40,17% degli aventi diritto, e hanno scelto – con soli 124 voti di scarto – di rigettare il controprogetto del Gran Consiglio federale che tentava di salvare il piano del gruppo Repower (ex Rezia-energia), società a partecipazione cantonale leader nella produzione energetica, e di accettare invece l’iniziativa popolare cantonale «Sì all’energia pulita senza carbone» che non solo impedisce lo scempio di una megacentrale da 1320 Mw e da oltre un miliardo di euro di spesa su una delle preziose coste italiane ma impedisce anche da subito, con una riforma della Costituzione cantonale, ogni partecipazione dei Grigioni alla costruzione di centrali a carbone.

Nell’urna, i cittadini dei Grigioni hanno risposto a tre domande nelle quali si chiedeva di promuovere o bocciare le due proposte opposte, e nell’ultimo quesito, quello risolutivo, di scegliere tra le due. L’iniziativa del comitato ambientalista Pro Natura ha raccolto 700 voti in meno (28.878 sì) rispetto al progetto del governo federale (29.553 consensi) che intendeva salvare l’investimento della Repower (partecipata per il 58% dal cantone Grigioni) a Saline Joniche e in cambio affermava il divieto a investire in futuro «in centrali a carbone per le quali non vi è una riduzione sostanziale delle emissioni di CO2». Stranamente dunque è solo con l’ultima domanda referendaria che i grigionesi hanno scelto – con 24.650 voti contro 24.526 – di aderire all’iniziativa popolare e di bocciare il controprogetto del Gran Consiglio. Da noi un responso così avrebbe sollevato sicuramente una polemica infinita. E invece molto probabilmente la scelta del cantone influirà inesorabilmente anche sulle politiche ambientali future dell’intera confederazione elvetica. Anche se ieri sera la Repower ha fatto sapere che non intende «cambiare strategia» ma si appresta invece ad osservare «con attenzione il processo legislativo che seguirà» al voto. Perché, secondo la società grigionese, ai votanti è stata sottoposta una «proposta generica» che quindi non ha ripercussioni dirette nel «rispettivo articolo costituzionale».

A questo punto invece la società Repower, dopo aver abbandonato il progetto di una centrale a carbone a Brunsbüttel, in Germania, dovrebbe essere costretta a ritirarsi anche da Saline dove avrebbe investito il 58% dei costi (altri partecipanti sono le italiane Hera, per il 20%, e Aprisviluppo per il 7%, insieme alla statunitense Foster Wheeler che avrebbe finanziato il 15%). Al posto della società energetica svizzera però potrebbe subentrare anche l’Enel. D’altronde il progetto della centrale calabrese che dovrebbe sorgere nel sito dell’ex Liquichimica avrebbe ottenuto nel giugno 2012 dal governo Monti, secondo quanto riportato dal Consiglio federale elvetico, la compatibilità ambientale. Perché, come si legge nelle spiegazioni fornite a corredo della consultazione popolare di domenica scorsa, si tratterebbe secondo il loro punto di vista di un impianto «altamente moderno che soddisfa gli standard ambientali più elevati e riduce le emissioni di Co2 del 30% rispetto agli impianti tradizionali». Nelle intenzioni della Confederazione elvetica – dove la lobby ambientalista ha forte influenza – in ogni caso la società di gestione di Saline Joniche, nel rispetto delle norme europee, deve «acquisire corrispondenti certificati di emissione, finanziando così progetti per la riduzione del Co2 in misura equivalente», in modo da rendere la centrale calabrese «neutrale» dal punto di vista delle emissioni. Secondo il comitato di iniziativa popolare Pro Natura, invece, «una centrale a carbone come quella prevista in Calabria emette ogni anno sei volte più Co2 di tutte le economie domestiche nei Grigioni». Oltre al fatto che «il carbone per quella centrale va trasportato in Italia da oltremare»: «Un’assurdità economica ed ecologica», bollano il progetto i Verdi svizzeri. Tanto più perché, spiegano, «i pericolosi mutamenti climatici potrebbero essere evitati smantellando 550 centrali a carbone in tutto il mondo».

L’eco del referendum grigionese ha risuonato fino a 1.500 chilometri più a sud. Esultano anche gli ambientalisti italiani – Legambiente, Wwf e Greenpeace Italia – per il voto che «indica una scelta chiara e inequivocabile in direzione di una definitiva rinuncia a investimenti sulla fonte fossile più inquinante», e che «deve tradursi come primo atto nell’immediato ritiro del progetto di costruzione di una nuova centrale a carbone a Saline Ioniche, rifiutato nettamente da istituzioni e cittadini calabresi e, contrariamente a quanto affermato dai suoi sostenitori, ben lontano dall’essere autorizzato». Per Legambiente la presa di posizione della Repower rispetto al voto di domenica «è inaccettabile». Piuttosto la società «prenda atto della volontà popolare ritirando il progetto o riconvertendo l’investimento, puntando a Saline come in Svizzera sulle rinnovabili e sull’efficienza energetica».