Ue e Italia a marcia indietro su clima e ambiente

di Mario Agostinelli – IlFattoQuotidiano 4 novembre 2013

Siamo a pochi mesi dalle elezioni europee e dal semestre europeo affidato all’Italia. Si direbbe che i governi e le classi dirigenti del vecchio continente facciano di tutto per spegnere la speranza di futuro dei loro cittadini e aumentare la distanza tra società e politica.

L’Ue, che aveva a lungo sostenuto una posizione avanzata e attenta sulla tutela dell’ambiente e sulla difesa dai cambiamenti climatici, sta compiendo una svolta che offusca definitivamente la sua funzione di punta nel panorama mondiale. Sotto la pressione del mondo finanziario e delle grandi corporation, ogni giorno viene sfondato un argine da cui tracimano gli interessi privati e la spoliazione dell’ambiente naturale, sempre più apertamente sostenuti dai rappresentanti dei governi, Italia in testa. I tre episodi qui sotto riportati sono più convincenti di qualsiasi astratta argomentazione.

  1. La Commissione ha deciso di sospendere i finanziamenti per i progetti locali, bloccando le sovvenzioni alle piccole azioni diffuse per la mitigazione degli effetti climatici (un programma da 864 milioni di euro per il 2014) per sostituirle con prestiti privati. Si trattava di interventi sulle foreste e le torbiere, per la costruzione di percorsi di attraversamento della fauna selvatica con garanzia di corridoi ecologici, per la riduzione delle emissioni di gas serra nel settore lattiero-caseario e – caso curioso, ma molto rilevante per la conservazione della biodiversità – per la protezione della foca degli anelli nei laghi finlandesi. Molti sarebbero stati gli enti locali, gli istituti accademici e le organizzazioni non governative destinatari di questi fondi: tra di essi quelli spagnoli e italiani sono i più numerosi. Purtroppo dal nostro governo… silenzio tombale. Si conferma così l’approvazione di una tendenza più ampia a utilizzare i fondi pubblici come capitale di rischio per il settore privato, come già sta succedendo per i piani nucleari del governo britannico e per le proposte di infrastrutture energetiche dell’UE.
  2. A ruota di un’analoga presa di posizione dei top manager delle più importanti industrie energetiche europee (v. il post precedente in questo blog), i ministri dello sviluppo economico e dell’industria di nove Stati membri dell’UE, fra cui il nostro Zanonato, hanno emesso una nota congiunta sulla crisi dell’industria europea in cui si afferma che “è necessario che la Commissione analizzi il differenziale di competitività fra l’Europa e le altre economie avanzate, prodotto dal divario nei prezzi dell’energia e dagli impegni in materia di riduzione delle emissioni di CO2 e di produzione da fonti rinnovabili” e che si dovrà entro febbraio 2014 ridurre questo “differenziale di competitività”. È la prima volta che in Europa l‘attacco alle rinnovabili assume una dimensione sovranazionale. Ci si muove a testa bassa e al di fuori degli organi collegiali dell’Unione contro lo sforzo finora attuato per contrastare il cambiamento climatico. E, nello stesso tempo, si è disposti a sacrificare il futuro dell’industria, che risiede proprio nella sua riconversione “green”. Non sono tenute in alcun conto nemmeno le conclusioni dello studio del World Energy Council per cui nel 2030 le tecnologie verdi varranno il 34% del mix elettrico planetario. Ma tanto possono sui nostri governi le lobby energetiche, preoccupate dei rischi dei loro investimenti, dato che, nonostante la loro forza di rallentamento e conservazione, le politiche contro il riscaldamento globale sono destinate ad andare avanti (v. il rapporto della Banca Mondiale “Turn Down the Heat: Why a 4 °C Warmer World Must be Avoided”).
  3. Il commissario europeo all’Energia, Gunther Oettinger, avrebbe fatto cancellare da un documento della Commissione i dati sull’entità dei sussidi pubblici alle fonti fossili e al nucleare, molto superiori agli aiuti ricevuti dalle energie rinnovabili. Questo per negare che, se alle rinnovabili europee nel 2011 sono andati aiuti per 30 miliardi di dollari e all’efficienza energetica 15 miliardi, al nucleare di miliardi di fondi pubblici ne sono andati 35 e alle fossili 26, cui ne andrebbero aggiunti altri 40 per i danni sanitari che causano. E’ evidente come i dati siano stati cancellati perché sarebbe imbarazzante chiedere la progressiva riduzione degli incentivi alle rinnovabili quando fossili e nucleare, tecnologie mature e con grosse esternalità negative, ricevono aiuti pubblici molto più sostanziosi. Potremmo chiederne ragione a Sara Romano, alto funzionario del Ministero dello Sviluppo Economico, che ha assunto l’incarico di “Direttore generale per l’energia nucleare, le energie rinnovabili, l’efficienza energetica”. Non c’era stato un referendum contro il nucleare solo due anni fa?

Il gruppo Marcegaglia abbandona il fotovoltaico a Taranto

da Repubblica.it

TARANTO – Chiude la Marcegaglia Buildtech, fabbrica di pannelli fotovoltaici del Gruppo dell’ex presidente di Confindustria che a Taranto dà lavoro a 134 lavoratori diretti. Il gruppo Marcegaglia ha annunciato ai sindacati di categoria e alle Rsu di Fim, Fiom  e Uilm la cessazione delle attività, con la conseguente  chiusura e il licenziamento dei dipendenti, dal prossimo 31 dicembre. Marcegaglia Buildtech informa in una nota di aver preso la decisione di cessare la produzione di pannelli coibentati e di pannelli fotovoltaici “a causa della grave crisi che ha irreversibilmente colpito il settore del fotovoltaico in Italia e nel mondo”.

FOTO QUANDO DISSERO: TARANTO CAPITALE DEL FOTOVOLTAICO

Per i sindacati, “l’ennesima mazzata per questo territorio”. Un territorio – sottolineano nella nota congiunta le organizzazioni sindacali – “già martoriato da una crisi senza precedenti, che continua a mietere  perdite di posti di lavoro”. Fim, Fiom e Uilm parlano di “massacro” e convocano, per domani 30 ottobre, dalle ore 15,00, un’assemblea con tutti i lavoratori, proclamando “sin da ora” lo stato di agitazione del gruppo. “Anche questa volta – si legge nel comunicato – Taranto subisce la perdita di 140 posti di lavoro, a causa di una decisione aziendale disinteressata al nostro territorio:  lasciano Taranto per una riorganizzazione del Gruppo Marcegaglia, scippando nuovamente a questa città posti di lavoro e opportunità di sviluppo non inquinante”. “Dopo l’eolico – concludono i rappresentanti dei lavoratori – a pochi giorni di distanza, anche il fotovoltaico abbandona Taranto, una città già compromessa dai problemi ambientali”.

E’ durato dunque appena due anni il “sogno” di “fare della città jonica la capitale del fotovoltaico in Italia”. Così infatti si espresse Antonio Marcegaglia, amministratore delegato dell’omonimo gruppo, nel settembre 2011 presentando agli amministratori locali – tra cui il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola – il rilancio industriale del sito di Taranto, dove Marcegaglia era approdato nel 2000 a seguito della vicenda Belleli di Mantova. A settembre 2011 Marcegaglia inaugurò a Taranto la produzione di lamiere e pannelli fotovoltaici per la produzione di energia solare attraverso una tecnologia innovativa: lamine di film sottile al silicio amorfo.

Queste lamine, spiegò allora Marcegaglia, “vengono poi incollate su un pannello per ottenere un manufatto perfettamente integrato nella copertura dei tetti delle nuove costruzioni e volto alla produzione di energia elettrica solare”. A Taranto la nuova produzione faceva seguito a quella, dismessa, di caldaie industriali. Una copertura di pannelli fatta in questo modo su una superficie inferiore a 20 metri quadrati, fu spiegato due anni fa, è in grado di produrre più di un chilowattora di energia elettrica per 25 anni, indipendentemente dall’orientamento e dall’inclinazione del tetto. Marcegaglia annunciò anche di aver stanziato per la riconversione del sito di Taranto 15 milioni di euro e di voler raddoppiare la produzione di pannelli fotovoltaici nel giro di pochi mesi.

“In realtà il progetto, che sfruttava una tecnologia americana – spiega Cosimo Panarelli, segretario della Fim Cisl di Taranto -, non ha avuto il successo che il gruppo Marcegaglia auspicava.

In Puglia non c’è stato sviluppo alcuno. Si poteva e doveva incentivare la diffusione di questo sistema dai complessi privati a quelli industriali per finire alla copertura delle pensiline dei mezzi pubblici, ma così non è stato. Alla fine, nella ristrutturazione del gruppo, Marcegaglia ha sacrificato Taranto. Dopo Vestas nell’eolico è un altro pezzo di attività industriale nelle fonti energetiche rinnovabili che perdiamo nel giro di poche settimane”.

Il giorno delle energie rinnovabili

SILVIA COLANGELI – Il Manifesto
28.10.2013

Legambiente, Wwf, Greenpeace e imprenditori green in piazza. In via dei Fori Imperiali una intera giornata per chiedere nuove politiche energetiche. I sindaci: «Le politiche verdi sono convenienti»

 

Una nuova energia dai fori imperiali di Roma. L’Italia delle rinnovabili, convocata da Legambiente, Greenpeace e Wwf, si è fatta vedere e ascoltare per tutta la giornata approfittando della strada chiusa al traffico dall’amministrazione Capitolina. Dietro lo slogan «Il futuro passa per un’energia pulita ed efficiente», migliaia di cittadini, associazioni, imprenditori e rappresentanti delle istituzioni hanno pacificamente occupato l’antica via per dire sì a un rinnovamento concreto, che parta dall’ambiente.
Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, spiega: «Ogni tanto bisogna dare notizie positive, siamo arrivati al 35% della produzione di energia tramite rinnovabili, nel 2005 eravamo solo al 15%. Bisogna continuare così, ogni famiglia spende dai 2.500 ai 3.000 euro di bollette: i costi potrebbero essere dimezzati convertendoci al solare, alle biomasse, all’eolico». I promotori di «Mobilitiamoci per un’Italia rinnovabile» si pongono nel lungo termine quattro sfide che Legambiente considera ambiziose, ma da intraprendere. Primo l’autoproduzione dell’energia contro i divieti imposti dalla burocrazia e dalle leggi. Secondo la legalità, perché neanche l’energia green è più al sicuro dalle infiltrazioni mafiose. Terzo: stop al finanziamento delle energie fossili. Quarto: rilanciare il mercato dell’edilizia attraverso la riqualificazione energetica. Il rilancio del settore delle costruzioni all’insegna del rinnovabile è stato al centro del dibattito pomeridiano nello stand predisposto per le conferenze. Oltre ai rappresentanti delle associazioni, c’erano numerosi sindaci che parlavano della convenienza di politiche locali green dopo averle sperimentate. Per esempio il sindaco del piccolo centro toscano di Santaluce ha puntato sull’eolico col pieno consenso dei cittadini. «A volte – prosegue Zanchini – basta informare nella maniera corretta per evitare conflitti fra i gruppi di cittadini e le istituzioni».
Il Wwf, tra i promotori della manifestazione, con una divertente istallazione che riproduceva i panda in fuga dal carbone ha catturato l’attenzione di migliaia di passanti che si sono fatti fotografare dietro agli animali simbolo dell’associazione, aderendo in questo modo alla campagna «Riprendiamoci l’energia» che chiede lo stop a tutti i tipi di finanziamenti delle energie fossili. Anche i volontari di Greenpeace erano intenti a raccogliere le firme, questo mese con una ragione in più: tentare di liberare i 30 attivisti arrestati alla fine di settembre dalla polizia russa mentre protestavano contro le trivellazioni nell’Artico. Fra di loro il napoletano Cristian d’Alessandro e due giornalisti free lance. Dice Giorgia, volontaria del gruppo di Roma: «Oggi siamo in piazza con la campagna Save the artic e oltre a nuove politiche energetiche chiediamo al governo una maggiore attivazione per la liberazione dei nostri attivisti. La ministra Bonino si mostrata disponibile e la mamma di Alessandro ha scritto una lettera a Napolitano, ma interessi forti ci legano alla Russia quindi occorre agire con forza sul piano politico e diplomatico».
L’associazione Libera ha voluto sottolineare quanto è importante la lotta per l’ambiente per combattere la criminalità organizzata: «Quest’anno due grosse operazioni condotte dalle forze dell’ordine hanno dimostrato che anche il mercato delle energie è ormai contaminato dalle infiltrazioni mafiose. Dobbiamo impedire che questa espansione continui e chiediamo alle istituzioni italiane maggior impegno e collaborazione per combattere questi fenomeni». Consistente anche la presenza d’imprenditori e aziende «bio»: erano presenti Almaviva green e altri leader del settore, ma anche piccoli produttori di biomasse e pannelli solari che chiedono al governo capacità e volontà di programmazione. Spiega Maria Laura Cantarella Cattaneo, di Studio applicazione energia solare: «L’energia verde non è una cosa da ricchi, ma un percorso che tutti sappiamo di dover intraprendere. Il Governo dovrebbe facilitare la conversione alle rinnovabili togliendo incentivi ai combustibili fossili e programmando interventi e investimenti nel settore».

In festa per una Italia rinnovabile – 26 ottobre Roma

Ai Promotori della Manifestazione IN FESTA PER UNA ITALIA RINNOVABILE, Roma 26 ottobre

 

Come abbiamo convenuto nelle altre occasioni di confronto e presentazione dell’appello, è necessario dare seguito ai contenuti e agli impegni di quel testo, e a questo fine diamo la nostra adesione  alla  manifestazione/festa “PER UNA ITALIA RINNOVABILE” del 26 ottobre a Roma ai Fori Imperiali

http://www.oltreilnucleare.it/index.php?option=com_content&view=article&id=563:per-unitalia-rinnovabile&catid=17:blog-demo&Itemid=9

 

Per quanto riguarda le politiche energetiche e l’efficienza nel nostro paese, non sono ancora del tutto chiari i contenuti che saranno previsti nella legge di stabilità, attualmente in discussione, ma oltre a realizzare la stabilizzazione dei bonus fiscali, occorre innanzitutto contrastare l’attacco in atto contro lo sviluppo delle fonti rinnovabili e i benefici impropri ancora garantiti alle fonti fossili.

Infatti, da un lato, si propone di far pagare gli oneri di rete e di sistema all’energia da fonti rinnovabili autoprodotta e autoconsumata e, dall’altro, si ipotizzano sovvenzioni agli impianti termoelettrici per “compensare” (con buona pace del rischio di impresa) l’eccesso di capacità produttiva, dovuta a investimenti fatti senza nessuna programmazione da parte delle imprese del settore.

 

Più in generale, è necessario fare avanzare la transizione verso un altro modello energetico, che sia direttamente collegato a un altro paradigma di sviluppo. La crescita contemporanea di rinnovabili e fossili –  sostenuta da ultimo dalla relazione annuale dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas – non è credibile, a meno di mantenere le rinnovabili in condizione di marginalità.

 

Ad esempio, non è condivisibile la strategia di aumentare la coltivazione di giacimenti di idrocarburi,  anzi è necessario bloccare tutte le nuove trivellazioni ed in particolare quelle in mare, oltre che rivedere il meccanismo e i costi delle concessioni che, nel nostro paese, sono i più generosi per i petrolieri.

 

Ed invece, vanno difesi i settori della filiera delle rinnovabili e dell’efficienza energetica che si sono sviluppati nel nostro paese, che oggi invece sono in crisi, o minacciano la chiusura, come diverse aziende del solare e dell’eolico (come la Vestas di Taranto).

 

Certo, la transizione verso un modello a generazione distribuita comporta affrontare diverse criticità, a partire dall’ adeguamento dell’architettura complessiva delle reti (sviluppo sistemi di accumulo, smart grid, ecc.) e dalle prospettive e dalle collocazioni degli impianti, quelli da fonti rinnovabili (che devono mantenere la priorità di dispacciamento e dovranno crescere – anche con altre tipologie, es. eolico off-shore galleggiante) e quelli da fonti fossili (che dovranno diminuire, a partire da quelli più obsoleti e impattanti).

 

La gestione di un processo di questo tipo, non può essere governata solo dalle logiche di mercato e deve trovare anche una articolazione ai livelli regionali e territoriali, tenendo conto dell’adeguamento agli “obiettivi regionali in materia  di fonti rinnovabili e definizione della modalita’ di gestione dei  casi di mancato raggiungimento degli obiettivi da parte  delle  regioni  e delle provincie autonome” (c.d. Burden Sharing).

 

Naturalmente non si può far riferimento solo alla produzione elettrica, ma agli usi energetici complessivi (per il riscaldamento, il raffreddamento, la mobilità, ecc.) e quindi al massimo sviluppo dell’efficienza e del risparmio energetico e, più in generale, all’uso razionale e appropriato di tutte le risorse (acqua, rifiuti, ecc.) verificando tutte le condizioni di sostenibilità anche per lo sviluppo della cogenerazione, per l’uso di  biomasse, biogas, geotermia, ecc.

 

Tutto questo ha implicazioni significative sul sistema industriale, sia per quanto riguarda la produzione energetica e il suo utilizzo, che positivi riflessi occupazionali.

 

Gli attuali produttori da fonti fossili, invece di continuare a pretendere rendite di posizione, devono programmare la riconversione verso produzioni rinnovabili e nuovi servizi energetici.

 

Per tutti i comparti civili e industriali, la transizione verso un altro modello energetico, che tenda al massimo di efficienza energetica ed all’uso appropriato delle risorse, deve indurre significative innovazioni nei cicli produttivi, sancendo l’avvio di ipotesi concrete di riconversione ecologica, per le quali il ruolo dei sindacati per aprire confronti ai vari livelli è essenziale, anche dando seguito agli obiettivi di efficienza energetica convenuti nell’avviso comune Sindacati Confindustria del 2011.

Da questo punto di vista prendono rilievo alcune iniziative che federazioni di categoria (metalmeccanici, scuola e ricerca, edili, pensionati, ecc.) stanno mettendo in campo.

 

E’ necessario che lo sviluppo della ricerca applicata, la trasformazione delle competenze e la formazione delle opportune professionalità, sostengano la prospettiva di creare nuova occupazione e delineare una alternativa alla deindustrializzazione del nostro paese.

 

Infine, va ricordato che il positivo abbattimento del Prezzo Unico Nazionale dell’energia elettrica,  determinato dalla produzione da fonti rinnovabili, per effetto dell’attuale regolamentazione non si ripercuote sulle bollette dei consumatori, è pertanto necessaria una profonda revisione del sistema tariffario, peraltro già annunciato dall’Autorità per l’energia.

 

Su questi spunti, e su altri possibili, vi chiediamo di far circolare contributi, proposte e riflessioni, come qualcuno di voi aveva già annunciato e/o fatto, in quanto per far vivere i contenuti dell’appello è necessario un lavoro di approfondimento e di confronto, che coinvolga saperi scientifici e tecnici, e in particolare il mondo del lavoro e le stesse organizzazioni sindacali: è necessario – come recita l’appello – “un movimento articolato che veda protagonisti lavoratori, cittadini, movimenti e associazioni,  investendo tutti gli ambiti della produzione, del consumo, della organizzazione delle città, degli stili di vita collettivi e individuali”.

 

Anche a partire da questi contributi proponiamo di ritrovarci il 26 ottobre ai Fori imperiali  e contribuire a mettere in rete tutte le iniziative nazionali e territoriali utili  a costruire un “altro modello energetico”.

 

Roma, 17 ottobre 2013

 

 

Le Associazioni:

 

Si alle energie rinnovabili No al nucleare

Via Buonarroti 12, 00185 Roma –

www.oltreilnucleare.it  info@oltreilnucleare.it

 

Energia Felice

Via Nicola Antonio Porpora, 113 – 20131 Milano –

www.energiafelice.it  info@energiafelice.it

 

CEPES

Via Sanpolo 49, Palermo

www.notcepes.net  cscepes@tiscali.it

Bollette, politica energetica e legge di stabilità

Nel 2013 i consumi elettrici registreranno il secondo anno consecutivo di calo: la stima corrente è di una domanda inferiore ai 320 miliardi di chilowattora (TWh) a fine anno, riportandoci all’anno 2002.

Non c’è solo la crisi: c’è anche un nuovo orientamento a ridurre i consumi e a ricorrere all’autoproduzione in piccoli impianti diffusi con un crescente utilizzo di fonti rinnovabili, che dovrebbe suggerire una politica industriale ed energetica che questo Governo, che ha burocraticamente riconfermato il consenso alla Strategia Energetica Nazionale improvvisata da Monti (v. http://www.energiafelice.it/strategia-energetica-nazionale/), non ha minimamente in testa. Anzi, la tendenza a superare il modello dell’energia fossile è ostacolata maliziosamente attraverso i messaggi diffusi a piene mani dai media sul costo dell’elettricità: è troppo elevato rispetto al resto dell’Europa e la colpa è della crescita degli oneri in bolletta che coprono gli incentivi alle rinnovabili.

Allora, vediamo un pò. In base ai dati RSE (v. http://www.rse-web.it), la maggior parte delle famiglie italiane paga 193 euro per ogni MWh consumato, il 6,73% in meno rispetto alla media europea. Anche le industrie che consumano quantità enormi di elettricità pagano di meno. Il problema riguarda le imprese piccole e medie (ovvero il nerbo del nostro sistema industriale): le prime pagano ogni MWh 233 euro (+37% rispetto all’Europa), quelle che “bruciano” fra 500 MWh e 2 GWh pagano 212 euro per MWh, (+47%). E’ chiaro come sia la tariffa di queste imprese che vada ridotta per difendere il lavoro e questo è un problema di cui la legge di stabilità di Letta non si è concretamente occupata. E’ altrettanto chiaro che il costo dell’elettricità inizia dove l’elettricità viene prodotta e quindi venduta nella borsa elettrica. E nella borsa italiana il prezzo medio, che vale per tutti i tipi di consumatore, è più elevato di quello di Germania e Francia, perché sui mercati il prezzo lo fa principalmente la fonte marginale, che in Italia è il gas (la fonte più cara), in Germania il carbone (la fonte più sporca), in Francia il nucleare (la fonte più pericolosa).

Per abbassare il prezzo all’ingrosso eliminando la differenza di 20 euro al MWh fra noi e la Germania – a parte l’extracosto dovuto all’obsolescenza degli impianti di collegamento con le isole –  o aumentiamo il numero di centrali a carbone o facciamo progressivamente diventare le rinnovabili la fonte marginale. Esattamente il contrario della politica energetica del governo in carica, che, oltretutto, avrebbe potuto togliere in bolletta costi che non c’entrano niente con i normali consumatori. Per fare un esempio “intrigante”, perché non tagliare i 70 milioni dati ai piccoli produttori nelle isole per usare generatori diesel, quando si potrebbe avviare un progetto di “rinnovabili 100%” in due regioni – Sicilia e Sardegna -invase dal sole e dal vento? E perché, visto l’attuale mix di fonti, non applicare al metano – la fonte più utilizzata – un’IVA inferiore al 22%? Capisco che i big europei (Eni, Enel, GasTerra, GdfSuez, Iberdrola, Rwe, E.ON, Gas Natural Fenosa, Vattenfall e Cez) hanno sollecitato i governi a far pagare anche a chi ricorre a fonti rinnovabili i costi di gestione del sistema, evocando una guerra FER-Fossili che richiama le ubbie ottocentesche all’arrivo della strada ferrata e che sembra attrarre il ministro Zanonato e mettere in ambascie la CGIL.

Ma non sarebbe ormai il caso di sostenere la generazione distribuita con regole che consentano a chiunque di vendere la produzione del proprio tetto fotovoltaico al vicino senza passare dalla rete, visto che oggi il fotovoltaico produce a 150 euro al MWh, mentre il prezzo finale via rete è di 193 euro? E non si potrebbe affidare un compito speciale alle vecchie aziende municipalizzate, più vicine ai cittadini, che invece hanno scimmiottato le grandi utility, investendo – come A2A – in cicli combinati a gas ora fermi?

E, infine, di cosa si occupa il Ministero dell’Ambiente se non ottiene finanziamenti certi per la definizione del piano di adattamento ai cambiamenti climatici o per un progetto di decarbonizzazione e se perfino la Strategia Energetica Nazionale non viene sottoposta alla valutazione ambientale strategica (VAS)?

 

Sabato 26 ottobre 2013, per l’intera giornata dalle 10, in via dei Fori Imperiali a Roma si svolgerà un evento-manifestazione che offrirà la possibilità di conoscere direttamente come sono fatti gli impianti e poi di discutere, confrontarsi, definire scenari di sviluppo nel nostro Paese del contributo delle energie pulite e delle possibilità della riqualificazione energetica. La svolta realizzata in questi anni con oltre 600mila impianti distribuiti nel nostro Paese e oltre il 30% dei fabbisogni soddisfatti con fonti pulite non va fermata in nome di una “stabilità”, che sembra solo uno stare al palo degli interessi consolidati.