L’attenzione ossessiva alla pandemia è stata soppiantata da una cronaca atroce, istante per istante, dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe. Da tempo le notizie si cancellano l’un l’altra. Si seguono i fatti, non si indicano i processi. L’impressione è che non sappiamo più trovare il filo delle emergenze, le loro connessioni, le possibili riparazioni che possono avere solo dimensione universale e trovare una armonia tra presenza umana e ospitalità della Terra.
Mentre l’opinione pubblica è con insistenza trascinata a vivere come sequenze temporali separate eventi che incombono senza sosta e sempre più bruschi, la società e le sue rappresentanze smarriscono il filo di un terribile pericolo: la sopravvivenza e la perdita di incivilimento che riguarda l’umano. Francesco sei anni fa aveva afferrato il cambio d’era e l’aveva descritto come un prodotto fisico, spirituale, sociale dei nostri comportamenti: irreparabile senza una svolta ed un ripensamento sull’intero fronte delle interconnessioni da cui provengono il cambio climatico, il pericolo nucleare, la diffusione della disuguaglianza sociale.
Oggi, la guerra atroce nel cuore dell’Europa evidenzia drammaticamente sofferenze e nuove povertà e intanto dilaziona le misure per frenare l’aumento della temperatura globale e sovvertire il sistema energetico, riconsegnato di colpo ai fossili in una morsa perversa tra carbone, gas, armamenti e andamento del Pil. L’errore può dimostrarsi fatale e non dobbiamo prestare il fianco. Non siamo solo esposti alle difficoltà di approvvigionamento del gas e alla penuria di combustibili di cui improvvisamente cesserà la fornitura. Siamo invece assai prossimi ad un passaggio storico cui stiamo arrivando impreparati e ad una velocità imprevista dai governanti del Pianeta.
Anche il nostro Governo, purtroppo, non coglie l’eccezionalità del momento: mentre da una parte annuncia il riarmo, dall’altra guarda all’indietro e, anziché accelerare il passaggio alle rinnovabili e ad un modello decentrato di produzione e consumo, va alla ricerca di nuovi fornitori da sostenere con ingenti investimenti infrastrutturali, che certamente non ci consentiranno la conclamata fuoriuscita dal fossile. Nei paesi importatori, in un clima di pace costituzionalmente precaria, crescerà ancora la incertezza del lavoro e la disoccupazione, assieme ad una ingiustizia sociale insanabile. Al contrario, la svolta verso la transizione ecologica dell’economia intraprenderebbe quel percorso di cura e di riequilibrio con la natura che l’Ue aveva individuato come propria missione riparatrice dopo secoli di industrializzazione e colonizzazione.
E’ grave che il governo Draghi riporti in secondo piano la questione climatica, al centro fino a pochi mesi fa di importanti incontri internazionali, e non ristrutturi dalle fondamenta la cabina di regia del Pnrr, ora che i rubinetti di approvvigionamento dei fossili vanno ad esaurimento con le sanzioni alla Russia. L’Osservatorio per la riconversione ecologica-Pnrr ha avanzato la richiesta di promuovere in tempi brevissimi una Conferenza nazionale sull’energia in cui fare il punto sulla situazione, ascoltando le proposte avanzate dai soggetti istituzionali e sociali. Queste proposte potrebbero diventare parte di un impegno comune ed eccezionale delle aziende a partecipazione statale, assieme alle forze sociali (imprese e sindacati), alle associazioni ambientaliste, alle comunità energetiche e a quanti hanno competenze in materia.
L’insano blocco delle energie rinnovabili ai livelli di dieci anni fa rende obbligatorio il protrarsi di combustioni altamente climalteranti, mentre restano inevase preziose candidature dei privati a investire risorse nel settore eolico off-shore, in quello terrestre e nel fotovoltaico. La stessa sostituzione del turbogas con le rinnovabili a Civitavecchia rimane avvolta da un silenzio inquietante.
C’è poi una narrazione che è ripresa e che vuole convincerci che il nucleare è la soluzione dei problemi energetici. L’orrore della guerra in corso richiama in modo angosciante l’illusione di avere a disposizione energia densa e concentrata non solo a fini irreparabilmente distruttivi (le bombe), bensì governata con tecnologie che offrano autonomia energetica in un quadro geopolitico dato in grande mutamento (i reattori nucleari). Siamo da mesi inondati da notizie mirabolanti e rassicuranti sull’impossibilità di avere un sistema energetico funzionale privo dell’apporto della fusione di atomi leggeri o della fissione di elementi a elevato peso atomico che assicurino la crescita, mentre la crisi climatica, esacerbata dalla guerra, toglie tempo alle illusioni più irresponsabili.
In una prospettiva di rapida indipendenza dal gas russo e, più in generale, da idrocarburi e fonti fossili, occorrono proposte precise come la riscrittura del Piano integrato energia clima (Pniec), per fissare al 2030 per le fonti rinnovabili l’obiettivo di 90 nuovi GW – ad un ritmo di 8/9 GW all’anno nel prossimo quadriennio – e per indirizzare Amministrazione pubblica, Enti e Istituzioni preposte, insieme a tutte le imprese, verso un percorso rapido di massima elettrificazione nei diversi impieghi – industria, trasporti, usi domestici – con energia elettrica fornita sempre più da energie rinnovabili (Fer).
In definitiva, le conseguenze della guerra debbono spingere ad adottare provvedimenti ancora più urgenti per le realizzazioni energetiche fondamentali per il Paese e per la lotta al cambiamento climatico, con il massimo coinvolgimento dei cittadini.
L’articolo Clima, la guerra in Ucraina chiede cambiamenti più urgenti. Altro che riarmo e ancora fossili! proviene da Il Fatto Quotidiano.