Democratizzare il sistema energetico

Vento e sole sono disponibili ovunque, così le energie rinnovabili possono essere utilizzate a piccola scala, in qualunque angolo del mondo. Questa natura delle fonti rinnovabili, insieme ad una transizione energetica ormai avviata, promette di trasformare la struttura e le dimensioni dei sistemi elettrici nazionali. La più grande trasformazione alla quale bisogna lavorare è la democratizzazione della rete elettrica, abbandonando un sistema dominato dalle grandi utilities per costruire un sistema democratico, formato dalla interazione di milioni di piccoli produttori che si scambiano energia in una rete altamente flessibile.

Scarica il rapporto di ricerca Democratizing the Electricity System – A Vision for the 21st Century Grid

ALL’OMBRA DI FUKUSHIMA RIPARTE IL NUCLEARE NEL MONDO

Ventisette milioni di voti al referendum antinucleare basteranno a chiudere la partita? Si, solo se si tiene viva l’alternativa della riduzione dei consumi e della sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili e se si tiene d’occhio il rapporto inverso tra disarmo atomico e proliferazione del nucleare civile. Una tentazione quest’ultima che torna ad ispirare le politiche industriali delle potenze mondiali. In effetti, come prevedeva Hermann Scheer (http://www.edizioniambiente.it/libri/656/imperativo-energetico/), questo primo quarto di secolo assisterà ad una sfida aperta tra sole e atomo.

IL PESO DEGLI INTERESSI MILITARI

A tre anni dalla tragedia, Fukushima non sembra decisiva quanto lo era stata Chernobyl trenta anni fa. E ciò nonostante che, dopo la fuoriuscita di 300 tonnellate di acqua altamente radioattiva dalla centrale, il governo giapponese abbia alzato già a metà del 2013 lo stadio di allerta al Livello 3, corrispondente su scala mondiale a un “incidente radioattivo grave”. Subito dopo il riconoscimento ufficiale della enorme gravità dell’evento, sui mercati si era diffuso il panico e alla Borsa di Tokyo i guadagni accumulati sino a quel momento erano evaporati completamente. (V. http://www.wallstreetitalia.com/thumbnailer.aspx?width=0&image=57404.png)

Il tracollo improvviso di 250 punti dell’indice azionario Nikkei 225 in seguito alle notizie sulle fuoriuscite radioattive da Fukushima rimarcava l’allarme per il riversamento nel Pacifico dell’acqua radioattiva presente nel terreno di Fukushima, e per l’accumulo fino a 40.000 miliardi di becquerel (unità di misura del Sistema internazionale dell’attività di un radionuclide, con 1 Bq che corrisponde ad 1 disintegrazione al secondo) nelle acque del mare.

Ma, se si sono turbati persino i mercati, chi ha messo il silenziatore all’opinione pubblica mondiale? E come mai l’energia nucleare torna saldamente nelle agende politiche di molti paesi, con proiezioni per nuovi impianti simili o superiori a quelli dei primi anni del nucleare? Con 70 reattori in costruzione in tutto il mondo di oggi, sltri 160 o più programmati a venire durante i prossimi 10 anni e centinaia di impianti in cantiere, l’industria nucleare globale sta chiaramente avanzando con forza. La maggior parte dell’aumento della capacità (oltre l’80%), verrà concentrata nei paesi che già utilizzano il nucleare e posseggono armamenti nucleari.

Quindi, bisogna ancora una volta non sottovalutare il ruolo dell’apparato militare nel sostegno al nucleare civile. A cominciare dall’Europa, che va alle elezioni senza un dibattito evidente sulla propria politica energetica e la sicurezza e chiusura dei suoi reattori. Anzi, il rilancio annunciato del nucleare inglese – con la collaborazione francese – esprime l’ambizione di Gran Bretagna e Francia di ritornare “grandi potenze”. Il 21 ottobre 2013 il governo inglese conservatore, appellandosi a capitali e tecnologia d’oltre Manica, ha rilanciato l’impegno nucleare, dando via libera a un consorzio franco-cinese che costruirà due reattori nel sito di Hinkley C, il primo di almeno otto siti nucleari che dovrebbero “ridurre i costi energetici e la dipendenza da combustibili fossili e vecchi impianti”.

Se si guarda al retroterra militare del nucleare cosiddetto “civile”, non dovrebbe stupire più di tanto che l’atomo inglese possa parlare anche francese, non fosse altro che per riequilibrare la potenza economica tedesca in Europa.

Cameron, ha infatti confermato “l’irrinunciabilità dell’arsenale nucleare nazionale ai fini della preservazione degli interessi vitali del paese, almeno fino a quando si assisterà alla proliferazione orizzontale di armi di distruzione di massa e di sistemi missilistici balistici”. Il nucleare militare francese, altresì, punta a mantenere una deterrenza nucleare “limitata ma efficace, essenziale per la sopravvivenza della nazione”. Oggi, sia la Francia che la Gran Bretagna si oppongono alla de-nuclearizzazione dell’Alleanza Atlantica. E vogliono che la NATO rimanga un’alleanza nucleare e, mirando a un ruolo di prime potenze nell’area mediterranea si fanno promotrici dell’intervento contro il regime siriano, l’Iran, la Libia.

http://www.ansa.it/web/notizie/canali/energiaeambiente/nucleare/2013/10/21/Cameron-nucleare-settore-vitale-assicura-lavoro_9495129.html

Contemporaneamente, la capacità nucleare si sta espandendo in Europa orientale e in Asia. La Cina si sta imbarcando su un enorme aumento della capacità nucleare a 58 GWe entro il 2020, mentre obiettivo dell’India è di aggiungere ai suoi in funzione da 20 a 30 nuovi reattori entro il 2030.

Intanto, mentre alcune comunità come in Finlandia e Svezia hanno accettato la costruzione locale di siti di smaltimento definitivo dei rifiuti nucleari importati, ci sono già esempi di globalizzazione dell’industria nucleare. A livello commerciale, entro la fine del 2006 tre grandi alleanze tra occidentali e giapponesi si erano formate e sono state dopo il 2010 rafforzate: Areva con Mitsubishi Heavy Industries;

General Electric con Hitachi; Westinghouse con il controllo per il 77% da parte diToshiba. Molti dei reattori della Cina utilizzano tecnologia proveniente dal Canada, da Russia, Francia e Stati Uniti, mentre la Cina assiste paesi come il Pakistan nello sviluppo dei loro programmi nucleari. La Russia è attiva nella costruzione e nel finanziamento di nuove centrali nucleari in diversi paesi. La Corea del Sud sta costruendo un progetto nucleare per 20 miliardi di dollari negli Emirati Arabi Uniti. Infine, anche l’Australia si appresta per la prima volta ad entrare nel mercato dell’atomo.

(Vedi anche: WNA Documento Informativo sui piani per nuovi reattori in tutto il mondoWNA Documento Informativo su Emergenti Paesi energia nucleare .)

CAMBIAMENTO CLIMATICO, RIARMO, DISINFORMAZIONE

Una maggiore consapevolezza dei pericoli e dei possibili effetti dei cambiamenti climatici ha portato i decisori, i media e l’opinione pubblica ad accettare che l’uso dei combustibili fossili debba essere ridotto e sostituito da fonti a basse emissioni di energia. Il sentimento popolare si concentra sulle energie rinnovabili, ma il nucleare è l’unica tecnologia prontamente disponibile su larga scala che sia alternativa ai combustibili fossili per la produzione di una fornitura di energia elettrica che assicuri il carico di base e sia compatibile con l’attuale sistema centralizzato imposto dalle corporation. Per di più molti dei problemi legati al cambiamento climatico, alla sicurezza nucleare, alla non proliferazione, sono a dimensione globale e gli accordi tra stati passano da verifiche affidate ai loro apparati militari, sostenitori dell’atomo.

D’altra parte la traiettoria pericolosa dall’energia nucleare alle armi nucleari è oggi messa in discussione da una richiesta popolare per la pace e la sostenibilità.

Lo dimostra la grande manifestazione dell’11 Marzo a Tokyo, silenziata dai media.

Sotto gli slogan “Sayonara Nucleare” e “Fukushima non si ripeta ancora”, migliaia di persone rappresentate da associazioni si sono riunite nel parco di Hibiya, per dare forma ad un corteo che si è concluso sotto la sede del Parlamento, la Kantei.

Le proteste, tuttavia, vengono contrastate da una nuova legge scellerata.  ( www.counterpunch.org ). I partiti giapponesi si sono scontrati in Parlamento riguardo ad una legge sui segreti di Stato. Secondo questo provvedimento il governo – e solo quest’ultimo- ha il potere di decretare quali possano essere i segreti di stato. Qualunque impiegato statale che divulghi questi “segreti” rischia di essere detenuto fino a 10 anni ed i giornalisti che rischiano di rimanere incastrati nelle maglie di questa vaga legge potrebbero scontare una pena fino a 5 anni di carcere.
Questa indiscutibile battuta d’arresto della democrazia si è abbattuta sulle dimostrazioni per Fukushima. Alle spalle di queste restrizioni sulla libertà, c’è un rivitalizzazione del militarismo giapponese, che attenta alla sovranità popolare ed è altresì provocato dal disaccordo con la Cina riguardo al Mare del Sud. Le posizioni assunte dalla Cina sono servite come giustificazione da parte del Dipartimento di Sicurezza USA per il coinvolgimento da parte del militarismo industriale americano nel Sud-Est asiatico in appoggio al rilancio del nucleare ad opera del nuovo governo conservatore del Giappone.
Contro la legge molti dei più famosi scienziati Giapponesi, inclusi i premi Nobel Toshihide Maskawa e Hideki Shirakawa, hanno guidato l’opposizione firmando una lettera pubblica di protesta che definisce la legge in questione una minaccia ai “principi del pacifismo e ai diritti umani fondamentali stabiliti dalla Costituzione”. Non suona un pò troppo familiare tutto ciò?

Per una più ampia riflessione su questi temi rimandiamo alla imminente pubblicazione del libro di Stephane Hessel e Albert Jacquard “Exigez” a cura di Energiafelice (Agostinelli, Mosca, Navarra), edito da Ediesse. ( v. http://www.china-files.com/page.php?id=36867 )

Lo dice Oxford, le grandi dighe non convengono, meglio piccoli progetti

di Davide Vannucci – www.pagina99.it

Secondo uno studio di Oxford, oltre a costare troppo, le grandi dighe rendono poco. È un’indagine certosina su 245 grandi dighe costruite tra il 1934 e il 2007 in 65 Paesi. E la conclusione è che è meglio concentrarsi su piccoli progetti

È difficile separare il concetto di keynesismo dall’immagine della Diga di Hoover, soprattutto nei manuali di politica economica. Del resto, la Hoover Dam, costruita negli anni Trenta sulle rive del Colorado, al confine tra l’Arizona e il Nevada, è il paradigma dell’opera pubblica ben fatta, che riesce nell’impresa di rilanciare l’economia e promuovere l’occupazione.

La diga è, nell’immaginario umano, il simbolo di una natura domata, un ulisside, un prodotto dell’ingegno e dell’astuzia, che piega il dato naturale verso il bisogno, ancor più di un ponte o di una galleria. È l’emblema del progresso, della tecnica che indirizza l’elemento primordiale, lo converte in energia, nel motore di uno sviluppo che si presuppone infinito. Non a caso, tutti i Paesi, o quasi, in una fase di boom, o di rilancio della propria economia, hanno costruito una diga. L’esempio (tragico) del Vajont è sotto gli occhi di tutti.

Questo fattore non è passato inosservato all’università di Oxford, i cui ricercatori hanno svolto un’indagine certosina su 245 grandi dighe costruite tra il 1934 e il 2007 in 65 Paesi. Il risultato? Quella di Hoover sembra essere un’eccezione. Nella stragrande maggioranza dei casi, costruire enormi dighe è antieconomico, provoca danni ambientali e trasferisce debiti onerosi sulle generazioni future.

La grande infrastruttura rooseveltiana è un’anomalia non solo perché raggiunse il proprio scopo, quello di fornire elettricità a basso costo agli Stati del Sud-ovest, durante la Grande Depressione, ma anche perché venne terminata due anni prima rispetto alle previsioni, con un costo inferiore di 15 milioni di dollari a quanto era stato stanziato. Secondo gli oxfordiani, invece, le dighe hanno superato mediamente il 97 per cento del loro budget iniziale, con il caso limite di Itaipù, al confine tra Brasile e Paraguay, che venne a pesare il 240 per cento in più del previsto. Anche i tempi di costruzione non sono mai stati in linea con i progetti iniziali (una media di 8,2 anni, 2,3 anni in più rispetto a quanto pianificato).

Eppure la corsa a costruire dighe non conosce sosta. Il leader del settore è la Cina (metà delle grandi infrastrutture di questo tipo si trova nel Celeste Impero e le compagnie di Pechino sono impegnate in più di 300 interventi, in 70 diversi Paesi). Il Brasile, dal canto suo, ha lanciato un enorme progetto a Belo Monte, il Pakistan a Diamer-Bhasha. Persino l’Etiopia ha avviato la costruzione della cosiddetta Gilgel Gibe III, 243 metri di altezza, sul fiume Omo (il cui appalto è stato vinto dall’italiana Salini).

La Banca Mondiale vede con favore le mega-infrastrutture idroelettriche, una posizione non condivisa dal Congresso americano, che ha chiesto all’amministrazione Obama di opporsi con forza all’interno delle istituzioni finanziarie internazionali. La ragione del costante interesse per le dighe non è misteriosa: si stima che tra il 2010 e il 2040 il consumo di energia crescerà del 56 per cento. Il nucleare viene messo in discussione (anche se in Asia il numero dei reattori tende a crescere), né si può vivere di solo petrolio, gas o carbone. Più del novanta per cento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili viene dalla dighe. Media e politici discutono sempre di eolico, solare, geotermico, ma è l’idroelettrico a dominare ancora in questo campo.

Eppure, come sottolinea Bent Flyvbjerg, il ricercatore capo degli oxfordiani, l’impatto ambientale delle dighe non è del tutto neutro, sia per l’emissione di CO2, sia per la produzione di una grande quantità di metano. Per non parlare dei costi sociali, come il disagio, o meglio il trauma, causato ad interi villaggi, obbligati improvvisamente a trasferirsi, abbandonando tradizioni ed abitudini secolari. Il film cinese “Still Life”, vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 2006, descrive l’alienazione di una comunità costretta a cambiare vita a causa della costruzione della Diga delle Tre Gole, sul Fiume Azzurro.

Nel mirino degli oxfordiani ci sono i grandi progetti, veri e propri behemoth, i cui costi tendono inevitabilmente a crescere in corso d’opera. La già citata diga di Belo Monte – la cui costruzione è stata sospesa più volte per gli interventi della magistratura, a causa di ragioni ambientali – dai 14,4 miliardi di dollari di partenza dovrebbe passare a 27,4 miliardi, lasciando in rosso le casse statali, in un Paese che sta soffrendo proteste di massa per l’eccessivo aumento del costo della vita. I danni riguardano anche l’impatto sull’ecosistema. Si calcola che il grande progetto delle Tre Gole avrà un costo ambientale di 26,45 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni.

Prendere a prestito denaro, spesso in valuta straniera, per finanziare grandi progetti infrastrutturali di questo tipo è un azzardo, soprattutto per le economie ancora fragili, al primo stadio del loro sviluppo. La diga etiope, per fare un esempio, peserà sul budget statale per almeno 2,1 miliardi di dollari, senza contare le conseguenze sulla vita quotidiana degli abitanti della bassa Valle dell’Omo e sulle loro attività produttive, come la pesca. Meglio concentrarsi su piccoli progetti, scrivono ad Oxford, perché le dighe sono comunque necessarie, anche per irrigare i campi, fornire acqua potabile e gestire gli stessi sbalzi climatici, (permettono di accumulare riserve idriche, o di mitigare la piena dei fiumi in caso di forti piogge), oltre ad essere un ottimo volano per l’occupazione (il progetto di Belo Monte darà lavoro a 20.000 persone). Il discorso è valido soprattutto per i Paesi in via di sviluppo, dove si concentra la maggior parte degli investimenti futuri. Qui i capitali privati sono scarsi e tutti gli oneri si riversano sulle casse pubbliche. Fare il passo più lungo della gamba potrebbe essere una scelta esiziale.

Sequestrata la centrale a carbone di Vado Ligure

Intorno alle 13 di oggi i carabinieri sono entrati nella centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure e Quiliano e l’hanno posta sotto sequestro per attuare l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari, Fiorenza Magni,  che prevede lo spegnimento dei gruppi a carbone e il commissariamento della centrale

La Giorgi imputa a Tirreno Power si imputa l’assenza del sistema di monitoraggio a camino, che avrebbe dovuto essere realizzato entro il 14 settembre 2013, ma dice che «una volta attuate le prescrizioni la centrale potrà ripartire».

Secondo l’ordinanza c’è stato un «comportamento negligente» e «i dati sulle emissioni provenienti dalle centraline sono inattendibili». Inoltre «le indicazioni dell’Aia non sono state rispettate».

Santo Grammatico, presidente di Legambiente Liguria, ha dichiarato: «Ben venga il sequestro e la chiusura degli impianti a carbone della centrale di Vado Ligure. Negli ultimi mesi i controlli effettuati da organismi istituzionali e la stessa Procura avevano evidenziato le problematiche sanitarie ed ambientali prodotte dalla presenza della centrale su questo territorio. Non è un caso che i capi di imputazione per gli indagati siano il disastro ambientale e l’omicidio colposo. Da anni denunciamo il rischio di convivenza tra la popolazione locale e le attività produttive legate al carbone, uno dei peggiori combustibili ancora oggi utilizzato per la produzione di energia elettrica».

Secondo Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, «il sequestro dell’impianto della Tirreno Power di Vado Ligure (Sv) rappresenta un importante passo avanti nella lotta all’inquinamento ambientale e sanitario da anni denunciato in Liguria. Ora ci aspettiamo che la centrale a carbone di Vado Ligure venga riconvertita con progetti utili e sostenibili e che possa così diventare un esempio da seguire anche per gli altri impianti industriali vecchi e inquinanti presenti ancora in Italia, che arrecano solo danni all’ambiente e alla salute dei cittadini. Dall’altra parte è però necessario che ci sia un cambio di rotta nella politica energetica di questo Paese. È ora di dire basta ai sussidi per le fonte fossili e alle politiche a favore del carbone, bisogna invece optare per una politica energetica che guardi alle fonti rinnovabili e alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano. Al premier Renzi cogliamo l’occasione per ricordare che si possono recuperare le risorse tagliando i sussidi alle fonti fossili».

Anche l’assessore all’Ambiente della Regione Liguria, Renata Briano, ha sottolineato che «le inottemperanze e le inosservanze alle prescrizioni dell’Aia ( l’autorizzazione ambientale integrata) che hanno motivato il provvedimento sono contenute in un verbale di Ispra dopo una visita fatta insieme con i tecnici di Arpal alla centrale. Il dipartimento Ambiente della Regione Liguria aveva già precedentemente inviato, fra l’altro, una serie di lettere al Ministero dell’Ambiente, in cui si chiedeva di verificare l’esistenza di inadempienze ambientali sull’Aia stessa».

I sindacati sono preoccupati per i circa 700 i lavoratori della  produzione di energia o che lavorano per la Tirreno Power di Vado Ligure e Quiliano, Maurizio Perozzi della Rsu, ha detto al Secolo XIX: «Siamo allibiti per la portata del provvedimento deciso dal tribunale e richiesto dalla Procura. Già domani chiederemo di essere ricevuti dal Prefetto Gerardina Basilicata per poi essere convocati urgentemente dal ministero. Una situazione del genere è decisamente pesante e non ce l’aspettavamo». Pino Congiu, segretario della Uilcem di Savona, però ammette che ci sono diverse cose che non vanno: «Sono i due gli aspetti che gravano sulla centrale. Uno riguarda le rigorose prescrizioni imposte dall’Aia. L’altro è la crisi che da tempo grava anche in questo settore. Non vorremmo che questa chiusura potesse avere delle conseguenze gravi anche sui lavoratori».

 

12 Marzo Anniversario dell’incidente di Fukushima

Il 12 marzo occorre il terzo anniversario della catastrofe di Fukushima.

Incidente gravissimo, tutt’ora sottaciuto secondo l’omertà delle corporation del nucleare. Quali siano gli effetti a breve e a lunga distanza della fusione del nucleo nella centrale giapponese continuano ad essere nascosti all’opinione pubblica, in base ad una reazione scontata in ogni incidente nucleare: in Russia, in Inghiltera, negli Stati Uniti, in Francia. Anche sotto questo profilo si ritrova una continuità tra atomo militare e atomo civile: un controllo totale dell’informazione a cui sfugge soltanto qualche nicchia di scienziati democratici, intellettuali responsabili, movimenti insubordinati.

Non è solo una coincidenza temporale quella per cui l’associazione “Energiafelice” pubblicherà in questi giorni con Ediesse un libro di Hessel sul disarmo nuclere e, da oggi posta sul proprio sito una disanima puntuale del lascito nucleare in Italia e dei pericoli ancor oggi connessi ad esso. Il quaderno L’eredità nucleare in Italia si può vedere in anteprima nella sezione Quaderni e scaricare on line da Shop.