Giornata mondiale dell’ambiente 2014, una bella notizia da Obama

di Mario Agostinelli

Questo blog spesso trasmette giustificate preoccupazioni e allarmi che riguardano le popolazioni e altrettanto frequentemente precisa il contesto in cui trovano ragione le accuse dirette a chi governa sconsideratamente il nostro pianeta. Mi sembra però opportuno, nella Giornata Mondiale dell’Ambiente, sottolineare una notizia positiva, che è frutto di un mutamento profondo nell’opinione pubblica mondiale, a cui non si può sottrarre nemmeno chi ha la massima responsabilità nel degrado ambientale. La buona notizia riguarda i nuovi sforzi annunciati da parte degli Stati Unitiper ridurre le proprie emissioni di anidride carbonica. Lunedì 28 maggio, la US Environmental Protection Agency (EPA) ha annunciato un piano per tagliare entro il 2030 le emissioni di carbonio delle centrali elettriche del 30% rispetto ai livelli del 2005.

Forse è l’azione più forte mai adottata per combattere il cambiamento climatico da parte del governo degli Stati Uniti, prima avversari del protocollo di Kyoto e poi protagonisti nel rendere inconcludenti gli incontri internazionali sugli effetti dei gas climalteranti.

Essendo il presidente del più grande emettitore storico di anidride carbonica, Obama chiama il Giappone, il Canada, l’Australia e, su piani diversi, la Cina e l’India ad un investimento politico sulla salvaguardia dell’ambiente. Come è già successo, il presidente Usa potrebbe non dar seguito ad annunci e visioni su cui incontra forti opposizioni e, quindi, deludere le aspettative create in molte parti del mondo. L’industria del carbone e i suoi sostenitori nel partito repubblicano cercheranno di bloccare l’Epa, ma sembra che i negazionisti non abbiano ormai più il vento a favore, nemmeno tra i grandi finanziatori della Banca Mondiale né tra gli opinionisti dei grandi giornali. (v. articoli su New York Times del 2 giugno).

Nel prendere una forte posizione pubblica sulle emissioni, gli Stati Uniti stanno inviando ai settori manifatturieri e energetici un segnale forte che il paese si sta allontanando dal carbone e abbracciando l’efficienza energetica e le energie rinnovabili. La stessa questione dello shale gas va inquadrata in una fase in forte movimento, in cui transizione e strategia a lungo termine si stanno continuamente ridefinendo, con risparmio, vento e sole sostitutivi nell’offerta elettrica e con un crescente decremento del ricorso complessivo alle fonti fossili.

La Cina ha recentemente aumentato il suo obiettivo per le energie rinnovabili e ha vietato le nuove centrali a carbone in molte regioni urbane. Appena due settimane fa, il Messico ha aumentato il suo ambizioso obiettivo di energia rinnovabile dal 15 al 25 per cento entro il 2018.

Anche l’Unione Europea, che ha già quasi raggiunto il suo obbiettivo per il 2020, dovrà fare di più, anche in occasione del nuovo trattato globale sul clima, che si discuterà a Parigi nel 2015.

Purtroppo gli scienziati avvertono che le emissioni di carbonio devono avere il loro picco prima del 2020, per avere una ragionevole speranza di rimanere al di sotto dei 2°C di riscaldamento globale.

Intanto, la notizia che in Italia ci si avvia nei mesi estivi a produrre probabilmente altrettanta o più energia elettrica da fonti naturali che da fossili (alla potenza massima erogata nel giorno di punta del mese di aprile, secondo Terna, le energie rinnovabili – eolico fotovoltaico idroelettrico – hanno contribuito per il 49,1%, superando la quota fossile ferma al 39,2%), assume un significato straordinario, in quanto viene dimostrato che, nonostante una politica erratica e controversa da parte degli ultimi governi, i cittadini coscientemente tendono a sistemi decentrati e locali di approvvigionamento.

In questo quadro stupisce la posizione del nostro ministro dello sviluppo Federica Guidi cheripropone una strategia favorevole alla ripresa dei fossili. In materia di politica energetica, poi, colpisce l’assenza totale di qualsiasi riferimento “rivoluzionario” da parte del premier Matteo Renzi. In effetti, anche per l’energia e l’ambiente, il cambiamento – quello vero, frutto di conflitto democratico e di partecipazione –  non si porta avanti appoggiandosi alle antichissime lobby che ci hanno portato al disastro, ma disegnando insieme un futuro di giustizia sociale e – perché no – climatica, riconsegnato a un mondo in cui le persone e i movimenti reali che stanno nella società non sopportano più di fare solo da spettatori.

IL CLIMA DELL’EUROPA: RINNOVABILI SENZA IL NUCLEARE

di Mario Agostinelli e Alfonso Navarra

A Brescia l’8 Maggio si è svolto un interessante incontro pubblico, per evidenziare  come “Un’Altra Europa con Tsipras” intenda dar corpo ad una diversa politica energetica per l’Europa. In questa fase della campagna elettorale sembra impraticabile riconquistare il merito della discussione, dato che l’azione irresponsabile e gregaria dei media ha allestito una partita finta tra chi nei fatti manterrà l’UE così come è (o non è!) e chi l’Europa non la vuole affatto, accantonando così ogni ipotesi di costruzione del cambiamento. Per la verità, attraverso la lente dell’energia interpretata come bene comune si potrebbero traguardare molte delle delusioni di un modello europeo consegnato al mercato, alla espansione della Nato, alla rinuncia della salvaguardia del pianeta. A Brescia abbiamo provato a ragionare con realismo e con quel tanto di utopia concreta che la situazione drammatica oggi richiede.  Quando parliamo di un programma energetico per l’Europa lo facciamo battendo i pugni sul tavolo, ma pensandoci “europei”, non italiani. L’Europa per noi è innanzitutto una comunità politica che deve offrire una opportunità alla pace globale: non a caso prende avvio in seguito al ripudio di una storia secolare di guerre sul proprio territorio – perfino la primitiva Comunità del Carbone e dell’Acciaio e i 5 centri di ricerca Euratom per il nucleare nascevano per superare in una dimensione pubblica continentale l’eventualità di nuove contese per il controllo delle risorse strategiche – e deve ora caratterizzarsi, meritando il Nobel ricevuto nel 2012, per un impegno coerente alla promozione della pace, anche all’esterno di essa.

Per questo il confronto di Brescia è partito dalla valenza strategica e geopolitica dell’energia come fattore di cooperazione. Sappiamo bene che il modello fossile e nucleare è collegato alla guerra, mentre al contrario il modello rinnovabile è connesso ad una società solidale e governata democraticamente.

Le donne e gli uomini in carne ed ossa non sono astratte monadi in interazione (e competizione) ma singolarità concrete, frutto di “campi sociali” che vivono in prossimità ristrette e allargate (il villaggio globale), inserite nella base dei rapporti di produzione e dei cicli ecosistemici, anche essi locali e globali.

L’energia perciò è risposta a bisogni umani, allo sviluppo sociale e a esigenze naturali, non equazione per l’equilibrio di sistemi economici: non è per noi questione solo di “efficienza termodinamica” o di “economicità dei costi” o di “emissioni climalteranti” o di “indipendenza geopolitica”. E’ tutte queste cose, ma messe insieme per realizzare, allo stesso tempo ed allo stesso modo: 1) pace e sicurezza; 2) tutela e valorizzazione dei beni comuni e pubblici; 3) occupazione, reddito, lavoro dignitoso e giustizia sociale; 4) potenziamento e diritti delle persone, partecipazione e democrazia locale ed internazionale.

Esiste, in sostanza, un conflitto radicale tra l’energia intesa come prodotto di proprietà di una combinazione tra Stati, imprese multinazionali, strutture militari e, invece, il diritto all’energia dei cittadini, gestito come bene comune.

Queste premesse possono sembrare metodologiche, ma servono a chiarire le discriminanti che, in campo energetico, ma non solo, contrassegnano la nostra visione di “Un’Altra Europa” come alternativa alla UE presente.

Questa UE considera – lo dicono i documenti ufficiali NATO – l’energia un “interesse vitale strategico” e per garantire quantità e qualità dei flussi di approvvigionamento energetico è predisposta perfino a fare la guerra nell’ambito del “blocco occidentale” a leadership americana. La crisi ucraina sta dettando i termini di una svolta: la dipendenza da petrolio e gas russo (ed anche nordafricano) deve essere sostituita, dalla fornitura di shale gas americano, per la quale va messa a punto l’infrastruttura adeguata. Il nucleare, in questo contesto, non va ridimensionato, ma conservato e addirittura foraggiato con specifici incentivi e lo attesta l’impegno che Francia, Inghilterra e Polonia rilanciano attraverso i loro accordi in ambito industriale e militare. Altro che il 100% di rinnovabili auspicato dall’europeissimo Hermann Sheer!

L’altra Europa, nella transizione ad un nuovo modello energetico, non può rinunciare a lavorare tutti insieme, europei, americani, russi, cinesi, arabi e quanti altri, “comune umanità”, alla conversione energetica che ci eviterà la catastrofe climatica: l’ultimo rapporto dell’IPCC ci fa intuire che, se salta il tetto dei 2° C di aumento della temperatura, i costi della “riparazione” supereranno quelli di qualsiasi programma di prevenzione e adattamento. In altri termini, l’abbandono dei fossili, il decentramento energetico e la riduzione dei consumi costituiscono il nerbo di una politica economica che affronti la crisi con la rivalorizzazione del lavoro, senza ripararsi dietro l’imbroglio del fiscal compact avallato dai governi delle larghe intese. Il nuovo modello rinnovabile, distribuito sul territorio e nel quale si fa un uso efficiente ed intelligente dell’energia è la base della “rivoluzione” anche culturale che può impegnare in autonomia le menti e le braccia delle nuove generazioni.

Nello spirito dei referendum che hanno vinto in Italia nel 2011, ed il cui significato ha da essere esteso a livello europeo, abbiamo bisogno di una infrastruttura pubblica e di una politica su scala continentale, di eccellenti aziende nazionali e di municipalizzate pubbliche, orientate alla partecipazione e sciolte dai vincoli di borsa e dalle strategie imposte dalle corporation della vecchia economia.

Questa UE vuole invece un mercato unico, dominato da pochissimi grandi player privati. L’altra Europa farà il contrario: darà ascolto all’opinione pubblica che, per quanto manipolata, resta tuttavia favorevole ad una gestione dell’energia come “bene comune”, risorsa prevalentemente territoriale, governata democraticamente, estranea al sistema militare di offesa, rispondente ad obiettivi climatici non più procrastinabili. Si può, si deve.

NUCLEARE: UNA PATATA BOLLENTE PER L’EUROPA

di Mario Agostinelli

Dopo il rigetto del nucleare al referendum del 2011, i nostri politici hanno preferito stendere una cortina di silenzio sulla vicenda e non prendere alcuna iniziativa verso quegli stati europei confinanti che dovrebbero garantire la sicurezza dei loro reattori. Anzi, l’Enel è stata invogliata a acquisire partecipazioni nel nucleare fuori confine, i trasporti all’estero di materiale radioattivo sono avvenuti di nascosto e – caso clamoroso! – per un EXPO sotto l’insegna di “energia per la vita” si sono versate tangenti alla Sogin, che tratta non senza ombre le scorie più esiziali ( v.  http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/13/expo-sogin-e-le-tentazioni-del-nucleare/983161/ ).

In occasione delle europee del 25 Maggio nessuna lista, a parte Tsipras e Verdi, fa il minimo cenno ad un’Europa senza nucleare, sia militare che civile. Eppure il problema ha una assoluta priorità e richiederà enormi sforzi, anche finanziari, che peseranno sui bilanci dell’Europa.

Ne tratta con un lungo articolo la prestigiosa rivista Business Monitor International

(http://bmo.businessmonitor.com/cgi-bin/request.pl?SessionID=9148887EDF8C11E3808424077B297F78&iso=DE&service=-1), che esamina gli enormi problemi che conseguono alla decisione del governo tedesco di chiudere definitivamente i reattori entro il 2022.

Per farlo, occorre infatti affrontare la questione controversa ed estremamente onerosa della dismissione delle centrali: per assorbirne i costi le grandi aziende elettriche della Germania hanno addirittura proposto di istituire una “bad bank” con un fondo fisso, riversando ogni extra o imprevisto sulle tariffe.

Il governo tedesco è certo criticabile per il temporaneo aumento di quote di carbone nel suo mix elettrico, ma, evidentemente, ritiene decisivo l’abbandono graduale dell’energia nucleare, con la totale sostituzione sia di atomo sia di carbone con le fonti rinnovabili, in base al programma  Energiewende ( transizione all’energia pulita  http://en.wikipedia.org/wiki/Energy_transition_in_Germany ).

Per evitare di accollarsi i costi delle dismissioni forzate, stimati in 60 miliardi di euro, le aziende elettriche suggeriscono che il governo e – per estensione – il contribuente, debbano assumersi l’onere tramite la creazione di una “bad bank per l’energia nucleare”. In sostanza, il costo del decommissioning ricadrebbe sul contribuente, mentre le utility tedesche, E.ON , RWE , EnBW e la svedese Vattenfall pagherebbero circa 30 miliardi di euro attraverso il fondo di riserve già accantonate per legge per coprire i costi di disattivazione (e già versati attraverso le tariffe in corso e i sussidi governativi usati per introdurre il nucleare in Germania e poi trasferite per l’espansione delle rinnovabili) . Il governo tedesco naturalmente rifiuta la proposta, perché teme che, accettandola, sarebbe come assumere un progetto di opere pubbliche che potrebbe esplodere in termini di costi imprevedibili.

Il governo tedesco tiene duro perché ha potuto fermare e programmare di rimuovere le centrali nucleari dalla rete più rapidamente del previsto in seguito alla creazione di potenza rinnovabile decentrata e nuove reti intelligenti. Nell’ambito della politica Energiewende, una quantità senza precedenti di capacità rinnovabile ha accesso prioritario alla rete elettrica e questo irrita le grandi aziende con impianti termici e nucleari, mentre favorisce le municipalizzate che si occupano sempre più di sistemi territoriali, rinunciando ad andare in borsa, al contrario delle nostre senza strategia.

Insomma, la Germania fa politica energetica e ne parla, aprendo uno scontro con la lobby energetica europea. Il governo e i chiacchieroni di casa nostra, che si contendono gli elettori a suon di sberle, sono invece incredibilmente silenziosi al riguardo. In compenso, gira la voce che ridurranno il ristorno degli incentivi pattuiti sugli impianti rinnovabili già in funzione, con il risultato di bloccare ancora una volta un settore qualificato e con grandi potenzialità e di fare l’ennesimo favore a quell’intreccio di affari e politica che è sotto gli occhi del mondo.

Per la transizione energetica, verso la decarbonizzazione, quali politiche in Europa?

Mentre siamo agli ultimi giorni di campagna elettorale per le elezioni europee è uscito un prezioso libro   http://www.edizioniambiente.it/libri/1038/un-altra-europa/ a cura di Silvia Zamboni (di cui il contributo di Gianni Silvestrini  http://www.qualenergia.it/articoli/20140516-l%E2%80%99europa-alla-guida-della-transizione-energetica-della-decarbonizzazione ) e invece continua la pressocchè totale assenza, dal dibattito politico e dai programmi elettorali, di questi temi.

Tra le poche iniziative in merito, un convegno “Il clima dell’Europa senza nucleare”, svolto a Brescia l’8 maggio, promosso  dalla lista “L’Altra Europa con Tsipras”, che ci ha chiesto un contributo di merito http://youtu.be/fG9TOBfwlgM .

A proposito di politiche negative sulle questioni energetiche, il servizio di Report sullo shale gas del 12 maggio  http://www.cinetvmania.it/2014/05/12/report-anticipazioni-e-streaming-rai3-lunedi-12-maggio-2014/  ha riproposto l’inquietante questione dell’estrazione di gas con la pratica del fracking, ossia la frantumazione del sottosuolo attraverso l’immissione a pressione di acqua e solventi chimici, ed inoltre delle possibili relazioni tra attività di estrazione del gas e di esplorazione per idrocarburi ed aumento dell’attività sismica.

Su quest’ultima vicenda, in relazione al terremoto in Emilia-Romagna del mese di maggio 2012, era stata istituita, dalla Protezione Civile su richiesta del Presidente della Regione, la Commissione ICHESE, il cui rapporto finale  http://ambiente.regione.emilia-romagna.it/geologia/notizie/primo-piano/commissione-ichese-on-line-il-rapporto-integrale  è stato reso pubblico dal Presidente Errani solo dopo che un giornalista  di Science aveva denunciato “pressioni per non pubblicare il rapporto”.

Come si può vedere dalle conclusioni, non si esclude la possibile relazione tra trivellazioni e sisma del 2012, anche se si specifica che da sole “le attività non possono averlo provocato”. Dopo la pubblicazione del rapporto il Presidente Errani si è scusato per il ritardo e la Regione Emilia-Romagna ha sospeso ogni nuova autorizzazione alla ricerca di idrocarburi, ma restano in vigore i permessi già concessi.

Noi pensiamo che per un principio di precauzione in Italia e in Europa, non solo vada esclusa qualsiasi ricerca sullo shale gas, ma che intanto in Italia andrebbe fatta una moratoria, sulle trivellazioni e i depositi sotterranei di stoccaggio.

Questa è una proposta sulla quale intendiamo aprire un confronto con tutte le Associazioni ambientaliste, i movimenti, i tanti comitati contro le trivellazioni e i depositi che sono sorti nel nostro paese.

Expo, Sogin e le tentazioni del nucleare

di Mario Agostinelli

Dalle carte dell’inchiesta sugli appalti di Expo 2015 emerge l’interesse rivolto dalla “cupola”Frigerio-Greganti-Grillo verso la Sogin, società di Stato partecipata al 100% dal Ministero del Tesoro e incaricata della realizzazione del deposito nazionale definitivo dei rifiuti radioattivi e dello smantellamento degli impianti nucleari dismessi. Le indagini scoprono purtroppo tutta la permeabilità del settore ad azioni di corruzione, tanto abituali nel campo delle grandi opere.

Secondo un articolo apparso sulla Stampa, che riporta le intercettazioni sotto inchiesta da parte dei pm milanesi, Frigerio, Greganti e Grillo non si sono limitati a pilotare 98 milioni di euro finiti a Maltauro e Saipem per la costruzione di depositi di scorie nucleari, ma hanno manovrato per nominare in posti chiave della società pubblica un loro uomo – Alberto Alatri, sponsorizzato dall’intraprendente sindaco di Caorso – al fine di assegnare un appalto da un miliardo e mezzo per operazioni nel sito nucleare del piacentino.

Ora il nuovo CdA della Sogin corre ai ripari, annunciando la sospensione di 4 dirigenti, già avvenuta, secondo il comunicato diffuso, in seguito ad una “Due Diligence” avviata dall’amministratore delegato di ultima nomina.

Ma la società è da tempo esposta a forti polemiche e ha una storia tutt’altro che irreprensibile e agevolmente riconducibile alla mancanza di trasparenza che ha sempre accompagnato le operazioni nel settore nucleare.

La Sogin ha finora svolto attività volte alla realizzazione e ristrutturazione di alcuni depositi temporanei di rifiuti radioattivi e alla demolizione di vecchi fabbricati. Ma le dimensioni finanziarie complessive racchiuse nella sua “missione” vanno da 3 a 5 miliardi di euro. Quindi si tratta di un’opera pubblica di dimensioni consistenti e non si può trascurare che nel corso di 10 anni l’azienda ha accumulato ritardi nei lavori che sono arrivati fino al 170%, mentre i costi preventivati sono più che raddoppiati.

Una missione svolta con dubbia produttività, che ha consentito una gestione assai più privata che pubblica e che ha avuto nei governi Berlusconi sostenitori molto attivi. A questo si aggiungano le operazioni di collocamento di personale politico e la libertà d’azione consentita all’ex generale Carlo Jean, impegnato in Russia in azioni di supporto allo smantellamento dei sommergibili nucleari ex sovietici (di fatto tuttora un buco nero).

Su tutta la vicenda del nucleare siamo oggi in una fase delicata di passaggio e le attuali inchieste dei magistrati fanno sperare in un intervento molto netto del Parlamento per dar corpo ad unaristrutturazione profonda nel settore della sicurezza, con l’obiettivo di creare un sistema efficiente, in grado di gestire lo smantellamento degli impianti, anziché perpetuare lo status quo.

È uscito in queste settimane il decreto legislativo di recepimento della direttiva comunitaria sulla gestione dei rifiuti radioattivi e stanno per essere emanati i criteri per la localizzazione del deposito nazionale delle scorie. Si tratta di indirizzare e controllare operazioni costosissime, che spesso non avvengono in trasparenza, che sono coperte da accordi internazionali semisegreti, da trasporti scortati dai militari, da creazione di depositi temporanei fuori norma, ma comunque inaccessibili a controlli pubblici.

Visti i precedenti della Sogin, restano seri dubbi sui punti critici, dato che sopravvivono nell’azienda molti residui della passata impostazione filo-nucleare e che la vittoria nel referendum del 2011 (per l’annullamento del faraonico progetto nucleare di Scajola) è ancora tutta da gestire su questo versante.