Cambiamenti climatici: la svolta di Obama

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Il conto alla rovescia per la XXI Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici (Cop 21), che si terrà a Parigi nel dicembre 2015, è già iniziata.  Da noi, con un governo impegnato allo stremo per le “riforme” non se ne parla proprio.  Dopo la pubblicazione della sua straordinaria enciclica Laudato Sì, il papa il 21 Luglio ha accolto sindaci e governatori delle principali città di tutto il mondo (comprese Milano, Roma, Napoli), che hanno firmato, assieme a Francesco, una dichiarazione che invita i governi di tutto il mondo ad adottare misure audaci alla Cop21 per limitare entro i 2°C l’aumento di temperatura, dato che la crescente preoccupazione per la salute del pianeta non accenna a diminuire.

In un nuovo rapporto sulla base di input da 413 scienziati provenienti da 58 paesi, la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti ha concluso che il 2014 è stato l’anno più caldo mai registrato. Il direttore dei Centri nazionali di informazione ambientale NOAA Thomas Karl ha avvertito che il cambiamento climatico non solo si registra con la temperatura dell’aria, ma anche con quella sul fondo dell’oceano e dell’atmosfera più esterna. Come risultato di questa situazione ci sono stati 91 cicloni tropicali nel 2014, ben al di sopra della media di 82 tempeste che si sono verificate nel periodo 1981-2010, secondo le conclusioni della NOAA.

Ora tocca ai politici a mostrare la loro dimensione di statisti mondiali. Diplomatici e politici sarebbero responsabili di un fallimento a Parigi, dato che il fallimento non è un’opzione. In questo quadro Obama ha deciso di giocare la sua eredità, oltre che su un avanzamento del sistema sanitario fortemente combattuto dai conservatori su una battaglia efficace per il clima. In una nota del New York Times del 2 Agosto firmata da Coral Davenport e Gardiner Harris e in un video postato su Facebook a mezzanotte dallo stesso presidente, si comunica che gli Stati Uniti intraprenderanno la più forte azione mai presa per combattere le emissioni climalteranti.

Il regolamento, che verrà imposto a tutti gli Stati federali, introdurrà una radicale trasformazione del settore elettrico degli Stati Uniti, favorendo uno spostamento “impetuoso” dall’energia elettrica prodotta con carbone alle energie rinnovabili. Per le centrali esistenti si ridurranno del 32 per cento entro il 2030 le emissioni conteggiate al 2005. La quota di fonti rinnovabili con capacità di generazione di energia nel 2030 sarà superiore del 28 per cento rispetto all’attuale.

Per favorire l’espansione sostitutiva di rinnovabili, l’amministrazione Obama ha anche cambiato la sua proiezione sulla quota del gas naturale nel mix di potenza degli Stati Uniti nel 2020, per evitare quella che sarebbe un “corsa veloce al gas” per allontanarsi dal carbone. Il piano spinge, prima del cambio di combustibile (da carbone a gas), a programmare riduzioni di consumi attraverso l’efficienza energetica e a compensi di potenza con energia naturale (sole, vento, acqua, biomasse). Il piano sarà fondamentale per il contributo degli Stati Uniti per un accordo delle Nazioni Unite per affrontare il cambiamento climatico, in cui l’amministrazione Obama ha annunciato di voler svolgere un ruolo di leadership.

Naturalmente occorrerà vedere la traduzione reale di queste decisioni, quanto ci sia di diplomatica propaganda in vista di Parigi e quanto verrà contrastato dalle lobby dell’energia fossile, già in movimento. Le associazioni del settore e alcuni legislatori di stati come Virginia e Maryland, che hanno contato da sempre su energia da carbone, hanno detto che si sfideranno nelle Corti e attraverso tutte le possibili manovre nel Congresso, accusando l’amministrazione di un assalto normativo che farà salire i prezzi dell’energia. Ma nel piano c’è già una prima risposta: “ridurre la bolletta energetica per le famiglie a basso reddito” di almeno 85 $ e abbattere i costi delle tecnologie energetiche rinnovabili, argomenti da anticipare per gli avversari che sosterranno che il piano sarà troppo costoso.

Il cambiamento climatico non è un problema per un’altra generazione, non più“, ha detto Obama nel video di sabato scorso. L’Enciclica papale rivolge la sua carica all’emergenza di fronte a cui siamo. Il dibattito si allarga con una presa di coscienza sempre più ampia. C’è solo da augurarsi che anche la nostra opinione pubblica non venga ulteriormente distratta (chi parla della Cop 21 a EXPO 2015?) e che una classe dirigente tutta intenta a contendersi e conservare il comando di un vascello alla deriva si accorga da dove provengono le tempeste.

Il prezzo del petrolio tra Teheran e Parigi

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015E’ passato un anno dall’inatteso crollo delle quotazioni petrolifere che ha portato il prezzo del greggio dal valore di 116,7 dollari al barile di giugno 2014 a quello di 58 dollari di gennaio 2015. Si tratta di una questione fondamentale in una società ed una economia che si sviluppano su una piattaforma energetica in vigore da quasi 200 anni, dato che il capitalismo moderno poggia ancora sul petrolio.

Perché questo crollo? Diverse sono state le interpretazioni, ma due sono stati i fattori decisivi: l’intensità della cosiddetta shale revolution, ossia la rivoluzione dello shale oil americano, oggi in crisi di prospettiva sul medio termine e la decisione saudita, adottata dall’intera Opec, di non limitare le estrazioni ed, in tal modo, di non tentare alcuno sforzo per limitare la riduzione dei prezzi. La storia dei prezzi del greggio è sempre stata caratterizzata da questo problema: riducendo la questione all’osso o ce n’é troppo (prezzo basso) o ce n’è troppo poco (prezzi alti).

Oggi il mercato è caratterizzato da un eccesso di offerta quantificabile in 2 milioni di barili al giorno di troppo. Come conseguenza, i produttori nordamericani di shale sono andati in crisi e nel primo semestre il numero delle perforazioni ha registrato un calo costante, settimana dopo settimana. Va detto che le piccole aziende dello shale oil (parliamo di 13 mila imprese), hanno mostrato una capacità di reazione e di riduzione dei costi imprevista, stimolata dalla natura di questo tipo di attività che richiede continue perforazioni e quindi continui investimenti. I prezzi in caduta hanno certamente bloccato lo sviluppo dello shale oil fuori degli States, mentre all’interno hanno portato a un dimagrimento del settore, ma non ancora ad un crollo (anche se gli analisti del settore vedono nero nel medio-lungo periodo).

In Italia il consumo largamente prevalente del petrolio è nell’autotrazione, perché nella generazione elettrica è residuale (nel 2014 ha assorbito 1,5 milioni di t. sul totale di 57,6). Per gli automobilisti, quindi, non si preannuncia alcun ritorno a nuovi rialzi, ma neppure sono da attendersi significativi ribassi, poiché sui carburanti è applicato un carico fiscale enorme e la materia prima nel 2014 ha contato solo il 30% del prezzo finale del carburante ed è su questa quota residuale che ha effetto il calo delle quotazioni del greggio.

L’accordo sul nucleare con l’Iran, fortemente voluto da Obama per ragioni geopolitiche prima che economiche, rafforza la previsione di una prosecuzione del periodo di ribasso dei prezzi. Infatti, l’aumento dei consumi previsto sarà ampiamente compensato dall’offerta di greggio iraniano che nei prossimi mesi tornerà sul mercato. Teheran ha infatti annunciato l’intenzione di aumentare l’export di 500 mila barili al giorno, per arrivare dopo sei mesi a raddoppiare.

La morale della favola è che in un mondo che ha una capacità produttiva di greggio pari al 13% in più del consumo la rinascita iraniana produrrà un nuovo ribasso, nel contesto di una lotta senza quartiere fra i diversi produttori che continuano a spingere sull’acceleratore delle estrazioni per sopravvivere al calo delle entrate (Iraq ed Arabia saudita stanno producendo a livelli record).

Ma il petrolio a basso costo è un bene? In una economia basata su questa fonte (e sulle “sorelle” fossili) sì, ovviamente, dal punto di vista del denaro e della finanza. E purtroppo il mondo di oggi, nonostante tanto parlare di “energie pulite”, rimane un mondo dove si scava, si estrae e si brucia quello che madre natura ha preparato nel corso dei millenni.

Ma in un mondo meno dipendente dalla combustione l’aria sarebbe diversa, nel vero senso della parola e a questo mondo cerca di volgere lo sguardo la prossima conferenza di Parigi sul clima (COP 21), tentando un accordo per limitare l’aumento medio della temperatura a due gradi, per non rischiare di star male come accade quando la temperatura corporea supera i 39 gradi, come nella stagione attuale anche qui da noi.

L’obiettivo di Parigi è possibile solo se ci si impegnerà a bruciare meno fonti fossili, petrolio e gas in particolare, lasciandole sottoterra o in qualsiasi altro posto si trovino. Quindi il petrolio a basso costo non aiuta a rivoluzionare il settore dei trasporti, dove regna sovrano, e la leva economica non favorirà buone scelte nel campo energetico in generale. Occorre maggior impegno politico (nel senso buono del termine, visto che ormai la sua connotazione risulta negativa) per prendere sul serio la sfida del clima.

L’enciclica del Papa e la battaglia per evitare il disastro climatico hanno quindi un avversario molto potente sul piano dei costi attuariali e delle convenienze a breve termine.
La difficoltà a prendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico. L’uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio permanente di diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali attuali sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l’altro”.

Ma c’è un momento nella vita di ciascuno di noi, in cui ci si rende conto di avere una responsabilità verso noi stessi e le facce che ci stanno intorno. In quel momento capiamo anche che solo accettando questa responsabilità troveremo un senso alla nostra vita. E’ tempo che collettivamente emerga questa consapevolezza e che quindi all’oro nero sia tolta la sua corona.

a cura di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli

Stiamo dalla parte giusta. Con l’Europa dei popoli

Campagna sostegno Grecia

In una sola settimana la campagna dell’Arci per il sostegno urgente ai centri di solidarietà sociale in Grecia ha raccolto più di 15.000 euro.

L’Arci ringrazia di cuore le persone e i collettivi che hanno raccolto per primi l’invito a compiere un gesto politico concreto. Stiamo insieme dimostrando che esiste un’Europa che sta dalla parte giusta.

Dalla parte dell’Europa dei popoli, che è fatta di giustizia sociale, di diritti, di partecipazione. Che sta vicino al popolo greco e alla sua resistenza democratica e sociale.

Siamo in contatto permanente con Solidarity for All, la struttura di servizio ai centri di mutuo soccorso e solidarietà sociale in Grecia a cui i fondi verranno destinati.

La raccolta di fondi prosegue, e andrà avanti nei prossimi mesi, anche attraverso la costruzione di gemellaggi permanenti fra strutture greche, comitati e circoli dell’Arci e altri collettivi interessati.

Ma in Grecia in questo periodo le necessità sono tante, ed urgenti. Le restrizioni imposte ai prelievi bancari aggravano la situazione.

Per informazioni: www.arci.it

Extrabanca condannata per discriminazione razziale

da Affaritaliani.it

E’ un po’ come quando, periodicamente, si scopre che un prete bestemmia in chiesa: la condanna di Extrabanca per discriminazione razziale assume veramente il sapere particolare, e amarissimo, tipico di quando un comportamento colpevole viene adottato da chi, come immagine, ha scelto quella esattamente opposta alle opere che compie. La Corte di Appello di Milano, Sezione seconda civile, con sentenza depositata in data 23 giugno 2015 nella causa 2300/2014, ha riconosciuto il carattere discriminatorio per motivi razziali della revoca dell’incarico di vicepresidente del Consiglio di Amministrazione di Extrabanca S.p.A. del dott. Otto Bitjoka, imprenditore italiano di origine camerunense.

Chi conosce Extrabanca fa un salto sulla sedia: è un piccolo istituto di credito molto innovativo – attualmente (dopo i fatti contestati) acquisito dal gruppo che fa capo a Matteo Arpe – che aveva scelto come propria bandiera, anzi come oggetto specifico della propria attività, quella di fornire servizi bancari agli immigrati. Evidente la potenziale forza della specializzazione: integrare i servizi di banca “normali” con quelli, come la rimessa internazionale di denaro, tipici degli immigrati poteva (e ancora potrebbe) essere un’ottima idea. Nelle filiali, impiegati multietnici e multilingue, carte di credito di tipo speciale, finanziamenti alle piccole imprese eccetera…

Ideologo dell’iniziativa, appunto Otto Bitjoka, un omone simpatico ed energico, ben noto da almeno vent’anni a chiunque segua, con un po’ di attenzione, il dibattito sul fenomeno dell’immigrazione in Italia. Un personaggio-simbolo. Ebbene, da vicepresidente del consiglio d’amministrazione, il 5 dicembre 2011 Bitjoka si vede revocare il mandato. Perché? Come ha accertato la  Corte di Appello di Milano, “tale revoca ha carattere ritorsivo e discriminatorio per motivi razziali in quanto motivata sulla base della solidarietà manifestata dal dott. Otto Bitjoka a un dipendente di origine straniera di Extrabanca, a sua volta discriminato da Extrabanca S.p.A. per motivi razziali”, come accertato dal Tribunale di Milano Sezione Lavoro (in data 22 marzo 2012 nella causa R.G. 16945/2011). Dinanzi alla Corte di Appello di Milano il dott. Otto Bitjoka è stato assistito dall’avvocato Fabio Strazzeri.

“Sono molto felice che sia stata fatta giustizia. È un fatto molto grave che Extrabanca S.p.A. sia stata condannata per discriminazione razziale. E’ una palese violazione delle finalità di tale istituto, nato per tutelare gli stranieri e favorire il loro accesso al credito. Io, dopo la revoca dell’incarico di vicepresidente, mi sono dimesso dal Consiglio di Amministrazione in quanto ritenevo che Extrabanca S.p.A. tradisse i principi sui quali era stata fondata. Adesso la Corte di Appello di Milano mi ha dato ragione”.

L’avvocato Fabio Strazzeri, difensore del dott. Otto Bitjoka, dichiara: “Sono pienamente soddisfatto perché la Corte di Appello di Milano ha reso giustizia al mio assistito, ingiustamente discriminato sulla base di motivi razziali. Speriamo che la sentenza possa essere da monito affinché in futuro non si ripetano comportamenti simili che sono in contrasto con i valori della Costituzione e con ogni principio di civiltà giuridica”.

LA NOTA PRECISAZIONE DI EXTRABANCA – In relazione agli articoli di stampa odierni Extrabanca non commenta la sentenza della Corte di Appello di Milano, così come non aveva commentato quella a lei favorevole resa in primo grado dal Tribunale. La Banca, nella piena consapevolezza dell’assenza di qualunque condotta discriminatoria, si riserva il diritto di ricorrere in Cassazione per ottenere l’annullamento della sentenza di secondo grado che si riferisce a fatti accaduti nel 2009. Extrabanca è l’unico istituto di credito dedicato agli stranieri ed ai loro bisogni. Dalla sua nascita ad oggi ha investito tutte le proprie risorse nello sviluppo del suo progetto di integrazione che è stato ulteriormente rafforzato e ampliato dal nuovo management insediatosi nel settembre 2014.

Shale gas: dalla rivoluzione ai necrologi

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015“Nonostante tutta la propaganda di petrolieri, investitori, banche e politici lo shale gas non sarà la soluzione di nessuno dei nostri problemi energetici o occupazionali”. Lo affermava nel suo blog Maria Rita D’Orsogna più di un anno fa e io stesso sono più volte intervenuto su questo blog per sfatarne le virtù salvifiche, che ogni ad che si rispetti delle corporation energetiche italiane andava proclamando in tutti i convegni in cui si auspicava un approdo delle tecniche da scisto in Europa.

Interi dossier sono stati curati per disegnare il primato che gli Usa avrebbero conservato a lungo nel settore dell’energia, stroncando sul campo Russi, Arabi, Iraniani e l’Opec tutta. Invece due fattori – uno di natura geopolitica (l’abbassamento del prezzo del petrolio da parte dell’Arabia saudita) e l’altro di natura locale (la crescente opposizione dei movimenti locali negli Usa) – hanno capovolto le previsioni. Sono in atto opposizioni per ragioni ambientali in più parti del mondo,dalla California, al Sussex, in Bulgaria, in Algeria, nel Queensland.

Sara Stefanini e KalinaOroschakoff in un recente articolo sulla rivista Politico hanno documentato le difficoltà enormi che il metodo di fratturazione idraulica sta incontrando in Europa ancor prima di essere sperimentato su larga scala. Il film Gasland ha aperto gli occhi a molti attivisti, dando luogo a proteste organizzate per impedire l’inizio delle perforazioni. Una previsione dell’Us Energy Information Administration valutava in 18 miliardi di metri cubi il gas recuperabile in Europa, in particolare in Polonia, con il 29%, e in Francia, con il 28%. Ma in Polonia, ConocoPhillips è ormai l’ultima compagnia internazionale che ha lasciato le prospezioni e nel Regno Unito un consiglio locale di contea ha bloccato in questi mesi un progetto sostenuto a forza dal governo inglese.

Molte cose in Europa hanno preso una brutta piega per lo shale. La Russia con una campagna di informazione si è impegnata attivamente con le organizzazioni non governative e le organizzazioni ambientaliste con il doppio scopo di frenare l’espansione della tecnica e mantenere la dipendenza europea dal gas importato attraverso i gasdotti. Le preoccupazioni locali sui processi, il rumore, l’inquinamento delle acque e i terremoti, hanno preso il sopravvento, uscendo dall’irrazionalità e creando una vastissima documentazione scientifica sui danni e rischi del fracking e mettendo a nudo l’imprevidenza delle autorità nazionali, concentrate sull’energia potenziale e i benefici economici, ma non sugli effetti ambientali.

L’incertezza normativa ha fatto la sua parte: nessun Paese nel continente ha la stessa normativa e le raccomandazioni della Commissione europea per gestire i potenziali rischi ambientali non sono vincolanti e aprono la porta a varie interpretazioni. Così Bulgaria e Francia hanno vietato il fracking, mentre la Germania si interroga su quali regole stabiliscano standard ambientali difficilmente garantibili. Inoltre, non tutte le rocce di scisto sono le stesse e la geologia sul posto smentisce le previsioni di abbondanza: Conoco, Chevron ed Eni tutto abbandonato le loro licenze di esplorazione in Polonia dopo non essere riuscite a trovare quantità commerciali di gas.

Anche i costi si stanno rilevando poco attraenti. Le economie di scala devono ancora entrare in vigore in Europa. Negli Stati Uniti, la perforazione costa da 3 a10 milioni di dollari per pozzo. In Polonia, i 70 pozzi trivellati finora hanno un costo da 15 a 28 milioni di $ ciascuno. Ciò significa che i produttori di scisto avrebbero bisogno di un prezzo del gas ancora più elevato (circa il doppio di quello convenzionale) per giustificare il loro investimento. Infine, mentre negli Usa i proprietari terrieri hanno guadagnato molto dalle “royalties di scisto”, nella maggior parte dei paesi europei le licenze per un pozzo sono poco remunerate.

In conclusione, lo shale gas non è una priorità nemmeno per l’industria europea. E questa è una buona notizia, non solo per gli ambientalisti, ma per chi non vuole pagare con la distruzione della natura e con l’irreversibilità del cambiamento climatico uno sviluppo dissennato e una ricerca di competitività a tutti i costi, che portano alla dissoluzione dei legami di solidarietà tra i popoli e verso le future generazioni.