Aggiornamento Energia: preconsuntivi 2015

di Roberto Meregalli

I dati definitivi del bilancio energetico italiano, preparato dal Ministero per lo sviluppo economico Mise, mostrano che anche nel 2014 si è verificata una diminuzione della domanda di energia, pari al 4%; un dato che si inserisce nel percorso che dal 1995 ha fatto costantemente calare i consumi di energia primaria. Il contributo delle fonti rinnovabili è salito al 21%.

2015: inversione di tendenza

Nel 2015 è però avvenuta una inversione di tendenza, secondo le prime stime dell’Unione Petrolifera risulta una crescita dei consumi di energia del 3%. Questa crescita non ha influito nel trend di diminuzione dei costi della bolletta energetica totale italiana, che sempre secondo le stime UP, dovrebbe essere calata di quasi 10 miliardi di euro rispetto al 2014.

Questo calo è dovuto quasi totalmente al calo del costo del petrolio che è stato pari a circa il 47% se espresso in dollari, il costo del greggio importato in Italia nel 2015 è però diminuito un po meno, del 36%, per effetto dell’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro.

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Giù il petrolio, giù le borse, su il carbone

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015L’obiettivo principale della decarbonizzazione dell’economia, così duramente discusso nelle riunioni preparatorie e sottolineato come priorità dall’IPCC, è stato ridotto alla conferenza Cop 21 di Parigi a un vago riferimento. Il picco di emissioni potrebbe raggiungere qualsiasi grandezza, raggiungere il suo massimo in un periodo di tempo indefinito, scendere a zero solo a fine secolo. Non si menziona neanche una volta che i combustibili fossili abbiano termine. Qui è evidente la resistenza delle industrie del settore fossile e dei padroni del petrolio, del gas e del carbone. Secondo un’analisi congiunta dell’Istituto per lo Sviluppo Internazionale e dell’ODI, solo i paesi del G20, le prime 20 economie, canalizzano ogni anno oltre 600 miliardi di dollari di fondi pubblici sotto forma di sussidi alle compagnie dell’energia fossile. In questi sussidi non sono considerati i 1200 miliardi all’anno che gli Emirati Arabi mettono a bilancio per tenere basso il prezzo del petrolio e combattere la loro guerra contro i concorrenti di USA, Iran e Russia, con qualche complicità tollerata con l’esecrato ISIS.

Un notevole gruppo di 32 personalità, guidato da Stiglitz e altri premi Nobel ha chiesto l’introduzione di tasse per le emissioni di carbonio, sia per coprire i costi ambientali e sociali che sono ora trasferiti alla società che per ridurre le emissioni e investire in sistemi energetici senza emissioni di carbonio. Uno straordinario contributo ad affrontare la crisi togliendo soldi e armi alle multinazionali del passato e investendo in occupazione, risanamento del clima, redistribuzione del reddito. Ma di questa misura così necessaria non se ne discute a Davos o nei consessi dei banchieri che, pur di mantenere una rendita finanziaria, agitano lo spread e deprimono i listini delle borse terrorizzando i risparmiatori.

Cosa può succedere se, dopo la conferenza di Parigi, che ha fissato ad 1.5 °C il limite dell’innalzamento della temperatura del pianeta, l’economia e la politica, anziché rivolgersi al sole, al rifiuto dello spreco e all’intelligenza continueranno a ruotare attorno ai prezzi dei combustibili da bruciare nelle caldaie e nei motori? La Banca Mondiale avanza una interessante previsione: i prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica in Europa rimarranno depressi e la curva dei prezzi dell’energia elettrica per il futuro nella maggior parte dei mercati manterrà una tendenza al ribasso. Se anche il prezzo del gas scenderà anche a seguito del calo del petrolio, non ci sarà recupero rispetto all’avanzamento delle rinnovabili, che saranno l’unica quota elettrica in crescita a prezzi convenienti. Di fatto, il rapido afflusso di energie rinnovabili, che hanno un costo marginale zero nella generazione e nell’accesso prioritario alla rete, ha rotto (BMI usa proprio la parola “BROKEN”) il business tradizionale dell’energia, mettendo in difficoltà le grandi utilities che, avendo investito in centrali a turbogas, producono in eccesso e sono costrette a tenere in stand by interi impianti, nonostante che il prezzo del gas che viene dai gasdotti dalle navi metaniere sia in discesa. La prospettiva è quella di una ulteriore irreversibile penetrazione economicamente conveniente dell’energia da sole, vento e acqua.

A meno che si rilanci il carbone, che è l’unica fonte in grado di reggere la pressione al ribasso delle fonti a bassa emissione e rimane la carta sporca del sistema energetico centralizzato, messo in discussione a livello innanzitutto ambientale, ma ora a livello anche economico e geopolitico.

Carbon tax e una decarbonizzazione a favore di un sistema energetico decentrato e rinnovabile sono carte ineliminabili per affrontare la crisi e, a lungo termine, per non subire, impotenti, gli shock di borsa. Perché non ce ne parla il cupo ministro Padoan e non prendono decisioni al riguardo i leader europei, che preparano ancora una volta missioni di guerra?

Cop21: petrolieri e industria militare

dal Blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Strano a dirsi, ma l’accordo della cop 21 di Parigi è presto sparito dai radar della stampa. Chi ne parla più? Che c’entrino non poco petrolieri e industria militare? Vediamo un po’.

Una delle conseguenze riconosciute delle attività umane è l’accumulo nell’atmosfera di enormi quantità di gas che destabilizzano l’equilibrio energetico globale e causano un aumento della temperatura globale, superando i 50 Gigaton (miliardi di tonnellate) di CO2 equivalente l’anno, e una concentrazione in atmosfera di 400 parti per milione (ppm) già nel 2015. Le attuali tendenze portano ad un aumento della temperatura media del pianeta tra 3,7 e 4,8 °C entro la fine secolo, rappresentando un’emergenza planetaria senza precedenti nella storia dell’umanità. Per affrontare questa emergenza 180 rappresentanti dei governi di tutto il mondo hanno sottoscritto a Parigi un accordo storico… con qualche trucco di troppo, così da rendere arrendevole all’assalto di petrolieri e militari la soglia concordata di 1,5°C di aumento massimo di temperatura. Facciamo qualche esempio.

Innanzitutto la terminologia tutt’altro che irrilevante in un protocollo. Un team specializzato di avvocati e contrattualisti dei paesi industrializzati ha fatto pressione in sede di estensione dell’accordo perché entrassero clausole conformi a dilazionare i tempi. Parole chiave sono state attentamente selezionate per proteggere interessi settoriali: in particolare Big Oil e interessi militari hanno fatto sentire la loro voce. Così, mentre nel preambolo c’era scritto, fino a due giorni prima della data finale, che il rispetto dei diritti umani, il diritto allo sviluppo e l’equità intergenerazionale “devono” orientare la lotta all’abbattimento delle emissioni, nel documento conclusivo, su insistenza delle delegazioni degli Stati Uniti, dell’Unione europea, del Giappone e del Canada, “devono” si è trasformato in “dovrebbero”, con una componente dichiarativa priva di valore giuridico. Nella stessa stesura finale ci si limita a rilevare, anziché “riconoscere” l’importanza della tutela della biodiversità “riconosciuta da alcune culture” e l’importanza del concetto di giustizia climatica “per alcuni”.

Una volta fissata la soglia di 1,5°C – pur importante sul piano indicativo – non si sono definiti né la strategia né il percorso per garantire quel risultato. Di fatto l’accordo di Parigi si basa su un collage di contributi volontari, determinati da ciascun paese per se stesso, senza il coordinamento tra le parti, senza condizioni o sanzioni per non conformità. Pur riconoscendo che c’è incoerenza tra l’obiettivo auspicato e i contributi volontari presentati, la Conferenza delle Parti ha rilevato con preoccupazione “che i livelli stimati di emissioni aggregate di gas serra nel 2025 e nel 2030 risultante dai contributi previsti stabiliti a livello nazionale non sono coerenti nemmeno con lo scenario 2 °C”.

In ballo ci sono soprattutto le fonti fossili e l’imponente impiego delle armi. L’obiettivo principale della decarbonizzazione dell’economia, così duramente discusso nelle riunioni preparatorie e sottolineato come priorità dall’IPCC, è stato ridotto a un vago riferimento a: “le parti intendono fare in modo che le emissioni raggiungano un picco al più presto possibile” per poi “rapidamente ridurre i gas climalteranti” al fine di “raggiungere un equilibrio tra emissioni antropiche dalle fonti e l’assorbimento dei cosiddetti serbatoi nella seconda metà del secolo” (articolo 4). Di conseguenza, il picco di emissione potrebbe essere di qualsiasi grandezza, con un periodo di tempo indefinito perché si realizzi, mentre la portata del saldo tra emissioni e livelli di temperatura potrebbe essere esteso fino alla fine del secolo.

In ogni caso, l’accordo di Parigi non menziona neanche una volta che i combustibili fossili abbiano termine. Anzi, mentre il paragrafo 7 dell’articolo 6, incluso nel documento del 5 Dicembre 2015, dichiarava: “Le parti dovrebbero ridurre gli investimenti di sostegno internazionali con alti livelli di emissioni e aumentare il sostegno internazionale per gli investimenti volti a soluzioni a basso tenore di carbonio”, nella versione finale, 7 giorni dopo, quel riferimento non esiste più.

Quel che è ancor più sorprendente è che l’accordo esclude dal computo le emissioni generate dalla attività militare, dall’aviazione e dal trasporto marittimo, privilegiando soprattutto gli interessi strategici e commerciali dei paesi industrializzati. Le trattative sul riscaldamento globale hanno alla fine rimandato nel tempo che i paesi industrializzati siano vincolati all’impegno a fornire 100 miliardi di dollari ai paesi in via di svluppo, in cui vi è l’80% dell’umanità, per sostenere il loro contributo agli obiettivi dell’accordo. Eppure, secondo il SIPRI la spesa militare globale è superiore a 1.700 miliardi di dollari ogni anno. Solo gli Stati Uniti superano i 650 miliardi e l’Europa i 450 miliardi. Nel suo discorso a Parigi, John Kerry è stato particolarmente generoso nel raddoppiare l’eventuale contributo degli Stati Uniti al Fondo verde per il clima, da 400 a 800 milioni!

Secondo un’analisi congiunta dell’Istituto per lo Sviluppo Internazionale e dell’ODI, solo i paesi del G20, le prime 20 economie, canalizzano ogni anno 450 miliardi di dollari di fondi pubblici sotto forma di sussidi alle compagnie petrolifere. Durante la legislatura 2013-2014, le compagnie petrolifere USA hanno contribuito con 326 milioni di dollari ai membri del Congresso degli Stati Uniti per finanziare le loro campagne elettorali e per influenzarne le decisioni. Tra i favori ricevuti in cambio per lo stesso periodo, il Congresso ha fornito sussidi alle compagnie petrolifere per 34 miliardi di dollari.

Non desterà quindi meraviglia se l’accordo della Cop 21, nonostante sia stato diluito, non tiene più banco sulle pagine e nelle rubriche televisive e se è stato ignorato l’appello di un gruppo di 32 personalità, guidato da quattro premio Nobel, che ha suggerito di introdurre una carbon tax e di eliminare i sussidi che ora premiano l’estrazione e l’utilizzo di fonti di energia ad alta intensità di carbonio. I radar dei militari e delle agenzie di stampa “oil sensitive” registrano solo segnali sintonizzati sulla loro lunghezza d’onda.

La bolletta di domani

Approvata dall’Autorità la riforma delle tariffe elettriche

Roberto Meregalli – 3 dicembre 2015

Premessa: com’è fatta la nostra bolletta

La spesa complessiva del cliente domestico per la fornitura di energia elettrica è composta da quattro parti principali:

  1. i servizi di vendita (dovrebbe essere la componente principale perché composta dal prezzo dell’energia più quello dei servizi di dispacciamento e commercializzazione);
  2. i servizi di rete (tariffe di trasmissione, distribuzione e misura);
  3. gli oneri generali di sistema (componenti tariffarie a copertura degli oneri derivanti dalla incentivazione delle fonti rinnovabili, dallo smantellamento degli impianti nucleari, dalla ricerca di sistema, dal bonus sociale, dalle agevolazioni per clienti industriali energivori e per i consumi ferroviari agevolati);
  4. le imposte (accise e IVA).

Una delle caratteristiche distintive dei corrispettivi della tariffa elettrica per i clienti domestici italiani è la progressività, ossia il costo per kWh aumenta all’aumentare dei kWh prelevati dalla rete elettrica. A partire dal 2007, questa progressività si è accentuata per le componenti tariffarie a copertura da una parte dei servizi di rete e degli oneri generali.

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Milano 26 gennaio: Expo la festa è finita!

QUALE BILANCIO DI QUESTA ESPERIENZA CHE HA SEGNATO A FONDO LA CITTÀ? QUALI PROSPETTIVE?

Sala, mister Expo, si candida per affermare un modello di città dei poteri forti, noi ci opponiamo per affermare il modello alternativo della città vivibile e solidale: la città dei cittadini

Presentazione di Franco Calamida

COSA È STATA EXPO E LE PROPOSTE DELLE ASSOCIAZIONI

Emilio Molinari
Giorgio Ferraresi
Mario Agostinelli
Vincenzo Vasciaveo
coordina Erica Rodari

LA DENUNCIA E LE PROSPETTIVE: POSIZIONI A CONFRONTO

Basilio Rizzo
Luca Beltrami Gadola
coordina Piero Basso

Conclusioni di Vittorio Agnoletto

Promotori: CostituzioneBeniComuni – Gruppo Consiliare Sinistra per Pisapia – F.d.S. – Comitato acqua pubblica Milano

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