All’avvio della Cop 28 il governo italiano arriva con un bilancio opaco sul contrasto alla crisi climatica, con segnali di grande sofferenza già sopportata da lembi assai vasti del territorio nazionale e, nonostante tutto ciò, con la pretesa di non cambiare rotta rispetto ai piani energetici che languono quasi immutati da oltre un lustro sulle scrivanie dei ministeri e degli enti energetici nazionali.
Da parte della maggioranza attuale le novità più rilevanti si collocano, da un lato, nell’avvicinamento e la promiscuità con quegli interessi europei che vorrebbero rilanciare il nucleare per ritardare la rivoluzione delle rinnovabili e, dall’altro, nell’aperta contraddizione di ridare fiato al gas facendo dell’Italia l’hub europeo non solo del metano, ma addirittura della CO2, da sotterrare in pianura padana o in Adriatico, trasportata da condotte provenienti anche da fuori dei nostri confini.
Occorre notare che l’Italia, dopo aver aderito alla dichiarazione della Cop di Glasgow, impegnandosi a porre fine a nuovi finanziamenti pubblici internazionali per progetti di estrazione, trasporto e trasformazione di carbone, petrolio e gas entro il 31 dicembre 2022, ha disatteso l’impegno, finanziando solo nei primi sei mesi del 2023 progetti fossili con oltre 1,2 miliardi di dollari di sussidi pubblici. E per di più, come denunciato da ReCommon, le istituzioni di finanza pubblica italiane continuano a promuovere il finanziamento di ulteriori progetti fossili sia sul suolo nazionale che, in particolare, in Africa, dove il binomio Meloni-Descalzi ha insediato un improbabile “piano Mattei” per dissimulare la continuità delle forniture di gas ben oltre i vincoli posti dallo stesso Green New Deal Ue.
In uno spaesamento generale del Paese entriamo alla conferenza di Dubai con pessime credenziali, nonostante la popolazione e i privati spingano responsabilmente per una crescita dell’energia rinnovabile. Intanto, mentre si allungano le ombre sul funzionamento delle assisi internazionali, tra ritardi sui vincoli climatici, assenti eccellenti e conflitti di interesse, anche l’Ue abbandona un ruolo di ambiziosa avanguardia, nascondendo sotto lo scudo dell’idrogeno “futuro” l’accettazione temporanea dell’espansione del gas, tuttora in promozione e allestimento in buona parte del continente.
Il capitolo italiano REpowerEU del Pnrr proprio in questi giorni è sceso da 19 miliardi di euro della proposta iniziale a poco più di 11. Inoltre, sul fronte Pnrr, la revisione stilata da Roma definanzia misure per oltre 15 miliardi, tra cui 6 miliardi per l’efficienza energetica nei Comuni, assieme ai fondi per gli impianti Fer innovativi e per l’idrogeno nei settori “hard to abate”. La cosiddetta “revisione al ribasso dei sussidi dannosi per l’ambiente” verrà immediatamente compensata da un sussidio per i costi di allacciamento alla rete del gas del biometano, con grande soddisfazione della Coldiretti.
Le grandi centrali a carbone di Brindisi e Civitavecchia verranno chiuse entro il 2025 – e questo è bene – ma nel contempo sulla costa tirrenica va a rilento l’intero piano complessivo per l’eolico off-shore di Civitavecchia, per cui ad oggi non sono previsti finanziamenti per l’allestimento delle strutture portuali adatte a farne l’hub per l’eolico nel Mediterraneo. E nemmeno è alle viste una adeguata azione di politica industriale per lanciare sul territorio laziale un complesso manifatturiero che sopperisca all’importazione di apparecchiature tanto innovative come le pale eoliche galleggianti.
Nondimeno, un complesso di istituti di ricerca e formazione dovrebbe fornire garanze di buona e duratura occupazione ad una popolazione che ha avuto il merito di lottare per la trasformazione energetica in una città che da oltre 70 anni sacrifica salute e fruibilità del territorio alla produzione di energia da olio minerale e carbone.
Tutti gli attori in campo (Enel compresa, anche se il suo piano industriale esce ridimensionato sulle rinnovabili nel passaggio da Storace a Cattaneo alla testa del gruppo) devono sentire come una conquista faticosa ma esaltante la transizione dal fossile all’energia pulita; lo stesso Ministero per le Imprese e il Made in Italy dovrebbe svolgere un ruolo propulsivo in tal senso, rendendo sinergico il coinvolgimento delle istituzioni accanto alle forze sociali vive che hanno partecipato dal basso ad aprire una strada nuova per minimizzare l’impatto ambientale e sociale e massimizzare le opportunità che devono essere colte oggi e non domani.
Quel che vale per Civitavecchia andrebbe consapevolmente esteso a tutto il Paese.
La presidente Meloni partecipa alla Cop 28 con un mandato della sua maggioranza (non del Parlamento!) in cui spicca l’assenza di un chiaro impegno su come accelerare la diffusione delle energie pulite e l’assenza di tempistiche per destinare lo 0,7% del Pil in aiuti allo sviluppo, di cui il 50% alla lotta al cambiamento climatico. Si cita “un percorso nazionale di graduale riduzione ed eliminazione dei sussidi alle fonti fossili”, da realizzare però “secondo modalità compatibili con lo sviluppo economico e sociale del Paese”.
Se si pensa poi che l’esecutivo dovrà anche incentivare le sperimentazioni “volte all’abbattimento delle emissioni e allo stoccaggio a lungo termine dell’anidride carbonica”, in modo da garantire lo sviluppo della filiera del sequestro di anidride carbonica, allora sarebbe bene che non solo gli ambientalisti, ma quanti hanno a cuore il futuro delle nuove generazioni smettano di accontentarsi di rincorrere la notizia del giorno che sposta quella del giorno precedente, per seguire più da vicino un processo partecipativo e di lotta per un mondo senza guerre, senza ordigni nucleari, che contrasti efficacemente il cambio climatico e si mantenga in armonia con la natura e il resto del vivente.
L’articolo Pessime le credenziali dell’Italia alla Cop28: opaco il contrasto alla crisi climatica proviene da Il Fatto Quotidiano.