Idrogeno e rinnovabili al posto del carbone a Civitavecchia?

Mentre le forze di maggioranza hanno scelto proprio la Giornata Mondiale dell’Ambiente per bocciare la mozione sull’emergenza climatica, che avrebbe dato accesso a quasi 50 miliardi tra contributi europei e fondi nazionali per fronteggiare sia le misure di adattamento che quelle di mitigazione del caos climatico nel nostro Paese, la Ue stimava il costo di un mancato adattamento tra i 100 miliardi di euro all’anno nel 2020 e 250 miliardi nel 2050, senza tenere in conto i costi sociali derivanti dagli eventi estremi. Pertanto, esigeva risposte urgenti ed adeguate da approvare nei piani nazionali da adottare. Il governo dei “litiganti per finta, ma negazionista per davvero”, non tiene in nessun conto l’emergenza climatica, dato che lucra già abbastanza voti e consensi dalle paure che una criminalità efferata e una invasione inarrestabile dei migranti stillano quotidianamente nelle “pance” degli italiani. Ma sul clima e sui fossili è difficile glissare.

Così capita che a Civitavecchia, nella città del carbone, la Lega si metta il vestito ambientalista e alle amministrative batta un Pd piuttosto ambiguo sul destino della centrale Enel. Senonché, appena eletto, il neosindaco del Carroccio, Ernesto Tedesco, si sente dire dal suo capo Salvini che “è finito il tempo dei ‘no’ a tutto” e che “con i soli ‘no’ non si campa”, ponendosi così in linea con i piani di phase-out dell’Enel che, nei siti di La Spezia, Fusina, Brindisi e Civitavecchia, vuole sostituire il carbone con il metano.

Con questi presupposti, il “polo delle rinnovabili dal 2025” di cui la nuova maggioranza ha parlato in campagna elettorale non si farà, a meno che la nascita e l’ottimo lavoro svolto da un Comitato locale che da No Carbone si è trasformato in “No al metano Si alle rinnovabili” mobiliti i cittadini e raccolga suggerimenti e conoscenze per dar vita ad un piano energetico territoriale sostitutivo del carbone.

Trovo di grande interesse, anche per il possibile coinvolgimento degli “studenti di Greta”, che laddove si aprano spazi per la riconversione ecologica, le forze che democraticamente vogliono riappropriarsi del territorio e stabilire attraverso la sua cura l’occasione per un miglioramento della vita, entrino in gioco per proporre una piena e stabile occupazione, una salubrità dell’aria, la vivibilità dei territori. Altro che patti Salvini-Blair per agganciare tubi di gasdotti come il Tap sulle nostre coste!

A questo proposito si è aperta in rete una discussione sul ricorso all’idrogeno per una alternativa alla combustione del carbone sulla costa tirrenica. Mi sono occupato a lungo di ricerca sulle celle a combustibile e sul ricorso all’idrogeno nel campo della mobilità e ne ho scritto nel mio primo blog sul fattoquotidiano.it.

Non avrebbe senso produrre energia con elettrolisi dell’acqua dal mare, nonostante i progressi avvenuti anche in questo campo. L’idrogeno, come vettore energetico, ha senso solo se prodotto con energie rinnovabili e assolutamente pulite (fotovoltaico e eolico), nella funzione di serbatoio dell’eccesso di energia accumulata cui ricorrere quando non c’è né sole né vento. Un serbatoio da trasformare in energia con buon rendimento attraverso celle a combustibile, molto interessanti per abitazioni o veicoli. Le reti intelligenti da porre in atto sul territorio dove insisteva la centrale fossile, potrebbero essere integrate con “accumuli di idrogeno” ottenuto quando c’è sovrapproduzione, per fare da compensatori negli scambi in rete di energia elettrica prodotta e consumata con fonti rinnovabili e in modalità cooperative. Ovviamente il sistema di fonti rinnovabili dovrebbe essere interamente dedicato e interamente integrato al sistema di consumi elettrici che “si appoggia” all’idrogeno da utilizzare come vettore.

Vanno certamente superati una serie di problemi di sicurezza e si potrebbe, nella fase di transizione, anche ricorrere all’idrometano, ovvero una miscela di idrogeno e metano fossile o bio che sia, che utilizza le linee già esistenti del metano per trasportarlo fino agli utenti finali. L’idrogeno ottenuto da rinnovabili che alimenta celle a combustibile è una buona soluzione già oggi per abitazioni e veicoli, se non fosse che il mercato vuole mantenere la prevalenza di un controllo centralizzato di tutto il settore energetico.

In Germania, con la carica di idrogeno pronto dall’esterno, sono in fase di sperimentazione alcuni treni su alcune tratte locali e l’industria dell’auto, oltre all’elettrico a pile, pensa seriamente all’idrogeno per motori elettrici e non termici. In Svezia stanno entrando in funzione stazioni di rifornimento di idrogeno solare per autoveicoli elettrici a idrogeno.

La partita è aperta e tocca enormi interessi. La mia esperienza dice che il cambiamento non viene dai cartelli dei produttori di veicoli o dalle corporation dei fossili, ma dall’attenzione delle popolazioni al loro futuro e alla salute dei loro figli. Ben venga quindi la discussione sulla eliminazione del carbone a Civitavecchia e non ci si fidi di amministratori pronti a rispondere ai richiami dall’alto anziché ai loro elettori. E benvenuto agli studenti di Fridays for Future, che in questa partita avranno molto da giocare.

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Presidio per Mimmo Lucano l’11 giugno a Milano

Milano scende in piazza: l’11 giugno alle 17.30 tutti alla Prefettura!

 

Il prossimo 11 giugno inizierà a Locri il processo contro Mimmo Lucano. In contemporanea con la manifestazione organizzata dal Comitato Undici Giugno davanti al tribunale di Locri e con i Presìdi in tante città d’Italia, il Comitato Undici Giugno milanese, insieme a tante realtà cittadine, lancia un Presidio davanti alla Prefettura (incrocio corso Monforte – Via Vivaio).

Nonostante il ridimensionamento delle accuse da parte del GIP prima e della Cassazione poi, nonostante la sentenza del TAR che reintegra Riace nel sistema SPRAR, Mimmo Lucano deve affrontare un processo per associazione a delinquere, truffa ai danni dello stato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dopo gli attacchi incrociati che si sono abbattuti sull’esperienza di Riace, i lunghi mesi di un esilio anomalo, l’impossibilità di partecipare alla campagna elettorale, prende ora il via un processo in bilico fra l’abnormità delle accuse e l’insussistenza di fatti realmente accaduti.

E’ l’ultimo atto del tentativo esercitato da pezzi dello stato e del governo di demolire l’esperienza di Riace, esempio di resistenza e solidarietà in una terra difficile come la Calabria, strangolata dalla criminalità organizzata, dove si è cercato di creare in modo concreto un equilibrio fra accoglienza, integrazione e sviluppo locale, rispettoso dell’ambiente, capace di creare posti di lavoro in un paese abbandonato. E del tentativo di perseguitare Mimmo Lucano in quanto artefice di questa esperienza, diventata ormai per tanti, in Italia e all’estero, un simbolo di umanità.

Ma non illudiamoci. Anche se le accuse più gravi sono già state sconfessate dalla stessa magistratura, il processo di Locri non si giocherà su eventuali errori amministrativi che potrebbero essere stati commessi. Sarà un processo politico contro la solidarietà e, in questo senso, non riguarderà solo Lucano, né solo la Calabria, ma tutti noi che di Lucano condividiamo lo spirito di solidarietà e di umanità, il rispetto dei diritti umani e delle persone.

Questo processo è una questione nazionale che ci riguarda tutti. Per questo dobbiamo mobilitarci tutti a fianco di Mimmo Lucano.

Comitato Undici Giugno Milano – Presidio per Mimmo Lucano: Restiamo Umani! con il Comitato Nazionale – Comitato Undici Giugno

Insieme a ASGI, NAGA, Osservatorio Solidarietà, ADIF, Festival Diritti Umani, I Sentinelli, Caritas Ambrosiana zona sesta, Camera del Lavoro di Milano, CNCA Lombardia, Associazione Laudato Si’, Costituzione Beni Comuni, Cantiere-Coordinamento dei Collettivi Studenteschi di Milano e provincia, Rete No ai CPR, Giuristi democratici, Scuola Antonino Caponnetto, Energia Felice, Puntorosso, Coordinamento delle scuole milanesi per la legalità e la cittadinanza attiva, Medicina Democratica, Comitato Milanese Acquapubblica, Osservatorio democratico delle nuove destre, RiMaflow, Fuorimercato-autogestione in movimento, Associazione Milano in Comune, Samia-Insieme per l’Uguaglianza, Osservatorio democratico delle nuove destre, Pressenza, PRC- Federazione di Milano, Odv Comitato quartieri case popolari Calvairate Molise Ponti, Associazione Dimensioni Diverse Onlus Baggio…

24 maggio 2019: Sciopero mondiale Fridays For Future

Siamo scesi insieme a voi nelle piazze del 15 marzo per il “Global strike for Future” perché finalmente una nuova generazione vuole prendere in mano i destini del pianeta. Ci siamo battuti, molti da lunghissimi anni, mossi dalle stesse vostre preoccupazioni, documentando e denunciando la devastazione di uno sviluppo fondato sulla spoliazione e il saccheggio delle risorse naturali. Contro il nuovo odioso colonialismo del landgrabbing, che attraverso i meccanismi della mera acquisizione di mercato priva intere popolazioni dei loro diritti, delle loro terre e delle loro acque senza dar loro nemmeno la possibilità di essere ascoltati o addirittura attraverso vere e proprie deportazioni.

Il consumo di risorse naturali ha assunto un ritmo sempre più vertiginoso. Il rapporto UNEP 2011 prevede entro il 2050 una triplicazione del consumo di minerali, idrocarburi, materiali da estrazione e biomasse rispetto alle attuali 16 tonnellate medie pro capite, con punte di 40 tonnellate rispetto alle 4 tonnellate pro capite dell’India; e quello dell’India è un consumo complessivo di poco inferiore a quello mondiale all’inizio del XX secolo. “Il consumo globale di risorse sta esplodendo” e “la prospettiva di molto più alti livelli di consumo di risorse è assai al di là di ciò che è verosimilmente sostenibile”. A questa crescita irrazionale e depauperante il pianeta vanno contrapposte, soprattutto nei Paesi ricchi, politiche di “disaccoppiamento” tra crescita economica e consumo di risorse, ben sapendo che “prosperità e benessere non dipendono dal consumare quantitativi sempre maggiori di risorse” e che “disaccoppiamento non vuol dire uno stop alla crescita, ma fare di più con meno

In America Latina, Asia e Africa sempre più grandi foreste, terre comunitarie, bacini fluviali e interi ecosistemi vengono spogliati e le comunità sfollate. La diversità biologica viene costantemente ridotta, la grande barriera corallina australiana è a rischio nei suoi 3000 km e il respiro degli oceani è soffocato dalla plastica.

E, soprattutto, è in atto quella che è stata chiamata “la più grande minaccia di questo secolo”: il cambiamento climatico, la transizione all’instabilità climatica che si abbatte su uomini e cose con l’intensità degli eventi meteorologici estremi, mentre si estendono le aree desertiche, cresce la siccità, si addensa negli ultimi vent’anni il numero dei massimi di temperatura media della terra. La calotta artica si è spaccata nel 2006 aprendo la caccia senza regole al suo sottosuolo, nel 2017 si è staccato dall’Antartide un “iceberg” più grande della Liguria.

Continuare così non è possibile, incalcolabili le violenze e i danni alla biosfera in cui viviamo, rubato il futuro alle generazioni che verranno.

I governi di tutto il mondo, colpevolmente lenti nell’applicare il Protocollo di Kyoto (2005), oggi in ritardo nell’attuare gli impegni dell’Accordo di Parigi ratificati nel 2016 da 180 Paesi, devono accelerare la loro azione per fare più efficacemente fronte al cambiamento climatico e mantenere l’impegno preso di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 °C.

Lo sconquasso del clima è causa di migrazioni interne e della fuga disperata delle popolazioni più povere e vulnerabili, colpite da fame, sete e malattie endemiche, marginalizzate nei loro territori, spesso nel nome stesso dello sviluppo e dell’innovazione. I rischi dovuti ai disastri ambientali accrescono tensioni e conflitti e nel 2017 hanno causato, da soli, l’esodo di 60 milioni di rifugiati ambientali, ma saranno quattro volte tanti nel giro di soli vent’anni.

Occorre “costruire ponti” senza ridurre tutto alla sola questione dell’accoglienza e della sicurezza, ponti capaci di ridurre la distanza tra chi ha troppo e chi non ha abbastanza, tra l’opulenza e la povertà, come indicato dagli obiettivi globali dell’Agenda 2030 proposta dalle Nazioni Unite.

Occorre modificare i nostri stili di vita, le nostre culture e il nostro modo di pensare se vogliamo dare futuro al futuro. Decarbonizzare l’economia sostituendo i combustibili fossili con le fonti rinnovabili, trasformare i rifiuti in nuovi prodotti com’è tecnologicamente possibile, fare di più con meno, organizzare la società della sufficienza affinché ogni risorsa sia utilizzata senza sprechi e nel modo più appropriato fino all’autogestione, privilegiare l’acquisto di beni durevoli sostenibili, praticare il commercio equo e solidale e la finanza etica: sono i passaggi fondamentali verso quella “conversione ecologica dell’economia e della società” – una nuova alleanza tra uomo e natura e degli uomini tra loro – che pensatori e movimenti hanno proposto da oltre trent’anni e che ha trovato una sua lettura di alto valore spirituale nella Laudato si’ di Papa Francesco.

Non siamo accanto a voi non per “passarvi il testimone” delle lotte che abbiamo fatto, ma per condurre insieme a voi quest’azione di cambiamento, per condividere l’impegno quotidiano, per smuovere tutti con grandi pacifiche mobilitazioni. Per questo ci ritroveremo insieme il 24 maggio 2019.

Prendiamoci in mano i destini della Terra e obblighiamo i governi a seguirci.

 

Massimo Scalia CIRPSAurelio Angelini CNESA2030-UnescoDaniela Padoan Forum LAUDATO SI’ Enrico Vicenti Segretario CNI-UnescoRoberta Cafarotti Dir. Scient. EARTH DAY ITALY – Vanessa Pallucchi Vice Pres. LEGAMBIENTE Pippo Onufrio Dir. Gen. GREENPEACE ITALIA – Enzo Naso Dir. CIRPS – Gianni Silvestrini Dir. Scient. KYOTO CLUBErmete Realacci Pres. SYMBOLA – Mariagrazia Midulla Resp. Clima & Energia WWF Mario Agostinelli Pres. ENERGIA FELICE – Marialuisa Saviano Pres. IASS – Mario Salomone Segr. Gen. WEEC NETWORKSergio Ferraris Dir. QUALE ENERGIAVittorio Bardi Pres. SÌ ALLE RINNOVABILI, NO AL NUCLEAREPaola Bolaffio Dir. GIORNALISTI NELL’ERBA – Gianni Mattioli CNESA2030-Unesco Serenella Iovino University of North Carolina Michela Mayer CNESA2030-Unesco Marco Fratoddi Dir. SAPERE AMBIENTE – Monica D’Ambrosio GiornalistaPaolo Bartolomei Commiss. Scient. DECOMMISSIONING – Anna Re Univ. IULM, Milano – Ilaria Romano Giornalista – Gianluca Senatore Univ. LA SAPIENZA-Roma – Pasquale StiglianiSCANZIAMO LE SCORIE”, ScanzanoGian Piero Godio PRO NATURA, Vercelli – Filippo Delogu CNESA2030-Unesco – Silvia Zamboni Giornalista Enzo Reda MOV. ECOLOGISTA – Linda Maggiori Blogger Giuditta Iantaffi Coord. Doc. GIORN. NELL’ ERBA – Oreste Magni ECOISTITUTO-VALLE DEL TICINO Lucia Lombardo Studentessa Giurisprudenza, Univ. LA SAPIENZA-RomaAnastasia Granito Studentessa Studi Orientali, Univ. LA SAPIENZA-Roma – Lara Attiani Studentessa Liceo MACHIAVELLI, Roma – Giulia Apicella studentessa Liceo TOUSCHEK, Grottaferrata (RM) – Elena Faustina Beste Studentessa Liceo SCUOLA GERMANICA, Roma – Francesca Contu Studentessa Liceo Classico DETTORI, Cagliari – Marco Del Signore Liceo Scientifico CAVOUR, RomaDavide Volpi Studente Scuola Media P. VIRGILIO MARONE, Pomezia (RM) – Laura Sciarretta, Studentessa Scuola Media ALBERTO SORDI, Roma – Elia Pistono, Studente Scuola Elementare BERTINETTI, Vercelli Mia Pistono Studentessa Scuola Elementare BERTINETTI, Vercelli

A Civitavecchia un comitato si batte per chiudere col carbone senza tuffarsi nel gas

Mario Silvestri racconta un episodio che svela la furbizia della classe dirigente quando è messa di fronte a decisioni ineludibili, in cui si affanna a salvare capra e cavoli. Eravamo nel 1957, ed era in palio il lancio del nucleare in Italia. Ad una riunione ufficiale negli States viene chiesto al professor Medi, alto funzionario del Ministero, “lei inclina verso i reattori ad uranio naturale o verso quelli ad uranio arricchito?”. Dopo un minuto di silenzio, Medi pronunciò la sua sentenza: «Enriched» (arricchito; ndr). Ma la domanda era precisa: “Quanto?”. Ed in un soffio venne la risposta: «Just a bit» (un pochino; nda).

L’aneddoto si ripropone a proposito della dismissione del carbone alla centrale di Civitavecchia. La SEN emanata nel 2017 dal governo Gentiloni prevedeva la dismissione di tutti gli impianti di produzione di energia dal carbone entro il 2025. L’ad di Enel, Storace, aggiungeva che Enel Green Power sarebbe stata in grado di installare 2500 Megawatt di rinnovabili all’anno per raggiungere il target di 0 emissioni di CO2 con 10 anni di anticipo rispetto all’obiettivo previsto dall’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Ma nella campagna elettorale in corso, a Civitavecchia i candidati sindaci e i loro referenti al governo fanno un po’ come Medi 15 lustri fa, farfugliando promesse – un “pochino” di gas al posto del carbone – che, sul litorale tirrenico, si può temere siano “da marinaio”.

Proprio perciò si è costituito il 17 marzo in una affollata assemblea cui ho partecipato un comitato per NO al carbone e No alle fonti fossili, che spiazza completamente le offerte di Enel di chiudere col carbone magari al 2025 (cosa peraltro buona e auspicabile) per sostituire però l’offerta di potenza elettrica con un po’ di MW a gas fossile. Dietro al vago “just a bit”, c’è qualcosa di ben più corposo: l’approdo di navi metaniere al porto di Civitavecchia, la giustificazione della Tap in Puglia, la prospettiva di non rendere sostitutive ai fossili le energie rinnovabili e di non attivare un sistema decentrato al posto di quello centralizzato del petrolio, del carbone ed ora del gas.

L’assemblea di Civitavecchia è stata chiarissima nel definire i suoi obiettivi: salute (In Europa si stima che solo gli impatti sanitari connessi alla combustione del carbone costano 62 miliari di euro all’anno) come aspetto primario per chi vive nella bellissima area litorale e marina (siti archeologici, agricoltori, operatori turistici, operatori dell’energia, pescatori e pesci compresi) e nuova occupazione nelle fonti rinnovabili distribuite, aggregabili in forme di proprietà cooperativa, sviluppate con il sostegno di centri di ricerca e di nuove professionalità qualificate e stabili, collegate attraverso lo sviluppo delle reti intelligenti per l’innovazione e per i nuovi servizi ai clienti. Per il comitato dovrà esserci un immediato anche se graduale passaggio tra la produzione di energia elettrica avvenuta per decenni in modo tradizionale e l’impegno dell’Enel e del governo alla bonifica, a mantenere in loco siti per la ricerca e per la produzione ad impatto ambientale pari a zero, con un saldo occupazionale positivo. Il phase out dal carbone va quindi accompagnato non solo dall’esclusione di un intermezzo riservato al gas, ma anche da un’ampia riconversione delle attività portuali, della mobilità e da piani industriali inquadrati un piano energetico per la città che ancor oggi non è mai stato presentato.

D’altra parte, appare anche dal punto di vista economico azzardata l’insistenza su fonti fossili in un sito già provato da pesante degrado. Alla fine del 2017, la Banca Mondiale ha annunciato che non finanzierà più la prospezione e la produzione di petrolio e gas dopo il 2019 e che la promozione di sistemi di energia rinnovabile decentralizzati sarà al centro della sua strategia energetica. E sono molteplici le iniziative di “disinvestimento fossile”, annunciate a più riprese da banche, gestori di fondi, multinazionali, governi locali, con cui abbandonare progressivamente quei settori industriali maggiormente esposti alla perdita futura di remunerazione.

Lo stesso Comitato di Civitavecchia ha colto come il tema dei posti di lavoro come effetto della riconversione non possa essere eluso. Lo slogan coniato è: “I lavoratori vogliono essere al tavolo e non nel menù”, poiché si tratta di “fare la transizione con la gente, non contro la gente”. E le soluzioni ci sono: efficienza energetica; diffusione delle energie rinnovabili; mobilità pulita, sicura e connessa; competitività industriale e economia circolare; infrastrutture e interconnessioni; bioeconomia.

Questa battaglia va unificata con quella per rilanciare le rinnovabili. Secondo Legambiente per la prima volta dopo 12 anni nel 2018 in Italia è calata la crescita di energia pulita, prodotta da solare, eolico, bioenergie, e procedono a passo lento anche gli investimenti nel settore. Tutto ciò mette a rischio gli obiettivi al 2030 per il nostro Paese che, paradossalmente, si conferma tra le nazioni con le maggiori opportunità sul fronte delle rinnovabili grazie a risorse fossil-free diffuse e differenti da nord a sud. Questo è un pessimo segnale per il governo gialloverde, oltremodo litigioso su tutto e rivolto nelle sue dispute ben lontano dall’ansia con cui scenderanno in manifestazione il 24 maggio gli studenti di tutto il pianeta.

Confortati non dai governi, ma – si rifletta su questo – dalle inedite dispute all’ordine del giorno delle assemblee degli azionisti delle società energetiche. Greenpeace ha svolto manifestazioni davanti ai Lloyds di Trieste ed ha così monopolizzato anche gli scambi tra la dirigenza e gli azionisti di Generali preoccupati degli investimenti nei fossili. Non solo quelli tradizionalmente critici, perché a porre domande sul modus operandi del Leone di Trieste in relazione al global warming sono stati anche una mezza dozzina di azionisti “ordinari”. Durante poi l’Assemblea degli azionisti Enel, Re:Common ha ottenuto che il governo italiano si sieda ad un tavolo per negoziare dettagli concreti per rendere concreta la fase di dismissione del carbone, in particolare per quanto riguarda i due principali impianti che la compagnia ha, per una produzione totale di 4,5 GW, a Brindisi Sud e a Torrevaldaliga Nord (Civitavecchia). Ci sono timori che l’Enel non sia soltanto alla ricerca di una deroga, ma, sulla base dell’approccio già impiegato dalla tedesca RWE, stia utilizzando tali negoziati per chiedere alcune compensazioni. E’ evidente come l’eliminazione degli impianti a carbone sia materia altamente conflittuale: la trasformazione di queste impianti in nuove centrali a gas appare come un escamotage per vanificare il protagonismo e la presa di coscienza di studenti, lavoratori e cittadini in una fase di acuta crisi dell’intero pianeta.

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Casal Bruciato e la città di Roma alla prova del clima

Il recentissimo Rapporto del WWF e Global Footprint Network calcola che il 10 maggio 2019 sarà l’Overshoot Day per l’Europa: la data entro la quale, considerato il nostro stile di vita, i cittadini e le cittadine europee possono considerare di aver esaurito il budget di natura a loro disposizione.

Bisogna ricordare, infatti, che nonostante la popolazione europea rappresenti solo il 7% di quella globale, l’Unione Europea usa il 20% della biocapacità (la capacità degli ecosistemi di rinnovarsi) del pianeta. Per l’Italia, nonostante la profonda crisi della nostra economia dal 2008 in poi e la recente recessione, l’Overshoot Day cadrà soli 5 giorni dopo, il 15 maggio. Bisognerebbe ricordarsene nella campagna elettorale in corso, straziata dal dramma dei migranti e da un razzismo bieco che servono solo a distrarre dalle vere emergenze su cui cittadini e governi si devono confrontare.

Partiamo dalle immagini che riempiono ossessivamente i nostri schermi. Gli africani, bersagli di una accanita esclusione, sono responsabili solo del 3% delle emissioni climalteranti, ma stanno pagando con le desertificazioni il prezzo maggiore. I quartieri delle città, sedi di azioni violente contro gli “stranieri”, sembrano avamposti di lontane guerre tra civiltà, pur essendo, come Casal Bruciato, dentro una Roma sfilacciata e spesso abbandonata a se stessa. Ma se si guarda ai moli di approdo dei barconi in porti dotati di tutte le più aggiornate tecnologie o al quartiere romano, venendo dal centro e passando dall’ipermoderna stazione Tiburtina, si ha l’impressione di trovarsi nel cuore vitale di un Paese caotico ma in movimento, purtroppo frenato da false paure e dalla rimozione del futuro reale, previsto, accertato.

Mi sono chiesto, ad esempio, ma cosa pensa Roma – nelle sue istituzioni, tra i suoi abitanti, nell’impegno delle sue università, nella coscienza dei suoi studenti – del cambiamento climatico che la riguarda già ora? Ed ho trovato riscontro in un eccellente studio di Pierluigi Albini cui credo utile fare riferimento, per capire a quali sfide (non solo paure!) siamo sottoposti nel concreto. Non si prende mai in considerazione l’emergenza climatica come perno necessario di un insieme di competenze progettuali e di decisioni politico-amministrative in grado di pensare delle città a prova di clima. Oggi il nesso clima-urbanistica è diventato una questione di vita o di morte e da qui la necessità di applicare nella pianificazione (leggasi Piani Regolatori Generali e decisioni urbanistiche) la valutazione dei servizi ecosistemici come parte essenziale di una lotta di contrasto al cambiamento climatico.

E decisivo è intervenire sulla struttura delle aree urbane che oggi ospitano più della metà della popolazione mondiale, generando circa l’80% dell’economia mondiale e oltre il 70% del consumo energetico globale e dell’energia correlata alle emissioni. Secondo l’International Panel on Climate Change (IPCC), l’urbanizzazione incide per tre quarti dell’inquinamento del pianeta: tra il 71 e il 76% delle emissioni di CO2, secondo altre fonti per l’80%. Dunque, la questione delle città, della loro configurazione e del loro sviluppo è una questione centrale per una politica di contrasto climatico.

Roma, con i suoi quasi 3 milioni di residenti nel territorio comunale e con i 4,4 milioni della Città metropolitana, produce emissioni da fonti plurime ben superiori alla media nazionale per cittadino e produce più di 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani per la sola città di Roma, di cui sono note le assurde vicende. L’esaltazione delle soluzioni tecnologiche come soluzioni miracolistiche dei problemi lascia il tempo che trova: anche nelle Smart city il fattore umano rimane l’asse centrale, specialmente nelle città e non una variabile indipendente.

La città virtuosa, ovvero in grado di ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività, che sa muoversi, ottimizzando i sistemi di trasporto e le reti di collegamento, ma anche la città che sa non muoversi (utilizzando servizi ICT), la città viva e dinamica, informata, con una diffusione capillare e comprensibile delle informazioni in grado di generare nuove attività, la città partecipata, che genera nuove forme di partecipazione, come la gestione dei Beni comuni e l’urbanistica “dal basso”, la città sicura, con soluzioni innovative di sorveglianza del territorio e di assistenza ai cittadini, la città ben governata, con un decentramento radicale delle funzioni pubbliche. la città abitabile, nel senso di una calmierazione dei valori fondiari e di una reale applicazione del diritto alla casa, ovvero all’abitare: ecco quel che ci meritiamo e quel che occorre, come spiega l’autore del saggio citato.

Non sembra che qualcuna di queste direttrici sia in corso di applicazione a Roma, che, tra l’altro è anche il più grande comune agricolo d’Europa con i suoi 50 mila ettari coltivati. La grande estensione, anche verde, del territorio romano potrebbe dunque svolgere una funzione importante nelle politiche di mitigazione del clima, se e solo se, si adottasse una svolta radicale, anche culturale, nelle politiche urbanistiche e di governo del territorio, vincendo resistenze e deformazioni cuturali e non facendo più prevalere interessi privati e speculativi sulla vita dei cittadini attuali e futuri

Senza sollevare qui questioni di portata globale, è ancora possibile ridurre l’ampiezza, l’incidenza e la velocità del cambiamento su scala locale, contrastandone gli effetti e costruendo delle “città a prova di clima”, meno vulnerabili. Roma ne è una prova documentata e le soluzioni, a partire dal documento citato, sono a portata di mano. Purché non si disperdano le energie umane, civili e naturali in scontri irreparabili, che ci separano dalla convivenza e dalla partecipazione. Questo è, a mio parere, il portato terribile e temibile della involuzione a destra in atto in tutto il Paese e che va contrastata con la straordinaria ripresa di un tessuto democratico e partecipato messo in pericolo.

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