Colori e calore del pianeta che brucia

Mario Agostinelli, Il manifesto-Extraterrestre, Novembre 2019

“Senza gas-serra il nostro pianeta sarebbe una palla di ghiaccio congelata, mentre con un aumento incontrollato di gas-serra la Terra sarebbe invivibile”. Un’asserzione inconfutabile, ma non risolutiva del conflitto anche culturale con cui si affronta l’emergenza climatica. Per tacciare il negazionismo più ostinato occorre un livello di convincimento tale da connettere un generico allarme per il futuro con la attendibilità delle previsioni del mondo scientifico. Si potrebbero, cioè, collegare le nostre percezioni quotidiane, inviate dai sensi alla mente e fissate nella memoria, con un’informazione accessibile anche a non specialisti e che faccia opera di mediazione con l’astrazione e l’incorporeità dei modelli con cui la scienza interpreta con successo la natura? Da qualche parte si dovrà pure tenere in conto che essi prevedono comportamenti del mondo microscopico in netto contrasto con la realtà così come ci appare. Se le due culture – scienza ed umanesimo – si divaricano sempre più sarà difficile recuperare un metodo interdisciplinare, più che mai indispensabile per affrontare le sfide delle nuove generazioni. Trovare il giusto equilibrio tra l’interesse filosofico, sociologico, letterario, artistico per l’essere umano e la descrizione scientifica della biosfera è probabilmente il compito educativo più pressante nel tempo che viene a mancare. Nel caso dell’emergenza climatica, ritengo che quell’equilibrio si possa trovare nella messa in cortocircuito dei lenti neuroni del cervello umano con la velocissima luce del Sole e la pigra materia irradiata sul Pianeta. Partirò pertanto da fenomeni che sono da sempre alla portata dell’osservazione e del sentire comune, come la colorazione del cielo e il contenuto di calore dell’atmosfera e della superficie terrestre. Per quanto possibile, cercherò poi di risalire dai dati di esperienza e memoria di ogni vivente ad un numero piccolo di eventi elementari, che combinandosi in modi diversi nell’ecosfera e, in particolare, nella sottile pellicola di gas, rendono unica e abitabile la Terra.

Basta uno sguardo al cielo per trovare in esso un’enorme varietà di cose, compresi perfino umori e sentimenti. Se andassimo un po’ oltre la curiosità suscitata dal mutare delle colorazioni in atmosfera – o, ancora, oltre lo stupore provocato dal buio trapunto di stelle o, infine, oltre la sorpresa di veder trasformarsi la pioggia in neve ad inizio inverno, saremmo anche in grado di ricondurre l’osservazione del colore e del calore a leggi che – dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande –presiedono al brusco cambiamento climatico in corso. Partiamo dai colori del cielo. La nostra vista è in grado di percepire un campo di colore che va dal viola al rosso e, per di più, di rilevare sia l’assenza di colore (il nero) che la fusione di tutti i colori dell’arcobaleno (il bianco). Quando i raggi del Sole irradiano la materia possono perdere alcuni dei sette colori trasportati e la luce che sortirà ai nostri occhi sarà privata dei corrispettivi componenti.

Andando oltre lo sguardo, tentiamo una descrizione a livello microscopico dei fenomeni di dispersione e assorbimento della radiazione elettromagnetica dello spettro solare, che si può suddividere in “pacchetti” di energia con lunghezze d’onda che stanno nel visibile, ma con una “testa” nell’ultravioletto e una “coda” nell’infrarosso. Quando la radiazione incontra la materia, scambia con essa quanti di energia (fotoni) di una lunghezza d’onda particolare, caratteristica del meccanismo con cui le differenti molecole irradiate vengono eccitate. Sono proprio molecole di gas eccitate che in atmosfera sottraggono allo spettro solare specifiche lunghezze d’onda che provocano il mutamento della colorazione percepita dai nostri occhi. Quando i raggi solari raggiungono l’atmosfera negli strati più alti, le piccole particelle di azoto e ossigeno, assorbono energia dalla regione “forte” dell’ultravioletto, fino, in qualche caso, a scindersi negli atomi costitutivi. Successivamente, lo spettro solare si “disarticola”, scendendo verso terra. La luce rossa tende a “scavalcare” le particelle di sopra senza “vederle” e, quindi, prosegue la sua propagazione lungo la retta dei raggi solari. Invece, la luce blu continua a interagire con le piccole molecole, da cui viene riflessa in tutte le direzioni e sotto tutti gli angoli, assai più di qualsiasi altra componente di colore. I nostri occhi che guardano in tutte le direzioni del cielo, vedono il blu arrivare da tutte le regioni della volta celeste, mentre le altre componenti (verde, giallo, arancione e rosso) “calano” senza deviare dalla linea retta del Sole. L’astro ci apparirà splendente di un oro accecante, mentre il resto del cielo rivelerà il suo colore azzurro cupo in un giorno sereno. L’atmosfera negli strati inferiori potrebbe contenere una elevata densità di grandi molecole come pulviscolo, inquinanti o umidità e frapporre ulteriori ostacoli alla radiazione. Nel caso, ad esempio, di nuvole o nebbia o di particelle di foschia (piccole gocce d’acqua) o di smog, è la luce bianca rimasta ad essere dispersa in tutte le direzioni: il cielo, che resta blu più in alto, assume al di sotto un aspetto lattiginoso. All’alba e al tramonto, invece, il sole colora l’aria di giallo-rosso e, all’orizzonte, diventa una palla rossa. I suoi raggi stanno infatti arrivando alla superficie della Terra dopo aver attraversato la bassa atmosfera, che oltre a contenere molto vapor acqueo e pulviscolo, ha uno spessore ben maggiore dell’atmosfera attraversata dai raggi a mezzogiorno. Incontrando un maggior numero di centri diffusori, anche la componente gialla si sparge, con il risultato che a noi che guardiamo giunge solo il rosso residuo. Sapere cosa avviene nell’ambito microscopico non distrugge il mistero, perché la scoperta è tanto stupefacente quanto possa rendere l’immaginazione di un letterato.

Per arrivare all’effetto serra basta compiere un passo in più. La radiazione solare regola, giorno dopo giorno, anche la temperatura dell’intero Pianeta. Questa volta dobbiamo servirci, oltre che della vista, anche dei sensi che avvertono il calore. Dal complesso atterrare dei raggi solari sul Pianeta, dal loro ripartire e dalla loro interazione con la materia interposta, viene regolato il sistema climatico terrestre, della cui temperatura beneficia la riproduzione del vivente. Con una analogia che padroneggiamo, ci siamo trasferiti dal campo visibile all’infrarosso. In buona sostanza, quando Il Sole manda energia sulla Terra, le molecole più grandi e complesse che compongono l’atmosfera – vapore acqueo, anidride carbonica e metano – assorbono in bande ristrette fotoni infrarossi, che le fanno vibrare o ruotare attorno ai legami che uniscono gli atomi, senza però spezzarle. Qualche tempo dopo, le molecole “eccitate” si “rilassano” trasferendo l’energia extra ad altre molecole e aggiungendo velocità al movimento di quest’ultime. Poiché la temperatura di un gas è una misura della velocità delle sue molecole, il movimento più veloce risultante dopo gli assorbimenti dei fotoni IR aumenta la temperatura dei gas in atmosfera. Senza la contabilizzazione dell’equilibrio dovuto al “rimbalzo” per la presenza di gas che chiamiamo climalteranti, registreremmo una temperatura media di -15°C. Si tratta di un equilibrio naturale che ha reso possibile la vita e la sua riproduzione entro una finestra energetica molto stretta, corrispondente a variazioni di temperatura di pochi gradi. Anche in questo caso abbiamo una corrispondenza col “sentire” del vivente: bastano infatti due gradi di differenza nella temperatura corporea per sentirci bene o ammalati. Ma guai ad ammalarsi senza guarigione!

Clima: ricorrere al metano è inutile, eppure le lobby lo rilanciano. Quindi a tutto gas

L’Accordo per limitare a 1,5 °C l’aumento di temperatura al 2030, ha suggerito alle lobby fossili il rilancio del metano come “rimedio”, a sostituzione dell’eccesso di emissioni dovute alla combustione di carbone e petrolio. Il punto di forza, a dire dell’Eni sta nel fatto che, mentre il carbone produce CO2, in ragione di 350-400 grammi per kWh, il gas “si ferma solo a 200 grammi/kWh”. Quindi… a tutto gas!

La verità è che sì, il gas naturale inquina meno di petrolio e carbone, ma inquina, eccome. Come “soluzione ponte” per approdare alle rinnovabili non ha ragione di esistere: anzi, chiudere un occhio sul metano, corrisponderebbe a mancare l’obiettivo più importante di totale decarbonizzazione per la metà del secolo. Qui sotto illustro tre motivazioni per non ricorrere al gas, pena il non raggiungimento degli obiettivi ritenuti necessari dall’Ipcc.

1. Si è recentemente scoperto che il metano (per oltre il 99% componente del gas naturale) è anch’esso un potente gas serra (una tonnellata di metano equivale a 25 tonnellate di anidride carbonica) ed è aumentato nell’atmosfera, non solo come prodotto di esalazione di paludi, allevamenti bovini, risaie, discariche, ma, soprattutto, come fuoriuscita da depositi superficiali e, in particolare, da attività minerarie dirette proprio all’estrazione di combustibili fossili.

Si libera in maggior misura in atmosfera nella forma di CH4 sia quando si ricorre a perforazioni non convenzionali sia quando si estrae shale gas. Le ricerche più accurate affermano che nell’ultimo decennio la dispersione di metano dall’attività mineraria supera quella proveniente da fonti biogeniche.

In definitiva, chi suggerisce (o impone) l’impiego massiccio della fonte fossile “meno sporca”, si limita a una comparazione di emissioni di CO2 alla combustione, ma glissa sul fatto che all’estrazione e nel corso della trasmissione venga disperso gas metano, ancor più pericoloso per il clima dell’anidride carbonica (le perdite dai tubi dei metanodotti non sono mai inferiori al 3%).

2. Non basterà sostituire gas al carbone per arrivare a 1,5°C. Si calcola che, se tutto il carbone fosse sostituito da metano, usando le esistenti centrali a ciclo combinato, diminuiremmo le emissioni di CO2 di 15 milioni di tonnellate. Se invece la stessa quantità di elettricità venisse prodotta da nuove fonti rinnovabili, le ridurremmo di 26 milioni di tonnellate. Non basterà quindi il passaggio dal carbone al gas, ma occorrerà – e questo non lo si vuol ammettere – puntare su tecnologie di sequestro sottoterra della CO2 prodotta in eccesso.

Questa scommessa rischiosa ignora che non è affatto provato che le tecnologie di sequestro funzionino. Servono solo come specchietto per le allodole per ritardare l’adozione di misure immediate e, qualora fossero messe a punto, comporterebbero un onere economico ingiusto per le generazioni future e aumenterebbero significativamente l’insicurezza alimentare e idrica.

Infatti, un gas letale e inodore come la CO2, più pesante dell’aria, sarebbe una minaccia incombente, dato che eventuali fughe non sono avvertibili ai nostri sensi e i terreni coltivabili sotto cui porre in custodia il prodotto di una follia umana diventerebbero inservibili.

3. Anche sotto il profilo dei costi il vantaggio del gas non regge. Oggigiorno l’energia rinnovabile può ormai sostituire profittevolmente il carbone come generazione di massa, risparmiando nel contempo il denaro dei consumatori. In una proiezione futura, il confronto gas-rinnovabili è ancor più penalizzante per il primo. Le infrastrutture multimiliardarie del gas, eventualmente messe in opera oggi, verrebbero progettate per funzionare per decenni a venire.

Si tratta infatti di infrastrutture ad alta intensità di capitale che richiedono lunghi periodi di funzionamento per remunerare gli investimenti. Una volta che il capitale è stato impiegato, l’operazione è destinata a continuare finché i ricavi superano i costi operativi marginali. Ma la crisi climatica ha tempi bruschi e la sua precipitazione suggerisce di evitare di mettere in opera nuovi progetti sul gas, le cui emissioni “a vita intera” non rientrerebbero nei bilanci del carbonio previsti dall’accordo di Parigi e tanto meno dai suoi aggiornamenti.

Possiamo concludere che in Italia il gas come risorsa di transizione non ha ragione di essere. Purtroppo, non è quello che sta scritto nel Piano clima (Pniec) del governo. La percentuale del gas fossile rimane il 37% del totale del fabbisogno primario e solo per il 2040 si prevede una riduzione della sua percentuale al 33%.

Le fonti rinnovabili crescono solo dal 18% al 28%. Intanto, è confermata la partecipazione di Snam ed Eni ai nuovi metanodotti, così come la necessità di dotarsi di nuovi terminali (“gassificatori”) di importazioni di Gnl (gas liquefatto) anche da Paesi impegnati nell’estrazione di shale gas.

Che fare allora della Tap (Trans Adriatic Pipeline), del progetto di riconversione a gas del carbone di Civitavecchia e della metanizzazione della Sardegna? A chi giova un errore di previsione così incomprensibile a fronte dei dati forniti dalle previsioni climatiche?

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Civitavecchia, il nuovo piano energetico passa dal gas. Per fortuna c’è un asso nella manica

Il 21 novembre, a un convegno pubblico a Milano, i rappresentanti di un comitato per la riconversione ecologica di Civitavecchia (Comitato Sole) hanno portato alla discussione un prezioso contributo per la riconversione della centrale a carbone in uno scenario senza fossili che riguarda l’intera area, comprese le attività portuali.

La partenza di questa proposta innovativa viene dalla constatazione di un territorio falcidiato da percentuali altissime di malattie tumorali e respiratorie e ingannato dalla truffa del “carbone pulito”. Presentato come opportunità di ricchezza, occupazione e benessere, il bilancio è sconsolante. Ora, dopo dieci anni di produzione a carbone, la centrale Enel dovrà essere riconvertita.

Un nuovo piano energetico si affaccia all’orizzonte, disegnato più sulle esigenze del mercato che su quelle dell’emergenza ambientale e della crisi climatica e della conseguente necessità di un progetto di transizione energetica che abbandoni i fossili, gas compreso. Per Enel invece la transizione passa dal gas.

Intanto A2A, quella che gestisce l’inceneritore di Brescia e la centrale di Brindisi Nord, fa richiesta di installare un inceneritore al confine tra Tarquinia e Civitavecchia: in tal modo la riduzione di personale dovuta alla dismissione del carbone sarebbe compensata dall’impiego nell’incenerimento di rifiuti. Ma il Comitato ha un asso nella manica: ricercatori appassionati al bene pubblico e che da sempre si occupano di fonti rinnovabili offrono la loro collaborazione per un progetto che non risani solo l’area della centrale, ma riguardi anche le grandi navi da crociera, città galleggianti che bruciano il peggior combustibile nel porto, vicino al centro della città.

Nasce così l’idea di fare del porto di Civitavecchia la prima esperienza italiana significativa di un ambiente portuale a zero emissioni, inserito in un contesto urbano anch’esso in grado di coprire il proprio fabbisogno energetico con energie rinnovabili. Un laboratorio, ma anche una utopia concreta collegata con altre esperienze simili in corso in Europa e finanziate dalla Ue per un network portuale a zero emissioni lungo le coste baltiche e nel Mediterraneo. Il progetto si articola in più stadi:

1. Pretendere da Enel una grande opera di bonifica del territorio e di far parte di un progetto per creare un Polo di ricerca energetica da fonti rinnovabili per l’uscita dal carbone. L’insediamento di una elevata potenza fotovoltaica sul vastissimo territorio carbonifero consentirebbe l’accumulo di energia in idrogeno per elettrolisi, da distribuire alle utenze anche attraverso celle a combustibile.

2. Chiedere al Comune e alla Regione un piano di ambientalizzazione di Civitavecchia che la metta in grado di alimentare energeticamente l’intero comprensorio di afferenza in maniera sostenibile, utilizzando allo scopo modalità di produzione di energie rinnovabili a tecnologie correnti ed accumuli elettrici.

3. Avanzare alla compagnie che hanno accesso al porto la richiesta di alimentare le necessità portuali correnti, in prevalenza uffici, climatizzazione e refrigerazione dei magazzini, mediante produzione di energie rinnovabili a tecnologie correnti e implementazione di azioni mirate all’incremento dell’efficienza energetica degli edifici.

4. Esigere dalla compagnia portuale l’elettrificazione delle banchine portuali e una azione sperimentale su scala reale, volta all’utilizzo di tecnologie innovative zero-emissioni per le attività di movimentazione portuale (container, auto, merci non deperibili e deperibili, gruistica e cantieristica navale).

5. Impegnare il governo e le imprese in una implementazione significativa di sistemi sperimentali di produzione di energia in ambito marino ad elevata maturità tecnologica (energia dalle onde e dalle correnti marine, compresa una sperimentazione on e off-shore di impianti eolici innovativi).

6. Chiedere ai gestori della rete elettrica di strutturare una Smart Grid, consistente in una rete “intelligente” per la gestione puntuale dell’informazione e dei sistemi di produzione energetica, degli accumuli di corrente effettuati, sia diretti che tramite produzione di idrogeno.

Al di là delle puntualizzazioni che presumono confronti (e conflitti, se è il caso), va apprezzato uno sforzo di risveglio della buona politica e della bella cultura con le forze sane che esistono sul territorio e, augurabilmente, il contributo delle realtà produttive, sindacali e associative della città. In primavera è prevista una partita di calcio che, come nella realtà, vedrà il Comitato Sole contro il resto del mondo. Una sorta di metafora di una contesa per dimostrare che la partita è tutta da giocare.

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APPELLO: Iniziativa di legge popolare su emergenza climatica

La più grande minaccia di questo secolo” – il cambiamento climatico, la transizione all’instabilità climatica – si sta delineando con eventi sempre più drammatici: a luglio scorso il National Snow and Ice Data Center (NSIDC) degli Usa ha rilevato un picco terribile e inatteso nella curva che documenta l’andamento della fusione dei ghiacci artici in Groenlandia.

Abbiamo denunciato da gran tempo le conseguenze del cambiamento climatico che si abbatte su uomini e cose con l’intensità degli eventi meteorologici estremi, mentre si estendono le aree desertiche, cresce la siccità, si addensa negli ultimi vent’anni il numero dei massimi di temperatura media della terra. La calotta artica si è spaccata nel 2006 aprendo la caccia senza regole al suo sottosuolo, nel 2017 si è staccato dall’Antartide un “iceberg” più grande della Liguria.

Ci siamo battuti documentando e denunciando la più generale crisi ambientale: la devastazione di uno sviluppo fondato sulla spoliazione e il saccheggio delle risorse naturali, come conseguenza del modo capitalistico di produrre e consumare. Esemplare, il nuovo odioso colonialismo del landgrabbing, che attraverso i meccanismi della mera acquisizione di mercato priva intere popolazioni dei loro diritti, delle loro terre e delle loro acque senza dar loro nemmeno la possibilità di essere ascoltati o addirittura attraverso vere e proprie deportazioni. In America Latina, Asia e Africa sempre più grandi foreste, terre comunitarie, bacini fluviali e interi ecosistemi vengono spogliati e le comunità sfollate. Il rogo della foresta amazzonica è l’ultimo drammatico esempio, ammantato di un sovranismo in realtà prono agli interessi delle grandi compagnie agrario-alimentari. La diversità biologica viene costantemente ridotta, la grande barriera corallina australiana è a rischio nei suoi 3000 km. Il respiro degli oceani è soffocato dalla plastica.

Abbiamo proposto in tutti questi anni la battaglia a favore dell’ambiente, contro il global warming e per una generale riconversione ecologica dell’economia e della società, come impegno culturale, sociale e morale. La “Laudato si’” di Papa Bergoglio ha messo in risalto gli aspetti umani e spirituali di questa nuova visione.

I governi di tutto il mondo, colpevolmente lenti nell’applicare il Protocollo di Kyoto (2005), oggi in ritardo nell’attuare gli impegni dell’Accordo di Parigi ratificati nel 2016 da 180 Paesi, devono accelerare la loro azione per fare più efficacemente fronte al cambiamento climatico e mantenere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 °C.

A pagare lo sconquasso del clima sono soprattutto le popolazioni più povere e vulnerabili, colpite dalle migrazioni interne o dalla fuga disperata dalle loro terre, da fame, sete e malattie endemiche, marginalizzate nei loro territori, spesso nel nome stesso dello sviluppo e dell’innovazione. I rischi dovuti ai disastri ambientali accrescono tensioni e conflitti e nel 2017 hanno causato, da soli, l’esodo di 60 milioni di rifugiati ambientali, ma saranno quattro volte tanti nel giro di soli vent’anni.

Non si tratta solo dell’accoglienza e della sicurezza. Occorre “costruire ponti”, capaci di ridurre la distanza tra chi ha troppo e chi non ha abbastanza, tra l’opulenza e la povertà, come indicato dagli obiettivi globali dell’Agenda 2030 proposta dalle Nazioni Unite.

Occorre modificare i nostri stili di vita, le nostre culture e il nostro modo di pensare se vogliamo dare futuro al futuro. Trasformare i rifiuti in nuovi prodotti com’è tecnologicamente possibile, fare di più con meno, organizzare la società della sufficienza affinché ogni risorsa sia utilizzata senza sprechi e nel modo più appropriato fino all’autogestione. E, da subito, “decarbonizzare” l’economia sostituendo i combustibili fossili con le fonti rinnovabili.

Oggi finalmente una voce si leva autorevole per imprimere un’accelerazione agli impegni dei Governi, almeno qui in Europa. La neo-presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha proposto al Parlamento europeo a Strasburgo l’obiettivo di riduzione del 50-55% di CO2, il gas serra dominante, entro il 2030 facendo così schizzare a quel livello il target che la UE aveva in precedenza fissato al 32%. E, conseguentemente, di mantenere “un ruolo di guida della UE nei negoziati internazionali per far crescere il livello di ambizione delle altre principali economie entro il 2021”. Come si è verificato lungo tutto il percorso che ha portato all’Accordo di Parigi.

Il Governo italiano, continuando a perseguire un atteggiamento vergognosamente caudatario; infatti, essendo già da tempo in corso il dibattito in sede Ue per portare la riduzione al 40%, ha proposto nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) un obiettivo di solo il 33%. Il PNIEC è stato sottoposto, a decorrere dal 3 agosto scorso, alle osservazioni di tutti i cittadini tramite la Valutazione Ambientale Strategica (VAS).

Noi, le associazioni, i comitati e i gruppi che rappresentiamo, faremo senz’altro pervenire le nostre osservazioni entro i 60 giorni previsti dalla procedura di VAS. Riteniamo, però, che debba attuarsi in tutto il Paese la più ampia mobilitazione possibile perché il Piano assuma l’obiettivo indicato dalla von der Leyen. Al di sotto, saremmo come i Paesi di Visegrad nei confronti dell’immigrazione, non a caso le maggiori resistenze alla “decarbonizzazione” provengono da alcuni di loro in nome del miope privilegio degli “interessi nazionali”. E, soprattutto, non saremmo all’altezza della tremenda sfida e delle responsabilità che il cambiamento climatico impone a tutti.

Per favorire questa mobilitazione, per dargli il carattere capillare di confronto con cittadini, organi territoriali elettivi, istituzioni e enti pubblici, luoghi di lavoro e di socializzazione, organi di informazione, proponiamo una legge d’iniziativa popolare che assuma l’obiettivo del 50% per l’Italia e indichi la carbon tax come mezzo principale per coprire la spesa pubblica finalizzata a quell’obiettivo.

La raccolta di firme per la presentazione della legge può costituire un momento d’informazione e, allo stesso tempo, sollecitare un protagonismo consapevole ed esteso di tutti quale la drammaticità dei tempi richiede.

 

Massimo Scalia CIRPSDaniela Padoan Pres. Forum LAUDATO SI’Mario Agostinelli Pres. ENERGIA FELICE – Vanessa Pallucchi Vice Pres. LEGAMBIENTE – Pippo Onufrio Dir. Gen. GREENPEACE ITALIA – Enrico Vicenti Segretario CNI-Unesco Ermete Realacci Pres. SYMBOLARoberta Cafarotti Dir. Scient. EARTH DAY ITALY – Mariagrazia Midulla Resp. Clima & Energia WWFEnzo Naso Dir. CIRPS – Virginio Colmegna Forum LAUDATO SI’ – Marialuisa Saviano Pres. IASS – Aurelio Angelini Pres.CNESA2030-UnescoGianni Silvestrini Dir. Scient. KYOTO CLUB – Mario Salomone Segr. Gen. WEEC NETWORKSimona Sambati CASA DELLA CARITÀSergio Ferraris Dir. “QUALE ENERGIA” – Vittorio Bardi Pres. SÌ ALLE RINNOVABILI, NO AL NUCLEAREPaola Bolaffio Dir. “GIORNALISTI NELL’ERBA” – Guido Viale FORUM “LAUDATO SI” – Gianni Mattioli CIRPS Pasquale StiglianiSCANZIAMO LE SCORIE”, ScanzanoSerenella Iovino University of North Carolina Marco Fratoddi Dir. “SAPERE AMBIENTE” – Stefania Divertito, Giornalista – Oreste Magni ECOISTITUTO-VALLE DEL TICINO – Michela Mayer Dirett. IASS – Enzo Reda MOV. ECOLOGISTA CALABRIA – Monica D’Ambrosio GiornalistaPaolo Bartolomei Commiss. Scient. DECOMMISSIONING – Anna Re Univ. IULM, Milano – Ilaria Romano Giornalista – Gianluca Senatore Univ. LA SAPIENZA-Roma – Gian Piero Godio PRO NATURA, Vercelli – Linda Maggiori Blogger – Filippo Delogu Segr. CNESA2030-Unesco – Giuditta Iantaffi Coord. Docenti “GIORN. NELL’ERBA”Salvatore Alfano MOV. ECOLOGISTA LAZIO Silvia Zamboni Giornalista