Aerei da guerra ‘indispensabili’? Leonardo non si ferma ma le condizioni non convincono i lavoratori

Travolti dalla tragedia in corso e dall’affanno che ci opprime, diamo scarso rilievo a fatti straordinari, che indicano probabilmente il cambio di direzione del nostro futuro, reso precario da comportamenti ormai insostenibili e illusoriamente proiettato a non convivere con la natura la pace ed il diritto ad un lavoro sano e dignitoso.

Non ha avuto adeguata risonanza un fatto che per me, che abito vicino alle fabbriche aeronautiche di Varese che producono in prevalenza armamenti, rappresenta una svolta nel sentire e nell’agire popolare. All’Alenia Aermacchi (oltre 1000 dipendenti) tra sostegno alla salute in emergenza pandemica e difesa della produzione bellica, le lavoratrici e i lavoratori hanno scelto la prima. Rifiutandosi di stare al lavoro lo scorso fine settimana, nonostante la dichiarazione del Prefetto di Varese di “indispensabilità” delle loro prestazioni anche in tempi di coronavirus, hanno aperto un conflitto ed un confronto fin qui inedito. Eppure, Alessandro Profumo, ad di Leonardo – il gruppo cui appartengono Aermacchi e Agusta (caccia ed elicotteri ad impiego militare) – , sul Corriere della Sera era uscito con un titolo perentorio: “Tecnologia e sicurezza nazionale, Leonardo non si può fermare”.

Ma anche dopo “l’aiutino” del quotidiano lombardo l’azienda, di fronte alle resistenze dei dipendenti, si è dovuta rassegnare ad una trattativa con Fim, Fiom, Uilm locali e nazionali per il rallentamento della produzione, il rispetto delle esigenze personali e l’utilizzo delle compensazioni salariali per le fermate della produzione, da concordare con la presenza diretta dei delegati di fabbrica. L’accordo raggiunto sabato 28 marzo smentisce le motivazioni del Prefetto di Varese e le dichiarazioni della Direzione (che vede lo Stato come primo azionista) e che si possono riassumere in affermazioni che escludono ripensamenti a fronte della crisi epocale in corso. Infatti, nell’intervista sopra citata, l’ad afferma che “mai come in questi giorni ci siamo resi conto di quanto sia imprescindibile garantire i nostri confini” e – aggiunge – “Seguiamo con attenzione il dibattito che sta toccando anche il nostro settore, polarizzandosi sempre più verso una dicotomia salute-lavoro”. Ma “grazie al senso di responsabilità e al sacrificio di molti colleghi, che desidero ringraziare personalmente, Leonardo – in costante raccordo con il Ministero della Difesa in primis e con gli altri interlocutori istituzionali – ha continuato a garantire l’operatività e il funzionamento di servizi strategici ed essenziali per il Paese”.

Perché allora, ci dovremmo chiedere, non l’ha fatto direttamente con chi ogni mattina lascia la propria casa, si accompagna ad altri su sistemi di trasporto con pericolo di contagio e poi, al lavoro, si pone a contatto con altre persone a rischio per produzioni non “indispensabili”? Come si può perpetuare, senza un minimo di esitazione ed un irrinunciabile progetto di riconversione, la sopravvivenza della produzione di velivoli da guerra in quanto incorporano un “sistema industriale e la continuità di competenze di altissimo valore tecnologico, eredità di investimenti in ricerca e sviluppo”, che proprio perciò sarebbero da destinare ad emergenze sociali ed ambientali non più procrastinabili?

È un merito indubbio del sindacato unitario quello di aver retto e diretto la spinta delle lavoratrici e dei lavoratori senza recedere rispetto al loro diritto alla salute, e – chissà mai nel dibattito che si è aperto – alla pace e all’uscita dal sistema dei fossili, su cui continua a basarsi ogni attività che ha a che fare con le armi. Le buone ragioni esibite in questo frangente hanno dato già primi frutti. Leonardo ha comunicato di aver intrapreso una serie di iniziative per sostenere lo sforzo di tutti coloro i quali stanno garantendo con il loro impegno quotidiano le attività per il contenimento del contagio da Covid-19, nonché l’assistenza ai malati e alle loro famiglie. Perciò ha messo a disposizione della protezione civile velivoli ed elicotteri ed ha “lanciato la produzione di un primo lotto di valvole per supportare il progetto di valvole in materiale plastico, che consentono di modificare un particolare modello di maschere per la respirazione”.

Forse la scossa che viene dal lavoro, anche quando è autonomamente e democraticamente conflittuale con l’impresa, può aprire una strada inesplorata per la riconversione ecologica e la salvezza del Pianeta. Lo dice anche uno stuolo di firme, a partire da Silvio Garattini, Don Colmegna e Gino Strada, per bloccare in questa fase drammatica e ripensare a breve la destinazione delle attività non insostituibili. Un appello che conta ovviamente anche e proprio sul mondo del lavoro. A questo riguardo, non può che essere confortante che l’accordo sindacale per l’Aermacchi si concluda così: “Si conferma l’attivazione in sede locale di incontri di verifica e applicazione di quanto previsto nel presente protocollo anche alla luce dello sviluppo organizzativo delle attività produttive, che saranno condivise con le Rsu/Rls per garantire il massimo livello di sicurezza e prevenzione a tutela della salute dei lavoratori”. Di questo, aggiungono Fim, Fiom, Uilm, si ringraziano i lavoratori e le loro rappresentanze elette in fabbrica.

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EDUCAZIONE: UN IMPORTANTE STRUMENTO PER COMBATTERE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

a cura di Mario Agostinelli

In questi giorni pesanti mi sono messo a tradurre e ricomporre un documento che trovo preziosissimo perché proviene dal sindacato internazionale, come una voce nel deserto che nessuna organizzazione nazionale del lavoro ha ripreso. Se ne avrete la voglia, potrete valutare come la sequenza illustri bene l’evoluzione storica malefica delle varie COP sul clima e muova una critica netta ai governi e al sistema del negazionismo climatico.

Credo che le indicazioni e le riflessioni che hanno l’autorevolezza di un documento prodotto dall’IE-EI* possano servire molto al nostro lavoro sia tra gli studenti sia nei confronti degli insegnanti e della formazione dei “disseminatori di didattica” quali ci siamo definiti. C’è qui una messe di informazioni sull’attività internazionale degli organismi UNESCO, ONU, UE, cui tutti potremmo accedere e sulla traccia di relazioni sociali che possono costruirsi a partire dal mondo del lavoro, del sindacato degli insegnanti, della ricerca, dell’Università fino alle scuole popolari: tutti, a quel che so, spaventati dalle arroganze spudorate della Lagarde, ma totalmente ignari di una presa di posizione così autorevole assunta per nome di milioni di lavoratrici e lavoratori.

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Il trattato di non proliferazione nucleare compie 50 anni. Ma le grandi potenze continuano a tendere i muscoli

Il 6 e 9 agosto 2020, il mondo commemorerà il 75esimo anniversario dei bombardamenti atomici statunitensi di Hiroshima e Nagasaki. Quasi in concomitanza, i giochi olimpici – se il coronavirus fosse debellato – si dovrebbero concludere a Tokyo il 9 agosto.

Poiché il Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari (Npt) celebra oggi – 5 marzo 2020 – 50 anni dalla sua entrata in vigore, questo e quell’anniversario costituiscono un’occasione unica per educare le persone sulle catastrofiche conseguenze umanitarie delle armi nucleari e sul significato del nuovo Tpnw (Trattato delle Nazioni Unite per la proibizione delle armi nucleari), sostenuto dall’Ican (la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari), rendendo pubblico sostegno al lavoro per vietare ed eliminare le armi nucleari.

Il mondo non è fermo al contesto del Npt, ma una nuova spinta propulsiva viene dalla iniziativa dell’Ican. Una proposta ancora più avanzata, che prevede un trattato di divieto di possesso e gestione delle armi nucleari e che finisce col rafforzare di fatto il Npt, messo in discussione unilateralmente dal presidente Usa Donald Trump.

Ma le grandi potenze continuano a tendere i muscoli: una nuova corsa agli armamenti nucleari è già in corso. Non si tratta tanto di armi in fase di progettazione o sviluppo, ma del rischio che una nuova corsa agli armamenti nucleari tra la Russia e gli Stati Uniti rappresenta per il mondo. Nell’agosto scorso gli Stati Uniti hanno mandato un segnale eloquente, ritirandosi dall’Intermediate Nuclear Forces Trea­ty (Inf) sui missili nucleari a corto e medio raggio, ed è noto che allo stato attuale è difficile che Stati Uniti e Russia rinnovino il Trattato New Start sulla riduzione delle armi nucleari strategiche, quando scadrà nel 2021.

Parimenti, nessuno dei due Paesi ha sottoscritto il Tpnw lanciato nel 2017. Cosa ancora più significativa, le strategie difensive della Russia e degli Stati Uniti continuano a consentire l’uso di armi nucleari contro minacce non nucleari, acuendo il rischio di un conflitto irreparabile. La Russia considera apertamente le proprie armi nucleari una difesa contro il dominio detenuto dagli Stati Uniti e dalla Nato quanto a capacità bellica convenzionale. Nell’ultima Nuclear Posture Review (Npr, i Rapporti del Pentagono sulla strategia nucleare degli Stati Uniti) del febbraio 2018, l’opzione nucleare è stata prevista contro gli “attacchi strategici significativi” non nucleari, compresi i terroristi e le armi biologiche e chimiche globali.

Tranne la Cina, nessuna potenza nucleare ha assunto l’impegno al No First Use, cioè a non ricorrere per primi all’impiego delle armi nucleari. In questo contesto la Conferenza di revisione del Npt, prevista per la prossima primavera, rischia di tramutarsi in una sorta di mischia generale diplomatica in cui gli Stati non nucleari rinfacceranno a quelli che posseggono armi nucleari, firmatari del Trattato (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina), di aver violato il loro impegno al disarmo ai sensi dell’articolo VI.

L’appuntamento sarà senza dubbio occasione di dibattiti e controversie, ma da essa potrebbe arrivare una spinta per rilanciare iniziative già approvate nelle Conferenze precedenti e tuttora da promulgare: per esempio, l’istituzione di una Nuclear Weapons Free Zone in Medio Oriente, così come un rinnovato impegno collettivo per sostenere il Npt.

La Conferenza Onu del 2017 sulla proibizione delle armi nucleari ha mostrato che c’è un consenso globale sulla loro abolizione tra gli Stati non nucleari, compresa la Santa Sede, e le organizzazioni della società civile. Nel corrente anno verrà organizzata una conferenza per trarre un primo consuntivo dell’azione intrapresa. Nel percorso di preparazione è emersa la resistenza della maggioranza non nucleare al “bullismo” degli Stati in possesso di armi nucleari, così come la volontà della maggioranza dei Paesi Onu di procedere per conto proprio alla definizione dei termini di sicurezza internazionale, fino a quando le grandi potenze, i loro alleati e alcuni “Stati ombrello” non saranno pronti a unirsi a essi.

Mentre a livello delle grandi potenze è in atto un indiscutibile processo di erosione del sistema di controllo degli armamenti nucleari; a livello internazionale è emersa invece una grande novità: su pressione dell’Ican è stato negoziato presso la sede delle Nazioni Unite a New York un nuovo trattato, con la partecipazione di oltre 135 stati e membri della società civile. Il 7 luglio 2017 la stragrande maggioranza degli Stati (122) ha adottato un accordo storico: il Trattato sul divieto delle armi nucleari (Tpnw).

Si tratta di una convenzione vincolante aperta alla firma dal 20 settembre 2017 e che entrerà in vigore dopo che almeno 50 Stati lo avranno ratificato. A partire dal 25 novembre 2019, 80 stati hanno firmato e 34 stati hanno ratificato questo trattato. Prima di una sua assunzione, le armi nucleari rimarrebbero le uniche armi di distruzione di massa non completamente bandite, nonostante le loro catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali.

Questo nuovo accordo colmerebbe un’importante lacuna nel diritto internazionale, “vietando ai paesi di sviluppare, testare, produrre, fabbricare, trasferire, possedere, immagazzinare, minacciare di usare armi nucleari o consentire lo spiegamento di armi nucleari nei territori”. La prospettiva aperta è entusiasmante: potrebbe addirittura avverarsi che nell’anno del 50esimo del Npt venga ratificato il Tpnw da almeno 50 Stati. “50+50” può essere lo slogan del pacifismo, anche se viene occultato dai media che operano per l’establishment muscolare che governa il pianeta e che traccia una line di continuità tra potenza militare, distruzione della natura. cambiamento climatico, controllo della popolazione, respingimento dei migranti.

Non a caso papa Francesco ha dichiarato che “è da condannare con fermezza la minaccia dell’uso delle armi nucleari, nonché il loro stesso possesso”. Ma, oltre alla sua determinazione, occorre convincere tutti noi, credenti e non credenti, che la pace, il disarmo e la giustizia climatica e sociale possono ancora risanare il pianeta malato.

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Energia, più gas e meno rinnovabili: un trucco fatale per il clima

Sconfitti sulla responsabilità del brusco cambiamento climatico in corso, i sostenitori dei fossili hanno cambiato spalla al fucile abbandonando carbone e petrolio in prospettiva e rilanciando a tutto campo il gas. Il “minore dei mali” tra i combustibili fossili consentirebbe di sostituire a breve il carbone e di mantenere il monopolio centralizzato delle multinazionali estrattive anche a spese di un incremento incontrollato di guerre sia economiche sia condotte sui campi fuori confine con gli eserciti più devastanti. Che la contesa sul futuro del Pianeta si giochi tra gasdotti e navi metaniere e rinnovabili appare ogni giorno più chiaro. Si sta passando dal negazionismo più bieco alla raffinatezza di “difendere” la possibilità di crescita dei più poveri (che si bombardano quotidianamente ad opera dei più ricchi).

Per fornire un’idea di come il confronto si vada facendo più aspro, man mano che il tempo viene a mancare e le lotte ricevono ispirazione da tante Grete e Francesco sparsi in tutti i continenti, faccio qui riferimento al caso degli Stati Uniti, dove tutto non va come ci raccontano gli amici di Trump. Sui web americani sono apparsi contemporaneamente due articoli molto informati e aggressivi: l’uno – di Anes Alic per Oilprice.com – a sostegno del gas come pietra angolare in una transizione energetica che dà per scontata l’irraggiungibilità di zero emissioni di CO2 per la metà del secolo; l’altro – di Dan Gearino – documentatamente convinto che il potenziale delle fonti naturali rinnovabili possa conseguire il traguardo che l’Ipcc giudica invalicabile.

1. Partiamo dal gas, col suo marchio “consevatore” e incompatibile con +1,5 °C

Anes Alic cerca dimostrare sotto il profilo economico le convenienze per i proprietari dei pozzi fossili, detentori allo stesso tempo della rete energetica centralizzata e sostenuti da ingenti finanziamenti pubblici. I prezzi del gas naturale – afferma – sono diminuiti molto più rapidamente di qualsiasi altra fonte di energia. Nel 2018, il gas naturale è costato 1,72 volte in più rispetto al carbone mentre costava 2,2 volte in più solo nel 2014. Questa è la vera ragione per cui il gas naturale sta rapidamente sostituendo il carbone come combustibile preferito per la generazione di elettricità in centrale. La domanda di gas continua a crescere a un ritmo vertiginoso (4,9% nel 2018), mentre la spesa per infrastrutture di grandi dimensioni continua a fluire nel settore (~ $ 360 miliardi nel 2018). Anche i prezzi del Gnl (liquido) sono diminuiti in media del 20% negli ultimi due decenni.

Gran parte dell’effetto può essere dovuta ad una sovrabbondanza di approvvigionamento unita a una capacità delle condutture insufficiente per trasportare la merce. Anes suggerisce di creare subito possenti infrastrutture, fin che l’economia e la distrazione dei governi sull’applicazione della carbon tax lo consente Il blocco di interessi che ha fatto fallire qualsiasi accordo alla Cop 25 di Madrid (Usa, Brasile, India e Cina e Australia) sta nella convinzione che per due decenni, il gas a basso prezzo e finanziato da danaro pubblico – shale gas compreso – sarà la chiave del dominio dell’energia, se non dell’immenso potere geopolitico oggi più articolato e meno ostile agli Usa. Infatti, il globo non deve più fare affidamento su un ristretto pool di produttori con una stretta nell’offerta, ma su addirittura su 21 nuovi produttori, con Stati Uniti e Australia che diventano importanti esportatori e con aumenti delle riserve accertate di gas naturale, mentre il Qatar, sta diventando il più grande produttore mondiale di Gnl, sottraendosi alle minacce di embargo dell’Arabia Saudita grazie ad un ammiccamento di Trump.

Il punto debole del risveglio del gas sta nelle inevitabili emissioni di CO2, ma il fatto che esse siano il 50% in meno rispetto al carbone e il 30% in meno rispetto al petrolio fa sì che venga sottovalutata una deprecabile e incontrollata crescita dei consumi: il gas finisce così coll’identificarsi con l’ossessione dello sviluppo, cementato in forme tecnologiche fortemente dipendenti e fortemente favorite dall’inerzia del sistema: ovvero il gas rappresenta oggi la reale resistenza al cambiamento.

2. Le rinnovabili: competitrici più accreditate per un’innovazione sostenibile

La rete elettrica degli Stati Uniti, scrive Dan Geraino, è sulla buona strada per diventare molto più pulita già nel 2020. All’11 febbraio 2020, dei 42 Gigawatt di nuova capacità della elettricità da immettere nella rete Usa proveniente dallo a Stato di New York, il 76% proviene già da energia eolica e solare, come si ricava dall’ultima serie di dati provenienti dall’amministrazione dell’Energia Usa.

Si tratta di una quota record, rispetto al 64% della nuova capacità aggiunta nel 2019. E lo sarebbe, nonostante la posizione ostile dell’amministrazione Trump nei confronti delle energie rinnovabili, comprese le tariffe sui pannelli solari importati dalla Cina e il rifiuto di estendere alcuni crediti d’imposta già programmati ai tempi di Obama, come afferma Joshua Rhodes, analista senior di Vibrant Clean Energy.

Ma il favore offerto al gas (in particolare al dannosissimo shale gas) fa sì che il mix di nuove centrali elettriche nel 2020 sia completamente dominato da eolico, solare e gas, con tutte le altre fonti di energia che si sommano a meno di un gigawatt, circa il 2%..

Ci sono tuttavia due impreviste novità: la prima sta nel fatto che la maggior parte della prevista crescita delle energie rinnovabili quest’anno – 18 Gigawatt – proviene da ben 107 progetti decentrati nei territori e sostitutivi di centrali fossili municipalizzate, i cui sviluppatori hanno iniziato la costruzione in tempo per beneficiare del credito d’imposta federale sulla produzione. La seconda è addirittura più sorprendente: i costi per lo sviluppo di parchi eolici sono diminuiti così tanto da essere le opzioni meno costose, anche senza sovvenzioni. Nientemeno che il Texas dei petrolieri, sorprendentemente, guida la nazione americana nella capacità di energia eolica e sarà anche il leader della nuova capacità eolica prevista nel 2020, con il 32% in totale.

Chi vincerà la sfida? Non ho dubbi che dipenderà dalla forza del movimento che combatte il cambiamento climatico. La tecnologia si adatta ai progetti sociali, oltre che alle convenienze economiche. Ci sono parchi eolici negli Stati delle Pianure americane che operano ad alto livello per gran parte del giorno e della notte e ci sono impianti a gas che rimangono inattivi per la maggior parte del tempo. Poiché l’eolico e il solare continuano a rappresentare una grande percentuale di nuove centrali elettriche, gli operatori di rete dovranno adattarsi ai sistemi in esecuzione che dispongono di grandi quantità di energia intermittente. Google e l’utilità NV Energy stanno collaborando per un progetto di accumulo di energia solare ed energia che secondo le aziende è il più grande del suo genere al mondo. Questo è il futuro e lo sarà, spero, anche da noi, già a partire dalla riconversione del carbone a Civitavecchia.

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Colori e calore del pianeta che brucia

Mario Agostinelli, Il manifesto-Extraterrestre, Novembre 2019

“Senza gas-serra il nostro pianeta sarebbe una palla di ghiaccio congelata, mentre con un aumento incontrollato di gas-serra la Terra sarebbe invivibile”. Un’asserzione inconfutabile, ma non risolutiva del conflitto anche culturale con cui si affronta l’emergenza climatica. Per tacciare il negazionismo più ostinato occorre un livello di convincimento tale da connettere un generico allarme per il futuro con la attendibilità delle previsioni del mondo scientifico. Si potrebbero, cioè, collegare le nostre percezioni quotidiane, inviate dai sensi alla mente e fissate nella memoria, con un’informazione accessibile anche a non specialisti e che faccia opera di mediazione con l’astrazione e l’incorporeità dei modelli con cui la scienza interpreta con successo la natura? Da qualche parte si dovrà pure tenere in conto che essi prevedono comportamenti del mondo microscopico in netto contrasto con la realtà così come ci appare. Se le due culture – scienza ed umanesimo – si divaricano sempre più sarà difficile recuperare un metodo interdisciplinare, più che mai indispensabile per affrontare le sfide delle nuove generazioni. Trovare il giusto equilibrio tra l’interesse filosofico, sociologico, letterario, artistico per l’essere umano e la descrizione scientifica della biosfera è probabilmente il compito educativo più pressante nel tempo che viene a mancare. Nel caso dell’emergenza climatica, ritengo che quell’equilibrio si possa trovare nella messa in cortocircuito dei lenti neuroni del cervello umano con la velocissima luce del Sole e la pigra materia irradiata sul Pianeta. Partirò pertanto da fenomeni che sono da sempre alla portata dell’osservazione e del sentire comune, come la colorazione del cielo e il contenuto di calore dell’atmosfera e della superficie terrestre. Per quanto possibile, cercherò poi di risalire dai dati di esperienza e memoria di ogni vivente ad un numero piccolo di eventi elementari, che combinandosi in modi diversi nell’ecosfera e, in particolare, nella sottile pellicola di gas, rendono unica e abitabile la Terra.

Basta uno sguardo al cielo per trovare in esso un’enorme varietà di cose, compresi perfino umori e sentimenti. Se andassimo un po’ oltre la curiosità suscitata dal mutare delle colorazioni in atmosfera – o, ancora, oltre lo stupore provocato dal buio trapunto di stelle o, infine, oltre la sorpresa di veder trasformarsi la pioggia in neve ad inizio inverno, saremmo anche in grado di ricondurre l’osservazione del colore e del calore a leggi che – dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande –presiedono al brusco cambiamento climatico in corso. Partiamo dai colori del cielo. La nostra vista è in grado di percepire un campo di colore che va dal viola al rosso e, per di più, di rilevare sia l’assenza di colore (il nero) che la fusione di tutti i colori dell’arcobaleno (il bianco). Quando i raggi del Sole irradiano la materia possono perdere alcuni dei sette colori trasportati e la luce che sortirà ai nostri occhi sarà privata dei corrispettivi componenti.

Andando oltre lo sguardo, tentiamo una descrizione a livello microscopico dei fenomeni di dispersione e assorbimento della radiazione elettromagnetica dello spettro solare, che si può suddividere in “pacchetti” di energia con lunghezze d’onda che stanno nel visibile, ma con una “testa” nell’ultravioletto e una “coda” nell’infrarosso. Quando la radiazione incontra la materia, scambia con essa quanti di energia (fotoni) di una lunghezza d’onda particolare, caratteristica del meccanismo con cui le differenti molecole irradiate vengono eccitate. Sono proprio molecole di gas eccitate che in atmosfera sottraggono allo spettro solare specifiche lunghezze d’onda che provocano il mutamento della colorazione percepita dai nostri occhi. Quando i raggi solari raggiungono l’atmosfera negli strati più alti, le piccole particelle di azoto e ossigeno, assorbono energia dalla regione “forte” dell’ultravioletto, fino, in qualche caso, a scindersi negli atomi costitutivi. Successivamente, lo spettro solare si “disarticola”, scendendo verso terra. La luce rossa tende a “scavalcare” le particelle di sopra senza “vederle” e, quindi, prosegue la sua propagazione lungo la retta dei raggi solari. Invece, la luce blu continua a interagire con le piccole molecole, da cui viene riflessa in tutte le direzioni e sotto tutti gli angoli, assai più di qualsiasi altra componente di colore. I nostri occhi che guardano in tutte le direzioni del cielo, vedono il blu arrivare da tutte le regioni della volta celeste, mentre le altre componenti (verde, giallo, arancione e rosso) “calano” senza deviare dalla linea retta del Sole. L’astro ci apparirà splendente di un oro accecante, mentre il resto del cielo rivelerà il suo colore azzurro cupo in un giorno sereno. L’atmosfera negli strati inferiori potrebbe contenere una elevata densità di grandi molecole come pulviscolo, inquinanti o umidità e frapporre ulteriori ostacoli alla radiazione. Nel caso, ad esempio, di nuvole o nebbia o di particelle di foschia (piccole gocce d’acqua) o di smog, è la luce bianca rimasta ad essere dispersa in tutte le direzioni: il cielo, che resta blu più in alto, assume al di sotto un aspetto lattiginoso. All’alba e al tramonto, invece, il sole colora l’aria di giallo-rosso e, all’orizzonte, diventa una palla rossa. I suoi raggi stanno infatti arrivando alla superficie della Terra dopo aver attraversato la bassa atmosfera, che oltre a contenere molto vapor acqueo e pulviscolo, ha uno spessore ben maggiore dell’atmosfera attraversata dai raggi a mezzogiorno. Incontrando un maggior numero di centri diffusori, anche la componente gialla si sparge, con il risultato che a noi che guardiamo giunge solo il rosso residuo. Sapere cosa avviene nell’ambito microscopico non distrugge il mistero, perché la scoperta è tanto stupefacente quanto possa rendere l’immaginazione di un letterato.

Per arrivare all’effetto serra basta compiere un passo in più. La radiazione solare regola, giorno dopo giorno, anche la temperatura dell’intero Pianeta. Questa volta dobbiamo servirci, oltre che della vista, anche dei sensi che avvertono il calore. Dal complesso atterrare dei raggi solari sul Pianeta, dal loro ripartire e dalla loro interazione con la materia interposta, viene regolato il sistema climatico terrestre, della cui temperatura beneficia la riproduzione del vivente. Con una analogia che padroneggiamo, ci siamo trasferiti dal campo visibile all’infrarosso. In buona sostanza, quando Il Sole manda energia sulla Terra, le molecole più grandi e complesse che compongono l’atmosfera – vapore acqueo, anidride carbonica e metano – assorbono in bande ristrette fotoni infrarossi, che le fanno vibrare o ruotare attorno ai legami che uniscono gli atomi, senza però spezzarle. Qualche tempo dopo, le molecole “eccitate” si “rilassano” trasferendo l’energia extra ad altre molecole e aggiungendo velocità al movimento di quest’ultime. Poiché la temperatura di un gas è una misura della velocità delle sue molecole, il movimento più veloce risultante dopo gli assorbimenti dei fotoni IR aumenta la temperatura dei gas in atmosfera. Senza la contabilizzazione dell’equilibrio dovuto al “rimbalzo” per la presenza di gas che chiamiamo climalteranti, registreremmo una temperatura media di -15°C. Si tratta di un equilibrio naturale che ha reso possibile la vita e la sua riproduzione entro una finestra energetica molto stretta, corrispondente a variazioni di temperatura di pochi gradi. Anche in questo caso abbiamo una corrispondenza col “sentire” del vivente: bastano infatti due gradi di differenza nella temperatura corporea per sentirci bene o ammalati. Ma guai ad ammalarsi senza guarigione!