“PLANET OF THE HUMANS”: QUANDO L’ ECOLOGIA NON E’ INTEGRALE

a cura di Mario Agostinelli – Extraterrestre, Il Manifesto, maggio 2020

Michael Moore è stato un dissacratore e, contemporaneamente, un comunicatore spesso convincente. Per chi ha visto i bellissimi Roger and Me (1989) e Bowling for Columbine (2002), è spiacevole e difficile da capire perché il regista americano avvalli e promuova oggi un film come “The Planet of the Humans”, che deve il proprio successo mediatico allo shock di vedere il brand liberal di Moore piegato a sostegno di tesi fino ad oggi appannaggio grossolano della destra repubblicana.

Parto da un giudizio molto severo, ma il film, che in poche settimane ha registrato oltre 8 milioni di visualizzazioni, ha destato un forte scompiglio nel movimento ambientalista e nell’opinione pubblica americana, mentre ha trasformato i tre produttori – Jeff Gibbs, Michael Moore e Ozzie Zehner – in gettonate presenze su media outlet, non certo noti per le loro posizioni progressiste o ambientaliste (Fox, The Hill, Sky News).

Spiace che in una fase storica di profonda e perfino drammatica revisione del rapporto tra uomo, tecnica e natura, il documentario sia principalmente dedicato alla battaglia “irrimediabilmente perduta” dell’ambientalismo e a lasciare intendere che il successo delle fonti rinnovabili sia dovuto agli interessi di Wall Street, mentre poco si possa fare per sostituire le fonti fossili, responsabili dell’accelerazione del cambiamento climatico. Non è certo il movimento ambientalista a difendere il modello dei venture capitalists americani e la bolla speculativa da loro creata nella seconda metà degli anni 2000, che ha bruciato piú di dieci miliardi di dollari in progetti azzardati come la centrale termodinamica di Ivanpah finanziata da Google, o la Kior di Vinod Khosla di cui si parla nel film. O la Solar City e la Tesla di Elon Musk, esempi magistrali e controversi di crescita speculativa a debito, su cui però Gibbs preferisce sorvolare per attaccare la Chevy Volt di General Motors. Un modello poco interessato a perseguire l’obbiettivo di impiegare fonti naturali decentrate, governate sul territorio, integrate nei cicli naturali il più possibile e, quindi, utili a frenare il brusco cambio climatico in corso.

In effetti, gli impianti rinnovabili presi ad esempio in alcuni stati chiave degli USA, o sono inefficienti (tecnologie messe in opera decenni addietro) o assomigliano del tutto alle centrali puzzolenti da rimpiazzare, con un consumo di suolo, materia ed energia che è in contraddizione con l’approvvigionamento da vento o sole, diffusi ovunque in natura, intermittenti sì, ma oggigiorno stoccabili sotto forma di energia elettrica convertita ad alti rendimenti. Un obbiettivo tutt’altro che inesplorato soprattutto in Europa, ma anche e sempre di più in Asia e Africa e assai meno negli Stati Uniti di Trump. La questione va ben oltre il successo o meno di una pellicola costruita con maestria e, quindi, da vedere e discutere:  si tratta altresì di sostenere o affossare l’unico modello a disposizione al presente, ove fosse abbinato ad un drastico risparmio, per spalmare su scala planetaria una “sufficienza” energetica che consenta di sopravvivere all’intera biosfera, senza sacrificare gli scarti – umani e no – alle pandemie, alle guerre, ai respingimenti dai propri confini e alle catastrofi provocate dall’innalzamento della temperatura.

Gibbs e Zehner (l’esperto) di tutto questo non si curano. “Planet of the Humans” fa disinformazione e dispensa tesi scorrette, volte a sostenere che la transizione energetica e la sostenibilità siano un’illusione, se non addirittura una cospirazione dell’establishment. In una delle scene centrali del film Zehner si fa intervistare da Gibbs e parla del processo di formazione del silicio metallurgico, uno dei materiali precursori nella produzione di celle solari. Descrive come sia un processo industriale in una fornace ad alta temperatura che consuma energia ed emette CO2, per concludere tout-court che le rinnovabili inquinino quanto le fonti fossili. Basta l’analisi del ciclo di vita delle rinnovabili per confutare il colpo gobbo: per i pannelli fotovoltaici, infatti, sono oggi necessari tra gli 1.5 e 2kWh/Wp per la produzione di un sistema solare connesso alla rete elettrica. A seconda di dove venga installato il sistema, ci vorranno tra i 9 ed i 24 mesi per produrre in uscita la stessa quantità di energia immessa nella fabbricazione, a fronte di una vita media di 30 anni dell’impianto. L’emissione di gas serra che ne risulta, anche tenendo conto di un mix energetico ‘sporco’ come quello della rete elettrica cinese, varia tra i 15 ed i 50gCO2 per kWh prodotto, a fronte di 800-1200gCO2/kWh per le fonti fossili. Quindi, dove sta il problema e perché mai proporci le stucchevoli riprese dei generatori diesel a supporto degli amplificatori delle band alimentate a pannelli nei raduni ecologisti?

Il problema, forse, è che le banche non guardano più con molta fiducia al sistema industriale esistente che consuma risorse, produce e distribuisce elettricità in maniera insostenibile, produce pesticidi per l’agricoltura, impone una mobilità indifendibile nei suoi sprechi ed ha trasformato gli Stati Uniti nel primo esportatore al mondo di olio e gas di scisto altamente inquinanti, semplicemente perché questo modello di sviluppo -il Modello Americano- è in crisi e rappresenta un fattore di rischio finanziario elevato. I Bloomberg, i Blood, i Buffet e i Fink sono capitalisti, e se si interessano (un po’) alle rinnovabili è per opportunismo, diversificano, non certo perché si siano convertiti all’ecologismo. Qui, però, c’è il corto circuito. Perché – per usare l’immagine di Roger and Me – è come se Moore tracciasse un parallelo tra lo sviluppo delle energie rinnovabili e le fabbriche Messicane in cui General Motors andava a delocalizzare la produzione negli anni ’90.

I casi discussi in dettaglio in “The Planet of the Humans” non sono certamente difendibili nei loro eccessi, ma, per fortuna, non sono altro che i tentativi più datati e meno rappresentativi delle tendenze con cui è possibile già ora progettare una transizione energetica che sia democraticamente governata e a minima entropia. Il pensiero ecologista ha fatto molti passi avanti rispetto a dove lo vorrebbe il film e, per buona sorte, li ha compiuti al di fuori delle lobby che dominano il mondo finanziario, esibito nel filmato come l’alleato da esorcizzare. Lo spostamento da grandi centrali nucleari o a combustione verso impianti più decentralizzati e più vicini al luogo di fruizione dell’energia prodotta, saranno sempre più diffusi, sia per ragioni ambientali, sia per l’insostenibilità intrinseca e la scarsa sicurezza delle reti a lungo raggio. Parrà strano, ma perfino la pandemia in corso contribuisce a spezzare una lancia in favore di sistemi distribuiti e soggetti a minore manutenzione che, è importante notarlo, già oggi iniziano a fornire continuità e flessibilità nella fornitura di energia pulita a costi competitivi: si pensi che in queste settimane Renew Power, una compagnia indiana, ha vinto una gara per fornire energia elettrica rinnovabile 24ore x7 giorni, con un mix di solare, eolico, idroelettrico e accumulo, a 4 cents/kWh, contro un costo dell’elettricità generato dai combustibili fossili che su scala regionale varia da 5 a 17 centesimi di dollaro per kWh!  

E’ in atto una lenta ma costante crescita di consenso intorno all’approccio di una ecologia integrale, opposto a quello di un “green washing”, anche perché ha il suo presupposto e fondamento nella giustizia sociale. Un sentire che la stessa dinamica della pandemia ha fatto crescere, assieme al bisogno di cura, consolidando una coscienza popolare che constata come “ogni cosa sia legata a tutte le altre” – per dirla con Barry Commoner (1970!) – o che tutto è interconnesso fin dal tempo più remoto e che perciò “niente di questo mondo ci risulta indifferente” – per dirla con la “Laudato Sì” (2015!). Riconoscere la stretta relazione di interdipendenza tra uomo, vivente, natura ed universo sotto la lente specifica dell’energia, significa riuscire a produrre, consumare, vivere e muoversi consumandola secondo lo spazio ed il tempo dei cicli naturali rigenerabili, anziché bruciando in una caldaia e in un baleno il lavoro che i raggi solari hanno depositato nei millenni nelle viscere della Terra.

Energia, il Covid sarà un’insormontabile ‘pietra d’inciampo’. L’era delle fonti fossili è al declino

La scorsa settimana l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha pubblicato la sua Global Energy Review 2020, un’analisi dell’impatto della crisi di Covid-19 sulla domanda globale di energia e le emissioni di CO2.

Vengono analizzati gli sviluppi della caduta di produzione e domanda di energia nei primi quattro mesi del 2020, con la conseguente previsione di possibili traiettorie per il resto dell’anno. I riscontri registrati ed i messaggi lanciati sono assolutamente impressionanti e fanno essi stessi piazza pulita di ogni svista nel presumere che la salute e la cura del Pianeta possano convivere con la crescita economica illimitata e che la loro tutela sia compatibile col modello di globalizzazione fondato sulla combustione delle fonti fossili che ha caratterizzato fin qui l’era “dell’Antropocene”.

La pandemia ha accelerato una crisi già in corso e l’ha fatta precipitare secondo modalità già annunciate, ma mai esplose ai livelli attuali e mai così drammaticamente all’ordine del giorno di centri studi e istituzioni internazionali tutt’altro che eccentriche rispetto al sistema.

È importante osservare come L’IEA non consideri affatto la crisi attuale, ben più profonda e diversa da quella finanziaria del 2008, come un evento passeggero, ma la valuti come un’insormontabile “pietra d’inciampo” nell’evoluzione della civiltà industriale. Si tratta infatti di una crisi che ha connotati speciali: la tradizionale relazione tra Pil e domanda di energia non regge più a causa della natura non strettamente economica dello choc. Alcuni usi energetici, ad esempio, il riscaldamento a gas residenziale o l’uso di elettricità per server o apparecchiature digitali non sono stati interessati a fondo, mentre, sempre ad esempio, il kerosene per aerei, o il carbone per la siderurgia sono crollati molto più rapidamente del declino del Pil.

L’applicazione di misure differenziate di lockdown ha provocato balzi differenziati nei prezzi delle fonti energetiche e picchi di diversa intensità a seconda delle aree geografiche e dei paesi che prendevano misure di confinamento, blocco delle attività, o annunciavano segnali di ripresa. Sotto questo profilo il sistema energetico dei fossili e del nucleare, a struttura fortemente centralizzata e con filiere di approvvigionamento extraterritoriali, ha sofferto assai di più della componente alimentata dalle rinnovabili, che si sono rivelate più flessibili, a costi costanti e contenuti oltre che programmabili e con effetti di minore impatto sulla salute e sull’inquinamento ambientale.

Per avere un’idea dell’effetto Covid -19, si pensi che nella prima metà di aprile il 50% del consumo globale di energia è stato esposto a contrazione, rispetto al 5% della prima metà di marzo. Dato che a maggio molti paesi stanno avviando, anche se solo parzialmente, alcuni settori dell’economia, aprile potrebbe essere il mese più colpito del 2020, a patto che non riprenda il contagio da coronavirus.

I paesi posti in stato di blocco totale stanno registrando un calo medio del 25% della domanda di energia a settimana, mentre i paesi in blocco parziale registrano comunque un calo medio non inferiore al 18%. Se si esaminano i grafici di consumo esposti dall’IEA si nota che “ogni giorno è domenica: la forma della domanda assomiglia lungo l’intera settimana a quella di una domenica prolungata”. La domanda globale di carbone è stata la più colpita, scendendo di quasi l’8% rispetto al primo trimestre del 2019. Tre sono le ragioni che spiegano questo calo: la Cina, un’economia basata sul carbone, è stata la nazione più colpita da Covid-19 nel primo trimestre; gas a basso costo e crescita continua nelle energie rinnovabili altrove hanno sfidato il carbone; il clima mite ha limitato il consumo per riscaldamento.

A metà aprile, l’attività globale di trasporto su strada era quasi del 65% inferiore alla media del 2019 e per l’aviazione inferiore all’80%. Di conseguenza, la domanda di petrolio è diminuita di quasi il 5% nel primo trimestre, ed è crollata del 55% ad inizio del secondo trimestre. L’impatto sulla domanda di gas è stato più moderato, anche se si è accentuato a cominciare da aprile. Le energie rinnovabili sono state l’unica fonte che ha registrato una crescita della domanda (+ 1,5% su base annua), trainata da una maggiore capacità installata (+ 160 GW) e dal dispacciamento prioritario in rete. In definitiva, le riduzioni della domanda hanno aumentato la quota di energie rinnovabili anche per quanto riguarda la fornitura di energia elettrica.

Per l’intero 2020, anche nel caso di un recupero graduale, la domanda globale di energia si contrarrà – secondo le previsioni – del 6%, il più grande calo in 70 anni in termini percentuali e il più grande mai registrato in termini assoluti. L’impatto di Covid-19 sulla domanda di energia nel 2020 sarebbe oltre sette volte maggiore dell’impatto dovuto per la crisi finanziaria del 2008 sulla domanda globale di energia.

Mentre nel computo annuo fossili e nucleare tornerebbero a livelli non superiori a quelli del 2012, si prevede che la domanda di energie rinnovabili debba aumentare, sia per i bassi costi operativi sia in ragione dell’accesso preferenziale a molti sistemi di alimentazione (+ 1% per la domanda totale di energia; + 5% per la domanda di energia elettrica).

Infine, per quanto riguarda le emissioni di CO2, la previsione è di un contenimento dell’8%, ai livelli di 10 anni fa e due volte più grande del totale combinato di tutte le riduzioni precedenti dalla fine della seconda guerra mondiale. Ancora troppo poco e con il rischio che il tentativo ostinato di riavviare l’economia “come prima” non provochi dall’autunno un letale rimbalzo. Per questo la decarbonizzazione deve rimanere al centro della necessaria riconversione ecologica e di una modifica degli stili di vita. Una cura indispensabile per il Pianeta e la salute umana che richiede – tra l’altro –infrastrutture energetiche più pulite e più resilienti. Mi torna sempre il pensiero alla riconversione del sito carbonifero di Civitavecchia, dove è maturo un salto di progettualità di cui proverò ad occuparmi in un prossimo post.

L’articolo Energia, il Covid sarà un’insormontabile ‘pietra d’inciampo’. L’era delle fonti fossili è al declino proviene da Il Fatto Quotidiano.

Coronavirus ed emergenza climatica, dalla nuova Collana ESC

DAL 30 APRILE DISPONIBILI IN EBOOK I PRIMI 9 TITOLI DELLA NUOVA COLLANA ESC, NATA PER RACCONTARE COME VIVREMO DOPO L’EMERGENZA COVID-19 E PREPARARCI ALLE SFIDE CHE DOVREMO AFFRONTARE

Il mondo non sarà più lo stesso, l’emergenza COVID-19 che ha segnato le nostre vite negli ultimi mesi, stravolgendo il mondo che ci circonda, diventerà qualcosa con cui dovremo imparare a convivere. La nuova Collana ESC edita da Castelvecchi vuole raccontare quello che è stato e le sfide che dovremo prepararci ad affrontare. Professionisti ed esperti di varie discipline ci aiuteranno a riflettere sui cambiamenti in atto in ogni settore delle nostre vite: scuola, sanità, economia, clima, diritti, tecnologie e molto altro.

LA COLLANA ESC È DISPONIBILE SU TUTTE LE PIATTAFORME DI ECOMMERCE AL COSTO DI 2,99 € PER CIASCUN TITOLO

Raffaele Mantegazza La scuola dopo il Coronavirus 

Ivo Lizzola Un senso a questi giorni. Conversazione con Pierluigi Mele

Pier Virgilio Dastoli Unione Europea: bilancio dei beni comuni 

Mario Agostinelli Coronavirus ed emergenza climatica 

Tonino Perna Pandeconomia 

Francesco De Filippo Dai serpenti di Wuhan alle aragoste di Portofino

Carlo Saitto Le politiche sanitarie e il Coronavirus

Paolo Benanti Se l’uomo non basta. Speranze e timori nell’uso della tecnologia contro il COVID-19 

Pietro Battiston e Roberto Battiston La matematica del virus. I numeri per capire e sconfiggere la pandemia

I PROSSIMI TITOLI

Alain Badiou Sulla situazione epidemica Boaventura De Sousa Santos La crudele pedagogia del virus – AA.VV. Il contagio del pensiero. Filosofia, antropologia, pandemia – AA.VV. Virus e logos. «Guardare avanti: esercizi di utopia razionale» e in arrivo anche i contributi di Derrick De Kerkhove, Giuseppe De Marzo, Andrea Ranieri e Giuseppe Iorio.

Coronavirus, la fonte energetica più tradizionale si sta spegnendo: siamo in un’era nuova

La crisi da pandemia ci restituirà un mondo diverso. Lo si dice da più parti, anche perché si sta spegnendo, anche per una ragione di convenienza, la fonte energetica più tradizionale, che aveva reso possibile una crescita che, al più, si sarebbe dovuta governare, non rapidamente accantonare.

Da settimane i principali indici dei prezzi del petrolio oscillano, con brusche cadute e leggere risalite, fino ad assumere valori negativi, ben oltre quindi la grande crisi finanziaria del 2008 e 2009. Bloomberg ha titolato Il mercato del petrolio è in pezzi al punto che esiste il rischio di far saltare gli assetti geopolitici del mondo e, con un eccesso di offerta a prezzi stracciati, di dare la stura al mantenimento per un lungo periodo delle centrali termiche e dei veicoli a combustibile, ulteriormente vanificando gli sforzi per tenere sotto controllo il riscaldamento climatico.

In effetti, siamo di fronte ad una situazione assai complicata: è in corso, anche a causa dell’epidemia, una recessione globale e pesante; si è affacciato sul mercato un prodotto competitivo estratto in modo non tradizionale (lo “shale oil” prodotto negli Stati Uniti con la tecnica del fracking), e c’è il rifiuto dell’Arabia Saudita, impegnata in una faticosa alleanza con la Russia, di sobbarcarsi da sola il compito di tenere alti i prezzi del greggio per indebolire la concorrenza del prodotto estratto al di là dell’Atlantico.

Fino a questo ultimo mese il saliscendi del prezzo dei fossili sembrava tutto giocato all’interno della filiera degli idrocarburi, nella contesa sostanzialmente tra i due maggiori esportatori concorrenti dotati di tecniche tradizionali (Arabia e Russia) e il nuovo arrivato (Stati Uniti) che si rifornisce in casa propria di olio di scisto.

Ma il dilagare del coronavirus, che dall’inizio del 2020 sta mettendo in quarantena intere popolazioni e riducendo al lumicino le attività produttive e gli stessi consumi, non si direbbe solo una questione economica o sanitaria: con una aggressività inedita e una rischiosità imprevedibile evoca l’incertezza della permanenza della nostra vita sulla Terra. È così profondo il turbamento provocato da far pensare ad un “dopo” in discontinuità con il “prima”.

Rivedere a fondo il modo di produrre richiederà senz’altro anche un’accelerazione nei processi di decarbonizzazione. Il che porta a propendere più per lo smantellamento della poderosa rete dei fossili, anziché correre ai ripari con ingenti investimenti sulla salute, che sarebbe comunque destinata a peggiorare a velocità maggiori delle capacità di contenimento dell’inquinamento e delle catastrofi climatiche dovute al ricorso ai combustibili climalteranti.

Tanto vale allora vendere tutto il vendibile prima possibile, e investire i proventi in qualcos’altro (magari fonti rinnovabili, batterie, reti intelligenti etc.). Il lockdown di un paese dopo l’altro, con auto ferme, fabbriche chiuse e stop dei voli, ha provocato lo stop a nuovi investimenti nel settore estrattivo, il riempimento delle riserve strategiche disponibili e perfino la navigazione in acque extraterritoriali di grandi petroliere noleggiate e riempite di greggio.

Due sono le possibilità di uscita: usare prezzi stracciati dei fossili con l’inevitabile aumento delle emissioni di CO2 o, al contrario, accelerare verso la transizione alle fonti rinnovabili e al risparmio, disponendo di un sistema decentrato sul territorio, che si approvvigiona e consuma in forme cooperative e che riduce gli sprechi e gli effetti sull’ambiente e la salute.

La recessione in corso, a prima vista, fa pensare che energia a bassi costi sia un obbligo da sfruttare, almeno in un’ottica capitalista e aziendale. Ma l’opinione pubblica – ferita dall’esperienza e dalla genesi del coronavirus, non certo separabile dagli stili di vita e dal degrado presente nell’atmosfera – non sarà più facilmente disponibile a giocarsi il futuro di figli e nipoti per riprendersi tal quale un presente, oltretutto precario, insalubre e giocato sul filo delle guerre commerciali.

La pandemia ha spostato lo scenario in cui si discuteva della possibile carenza di fonti esauribili come petrolio, gas e carbone: il picco di Hubbert sarà quasi sicuramente raggiunto prima dalla domanda che non dall’offerta e lo stop e il prezzo degli idrocarburi non saranno determinati dallo svuotamento dei pozzi, ma dal rifiuto di impiegarli per i danni che hanno a che fare con la biosfera prima che con la geopolitica.

Nei fatti, ci si è preoccupati a lungo e sbagliando di prevedere prima di tutto il “peak oil”, il momento in cui la produzione avrebbe toccato il massimo per poi iniziare a diminuire: invece, al ,punto in cui siamo, si è capito che sarebbe arrivato prima il “peak demand”, il momento in cui la domanda mondiale sarebbe cominciata a calare. Non è una rivoluzione da poco, anche nel nostro modo di pensare: siamo in un’era nuova. E chi non ne vuole tener conto, vuole che l’Antropocene, in cui presuntuosamente diciamo di essere entrati, duri davvero poche generazioni.

Avanzano pensieri e visioni nuove che non avremmo pensato di veder piovere sulla Terra così presto e con così tanta angoscia. Peggio sarebbe però insistere e riproporsi di continuare a progettare il Pianeta come un proprio manufatto. Un mondo tutto sotto controllo, disconnesso dalla natura e dal resto del vivente, da consumare solo da parte di pochi, con un meccanismo vorace e predatorio, da cui ci si separa sempre più di rado.

Colpisce che tra le attività che non sono state poste in lockdown dal Governo durante la pandemia ci siano quelle estrattive e che, a quanto mi giunge notizia, stiano per attraccare a Civitavecchia carboniere di grandi dimensioni, per il cui scarico potrebbero circolare centinaia di autotreni dal porto verso la centrale, con spargimento di pulviscolo inquinante, consegnando all’Enel una città in ginocchio proprio quando la riconversione dell’area a fonti non fossili e a immagazzinamento di idrogeno potrebbe essere dietro l’angolo!

L’articolo Coronavirus, la fonte energetica più tradizionale si sta spegnendo: siamo in un’era nuova proviene da Il Fatto Quotidiano.