Colloqui di Dobbiaco 26 -27 ottobre 2020

Mario Agostinelli- Colloqui di Dobbiaco 26-27 ottobre 2020

La pandemia da Covid-19 ha colpito in modo improvviso cogliendo la comunità globale imprepara. La reazione degli stati nazionali europei, in primis l’Italia, seguita da Germania, Austria, Spagna, Francia, Inghilterra e gli altri Paesi, è stata drastica. Economia, trasporti, vita sociale e culturale si sono praticamente arrestati con restrizioni necessarie, ma di non facile né scontata accettazione delle stesse libertà civili. Nessuno ha negato gli alti costi materiali e psicologici di questo isolamento, ma ciononostante c’è stata una reazione matura e diffusa nel campo ecologista e della giustizia sociale: la reazione all’epidemia ha mostrato cosa è possibile quando un pericolo per tutta l’umanità viene preso sul serio. L’inquinamento atmosferico e acustico è diminuito notevolmente, i pesci sono tornati nelle acque limpide dei canali di Venezia e l’aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera terrestre è rallentato.

Cosa significa la pandemia, che tutti sperano si plachi prima possibile, per l’epocale crisi del caos climatico che continuerà a dominare i prossimi decenni? Si sono aperti spazi di opportunità negli ultimi mesi e come sarebbe opportuno utilizzare attivamente queste potenzialità?
Ascolteremo dai relatori dei Colloqui di Dobbiaco 2020, che hanno recentemente fornito contributi innovativi al dibattito su come comprendere gli eventi, lo stato delle loro riflessioni e discuteremo con loro del futuro che vogliamo, ma soprattutto di cosa si dovrebbe fare per dare una possibilità a questo futuro.

Civitavecchia, lo snodo visibile e attuale della transizione energetica

Da tempo pongo sotto esame la riconversione della centrale a carbone di Civitavecchia come snodo visibile e attuale della transizione energetica, che non può certo essere dilazionata nel tempo dalla persistenza dei segni della pandemia.

Come afferma da New York Dan Gearino – uno dei massimi esperti – in Inside clean energy del 4 settembre, “siamo nel bel mezzo della transizione verso l’energia pulita, ma potreste anche non averlo notato”. Infatti, dagli schermi, dalle onde radio o dalle pagine dei giornali la notizia del giorno sposta quella del giorno prima e il cambiamento che dobbiamo affrontare sembra sempre fuori portata al momento giusto.

Nonostante i suggerimenti di mille task force, ancora non è ben chiaro come si intendono spendere o meglio investire in modo produttivo e coerente i 209 miliardi in arrivo con il Recovery fund. Tra i settori strategici occorrerà mettere in conto prioritario l’energia pulita e la digitalizzazione delle reti. Nella classifica europea relativa alla fornitura di servizi pubblici digitali, l’Italia si trova al 19esimo posto, mentre siamo solo 16esimi per la spesa in investimenti e ricerca nelle tecnologie verdi. Vogliamo continuare ad essere fanalini di coda?

Una grande occasione per ridisegnare l’intera area carbonifera, portuale, industriale turistica e paesaggistica fa la sua prova a Civitavecchia, dove le associazioni ambientaliste locali, assieme agli studenti e ad un numero crescente di cittadini ed esperti, si stanno attrezzando per cogliere la sfida lanciata dall’Europa, che ha posto al centro della sua strategia di contrasto ai cambiamenti climatici proprio lo sviluppo dell’idrogeno verde da rinnovabili, mettendo a disposizione enormi risorse e de-finanziando gli investimenti sui combustibili fossili.

Alcune nazioni, Francia e Germania in testa, rispettivamente con uno stanziamento di 7 e 9 miliardi, hanno già da tempo investito risorse proprie: a Cernobbio l’Italia, secondo l’articolista del Corriere della Sera presente al meeting, ha dichiarato di volersi unire ad esse, nella previsione di 540.000 nuovi posti di lavoro. La notizia è stata ripresa in scarni trafiletti da Repubblica e dal Sole 24 ore, ma è durata lo spazio di un mattino.

Negli stessi giorni, il candidato alla presidenza democratica degli Usa Joe Biden ha proposto un piano per il clima e l’energia pulita che mira a portare il paese a zero emissioni nette entro il 2050. Lo stesso è stato affermato da Ursula von der Leyen per l’Ue. Annunci imprudenti? Niente affatto: oggi l’economia è cambiata così tanto da poter essere decarbonizzata fornendo incredibili vantaggi economici e occupazionali, mentre gli effetti del cambiamento climatico, assai più vistosi di dieci anni fa, rendono la fuoriuscita dal carbonio un obiettivo necessario e popolare.

Mentre città, borghi, alcune aziende – e spesso chiese – sono diventati ispiratori nell’affrontare il cambiamento climatico, i governi ascoltano distrattamente le menti più lucide e continuano a stare attaccati ai posti di lavoro nelle filiere fossili e inquinanti, spesso perfino con il consenso dei sindacati. Eppure, sono molti gli studi che affermano che verranno benefici non solo per il clima e l’ambiente, ma anche per le tasche dei consumatori. Proviamoci, allora, in fretta e a partire da dove la situazione si mostra più foriera di successo.

Dato che non è assolutamente vero che il gas debba avere una funzione strategica nella transizione energetica dobbiamo solo progettare dove e come vada concretamente, vantaggiosamente rimpiazzato da tecnologie e sistemi più moderni e adatti alla partecipazione e alla salute dei cittadini. Il caso di Civitavecchia è lampante.

Enel punta a chiudere i suoi quattro impianti a carbone sul territorio italiano entro il 2025. Nel suo piano industriale 2020-2022 investirà il 50% del capex totale del piano in “decarbonizzazione del parco impianti a livello globale”. Entro il 2020 la multinazionale dell’energia prevede di sviluppare 14,1 Gw di nuova capacità rinnovabile, pari al +22% rispetto al piano industriale precedente. Perché mai la sostenibilità per il colosso energetico multinazionale non dovrebbe essere un fattore abilitante fondamentale anche per la sua strategia finanziaria nel Paese di origine oltre che prevalentemente all’estero?

Ci sono forse patti con Eni o altri interessi che lo impediscono? Il sindaco di Civitavecchia Ernesto Tedesco, contraddicendo l’amministratore delegato di Enel Tamburi, si è chiesto perché “anche qui, come a Taranto non si debba parlare di rinnovabili e sviluppo di idrogeno verde” mentre il consigliere regionale dei Cinquestelle Devid Porrello presentava una mozione per creare una cabina di regia per lo sviluppo dell’idrogeno nel Lazio.

Al più presto gli elettori – chiamati a risparmiare (?!) sulla politica – verranno informati che già il 14 settembre il Parlamento europeo si è misurato con la possibilità di contribuire a liberare le regioni europee dai combustibili fossili e di sostenere la creazione di un vero sviluppo e di nuovi posti di lavoro sostenibili.

Gli eurodeputati in quel giorno voteranno in plenaria sul Fondo Just Transition (per la giusta transizione) da 17,5 miliardi di euro, che mira a sostenere gli Stati membri dell’Ue nella loro transizione verso la neutralità climatica. Quella è già un’occasione per ribaltare la posizione regressiva della Commissione per gli affari regionali del Parlamento Ue, che ha votato a favore dell’ammissibilità del gas al finanziamento del Fondo per la Just Transition. La partita è complessa e non si chiude definitivamente in questi giorni, ma sarà in ogni caso riesaminata a livello nazionale e locale.

Io credo che quello di Civitavecchia sia un caso esemplare, che proverò a riprendere su questo blog anche con il conforto dei massimi esperti sulla transizione energetica pulita e verde, di cui il Paese ha bisogno per costruire parchi alimentati da fonti rinnovabili, da linee di trasmissione per elettricità e idrogeno, per fornire energia eolica e solare dalle aree rurali ai centri abitati, consentire una mobilità meno inquinante, rifornire i porti, i litorali e le ferrovie di alimentazione libera da CO2.

Erano questi tutti settori valutati come fonte di posti di lavoro in rapida crescita prima della pandemia e, senza dubbio, rimangono tali a disposizione dell’unica possibile ripresa: quella non uguale a prima. Tanto più a Civitavecchia, da troppi anni martoriata dagli scarti di produzioni nocive e dove una sospensione della conferenza dei servizi prevista per ottobre potrebbe dare il tempo necessario per un approfondimento, anche alla luce delle novità provenienti dall’Europa e dalla piena informazione e consapevolezza dei cittadini, dei loro movimenti, delle loro istituzioni.

L’articolo Civitavecchia, lo snodo visibile e attuale della transizione energetica proviene da Il Fatto Quotidiano.

Civitavecchia: con l’idrogeno verde ha l’occasione di mettere d’accordo economia e ambiente

C’è un autentico fervore attorno agli auspici dell’Unione Europea per un impiego dell’idrogeno verde (cioè prodotto per idrolisi da rinnovabili) all’interno di un profondo rifacimento del sistema energetico continentale. Naturalmente, essendo uno dei caposaldi della riconversione ecologica, le lobby e i poteri economici dei vari settori si stanno già scontrando aspramente a favore del cambiamento o della conservazione.

La competizione – ovvero lo scontro – maggiore è tra uno spostamento deciso verso i vettori elettricità e idrogeno rispetto al mantenimento di un ruolo massiccio del metano in una lunga e perniciosa fase di transizione. Ho già trattato in post precedenti la questione e accreditato la scelta del superamento definitivo del gas confortandola con il suffragio di studi recenti e assai prestigiosi.

Naturalmente, la tragedia della pandemia in corso ha reso ancor più stringente una scelta che non aggravi le condizioni climatiche, di salute, di inquinamento derivanti dalla combustione di carbone, gas e petrolio. Ora si tratta di mettere urgentemente sul tavolo piani di fattibilità esemplari laddove i danni dell’assetto energetico precedente ha maggiormente martoriato i territori.

La situazione di Civitavecchia è per questioni oggettive (un carbonifero da tempo insostenibile) e per una collocazione geografica favorevole (uno snodo logistico con un porto al bordo del terreno della centrale da smantellare), da trattare con priorità assoluta, anche perché può godere della presenza di una elevata coscienza diffusa tra la cittadinanza, sostenuta da comitati locali per le rinnovabili e contro i fossili, nonché dalla presenza di grande attenzione tra gli studenti preoccupati per il loro futuro. A quanto ne so, la stessa Amministrazione locale e la Regione Lazio risultano informati delle prospettive di riconversione aperte.

Ora si pone una questione cruciale, che spesso ha privato il nostro Paese di occasioni straordinarie. Ne so qualcosa da quando la Fiat e la Giunta Lombarda, nel primo decennio del 2000, hanno fatto saltare la riconversione dell’Alfa Romeo di Arese ad un progetto di mobilità sostenibile che avrebbe anticipato la svolta in corso sul traporto “dolce”. La questione riguarda i tempi e l’accelerazione delle decisioni da prendere per evitare lo smacco della destinazione dei fondi europei ad altre nazioni più sollecite nell’avanzare progetti innovativi realizzabili.

Per ora in Italia Centrale è stato avanzato un piano di Aecom per la ricostruzione delle aree terremotate nel 2016 attraverso quattro macro-aree di intervento, con produzione e utilizzo di idrogeno verde tra l’Appennino abruzzese e i territori coinvolti nel sisma del 2016, l’idrogenizzazione delle ferrovie abruzzesi, compresa quella che collega Fiumicino alla costa adriatica.

Tutto bene, a meno che, tra qualche anno, non accada il paradosso di ritrovarci a pagare alla multinazionale americana Aecom l’idrogeno ed i servizi da questa prodotti ed implementati grazie ai soldi destinati al Recovery Fund da loro utilizzati! Qui una domanda sorge spontanea: ma perché aziende italiane, specie quelle a maggioranza e controllo pubblico tipo, Enel, Eni, Snam etc. non hanno pensato loro a sviluppare questi progetti?

Così Enel a Civitavecchia e in Italia rischia di perdere il treno dell’idrogeno. Perché invece non rilancia anche per qualità e quantità occupazionale una città che tanto ha contribuito all’economia del Paese, subendo impatti, diseconomie e purtroppo anche malattie?

Bonifichi e sviluppi, insieme ad altri partner tecnologici, un centro di ricerca di energia sulle fonti rinnovabili di frontiera, anche rivolte alle attività portuali, mentre l’area della centrale smantellata diventi il sito di produzione fotovoltaico di idrogeno verde, con solare ed eolico on ed off-shore così da fornire elettricità e idrogeno a tutte le attività di prossimità.

il tessuto economico è da troppi anni logorato dalla monocultura energetica, che ha portato la città alla subalternità alle scelte dell’Enel, subendo da tempo, per di più, il pesante inquinamento dovuto al carbone. Ora il carbone è in dismissione, e oltre al danno viene proposta la beffa di una riconversione fossile a gas che oltre ad essere climalterante non è neanche lontanamente in grado di compensare l’occupazione persa dalla giusta dismissione del carbone.

Il porto, mai decollato come importante nodo logistico, è tra i primi porti del mediterraneo per attività crocieristica. La città subisce l’inquinamento delle grandi navi, ma per la sua economia il turismo crocieristico è di impatto minimo. Ed ora la pandemia ha dato il colpo finale anche a quel minimo impatto del turismo da crociera: rimane solo l’inquinamento delle navi ormeggiate.

Oggi Civitavecchia si trova indiscutibilmente ad essere area di crisi economica ed industriale, il progetto Idrogeno verde al posto del gas può essere la risposta in piena coerenza con le linee guida della Commissione Europea nonché con le condizionalità ambientali richieste per l’accesso ai fondi europei.

L’idrogeno così prodotto in particolare sul terreno dell’ex centrale a carbone e integrato e messo in rete con altri siti alimentati da rinnovabili (comprese maree, eolico e pompe di calore) sarà stoccato per un suo successivo riutilizzo come combustibile chimico per sistemi a fuel cell, con utilizzo nei trasporti e nella generazione di potenza, senza rilascio di CO2 e inquinanti.

Le norme europee, le regole del Recovery Fund e i piani di investimento da programmare renderebbero la centrale a gas di Civitavecchia, come tutte le nuove centrali a gas in via di costruzione, già obsolete prima di aver messo il primo mattone in opera. Non è un buon modo di utilizzare denaro pubblico, soprattutto nel quadro della situazione di crisi e degli impegni da prendere in Europa.

Con la riconversione qui prospettata si unirebbero risanamento ambientale e ripresa economica e ne uscirebbero avvantaggiati (win-win) una volta tanto sia i cittadini, che gli occupati, che le istituzioni, che le imprese, una volta tanto rispettose dell’ambiente e della salute.

L’articolo Civitavecchia: con l’idrogeno verde ha l’occasione di mettere d’accordo economia e ambiente proviene da Il Fatto Quotidiano.