Sabato 13, manifestazione a Milano

Domani, sabato 13 novembre, ci troveremo insieme ai Comitati per l’acqua pubblica a manifestare il nostro dissenso sulle politiche energetiche della Regione Lombardia.

Il Comitato Energia Felice sarà presente con uno striscione alla manifestazione sotto al Pirellone per appoggiare l’appello che chiede di non svendere l’acqua ai privati.

Maggiori informazioni: www.contrattoacqua.it

APPELLO PER L’ACQUA PUBBLICA IN LOMBARDIA

Con il presente appello chiediamo al Consiglio della Regione Lombardia di NON approvare il progetto di legge sui servizi idrici in applicazione del cosiddetto Decreto Ronchi che, di fatto, obbliga a cedere ai privati la gestione dell’acqua. Il rischio è che l’acqua di tutta la Lombardia finisca nelle mani di poche imprese private, italiane o straniere, interessate solo a fare profitto; in tal modo si porrebbe fine alle virtuose gestioni pubbliche che, in alcune province della Lombardia, risultano all’avanguardia a livello europeo. Inoltre chiediamo che i Comuni non vengano espropriati del ruolo decisionale nel governo dei servizi idrici, ora affidato alle Autorità d’Ambito territoriale (A.ATO).
Il Coordinamento regionale per l’acqua pubblica ricorda che a sostegno dei 3 Referendum contro la privatizzazione dell’acqua, in Lombardia sono state raccolte 237 mila firme, su un totale nazionale di 1 milione e 400 mila (www.acquabenecomune.org). Con la loro firma, attraverso la richiesta di referendum, questi cittadini hanno posto un imprescindibile questione di democrazia: la gestione di un bene essenziale alla vita non può essere delegata ad alcuno, ma deve appartenere a tutti. È bene inoltre ricordare che, negli scorsi anni, in Lombardia si è attivata una vasta mobilitazione popolare contro le precedenti Leggi Regionali in materia di servizi idrici, in particolare contro le L.R. n. 21/1998 e n. 18/2006, per le parti che imponevano la privatizzazione dell’acqua. A sostegno di tali mobilitazioni si sono attivati i Comuni; nel 2007 ben 144 Consigli
Comunali della Lombardia hanno deliberato contro la L.R. 18/2006, ottenendone la cancellazione e la sostituzione con una nuova legge che reintroduceva la possibilità dell’affidamento diretto ad aziende totalmente pubbliche.
Chiediamo pertanto alla Regione e ai Comuni della Lombardia di fermare tutte le iniziative e i processi di riorganizzazione della gestione del servizio idrico che avviano le gare o predispongono l’ingresso dei privati nelle società; tutte le manovre societarie di inglobamento da parte dei grandi gestori nei confronti delle piccole gestioni.
Chiediamo infine al Consiglio Regionale e alle forze politiche di chiedere al Governo e al Parlamento l’approvazione, entro il 31.12.2010, di un provvedimento di MORATORIA sulle scadenze previste dal Decreto Ronchi e sulla normativa di soppressione delle Autorità d’Ambito territoriale.

Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati per l’Acqua Pubblica

I Comuni sul Po: NO al nucleare!

Più di trecento persone hanno partecipato all’assemblea del Coordinamento anti-nucleare, indetta dal Comune di Viadana per concordare iniziative di contrasto e di protesta contro la realizzazione di una centrale nucleare. Al termine di oltre due ore di dibattito, è stata lanciata una bozza di documento, da sottoporre a tutti gli enti locali del Po, contenente proposte a 360 gradi (raccolte firme, incontri pubblici, sostegno alle fonti alternative, mozioni, manifestazioni).

Leggi l’articolo della GAZZETTA DI MANTOVA >>>

Sole o petrolio per produrre il cibo?

Relazione di Mario Agostinelli al seminario “Cibo e sostenibilità ambientale”, Milano – 6 novembre 2010

1. I CONFLITTI

Oggi c’è un conflitto molto acuto per la destinazione ad usi energetici di Terra, Acqua e Foreste. Si trascura abitualmente l’implicazione energetica della produzione di cibo, in particolare quello legato all’allevamento. Non esiste al riguardo “narrazione” adeguata. Ad esempio, l’abbattimento di foreste per produrre energia, ha l’effetto di rilasciare in atmosfera carbonio che altrimenti sarebbe sequestrato, in modo non molto diverso da quello che si ha con l’estrazione e la combustione di combustibili fossili. Le bioenergie possono ridurre l’anidride carbonica atmosferica, se le piante e il suolo riescono ad assorbire più anidride carbonica di quella che avrebbero assorbito senza le bioenergie stesse. In alternativa, le bioenergie possono essere prodotti con residui vegetali, che si sarebbero altrimenti decomposti, rilasciando carbonio in atmosfera. Che il suolo e le piante sequestrino carbonio supplementare per compensare le emissioni della combustione di biomassa, dipende dal tasso di crescita delle piante e dell’assorbimento del carbonio nella biomassa e nel suolo. D’altra parte, l’abbattimento di foreste per produrre energia, sia per bruciare il legno direttamente nelle centrali o per sostituire la foreste con colture bioenergetiche, ha l’effetto di rilasciare in atmosfera carbonio che altrimenti sarebbe sequestrato, in modo non molto diverso da quello che si ha con l’estrazione e la combustione di combustibili fossili. Questo crea un debito di carbonio, può ridurre l’assorbimento di carbonio da parte della foresta, e possono quindi aumentare le emissioni nette di gas serra per un lungo periodo di tempo prolungato, incompatibile con gli obiettivi di riduzione indicati per i prossimi decenni. La lezione è che ogni legge o regolamento volto a ridurre le emissioni di gas serra, deve includere una differenziazione delle emissioni da bioenergia in base all’origine della biomassa.

2. LA RIVOLTA DEL CIBO

La crisi alimentare del 2007-2008 ha rimesso cibo e agricoltura al centro della scena. La fiammata dei prezzi che la caratterizzò è stata analizzata come evento congiunturale, ma oggi appare come debolezza del sistema di governance globale che non contrasta le previsioni di prezzi elevati per i generi alimentari nel prossimo decennio e di contemporanea compressione dei redditi dei produttori agricoli.

Le distorsioni della filiera, caratterizzata da una crescente concentrazione, il dirottamento della risorsa alimentare verso tuttora crescenti utilizzi energetici e verso una ipertrofica zootecnia industriale, così come i fenomeni speculativi che agiscono a livello finanziario e tramite l’accaparramento di derrate nei periodi di scalata dei listini, contribuiscono a dare un carattere strutturale alla fragilità del sistema agroalimentare. L’offerta –mercantile- di sementi di varietà migliorate, non escluse quelle transgeniche, di pesticidi e fertilizzanti assumerebbe così un carattere umanitario per garantire messi crescenti a un’umanità sempre afflitta da problemi demografici. Vetrina per questa retorica è l’Africa. L’assunto è che se nel 2050 saremo più di 9 miliardi avremo bisogno di molto più cibo che solo una modernizzazione complessiva dell’apparato produttivo può garantire. Vittime predestinate di questo approccio sono i produttori di cibo, per definizione pre-moderni, e il contributo che il lavoro e il presidio sul territorio rurale offrono, rimpiazzati da tecnologie, capitali ed energia fossile.

L’interconnessione delle molteplici crisi che emergono in questi anni –ambientale, climatica, economica, sociale, occupazionale, oltre che alimentare- rendono piuttosto evidente come una produzione di piccola scala, diffusa, inclusiva, ecologica presenti soluzioni e ammortizzatori per molte di tali tensioni. Un miliardo e trecento milioni di produttori di cibo non possono più essere visti come bacino di manodopera di sostituzione per l’industria (tra l’altro ormai impossibile da assorbire) o retaggio di un passato, ma come la componente chiave di un rilancio dell’attività agropastorale capace di leggere e curare il caos climatico, di gestire e valorizzare le risorse naturali, di alimentare i mercati interni accorciando e ricontestualizzando anche culturalmente le dinamiche di consumo alimentare

3. IL CONSUMO ENEGETICO

Le componenti dell’agricoltura industriale moderna più energivore sono la produzione di concimi chimici azotati, le macchine agricole e l’irrigazione artificiale con pompe a motore. Rappresentano più del 90% di tutta l’energia consumata direttamente o indirettamente dall’agricoltura e ne costituiscono gli elementi essenziali. Le emissioni di anidride carbonica provenienti dall’uso di combustibili fossili per fini agricoli in Inghilterra e in Germania toccano rispettivamente 46 e 53 chilogrammi l’ettaro, mentre sono solo 7 chili, cioè sette volte di meno nei sistemi agricoli non meccanizzati.

La produzione di cereali e legumi con l’agricoltura moderna richiede da 6 a 10 volte più energia che coi metodi agricoli durevoli. Si può ribattere che adottare fonti di energia rinnovabili, come l’eolica e il solare, le onde del mare e le pile a combustibile permetterebbe di evitare il consumo di energia per proteggere il nostro clima. Dobbiamo sviluppare un sistema agricolo che non provochi danni al clima e anzi sia in grado di contribuire a ricostruire la fertilità del suolo. Coloro che sono impregnati dall’ideologia del progresso si sorprenderanno nel sapere che un sistema del genere è molto simile a quelli praticati una volta dai nostri lontani antenati e ancora in atto nelle zone più isolate del terzo mondo, che sono riuscite a restare, in certa misura almeno, fuori dall’orbita del sistema industriale.

I piccoli agricoltori sono degli ammirevoli amministratori delle loro risorse di terra, capitale, fertilizzanti ed acqua. Che piaccia o no, l’agricoltura industriale moderna è destinata a scomparire. Si dimostra sempre meno efficiente. Infatti, i concimi chimici hanno rendimenti decrescenti. Nel 1999 la produzione mondiale di grano è diminuita per il secondo anno di seguito, scendendo a 589 milioni di tonnellate, cioè il 2% in meno rispetto al 1998. Un’altra ragione per la quale l’agricoltura industriale è destinata a sparire, anche senza cambiamento climatico, è la sua vulnerabilità agli aumenti del prezzo del petrolio L’agricoltura senza petrolio, anche quella tradizionale, è la soluzione ai problemi della fame.

4. CIBO E ENERGIA

Ambiente ed economia, del resto, sono legati dalla quantità di risorse che la terra mette a disposizione di ciascun essere vivente, anche se la fame nel mondo non è solo una questione di quantità di risorse, ma di distribuzione. Scrive Rifkin: “milioni di occidentali consumano hamburger e bistecche in quantità incalcolabili, ignari dell’effetto delle loro abitudini sulla biosfera e sulla sopravvivenza della vita nel pianeta. Ogni chilo di carne è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, di milioni di tonnellate di anidride carbonica e metano rilasciate nell’atmosfera”. La produzione di carne è responsabile da sola del 18% delle emissioni globali di gas.

5. ALLEVAMENTI

Sappiamo tutti quanto il fumo passivo delle sigarette sia dannoso per la salute, ma per quanto concerne l’impatto ambientale del fumo emesso durante la cottura della carne nei fast-food fino ad oggi non si sapeva ancora molto. Deborah Gross ha lavorato sulla misurazione e sulla comparazione delle particelle solide e liquide emesse durante la cottura dei cibi più diversi con apparecchi commerciali quali forni, piastre e girarrosto. Nel corso di queste prove e della messa a confronto dei vari apparecchi per cuocere la carne ed i cibi, gli studiosi hanno scoperto che i cibi grassi cotti ad alte temperature – in particolare quelli cotti direttamente sulla fiamma – sono quelli che producono il più alto livello di emissioni. Queste pietanze sono tra i più grandi autori di reati ai danni dell’ambiente, ed includono i consumatissimi hamburger ed il pollo fritto: ogni 1,000 libbre di hamburger cotti si producono ben 25 chili di emissioni. Ogni hamburger equivale a 6 metri quadrati di alberi abbattuti e a 75 chili di gas responsabili dell’effetto serra. Ma pensa anche alle tonnellate di grano e soia usate per dar da mangiare alla tua bistecca. E non dimenticare che 840 milioni di persone nel mondo hanno fame e 9 milioni ne hanno tanta da morirne. Il 70% di cereali, soia e semi prodotti ogni anno negli Usa serve a sfamare animali. Non uomini. Mangiare meno carne o, perché no, non mangiarne affatto, non è più solo un segno di rispetto per gli animali. Ogni volta che addentiamo un hamburger si perdono venti o trenta specie vegetali, una dozzina di specie di uccelli, mammiferi e rettili. Dal 1960 a oggi, oltre un quarto delle foreste del Centro-America è stato abbattuto per far posto a pascoli; in Costa Rica i latifondisti hanno abbattuto l’80% della foresta tropicale e in Brasile c’è voluto l’omicidio di Chico Mendes per sollevare attenzione al problema. In Amazzonia la foresta pluviale è stata fagocitata da 15 milioni di ettari di pascolo. Quasi la metà dell’acqua dolce consumata negli States è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame. È stato calcolato che un chilo di manzo ‘beve’ 3.200 litri d’acqua. Ogni anno gli animali da allevamento consumano 5 mila tonnellate di antibiotici di cui 1.500 per favorirne la crescita. E tutti vanno a finire nelle falde acquifere

Nel bacino del Po ogni anno vengono riversate 190 mila tonnellate di deiezioni animali. Contengono metalli pesanti, antibiotici e ormoni. Un allevamento medio produce 200 tonnellate di sterco al giorno e i bovini sono responsabili dell’effetto serra tanto quanto il traffico veicolare del mondo intero.

È la stessa FAO a fornire un elenco agghiacciante dei problemi causati dagli allevamenti intensivi: riduzione della biodiversità, erosione del terreno, effetto serra, contaminazione delle acque e dei terreni, piogge acide a causa delle emissioni di ammoniaca. Solo un centesimo dell’energia immessa nella carne cotta arriva al nostro organismo: il 99% viene dissipata. Il bestiame è dunque una fonte di alimentazione altamente idrovora ed energivora, una massa bovina che ingurgita tonnellate di acqua ed energia. E lo fa per nutrire solo il 20% della popolazione globale del pianeta.

La domanda di carne sta comunque crescendo. Paesi come la Cina stanno abbandonando riso e soia a favore di abitudini occidentali. Il manzo globale sta diventando una realtà. Si chiama rivoluzione zootecnica: significa spostare nel Sud del mondo la produzione di carne.

6. A KM ZERO

La maggioranza dei cittadini europei è sensibile alla questione ambientale ed è preoccupata per il possibile impatto negativo sull’ecosistema dei prodotti acquistati. Secondo una recente indagine di Eurobarometro, infatti, il 63% degli europei pensa che il cambiamento del clima dovuto all’inquinamento sia un problema estremamente serio. Anche in fatto di cibo l’inquietudine sulle sorti del pianeta si fa sentire sempre più: da qui, per esempio, nasce la moda degli acquisti di prodotti del territorio, cosiddetti “a chilomentro zero”. Meno chilomentri si percorrono per il trasporto, meno si inquina. Vero, ma questo aspetto incide in minima parte sulla capacità inquinante della produzione di un alimento: circa il 10%. La maggior parte delle emissioni di CO2 sono dovute all’uso di fertilizzanti, di gasolio per il funzionamento delle macchine agricole, di energia per gli stabilimenti e così via. Il tema è complesso e non basta ridurlo ad un semplice slogan. Per dare ai consumatori gli strumenti per attuare scelte veramente ecologiche servono serie campagne di informazione. La Coldiretti stima che consumando prodotti locali e di stagione e facendo attenzione agli imballaggi, una famiglia può risparmiare fino a 1000 chili di anidride carbonica (CO2) l’anno poiché, ad esempio, per trasportare con l’aereo a Roma un chilo di mele dal Cile per una distanza di 13mila km si liberano 18,3 kg di CO2 e si consumano 5,8 chili di petrolio, mentre per un kg di kiwi dalla Nuova Zelanda nel viaggio di 18mila chilometri si emettono 24,7 kg di CO2 e si perdono 7,9 chili di petrolio e, infine, per gli arrivi di ogni kg di limoni dall’Argentina si producono 16,2 kg di CO2 e si consumano 5,4 chili di petrolio. Favorire nelle città italiane l’apertura di mercati gestiti direttamente dagli imprenditori agricoli delle campagne, i cosiddetti Farmers Market, risponde alla crescente domanda dei consumatori di combattere la moltiplicazione dei prezzi, di assicurarsi prodotti di qualità e di limitare l’inquinamento ambientale.

7. PROGETTO MILLE ORTI IN AFRICA

Perché 1000 orti in Africa?

È il progetto ideale per riuscire a ragionare su grandi numeri: mille orti in più di 20 paesi è un campione sufficiente per poter fare un lavoro di analisi e confronto e, quindi, una proposta sull’agricoltura locale in Africa, che sia supportata da dati e da esperienze concrete.

L’orto è il progetto più adatto perché:

• ha tempi di realizzazione relativamente rapidi (in un anno si vedono già i primi risultati, mentre il percorso di un Presidio, ad esempio, è più complesso e lento)

• ha un basso livello di conflittualità, perché non c’è competizione fra i vari soggetti

• è un’esperienza comunitaria, che spesso riunisce generazioni diverse e contesti sociali diversi (insegnanti,studenti e contadini, ad esempio)

• permette di lavorare sul recupero e la promozione del germoplasma locale

• permette di sperimentare forme di agricoltura sostenibili

• permette di lavorare sul tema della diversificazione colturale (proponendo orti che mettano insieme ortaggi, frutta, erbe aromatiche e medicinali, tintorie)

• permette di lavorare sul tema dell’equilibrio fra sovranità alimentare e mercato

• permette di lavorare sulla produzione di trasformati di qualità (nelle stagioni in cui ci saranno prodotti in eccedenza)

• permette di lavorare sul tema della diversificazione dei mercati (prodotti diversi e packaging diversi per diverse tipologie di mercato)

• permette di sperimentare tecniche di formazione e modelli di comunicazione adatti al contesto africano (fumetti, radio, teatro…)

In Africa, gli orti possono rappresentare un’interessante fonte di cibo sano e a portata di mano e un integrazione di reddito per le comunità locali. Partendo a tale presupposto gli orti di Terra Madre hanno l’ obiettivo di soffermersi su concetti quali la conoscenza e l’ utilizzo dei prodotti locali e della biodiversità, il rispetto dell’ambiente, l’uso sostenibile del suolo e dell’acqua, la salvaguardia delle ricette tradizionali.

Milano 6 novembre 2010, Mario Agostinelli

Giovani Democratici lombardi sul nucleare

Nucleare? Le bugie di Formigoni e la scommessa mancata delle energie rinnovabili

Il neo-ministro Paolo Romani rimette in pista la questione di una centrale nucleare in Lombardia. Formigoni, Presidente della Regione Lombardia, si dice disponibile. Ma, non è lo stesso Roberto Formigoni che in campagna elettorale aveva dichiarato: “Il nucleare? Mai in Lombardia.”? Proprio lui. E oggi, a urne chiuse e comodamente insediato sulla più alta poltrona, ha cambiato idea.

“Un atteggiamento opportunista e servile” commentano Silvia Gadda, Segretaria dei Gd lombardia, e Giuseppe Bufalino, esperto delle tematiche ambientali per i giovani del PD. “Oggi ci svegliamo con la favola del nucleare che ritorna all’attenzione. Ci svegliamo con la prospettiva di una centrale nucleare in Lombardia (le zone possibili del sito sono: lungo il Po tra Cremona e Mantova oppure nell’alto lago di Como) e sorprendentemente il presidente Formigoni non muove un dito per smentire o prendere una posizione netta contro il nucleare in Lombardia”.

I Giovani Democratici della Lombardia prendono una posizione netta non solo contro il nucleare in Lombardia (uno dei problemi del nucleare sarà anche quello di superare la sindrome NIMBY Not In My Back Yard), ma soprattutto contro questo progetto scellerato di sviluppo economico ed energetico della destra che punta sulla reintroduzione del nucleare e dimentica di investire seriamente sulle energie rinnovabili.

I Giovani Democratici della Lombardia dicono un No deciso e motivato al ritorno del nucleare in Italia!

No al nucleare inutilmente costoso quando con gli stessi soldi si potrebbe investire da subito su energie rinnovabili e il loro potenziamento nel territorio Nazionale!

No al nucleare perché non siamo disposti a pensare a uno smaltimento dei rifiuti tossici gestito come lo smaltimento dei rifiuti di Napoli.

agli investimenti sulla ricerca, unica strada per sviluppare sistemi sicuri e efficienti per la produzione dell’energia.

al risparmio energetico come obiettivo per il rispetto dell’ambiente e il miglioramento delle condizionidi vita di tutti noi.

a una pianificazione europea della produzione di energia per valorizzare le strutture già esistenti e massimizzarne al resa.

Come Giovani Democratici della Lombardia pretendiamo di avere un Italia al passo degli altri paesi europei e gli USA, un paese che investa più sulle energie rinnovabili, sulle risorse ambientali del territorio e che attui una politica coraggiosa improntata alla green economy. E non un paese e un governo che si nasconda dietro favole e grandi bugie.

Pubblicato da GD Lombardia

Foto dai banchetti

Nella nostra pagina di Flickr abbiamo inserito alcune foto scattate al Convegno “Cibo e sostenibilità ambientale” che si è tenuto questa mattina al Palazzo Reale di Milano. Tra i firmatari di oggi: Domenico Finiguerra, il prof. Giorgio Ferrarese, Marialina De Luca e altri.

Vi invitiamo a mandare le vostre foto dai banchetti e dai presidi a info@energiafelice.it per documentare lo spendido lavoro di sinergia che state svolgendo.