Nucleare e gas climalteranti: fonti diverse, ma con una grave eredità in comune

E’ fuor di dubbio che l’evocazione del nucleare a oltre 30 anni dal referendum che chiuse gli impianti in Italia e a 10 anni dalla reiterazione di una volontà popolare che ha sottratto il nostro Paese ad una colonizzazione tecnocratica, che continua a costare assai cara a molti paesi europei, porta a considerazioni che non sono riservate solo agli specialisti, ma entrano in sintonia con la riflessione che l’accelerazione del cambiamento climatico e l’esperienza della pandemia ha indotto in grandi strati del sentire popolare.

“Quanto tempo manca” è la domanda che tocca ora non solo le nuove generazioni, ma chiunque riscopra il legame fragile tra uomo e natura, che è stato rotto con un assalto complessivo e su più fronti da parte di un sistema di produzione e consumo che sta riducendo le possibilità di sopravvivenza.

Credo che le prime avvisaglie di un cambiamento netto di fase, che quotidianamente possiamo riscontrare nella devastazione operata su una natura resa ostile e nel ritrarsi di quella amica, siano apparse all’orizzonte proprio con l’era nucleare. Una tecnologia che intrinsecamente sfugge ad un pieno controllo sociale e, nel contempo, supera artificialmente i limiti imposti dai tempi biologici e della riproduzione della vita.

La scansione di catastrofi come Hiroshima, Chernobyl, Fukushima è lì a ricordare che quando la forza dell’industria umana diventa più potente delle forze geologiche e naturali, può entrare in gioco la sopravvivenza.

Proprio con il nucleare l’umanità ha cominciato, ancor prima che l’aumento di gas climalteranti producesse devastazioni sul pianeta, a doversi prendere in carico l’incertezza del futuro delle nuove generazioni. Non è banale dover intrecciare due grandi emergenze – quella climatica e quella nucleare – con un’urgenza che si fa sempre più pressante.

Pertanto, la prima cosa che balza all’attenzione in questi giorni in cui viene presentata la mappa dei depositi nucleari è il peso di un’eredità pesantissima, che si tende a rimuovere, ma che va risolta ora senza scaricarla sulle prossime generazioni.

Ma, dato che questo è il tempo della pandemia e del riscaldamento irreversibile del Pianeta, dobbiamo convincerci che senza una svolta nelle politiche energetiche potremmo lasciare eredità perfino più esiziali di quella su cui si apre la discussione sulla mappa, pompando e consumando fossili che la scienza del clima esige siano lasciati sottoterra.

Lo dico perché non si troverà facilmente una soluzione al problema del deposito delle scorie se Eni, Enel e governo rimarranno nel frattempo appesi a piani e progetti che potenziano un sistema elettrico centralizzato, reiterato con uno strategico e rinnovato ricorso al metano, anziché decentrato e alimentato dalle rinnovabili. Se questo avverrà, l’Europa non ci rimprovererà più solo il ritardo nell’individuazione del deposito delle scorie nucleari!

La mappa non dice il punto in cui bisognerà costruire il deposito. Delinea invece tutti i 67 luoghi in cui ci sono le “condizioni tecniche” ed indica in 12 siti le candidature più solide (due in provincia di Torino, cinque in provincia di Alessandria, cinque in provincia di Viterbo).

Se andiamo indietro nel tempo, potremmo ricordare la lunga lotta delle popolazioni del metapontino attorno a Scanzano per respingere nel 2003 il tentativo di Carlo Jean, commissario di Governo, di costruire un deposito sotterraneo, geologico, definitivo, anche per rifiuti ad altissima radioattività.

Il giornale di Confindustria ad inizio 2021 mette insieme quel ricordo con le sollevazioni delle popolazioni della Valsusa contro l’alta velocità e nel Salento contro il metanodotto Tap. Un’operazione sottile di discredito delle lotte sul territorio, per far capire che, al di là di tutto, poi e comunque si procede.

Non si tiene affatto conto che non si tratterà di un gioco a rimpiattino tra i diversi campanili individuati, ma di un atto di corresponsabilità nazionale, rimandato ad oggi dopo essere rimasto nei cassetti della Sogin, che forse ha pensato bene che, con la testa presa dal vaccino, la discussione sul sito del deposito sarà più distratta.

E non basterà certo – come testualmente afferma l’autorevole quotidiano citato – “cercare di convincere i Comuni ricompresi nella mappatura a farsi avanti: ci sono incentivi, occasioni di crescita, prospettive di lavoro e di benessere, soprattutto nelle aree marginali che si stanno spopolando”. Con questo criterio di scambio, tutto sommato volgare, il gioco, pur essendo necessario, non varrebbe la candela.

Oltre che rendere trasparenti le misure di sicurezza, le modalità per affrontare la gestione con il massimo rigore e con i massimi livelli di garanzia sanitaria e ambientale, accettando – come chiede il Wwf – il fondamentale principio di reversibilità nel caso la situazione subisca modificazioni, occorre un passo ulteriore. In definitiva, senza la certezza di una svolta profonda – oggi! – nelle politiche energetiche del Paese verso la neutralità climatica, l’ultima fase dell’uscita dal nucleare risulterebbe meno risolutiva e, perciò, meno convincente per farsene carico.

Per questo ho fatto un collegamento tra due grandi questioni in apparenza tra loro disgiunte. La discussione va aperta in un contesto chiaro e aggiornato. Quanto tempo ancora dovrà passare perché da Saluggia e Trino, che hanno oggi la più grande quantità di materiali radioattivi di tutta Italia e i più pericolosi, vengano trasferite e messe in sicurezza tutte le scorie che hanno destato le più profonde preoccupazioni nelle popolazioni locali? E come si svolgerebbe una discussione sul deposito di scorie a Montalto di Castro, quando si potrebbero quasi vedere con un cannocchiale le nuove torri del turbogas da 1,8 MW di Civitavecchia?

L’articolo Nucleare e gas climalteranti: fonti diverse, ma con una grave eredità in comune proviene da Il Fatto Quotidiano.

introduzione alla plenaria del Climate Social Forum

Questa è l’introduzione alla plenaria del Climate Social Forum tenuta in un Webinar il 16 Dicembre. Il Climate Social Forum è una organizzazione internazionale che ha articolato in più sessioni la presenza di giovani di tutti i Paesi con l’ambizione di testimoniare la loro posizione anche in piena pandemia e in sostituzione del Forum dell’ONU che è stato rimandato a Glasgow per il 2022

Fuori dal fossile

Questo video riporta un dibattito della rete “Fuori dal fossile” tenuto il 12 Dicembre con oltre 60 partecipanti. Hanno portato la loro esperienza attivisti, ricercatori, associazioni. La questione centrale ha riguardato la sostituzione di centrali a gas con rinnovabili + idrogeno. I pezzi da ritagliare e tenere sono da 1’50’’ a 27’ 40’’ (Angelo Moreno); da 45’22’’ a 1h.07’ (Mario Agostinelli) e conclusioni da 1h 48’ a 1’ 53’ 31’’.

https://www.facebook.com/2845166969042514/videos/215529110129933

Produzione e consumo di energia non sono infiniti

Mario Agostinelli, Andrea Ranieri, 13.12.2020
Ambiente e sindacato. Accanto al miraggio della decrescita felice c’è il rischio della decrescita infelice.


La risposta della Filctem Cgil all’appello di Castellina e Muroni rivela come una parte del sindacato sia ancora lontana dall’aver recepito la drammaticità del momento storico che stiamo vivendo. Il messaggio di Francesco, degli studenti di Greta e del mondo scientifico stanno rimettendo in discussione il rapporto tra uomo, elementi naturali e biosfera, chiarendo quanto la sopravvivenza e la giustizia sociale siano irreversibilmente a rischio. La portata del disastro e il tempo limitato a disposizione per affrontarlo di cui trattano nel loro appello Castellina e Muroni assieme al lento declino della vita vegetale e animale può convincere il mondo del lavoro ad uscire da una posizione puramente difensiva e diventare punto di riferimento essenziale di una trasformazione radicale del modello di sviluppo.


Oltre la pandemia, le emergenze sempre più prossime fanno sì che lo sviluppo debba cedere il passo al bisogno di sopravvivenza: una autentica rottura. Ad esempio, la necessità di porre la questione
sanitaria al centro della ricerca scientifica e della stessa prospettiva della produzione sta già spezzando l’andamento della spirale della crescita tecnologica, visto che il vaccino sta nell’ottica della salvaguardia della specie, in luogo della cura rivolta al singolo.

Dall’idea del progresso lineare e infinito dentro al meccanismo del consumo, nel pensiero umano prende prevalenza la logica di una ugualitaria conservazione della specie. Un fatto del genere non era capitato neppure di fronte al richiamo del mutamento climatico, nonostante gli sforzi di Francesco, di Greta, degli studenti, degli ecologisti ancora assortiti per culture nazionali diverse.


Queste novità sfuggono imprudentemente al documento del sindacato energia. Non sono i fior fiori di ingegneri e tecnici iscritti alla Cgil che dovrebbero chiarirci le linee della svolta necessaria: anch’essi, come noi, sono figli di una educazione non interdisciplinare, che sa ben trattare la
trasformazione di materia e energia, ma non presta attenzione agli effetti irreversibili che, oltre una soglia, la tecnologia può procurare alla comunità umana, alla vita e alla riproduzione di tutto il vivente. In fondo, almeno negli ultimi cinquant’anni, c’eravamo abituati alla penuria d’acqua, alla furia dei tornado, all’erosione del suolo, ma trascuravamo, non senza colpa, i danni procurati da una crescita incontenibile di energia.


Finora la ricaduta sui territori è stata elusa e la discussione è rimasta ai piani alti. Non sarà mai più così. Noi abbiamo di fronte l’esperienza sul nascere di Civitavecchia, dove la pretesa degli enti energetici di ricondannare le popolazioni già colpite nel passato ad un futuro a metano, sta suscitando un autentico movimento popolare e dove la Cgil territoriale, assieme alla Uil, ha avanzato la richiesta di mettere in rete tutti i comitati e le associazioni che avanzano proposte alternative per
la riconversione della centrale a carbone, ottenendo l’attenzione di medici, studenti, associazioni ambientaliste, sindacati di categoria e cittadini, che hanno reso pubblica una totale convergenza in
una trasmissione molto significativa sulla rete TV locale.


Siamo, dicono i partecipanti alla trasmissione, ad un momento storico, ad un voltar pagina, che può contare su ricerca, occupazione qualificata, sviluppo del territorio con ridotto impatto sull’ambiente e con il sostegno, per la prima volta, di una finanza Ue che allenta i criteri di pura competizione tra le singole nazioni. Purtroppo, l’illusione che non ci fosse freno al consumo di energia è rimasto nel bagaglio delle nostre generazioni già da quando andavamo a scuola.

A quella storia rischia di
rimanere appeso il sindacato dei lavoratori dell’energia, che quando parla di transizione pensa che molto possa a parole cambiare, ma che esista una soglia di danno – quella in particolare provocata da nuovi investimenti in gas – tollerabile per un “green washing” delle imprese e utile per la tutela dei lavoratori attualmente occupati. Ignorando così le ben più consistenti possibilità occupazionali per loro e per i giovani del territorio, che potrebbero derivare da una riconversione davvero verde
della produzione di energia e dalle possibilità di sviluppo che si aprirebbero per l’intero contesto territoriale.


Questa saldatura sul territorio fra organizzazione sindacale e associazione della cittadinanza attiva,


la volontà manifestata dalla Camera del Lavoro di assumere come livello di decisione, quando le questioni di politica del lavoro e di politica economica riguardano la vita di tutti i cittadini, un ambito più grande di quello dei lavoratori attualmente sindacalizzati, è un esempio importante di quella “Camera del lavoro di strada” che più volte Maurizio Landini ha evocato. Restringere l’ambito della determinazione delle posizioni al sindacato di categoria, alla ragionevolezza di quello che è possibile fare dentro l’attuale modello di sviluppo, magari riuscendo a redistribuire i profitti in maniera più equa, è certamente una visione alternativa a quella decrescita felice che la Filctem sembra ritenere
il pericolo maggiore da esorcizzare, ma rischia di mantenerci prigionieri di quella decrescita infelice che caratterizza ormai gli ultimi anni della nostra storia.


© 2020 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

Centrale Enel a Civitavecchia: ecco la svolta green della Cgil

– Massimo Franchi, 13.12.2020
Ambiente e Lavoro.

Proprio nei giorni in cui l’ex Ilva torna pubblica arriva una svolta importante da quella «piccola Taranto» che è Civitavecchia. Una svolta che ha molto a che vedere con il dibattito partito sul manifesto con l’intervento di Luciana Castellina e Rossella Muroni sul tema sindacato e ambientalismo.

La svolta riguarda l’atteggiamento della Cgil verso il progetto di riconversione della centrale Enel di Torrevaldaliga Nord. Una riconversione che il gigante dell’energia a proprietà pubblica ha deciso sia fatta usando come combustibile il gas. Una scelta ora apertamente criticata dalla Cgil di Civitavecchia che invece chiede di passare all’idrogeno e alle fonti rinnovabili.

La svolta ambientalista della Cgil arriva alla fine di un lungo percorso di ascolto e confronto con il territorio concluso qualche giorno fa. «La Camera del lavoro è stato un punto di aggregazione e di convergenza fra le tante associazioni sul territorio spiega la segretaria della Cgil di Civitavecchia Stefania Pomante . Un territorio che da 70 anni sta pagando un prezzo molto alto sotto l’aspetto dell’inquinamento e della salute e che ora lancia un progetto di rilancio ambientale e occupazionale basato sull’uso dell’idrogeno, dell’eolico e del fotovoltaico, messo a punto assieme a tecnici dello stesso territorio a dimostrazione che non siamo il partito del no ma vogliamo sfruttare una situazione storica senza precedenti: le fonti rinnovabili possono dare più lavoro e i fondi europei fanno superare la frattura fra lavoro e salute».

UNA MOSSA CHE FA SINTESI anche delle posizioni articolate delle varie categorie. La centrale Enel ha dato lavoro per decenni a migliaia di persone, scese di molto dall’ormai lontano 2003 quando iniziarono i lavori di riconversione. I dipendenti diretti sono ora 320 e sono sostanzialmente lavoratori elettrici in Cgil coperti dalla Filctem. A loro però vanno aggiunti 460 metalmeccanici e dunque tutelati dalla Fiom che lavorano nella manutenzione e nella pulizia industriale. Al computo vanno infine aggiunti i 200 portuali che da decenni che si occupano dello scarico del carbone in Cgil sotto la responsabilità della Filt, categoria dei trasporti.

IL PROGETTO DELLA NUOVA centrale a gas Enel ha avuto una lunghissima e contestata gestazione e manca ancora della procedura di autorizzazione ambientale. La scelta dell’ad Enel Francesco Starace di scegliere il gas con la motivazione che «prima del 2050 (anno dello stop europeo al gas, ndr) serve una fase transitoria con centrali di questo tipo» è contestata dalle associazioni ambientaliste ma viene difesa da governo e sta facendo breccia tra le istituzioni locali in teoria contrarie a Civitavecchia dopo decenni di giunte di sinistra c’è stato un interregno del M5s e ora il sindaco è leghista che sottolineano come il progetto porti nuovi posti di lavoro.

La verità però è sotto gli occhi di tutti: il cantiere produrrà «una bolla» di qualche centinaio di posti di lavoro per massimo 3 anni ma la nuova centrale darà lavoro definitivo a non più di 40-50 persone esattamente come è successo all’altra centrale a gas Torrevaldaliga Sud, di proprietà della Tirreno Power. Questo porterà anche al trasferimento di molti lavoratori elettrici di Enel che non perderanno il lavoro ma saranno ricollocati altrove.

«LA NOSTRA POSIZIONE non ha ricevuto critiche dalle categorie continua Pomante, sindacalista

che proviene proprio dalla Filctem perché tutti sono coscienti che l’occupazione calerebbe e che in 20 chilometri di costa ci sarebbero tre centrali a gas, contando anche Montalto di Castro, in pratica la massima concentrazione in Europa».

«Il nostro obiettivo è non mettere in competizione il diritto alla salute e il diritto di lavorare spiega Giuseppe Casafina, segretario della Fiom di Civitavecchia e pensiamo che per Civitavecchia ci sono le condizioni per un futuro verde che dia sviluppo economico anche al porto tramite l’uso dell’idrogeno e dell’eolico off-shore galleggiante, su cui sappiamo esiste un progetto. Lo diciamo a tutti, non solo a Enel: non possiamo più continuare così, senza salute e con poco lavoro».

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