Fuori dal fossile

Questo video riporta un dibattito della rete “Fuori dal fossile” tenuto il 12 Dicembre con oltre 60 partecipanti. Hanno portato la loro esperienza attivisti, ricercatori, associazioni. La questione centrale ha riguardato la sostituzione di centrali a gas con rinnovabili + idrogeno. I pezzi da ritagliare e tenere sono da 1’50’’ a 27’ 40’’ (Angelo Moreno); da 45’22’’ a 1h.07’ (Mario Agostinelli) e conclusioni da 1h 48’ a 1’ 53’ 31’’.

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Produzione e consumo di energia non sono infiniti

Mario Agostinelli, Andrea Ranieri, 13.12.2020
Ambiente e sindacato. Accanto al miraggio della decrescita felice c’è il rischio della decrescita infelice.


La risposta della Filctem Cgil all’appello di Castellina e Muroni rivela come una parte del sindacato sia ancora lontana dall’aver recepito la drammaticità del momento storico che stiamo vivendo. Il messaggio di Francesco, degli studenti di Greta e del mondo scientifico stanno rimettendo in discussione il rapporto tra uomo, elementi naturali e biosfera, chiarendo quanto la sopravvivenza e la giustizia sociale siano irreversibilmente a rischio. La portata del disastro e il tempo limitato a disposizione per affrontarlo di cui trattano nel loro appello Castellina e Muroni assieme al lento declino della vita vegetale e animale può convincere il mondo del lavoro ad uscire da una posizione puramente difensiva e diventare punto di riferimento essenziale di una trasformazione radicale del modello di sviluppo.


Oltre la pandemia, le emergenze sempre più prossime fanno sì che lo sviluppo debba cedere il passo al bisogno di sopravvivenza: una autentica rottura. Ad esempio, la necessità di porre la questione
sanitaria al centro della ricerca scientifica e della stessa prospettiva della produzione sta già spezzando l’andamento della spirale della crescita tecnologica, visto che il vaccino sta nell’ottica della salvaguardia della specie, in luogo della cura rivolta al singolo.

Dall’idea del progresso lineare e infinito dentro al meccanismo del consumo, nel pensiero umano prende prevalenza la logica di una ugualitaria conservazione della specie. Un fatto del genere non era capitato neppure di fronte al richiamo del mutamento climatico, nonostante gli sforzi di Francesco, di Greta, degli studenti, degli ecologisti ancora assortiti per culture nazionali diverse.


Queste novità sfuggono imprudentemente al documento del sindacato energia. Non sono i fior fiori di ingegneri e tecnici iscritti alla Cgil che dovrebbero chiarirci le linee della svolta necessaria: anch’essi, come noi, sono figli di una educazione non interdisciplinare, che sa ben trattare la
trasformazione di materia e energia, ma non presta attenzione agli effetti irreversibili che, oltre una soglia, la tecnologia può procurare alla comunità umana, alla vita e alla riproduzione di tutto il vivente. In fondo, almeno negli ultimi cinquant’anni, c’eravamo abituati alla penuria d’acqua, alla furia dei tornado, all’erosione del suolo, ma trascuravamo, non senza colpa, i danni procurati da una crescita incontenibile di energia.


Finora la ricaduta sui territori è stata elusa e la discussione è rimasta ai piani alti. Non sarà mai più così. Noi abbiamo di fronte l’esperienza sul nascere di Civitavecchia, dove la pretesa degli enti energetici di ricondannare le popolazioni già colpite nel passato ad un futuro a metano, sta suscitando un autentico movimento popolare e dove la Cgil territoriale, assieme alla Uil, ha avanzato la richiesta di mettere in rete tutti i comitati e le associazioni che avanzano proposte alternative per
la riconversione della centrale a carbone, ottenendo l’attenzione di medici, studenti, associazioni ambientaliste, sindacati di categoria e cittadini, che hanno reso pubblica una totale convergenza in
una trasmissione molto significativa sulla rete TV locale.


Siamo, dicono i partecipanti alla trasmissione, ad un momento storico, ad un voltar pagina, che può contare su ricerca, occupazione qualificata, sviluppo del territorio con ridotto impatto sull’ambiente e con il sostegno, per la prima volta, di una finanza Ue che allenta i criteri di pura competizione tra le singole nazioni. Purtroppo, l’illusione che non ci fosse freno al consumo di energia è rimasto nel bagaglio delle nostre generazioni già da quando andavamo a scuola.

A quella storia rischia di
rimanere appeso il sindacato dei lavoratori dell’energia, che quando parla di transizione pensa che molto possa a parole cambiare, ma che esista una soglia di danno – quella in particolare provocata da nuovi investimenti in gas – tollerabile per un “green washing” delle imprese e utile per la tutela dei lavoratori attualmente occupati. Ignorando così le ben più consistenti possibilità occupazionali per loro e per i giovani del territorio, che potrebbero derivare da una riconversione davvero verde
della produzione di energia e dalle possibilità di sviluppo che si aprirebbero per l’intero contesto territoriale.


Questa saldatura sul territorio fra organizzazione sindacale e associazione della cittadinanza attiva,


la volontà manifestata dalla Camera del Lavoro di assumere come livello di decisione, quando le questioni di politica del lavoro e di politica economica riguardano la vita di tutti i cittadini, un ambito più grande di quello dei lavoratori attualmente sindacalizzati, è un esempio importante di quella “Camera del lavoro di strada” che più volte Maurizio Landini ha evocato. Restringere l’ambito della determinazione delle posizioni al sindacato di categoria, alla ragionevolezza di quello che è possibile fare dentro l’attuale modello di sviluppo, magari riuscendo a redistribuire i profitti in maniera più equa, è certamente una visione alternativa a quella decrescita felice che la Filctem sembra ritenere
il pericolo maggiore da esorcizzare, ma rischia di mantenerci prigionieri di quella decrescita infelice che caratterizza ormai gli ultimi anni della nostra storia.


© 2020 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

Centrale Enel a Civitavecchia: ecco la svolta green della Cgil

– Massimo Franchi, 13.12.2020
Ambiente e Lavoro.

Proprio nei giorni in cui l’ex Ilva torna pubblica arriva una svolta importante da quella «piccola Taranto» che è Civitavecchia. Una svolta che ha molto a che vedere con il dibattito partito sul manifesto con l’intervento di Luciana Castellina e Rossella Muroni sul tema sindacato e ambientalismo.

La svolta riguarda l’atteggiamento della Cgil verso il progetto di riconversione della centrale Enel di Torrevaldaliga Nord. Una riconversione che il gigante dell’energia a proprietà pubblica ha deciso sia fatta usando come combustibile il gas. Una scelta ora apertamente criticata dalla Cgil di Civitavecchia che invece chiede di passare all’idrogeno e alle fonti rinnovabili.

La svolta ambientalista della Cgil arriva alla fine di un lungo percorso di ascolto e confronto con il territorio concluso qualche giorno fa. «La Camera del lavoro è stato un punto di aggregazione e di convergenza fra le tante associazioni sul territorio spiega la segretaria della Cgil di Civitavecchia Stefania Pomante . Un territorio che da 70 anni sta pagando un prezzo molto alto sotto l’aspetto dell’inquinamento e della salute e che ora lancia un progetto di rilancio ambientale e occupazionale basato sull’uso dell’idrogeno, dell’eolico e del fotovoltaico, messo a punto assieme a tecnici dello stesso territorio a dimostrazione che non siamo il partito del no ma vogliamo sfruttare una situazione storica senza precedenti: le fonti rinnovabili possono dare più lavoro e i fondi europei fanno superare la frattura fra lavoro e salute».

UNA MOSSA CHE FA SINTESI anche delle posizioni articolate delle varie categorie. La centrale Enel ha dato lavoro per decenni a migliaia di persone, scese di molto dall’ormai lontano 2003 quando iniziarono i lavori di riconversione. I dipendenti diretti sono ora 320 e sono sostanzialmente lavoratori elettrici in Cgil coperti dalla Filctem. A loro però vanno aggiunti 460 metalmeccanici e dunque tutelati dalla Fiom che lavorano nella manutenzione e nella pulizia industriale. Al computo vanno infine aggiunti i 200 portuali che da decenni che si occupano dello scarico del carbone in Cgil sotto la responsabilità della Filt, categoria dei trasporti.

IL PROGETTO DELLA NUOVA centrale a gas Enel ha avuto una lunghissima e contestata gestazione e manca ancora della procedura di autorizzazione ambientale. La scelta dell’ad Enel Francesco Starace di scegliere il gas con la motivazione che «prima del 2050 (anno dello stop europeo al gas, ndr) serve una fase transitoria con centrali di questo tipo» è contestata dalle associazioni ambientaliste ma viene difesa da governo e sta facendo breccia tra le istituzioni locali in teoria contrarie a Civitavecchia dopo decenni di giunte di sinistra c’è stato un interregno del M5s e ora il sindaco è leghista che sottolineano come il progetto porti nuovi posti di lavoro.

La verità però è sotto gli occhi di tutti: il cantiere produrrà «una bolla» di qualche centinaio di posti di lavoro per massimo 3 anni ma la nuova centrale darà lavoro definitivo a non più di 40-50 persone esattamente come è successo all’altra centrale a gas Torrevaldaliga Sud, di proprietà della Tirreno Power. Questo porterà anche al trasferimento di molti lavoratori elettrici di Enel che non perderanno il lavoro ma saranno ricollocati altrove.

«LA NOSTRA POSIZIONE non ha ricevuto critiche dalle categorie continua Pomante, sindacalista

che proviene proprio dalla Filctem perché tutti sono coscienti che l’occupazione calerebbe e che in 20 chilometri di costa ci sarebbero tre centrali a gas, contando anche Montalto di Castro, in pratica la massima concentrazione in Europa».

«Il nostro obiettivo è non mettere in competizione il diritto alla salute e il diritto di lavorare spiega Giuseppe Casafina, segretario della Fiom di Civitavecchia e pensiamo che per Civitavecchia ci sono le condizioni per un futuro verde che dia sviluppo economico anche al porto tramite l’uso dell’idrogeno e dell’eolico off-shore galleggiante, su cui sappiamo esiste un progetto. Lo diciamo a tutti, non solo a Enel: non possiamo più continuare così, senza salute e con poco lavoro».

© 2020 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

Civitavecchia: cosa succede?

Intervista di AGO RANIERI su Domenica del Manifesto

La risposta della Filctem Cgil all’appello di Castellina e Muroni rivela come una parte del sindacato sia ancora lontana dall’ aver recepito la drammaticità del momento storico che stiamo vivendo. Il messaggio di Francesco, degli studenti di Greta e del mondo scientifico stanno rimettendo in discussione il rapporto tra uomo, elementi naturali e biosfera, chiarendo quanto la sopravvivenza e la giustizia sociale siano irreversibilmente a rischio. La portata del disastro e il tempo limitato a disposizione per affrontarlo – di cui trattano nel loro appello Castellina e Muroni – assieme al lento declino della vita vegetale e animale può convincere il mondo del lavoro ad uscire da una posizione puramente difensiva e diventare punto di riferimento essenziale di una trasformazione radicale del modello di sviluppo.

Oltre la pandemia, le emergenze sempre più prossime fanno sì che lo sviluppo debba cedere il passo al bisogno di sopravvivenza: una autentica rottura. Ad esempio, la necessità di porre la questione sanitaria al centro della ricerca scientifica e della stessa prospettiva della produzione sta già spezzando l’andamento della spirale della crescita tecnologica, visto che il vaccino sta nell’ottica della salvaguardia della specie, in luogo della cura rivolta al singolo.

Dall’idea del progresso lineare e infinito dentro al meccanismo del consumo, nel pensiero umano prende prevalenza la logica di una ugualitaria conservazione della specie. Un fatto del genere non era capitato neppure di fronte al richiamo del mutamento climatico, nonostante gli sforzi di Francesco, di Greta, degli studenti, degli ecologisti ancora assortiti per culture nazionali diverse.

Queste novità sfuggono imprudentemente al documento del sindacato energia. Non sono i fior fiori di ingegneri e tecnici iscritti alla CGIL che dovrebbero chiarirci le linee della svolta necessaria: anch’essi, come noi, sono figli di una educazione non interdisciplinare, che sa ben trattare la trasformazione di materia e energia, ma non presta attenzione agli effetti irreversibili che, oltre una soglia, la tecnologia può procurare alla comunità umana, alla vita e alla riproduzione di tutto il vivente.   

In fondo, almeno negli ultimi cinquant’anni, c’eravamo abituati alla penuria d’acqua, alla furia dei tornado, all’erosione del suolo, ma trascuravamo, non senza colpa, i danni procurati da una crescita incontenibile di energia.  

Finora la ricaduta sui territori è stata elusa e la discussione è rimasta ai piani alti. Non sarà mai più così. Noi abbiamo di fronte l’esperienza sul nascere di Civitavecchia, dove la pretesa degli enti energetici di ricondannare le popolazioni già colpite nel passato ad un futuro a metano, sta suscitando un autentico movimento popolare e dove la CGIL territoriale, assieme alla Uil, ha avanzato la richiesta di mettere in rete tutti i comitati e le associazioni che avanzano proposte alternative per la riconversione della centrale a carbone, ottenendo l’attenzione di medici, studenti, sindacati di categoria  e cittadini, che hanno reso pubblica una totale convergenza in una trasmissione molto significativa sulla rete TV locale

   Siamo, dicono i partecipanti alla trasmissione, ad un momento storico, ad un voltar pagina, che può contare su ricerca, occupazione qualificata, sviluppo del territorio con ridotto impatto sull’ambiente e con il sostegno, per la prima volta, di una finanza UE che allenta i criteri di pura competizione tra le singole nazioni. Purtroppo, l’illusione che non ci fosse freno al consumo di energia è rimasto nel bagaglio delle nostre generazioni già da quando andavamo a scuola. A quella storia rischia di rimanere appeso il sindacato dei lavoratori dell’energia, che quando parla di transizione pensa che molto possa a parole cambiare, ma che esista una soglia di danno – quella in particolare provocata da nuovi investimenti in gas – tollerabile per un “green washing” delle imprese e utile per la tutela dei lavoratori attualmente occupati. Ignorando così le ben più consistenti possibilità occupazionali per loro e per i giovani del territorio, che potrebbero derivare da una riconversione davvero verde della produzione di energia e dalle possibilità di sviluppo che si aprirebbero per l’intero contesto territoriale.

Questa saldatura sul territorio fra organizzazione sindacale e associazione della cittadinanza attiva, la volontà manifestata dalla Camera del Lavoro di assumere come livello di decisione, quando le questioni di politica del lavoro e di politica economica riguardano la vita di tutti i cittadini, un ambito più grande di quello dei lavoratori attualmente sindacalizzati, è un esempio importante di quella “Camera del lavoro di strada” che più volte Maurizio Landini ha evocato. Restringere l’ambito della determinazione delle posizioni al sindacato di categoria, alla ragionevolezza di quello che è possibile fare dentro l’attuale modello di sviluppo, magari riuscendo a redistribuire i profitti in maniera più equa, è certamente una visione alternativa a quella decrescita felice che la Filctem sembra ritenere il pericolo maggiore da esorcizzare, ma rischia di mantenerci prigionieri di quella decrescita infelice che caratterizza ormai gli ultimi anni della nostra storia.

Mario Agostinelli

Andrea Ranieri   

Idrogeno verde, l’unico rimedio alla crisi idrica e climatica. Checché ne dicano le lobby e Michael Moore

Il dibattito aperto sull’introduzione accelerata e massiccia del vettore idrogeno in un futuro sistema energetico più sostenibile è incentrato in gran parte su aspetti rilevanti, ma che non tengono per ora in conto una risorsa vitale come l’acqua. Gli esperti si misurano sui costi, sulle evoluzioni tecnologiche dei sistemi di produzione e di distribuzione, sui miglioramenti di efficienza di un ciclo ad oggi ai primi passi. Gli economisti e i governi si mostrano più o meno sensibili all’interesse dei maggiori gruppi multinazionali a mantenere centralizzato e dipendente da grandi impianti l’introduzione di un sistema di accumulo innovativo su larga scala. Tutti concordano sui vantaggi che deriverebbero dal conservare e immettere in rete l’energia prodotta, aumentando l’efficienza del sistema e, soprattutto, decarbonizzando significativamente il ciclo di produzione e consumo.

L’idrogeno sembrerebbe una soluzione ideale, ma occorre tener conto che, pur essendo diffuso nell’atmosfera, lo si trova per lo più legato saldamente in molte molecole, come gli idrocarburi o l’acqua, in cui il legame chimico con l’ossigeno è talmente forte che, fino agli ultimi decenni del ‘700, il liquido più diffuso sul pianeta era considerato inscindibile nei suoi componenti.

Quasi mai si riflette sul fatto che l’idrogeno può essere prodotto in quantità importanti solo scindendo molecole molto stabili, come ad esempio il metano (CH4) o, soprattutto, l’acqua (H2O), rilasciando nel primo caso gas climalteranti e nel secondo – almeno a prima vista – soltanto ossigeno dopo aver consumato corrente elettrica.

L’acqua da sola copre il 71% della superficie terrestre e il suo volume è di circa 1,5 miliardi di chilometri cubi. Quindi il ricorso all’acqua, così drammaticamente preziosa e carente in gran parte del pianeta abitato, dati i grandi numeri di sopra e l’urgenza di trovare soluzioni al cambiamento climatico, viene persa di vista nella ridefinizione del nuovo modello energetico.

Se andate su Google per sapere quanta acqua si consuma per produrre un kg di idrogeno farete fatica a raccapezzarvi. Semplificando qui al massimo, potreste, dopo molti sforzi, arrivare a cogliere la pericolosità di produrre idrogeno direttamente da metano e vapore acqueo (idrogeno grigio), come vorrebbero i più imprudenti, dando luogo ad emissioni assai dannose oltre che a massicci consumi di acqua.

Sareste poi incuriositi dai processi di elettrolisi, per cui l’idrogeno viene ottenuto al catodo di una cella contenente acqua con il passaggio di corrente elettrica. In sé il consumo di acqua nel solo processo di idrolisi non appare eccessivo (circa 10 litri di acqua per 1 kg di idrogeno). Ma come si può trascurare quanta acqua viene consumata per produrre la corrente necessaria a scinderne la stupefacente struttura molecolare?

A questo punto, ecco comparire due altri colori dell’idrogeno: il blu, quando l’elettricità proviene da centrali a metano con sequestro di CO2, il verde, quando la corrente proviene da eolico o fotovoltaico, che funzionano senza consumo d’acqua. A parte i problemi di costi – che non trattiamo qui – come non stupirci che non ci si faccia mai carico del fatto che l’idrogeno blu, in quanto prodotto da centrali a carbone o gas fossili, richiede enormi quantità d’acqua consumate in particolare nei cicli di raffreddamento?

Ad esempio, uno dei vantaggi propagandati della futuristica economia dell’idrogeno negli Stati Uniti è che l’approvvigionamento di idrogeno, sotto forma di acqua, è virtualmente illimitato. Questa ipotesi è talmente scontata che nessuno studio importante ha considerato appieno quanta acqua avrebbe bisogno un’economia dell’idrogeno sostenibile se non si alimentasse solo con fonti rinnovabili.

Michael Webber, direttore associato presso il Center for International Energy and Environmental Policy presso l’Università del Texas ad Austin, ha recentemente colmato questa lacuna fornendo una prima analisi del fabbisogno idrico totale con dati recenti per un’economia dell’idrogeno “di transizione” negli Stati Uniti a trazione fossile. L’analisi di Webber stima che per la quantità di idrogeno prevista dal piano al 2030 si utilizzerebbero circa dai 72 ai 260 trilioni di litri di acqua all’anno come materia prima per la produzione elettrolitica e come soprattutto refrigerante per l’energia termoelettrica. Si tratta di 196-714 miliardi di litri al giorno, un aumento del 27-97% dai 737 miliardi di litri al giorno (272 trilioni di litri all’anno) utilizzati oggi dal settore termoelettrico per generare circa il 90% dell’elettricità negli Stati Uniti.

Il significato più grande di questo lavoro di ricerca di Webber, unico al mondo, è che, utilizzando l’idrogeno come vettore ma lasciando inalterato il ricorso a centrali fossili (idrogeno blu) al posto di impostare un radicale decentramento sostenuto dall’elettricità fornita dalle fonti rinnovabili, potremmo avere un impatto molto drammatico sulle risorse idriche. C’è solo l’idrogeno verde come possibile soluzione sia all’emergenza climatica che a quella idrica.

In un recentissimo articolo Nicholas Kusnetz, reso famoso come consulente e protagonista del film di Michael Moore Planet of the Humans, suggerisce a Joe Biden il terreno su cui potrebbe nascere una intesa bipartisan sul clima: la produzione di idrogeno blu con il metodo di cattura e stoccaggio della CO2! Quindi, a suo dire, un sostegno sia dei democratici che dei repubblicani alla lotta climatica troverebbe un compromesso nel destinare incentivi alla cattura di anidride carbonica da sparare nei pozzi o da iniettare nelle caverne sotterranee, cioè un sostegno alle lobby dei fossili, ovvero al mantenimento del sistema energetico responsabile primo della crisi climatica.

Questo spiega le critiche che erano venute dal mondo ambientalista all’impostazione del film di Moore, il peggiore e più ambiguo nella carriera del famoso e spesso riconosciuto regista.

L’articolo Idrogeno verde, l’unico rimedio alla crisi idrica e climatica. Checché ne dicano le lobby e Michael Moore proviene da Il Fatto Quotidiano.