Approvato regolamento par condicio

Ora basta alibi, recuperare tempo perduto

“Abbiamo dovuto far ricorso alle proteste di piazza per ottenere il riconoscimento del sacrosanto diritto all’informazione sui referendum del 12 e 13 giugno. Finalmente, con grave ritardo, la Commissione di vigilanza ha approvato il documento sulla par condicio: adesso spetta alla Rai, che finora non ha certo brillato, recuperare il tempo perduto”. Così le oltre 80 associazioni del Comitato ‘Vota Sì per fermare il nucleare’ accolgono, dal presidio davanti San Macuto, la notizia dell’approvazione del regolamento sulla par condicio in Rai.

“L’ostruzionismo in Commissione di vigilanza – spiega il Comitato – ha di fatto bruciato metà della campagna elettorale sui referendum: il regolamento avrebbe dovuto essere in piedi, infatti, da un mese. Ma oggi le regole ci sono, e nessuno ha più alibi”. Adesso, prosegue la nota delle associazioni antinucleari, “proprio per accertarci che la Rai faccia il suo dovere e recuperi il tempo perduto, chiediamo alla nuova dg Lorenza Lei di poterla incontrare. E, ovviamente, ci aspettiamo di veder partire finalmente anche sulle altre reti televisive quella copertura informativa che finora è mancata”.

IL REGOLAMENTO APPROVATO (PDF, 152 Kb)

Richiesta spazi elettorali

Alle associazioni e ai Comitati regionali e locali

Carissimi, vi vogliamo ricordare che per usufruire degli spazi di propaganda indiretta (affissione manifesti) bisogna fare richiesta alla giunta del proprio comune. Tutti i comitati e le singole associazioni possono farla in qualità di “fiancheggiatori”.

Qui potete scaricare il file con tutte le istruzioni e il modulo per la richiesta:

Istruzioni per l’uso campagna referendaria (PDF, 61KB)

Preghiamo tutte le associazioni e tutti i comitati regionali di attivare le loro strutture locali e di garantire che le richieste siano inviate via fax a tutti i comuni, anche quelli dove non ci sono comitati territoriali.

NON PERDIAMO QUESTA OCCASIONE!

I manifesti del Comitato nazionale li faremo arrivare tramite le strutture regionali e provinciali della FIOM.

Segreteria Organizzativa – Comitato VOTA SI per fermare il nucleare – Via Colonna Antonina n. 41 – Int- 7 00186 Roma – e-mail: segreteria@fermiamoilnucleare.it

Incontro Comitato promotore regionale

La situazione in cui ci troviamo ad operare è paradossale: i sondaggi hanno convinto il governo che, se fosse andato al referendum nucleare, avrebbe perso. Quindi il popolo ha vinto, ma rispondendo alle telefonate dei sondaggisti e non esprimendo un giudizio con una scheda elettorale. E dunque la partecipazione democratica ha perso. E il governo dichiara che in realtà vuole solo prendere tempo. Dunque il popolo è stato imbrogliato, nella sostanza. A meno che non avvenga il probabile tracollo economico della filiera nucleare, che salverebbe la sostanza ma non la sovranità popolare sulle scelte fondamentali. E comunque stiamo parlando di un provvedimento legislativo che tale, per il momento, non è, e che per di più non è affatto certo che, una volta approvato, risulti efficace nell’annullare il referendum. Un guazzabuglio insomma, in cui a fronte di chi, irresponsabilmente, alimenta confusione per disorientare il popolo chiamato al voto, a noi è chiesto di usare parole di chiarezza. E la chiarezza è quella degli appuntamenti della CAMPAGNA PER IL SI’ AL REFERENDUM NUCLEARE, che diventa anche una campagna per difendere la stessa istituzione referendaria!

Per fare insieme il punto della situazione e programmare le prossime iniziative, il comitato promotore regionale lombardo si incontra il prossimo mercoledì 4 maggio, presso la sede di Legambiente in via Bono Cairoli 22 (M1 Turro) alle ore 17.30. Confido nella vostra partecipazione.

Damiano Di Simine

Il nucleare che non c’è ci costa già 4 miliardi

Da Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2011

Questa al cifra stimata per il riprocessamento del combustibile dalle scorie. Un lavoro pericoloso cui gli Usa hanno rinunciato. Ancora più esorbitanti i costi di smantellamento delle vecchie nucleare. Quasi tutte quelle attive oggi risalgono agli anni 70 ed entro il 2020 verranno chiuse.

Tra i  molti dubbi una cosa è certa: il costo che gli italiani stanno già pagando per il “riprocessamento” del combustibile esausto e per il decommissioning (smantellamento) dei loro impianti nucleari non più funzionanti.

“Riprocessare” il combustibile significa, infatti, separare dalle scorie le parti riciclabili: l’uranio non ancora utilizzato e soprattutto il plutonio formatosi nel combustibile stesso durante il funzionamento del reattore. Si tratta di lavoro “sporco” perché presenta rischi di proliferazione dovuti al fatto che parte del materiale sia sottratto senza che ve ne sia evidenza. Per evitare questi rischi gli Stati Uniti sino ad oggi hanno scelto di non riprocessare le loro scorie, considerando il combustibile come un vero e proprio rifiuto a perdere. Molti altri Paesi sono in una situazione di attesa, cosicché – secondo i dati forniti dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, l’Aiea – solo un terzo del combustibile nucleare irraggiato prodotto sino a oggi nei reattori di tutto il mondo è stato riprocessato, mentre tutto il resto è stoccato, in attesa dello smaltimento o della decisione circa il suo destino.

L’Italia sceglie di trattare le scorie

A differenza di questi Paesi, l’Italia ha sposato, per il combustibile esausto proveniente dagli impianti oggi fermi, la scelta del riprocessamento, una strada rischiosa e costosa, tant’è che per onorare il contratto con la francese Areva, dal primo gennaio 2007 è stata triplicata la quota della componente A2 (nella bolletta), i cosiddetti “oneri nucleari”, che hanno comportato, come dice l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, “un aumento dell’ordine di un punto percentuale sulla tariffa domestica”. Al netto di imprevisti, la stima degli oneri complessivi del programma di riprocessamento trasmesso all’Autorità, a dicembre 2006 e confermato a marzo 2007, ammonta a 4,3 miliardi di euro, comprensivi, sia dei costi già sostenuti dal 2001 a moneta corrente, sia di quelli ancora da sostenere a moneta 2006.

La stima dei costi per la chiusura del ciclo del combustibile è articolata in tre distinte partite:

1. la sistemazione del combustibile irraggiato delle centrali di Trino, Caorso e Garigliano ancora stoccato in Italia, del quale è previsto l’invio in Francia per il riprocessamento, con ritorno dei prodotti post-ritrattamento al deposito nazionale

2. la sistemazione della quota parte Sogin del combustibile della Centrale di Creys-Malville, per la quale è prevista la cessione onerosa a EdF, con la conseguente presa in carico da parte di Sogin del relativo plutonio presso gli stabilimenti della Areva e quindi la successiva cessione onerosa di detto plutonio

3. la sistemazione del combustibile irraggiato che, a fronte di contratti già stipulati, è stato già inviato in Inghilterra e i cui prodotti post-trattamento saranno trasferiti direttamente al deposito nazionale

Devono poi aggiungersi i costi per le attività tecniche a carattere generale, di supporto, funzionamento sede centrale e imposte. Tutti questi costi sono oggi fatti pagare agli utenti con la bolletta dell’energia elettrica.

Smantellare le centrali

La grandissima maggioranza delle centrali nucleari oggi operanti nel mondo sono state ordinate negli anni ’60 e ’70 (quelle ordinate dopo il 1979 sono pochissime) e sono entrate in servizio negli anni ‘70 e ’80. All’inizio si assegnava a una centrale nucleare una vita produttiva di trent’anni, estesa poi a quarant’anni. Entro il 2020 tutte o quasi le centrali nucleari oggi attive nel mondo compiranno quarant’anni e dovrebbero essere smantellate.

Nel caso italiano gli esperti sostengono che i costi di decommissioning (comprensivi anche del confinamento delle scorie) equivalgono a una volta e mezzo il costo di una nuova centrale. D’altra parte Francia, Inghilterra e Stati Uniti fanno valutazioni analoghe. Nel 2005 il ministero dell’Industria francese, in base a un criterio stabilito nel 1991, valutava in 13,5 miliardi di euro il costo di smantellamento del parco nucleare, ma già nel 2003 la Corte dei conti aveva valutato tale costo in una forchetta di 20-39 miliardi di euro, mentre una commissione ad hoc parla oggi di centinaia di miliardi di euro (e si capisce che i francesi, che pagano oggi il 30% in meno degli Italiani la bolletta elettrica, in realtà stanno staccando un acconto e che la richiesta di Edf al governo di un aumento di 20 euro al Mwh per il decommissioning, finisce col pareggiare già adesso il conto).

L’Inghilterra ha prodotto la sua prima stima del costo della “uscita “ del Paese dal nucleare in circa 80 miliardi di euro, una cifra gigantesca, oltre il doppio del costo di costruzione ex-novo dell’intero parco nucleare inglese. Per il governo Usa trattare i 25 reattori a minore potenza già fermi costa attorno a 500 milioni di dollari a impianto. Senza contare che lo stesso studio di previsione ritiene che occorrano almeno 50 anni di “fermo impianto” per poter consentire nei 60 anni successivi l’accesso sicuro degli operatori. Tutti rilievi e conti confermati dall’Ue, che, attraverso il Joint Research Center nel sito di Ispra (Varese), si appresta al decommissioning di Essor – un reattore sperimentale di 42 MW che ha prodotto nella sua attività 3.000 m3 di scorie – con un budget ventennale di oltre 1,5 miliardi di euro complessivi.

Da ciò si deduce che i costi “nascosti” e “rinviati” del nucleare sono ancora ben lontani dall’essersi manifestati interamente e sono dello stesso ordine di quelli di costruzione. Oggi cominciano a venire al pettine. La chiusura degli impianti che compiono 40 anni di attività, a seguito della crisi finanziaria e dei bilanci statali, viene rinviata di qualche anno, come in Germania e Spagna, ma è una necessità ineludibile. Quindi i costi (e i problemi) del decommissioning salgono alla ribalta e quelli “veri” del nucleare inevitabilmente lievitano. Potremmo dire che, per ogni euro pagato in fase di costruzione di un nuovo reattore oggi, occorre ipotecare un analogo pagamento che andrà a scadenza entro la fine del secolo.

di Mario Agostinelli (Portavoce del Contratto mondiale per l’energia e il clima. L’articolo, pubblicato in anteprima da ilfattoquotidiano.it, uscirà a Maggio sul mensile Valori)