13 ottobre: Manifestazione Nazionale contro Aermacchi

Per sabato 13 ottobre è indetta una MANIFESTAZIONE NAZIONALE presso l’AleniaAermacchi di Venegono-Varese contro le produzioni belliche ed in particolare contro la vendita degli aerei AleniaAermacchi M346 ad Israele.

Perché questa manifestazione?

Perché noi varesini, che il problema ce lo abbiamo in casa -buona parte delle produzioni aeronautiche belliche italiane sono insediate nella nostra provincia-, ci sentiamo in dovere di far emergere e denunciare questa realtà.

Già negli anni scorsi avevamo denunciato la cronica dipendenza del nostro territorio dalle produzioni belliche indicendo manifestazioni attorno ad AgustaWestland (elicotteri) ed AleniaAermacchi (aerei) e, più recentemente, anche iniziative e convegni contro l’F35, il nuovo supercacciabombardiere americano (prodotto e revisionato a Cameri, provincia di Novara, Piemonte, ma sempre da Alenia Aermacchi -Finmeccanica-, che ha sede centrale a Venegono, Varese).

Inoltre nella sua recente visita in Italia, il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman, ha fatto una tappa del suo tour semisegreto proprio qui all’AleniaAermacchi di Venegono a cui è seguita la firma dell’accordo. Un accordo che non è stato scalfito neppure dall’ “Operazione piombo fuso” del dicembre 2008 – gennaio 2009, che ha visto Israele colpire con il suo “potere aereo” la popolazione palestinese civile inerme (1400 uccisi, di cui circa 400 bambini). Un’azione militare brutale, senza giustificazioni, nella quale sono state usate anche armi sconosciute o già vietate dalle Convenzioni internazionali (fosforo bianco, bombe D.I.M.E., uranio impoverito) e nella quale Israele ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità (come documentato all’ONU dal “Rapporto Goldstone”).

I promotori di questo “affare” vanno dal deputato varesino del PD Daniele Marantelli (al quale piace molto la definizione di Varese “provincia con le ali” da guerra) all’ex Premier Berlusconi “commesso viaggiatore” per Finmeccanica, dai Sindacati confederali metalmeccanici locali a diversi esponenti di spicco della Lega Nord varesina (Giuseppe Orsi, Presidente e Amministratore Delegato di Finmeccanica, e Dario Galli, tra gli undici del Consiglio di Amministrazione nonché presidente della Provincia di Varese).

Questa manifestazione è contro la pratica bellica, affermatasi negli ultimi 20 anni, che chiama “pace” la guerra e la vorrebbe giustificare come strumento di “sicurezza preventiva” e di “esportazione di democrazia”, sino a definirla “umanitaria”.

Ma “guerra umanitaria” è un ossimoro: la guerra provoca solo morti, feriti, distruzioni e genera odio, rancori e vendette; essa è quanto di più disumano si possa immaginare. Non ci sarà mai pace fin quando l’affare più redditizio sarà la produzione delle armi e di tutti gli strumenti di morte Per questo, dopo averne discusso ampiamente a livello locale, abbiamo deciso di indire questa manifestazione, cui chiediamo di aderire, inviando una e-mail di conferma a: nessunm346xisraele@gmail.com.

Parteciperanno e interverranno tra gli altri Alex Zanotelli, Massimo De Santi, Mauro Cristaldi, Mario Agostinelli, Luisa Morgantini.

PROGRAMMA

ORE 10.30: laboratorio coi bambini “Creare percorsi di Pace” presso il Castello dei Missionari Comboniani di Venegono Superiore, in preparazione della Manifestazione, con eventuale pic-nic e poi partecipazione alla stessa.

ORE 14.00: concentramento in PIAZZA MERCATO via C. Menotti – Venegono Inferiore (VA)

ORE 15.00: partenza corteo (Km da percorrere: 6)

ORE 18.00: fine corteo presso il castello dei Comboniani, con musica e vari interventi. L’INTERVENTO di ALEX ZANOTELLI è previsto in una sosta lungo il percorso.

ORE 19.30: chiusura della manifestazione

 

Per contatti

nessunm346xisraele.blogspot.it

Filippo Bianchetti 339 7354336 Comitato Varesino per la Palestina -Varese

Elio Pagani 331 3298611 DisArmiAmoLaPace – Varese

Il principio di realtà che vanifica il Piano Passera

Se diamo uno sguardo al rapporto mensile sul sistema elettrico di Terna di settembre, scopriamo una serie di dati interessanti, che nei fatti vanificano e mettono al di fuori dei processi reali il Piano Passera.

Che cosa è successo nei primi 9 mesi del 2012?

– hanno continuato a calare i consumi di energia (-2,3% rispetto al 2011);

– è calata la produzione di energia (-1,6%), ma eolico e fotovoltaico sono cresciute rispettivamente del 37,2% e del 91,3%, mentre il termoelettrico ha perso ancora quote di produzione (-4,3%).

 

Il quadro che emerge, perciò, conferma il trend dei rilevamenti dei mesi scorsi (si veda per i dettagli il Quaderno di Energia Felice 1). Ad un calo dei consumi corrisponde un incremento della produzione da rinnovabili e una progressiva marginalizzazione del termoelettrico.

Le politiche energetiche ed industriali dovrebbero accompagnare questo processo, che appare ormai irreversibile. il Governo, però, sembra rispondere non agli interessi delle ormai migliaia di famiglie e piccole imprese che producono energia decentrata da fonti rinnovabili, ma dei pochi grandi produttori inquinatori.

 

Rinnovabili e blackout: Italia vs. Germania

di Mario Agostinelli – Il Fatto Quotidiano on-line –  10 0ttobre 2012

 

Mentre vengono resi noti i risultati degli stress test condotti su 145 reattori nucleari europei che hanno evidenziato estese criticità, la Commissione Europea rimane in stand-by. Non intima la chiusura delle 13 centrali più obsolete e a rischio perché sono fortissime le pressioni del vecchio sistema energetico a mantenere la megastruttura che unifica fossili e nucleare. Così si contrasta la stessa Roadmap 2050 dell’Ue, che prevede una larga prevalenza delle fonti rinnovabili per la metà del secolo.

Il nostro Governo, pur obbligato dal referendum a stoppare il nucleare, rientra nel gruppo degli avversari delle rinnovabili. Continua in questo la politica di Berlusconi – d’altra parte gli interessi dei banchieri al governo sono contigui a quelli delle lobby dei mega-impianti che ispiravano il Cavaliere – e quindi rilancia gas, petrolio e carbone. Tutto questo con lo spauracchio dei blackout energetici, in agguato, a quanto vorrebbero farci credere, se dovesse affermarsi un sistema decentrato, governato sul territorio e alimentato dalle fonti naturali.

Niente di più falso e indimostrabile. A riprova della faziosità di Passera & Co quando ipotizzano un’Italia solcata da tubi e elettrodotti, costellata di rigassificatori e magari depositi di CO2, viene la conferma che in Germania, l’inverno scorso, le luci sono state tenute accese dall’energia solare. Il Governo tedesco, che si prepara a chiudere i suoi 22 reattori nucleari, ha ridotto anche gli scambi nucleari con la Francia rischiando il blackout ma, come ha detto il responsabile per l’energia del Bunderstag: “Siamo stati salvati dal sole”. È pur vero che lo scorso febbraio il territorio dallaBaviera alla Mosella ha avuto un’eccezionale insolazione ma i 28 GW di potenza fotovoltaica, concentrati nella regione, erano collegati alla rete ed hanno fornito il 3% circa della potenza totale. Il solare è un generatore di elettricità intermittente, dipendente dagli impianti di stoccaggio e di back-up che ovviano, se ben progettati, alla capacità di potenza quando il sole non splende.

È risultato determinante per la Germania l’avere investito nelle reti e nei sistemi di immagazzinamento. Lo sforzo tedesco consiste nel ritenere le rinnovabili sostitutive dei fossili e quindi meritevoli della massima attenzione lungo tutta la filiera. Si è così creata una capacità di energia in eccesso, che ha consentito di aumentare le esportazioni di elettricità verso la Francia ipernucleare da 4 a 5 GW.

“I dati non mentono – ha affermato Brandon Mitchener, portavoce di First Solar, azienda leader nel fotovoltaico – e dimostrano che solare ed eolico sono in grado di fornire reale potenza proprio quando è più necessario, quando la domanda è al suo apice”. I governi europei dovrebbero puntare ad ampie e ben coordinate connessioni alla rete inter e intra-europea, che non esistono ancora. È proprio la “Roadmap 2050” a richiedere l’integrazione delle fonti energetiche rinnovabili nella rete e piani di sviluppo delle infrastrutture, ivi compreso il consolidamento delle interconnessioni con i paesi vicini. Invece di mettere controlli alle frontiere per l’energia elettrica (è bene sapere che il gas che passa da Dobbiaco subisce un aumento del 7% quando entra nelle condotte Snam!), occorrerebbe in Europa assicurare una migliore integrazione delle energie rinnovabili.

Come si comporta l’Italia, dove il silenzio copre tutte le decisioni strategiche che i cittadini dovrebbero conoscere? Il piano energetico di Passera, in discussione in questi giorni, va in direzione opposta alla linea proposta dalla Ue. Prevede l’autarchia da petrolio e gas e la marginalità delle rinnovabili. Niente visione di lungo periodo, né partecipazione all’integrazione europea strutturale. Che altro aspettarsi da banchieri e tecnici che usano la crisi per rimettere in corsa vecchi poteri, anziché aprire il varco a speranze, intelligenze, competenze e tecnologie che si misurino positivamente con la crisi climatica e ne facciano occasione per buona occupazione, risanamento ambientale, tutela della salute?

Il governo della grande trivella

di Mario Agostinelli – Il Manifesto 6 ottobre 2012
I cinque punti del “piano Passera” per rigassifigatori e nuovi metanodotti, con una governance centralizzata. Un ritorno al passato che seppellisce le energie rinnovabili

 

Con l’indispensabile premessa di una totale espropriazione della partecipazione popolare a discapito della stessa Costituzione, una conturbante bozza della «nuova» strategia energetica nazionale ha visto la luce a fine Agosto: 100 pagine fitte fitte, che prossimamente verranno sottoposte – si afferma – ad una pubblica consultazione, per cui l’informazione compiacente ha già anticipato mirabolanti effetti . Né più né meno che un ritorno al passato, mascherato con la retorica riproposizione di obiettivi tanto condivisibili quanto vaghi e senza l’onere della verifica – diminuzione del costo del Kwh; riduzione della dipendenza dall’estero; crescita sostenibile; raggiungimento degli obiettivi europei, incremento dell’occupazione. Una retorica supportata dalla complicità della grande stampa e dagli interessi bipartisan presenti in Parlamento. (Basterebbe rileggere le rivelazioni di Wikileaks sulle Banche nazionali, su Enel ed Eni in combutta con Berlusconi ai banchetti dove si tracciavano le reti fossili da Oriente ad Occidente). Proviamo allora a guardare dentro il documento presentato da Passera e a fare qualche conto per sfatare per punti e sullo stesso terreno dei proponenti una propaganda tanto grossolana quanto insidiosa.

1) La promozione dell’Efficienza Energetica rivela buoni propositi: di concreto però c’è soltanto la proposta di estendere nel tempo le detrazioni fiscali del 55%, differenziando la percentuale di spesa detraibile e/o la durata del rimborso in relazione all’effettivo beneficio dell’intervento. Introducendo in più tetti di costo per tipo di intervento ed escludendo dalla detrazione gli impianti già incentivati con altri strumenti.

2) L’autentica priorità è quella di fare del nostro Paese un hub del gas: nel concreto si tratta di costruire rigassificatori e nuovi metanodotti, si dice, per aumentare la sicurezza e la concorrenza e al fine di abbassare i prezzi. Da anni ciclicamente si torna a parlare del nostro paese come di un possibile centro di arrivo e smistamento di gas per l’Europa. Il ministro attuale rispolvera dunque un progetto caro ai suoi predecessori (Bersani) e condiviso anche dall’allora ministro delle infrastrutture, Antonio di Pietro, che nel 2006 parlava della necessità di costruire 11 rigassificatori. Il termine «hub del gas» non rappresenta affatto una formula in grado di abbassare il costo del gas che consumiamo: il discorso è esente da certezze e i rigassificatori non sono impianti pronti a ricevere gas liquefatto (Gnl) bypassando i metanodotti, ovviamente a prezzi concorrenziali. E’ un’illusione pensare che attraverso i rigassificatori ci si rivolga solo al mercato spot (quello alimentato in borsa dal trasporto su nave) senza avere alle spalle contratti di fornitura a lungo termine (quelli siglati con i Paesi grandi produttori che spediscono «via tubo»). Tant’è che nel mondo nel 2011, su una capacità di liquefazione pari a circa 270 milioni di tonnellate, ne sono state contrattate 240 milioni e di queste solo 26,6 sul mercato spot, mentre il resto è stato fornito con contratti a lungo o breve termine. Di fatto, il mercato è talmente instabile che in questi ultimi mesi del 2012 sono intervenuti mutamenti che rischiano di bruciare le ambizioni del governo. A segnalarlo sono proprio le imprese che seguono la bussola della redditività degli investimenti; è di un mese fa la notizia dell’abbandono di Erg del progetto del rigassificatore di Priolo; in ritardo è quello della Olt di Livorno (che doveva già essere pronto); idem per Falconara Marittima; silenzio per Gioia Tauro, mentre l’Enel pare ben poco stimolata ad accelerare su Porto Empedocle. In effetti, nessuno dei grandi produttori di Gnl pensa all’Italia come hub del gas, perché comanda il prezzo e il prezzo dice Asia, non Europa. Quindi, di certo, l’idea non abbasserà il prezzo del gas: in compenso darà la stura a grandi opere e all’introduzione delle cosiddette «essential facilities», infrastrutture da costruire con «garanzia di ricavi» e «iter autorizzativi accelerati». Il che significa che i nuovi impianti saranno costruiti grazie a incentivi che graveranno sulle bollette di tutti.

3) Si capisce allora perché scompaiono i sostegni alle rinnovabili, l’unico settore per cui nella bozza Passera lo sviluppo è previsto compatibilmente con la sostenibilità economica. In realtà, questo governo non considera queste fonti una scelta strategica. Basta notare che si richiamano i due recenti decreti ministeriali, che però sono stati redatti per contenere la spesa e non per raggiungere obiettivi sfidanti. Per le rinnovabili termiche, poi, si parla del fatidico conto energia termico che si attende da un anno e per i trasporti si punta sui biocarburanti di seconda generazione – il prezzo e il consumo del suolo sono sempre in agguato! – verso i quali si sposterebbero gli incentivi tolti al fotovoltaico.

4) Ed eccoci, come corollario obbligato, al rilancio della produzione nazionale di idrocarburi (!), tramite cui, così recita il documento, «è possibile raddoppiare l’attuale produzione, con importanti implicazioni in termini di investimenti, occupazione, riduzione della bolletta energetica ed incremento delle entrate fiscali». Che dire? Già altri hanno sottolineato i problemi ambientali: lasciamo perciò parlare i numeri: nel 2011 in Italia sono stati estratti circa 5,3 milioni di tonnellate di greggio (per la precisione 5.286.041 t.). Il consumo di petrolio è stato invece di 71,2 milioni di tonnellate. Le riserve certe ammontano a 76 milioni di t, quindi poco più del nostro consumo in un anno. Dove sta quindi la «rivoluzione petrolifera» del nostro sistema energetico se si raddoppiasse l’estrazione locale, così poco rilevante per il mix delle fonti, ma così densa di effetti devastanti per l’ambiente?

5) L’ultima priorità annunciata è quella della «modernizzazione del sistema di governance» (concetto ormai magico quanto quello associato allo spread), in cui si propone quanto da tempo richiesto da Confindustria: modificare la Costituzione per far tornare l’energia argomento di competenza dello Stato e non più materia concorrente fra Stato e Regioni. La motivazione è ovvia: accelerare gli iter autorizzativi per i grandi impianti. Verrebbe così ricentralizzata la programmazione energetica nelle mani dei ministeri competenti, al fine di ridurre le autonomie locali sia nelle fasi di programmazione, che di intervento nelle procedure di valutazione ambientale delle infrastrutture energetiche. Bisogna cogliere la filosofia generale di questo assunto: la nuova strategia energetica nazionale individua nell’accentramento il sistema di governance migliore per depotenziare la diffusione delle rinnovabili e salvaguardare il tradizionale oligopolio legato alle fonti convenzionali. Ai territori spetta soltanto un potere consultivo, in modo tale che non intralcino con le proprie autonomie lo sviluppo delle grandi infrastrutture energetiche. A vantaggio, ovviamente, di Eni, Edison, Enel, Snam e delle banche che hanno finanziato le grandi reti trans europee e trans mediterranee, minacciate dalla programmazione territoriale, dal ricorso alle fonti naturali, dalla riduzione degli sprechi, dall’attenzione sempre più consapevole alla questione climatica. Ma se un futuro promettente viene per legge convertito in un torvo ritorno al passato, perché non prendere in considerazione la proposta di un referendum contro il piano del governo Monti avanzata su queste pagine da Nicola Cipolla?