La FIOM per la green economy

“Non si tratta di sperare in una generica ripresa dopo la prolungata crisi che è tuttora in corso, ma si può immaginare un futuro per l’industria solo ripensando in chiave ecocompatibile il concetto stesso di produzione industriale”. Ad affermarlo Maurizio Landini, segretario generale della Fiom. Il sindacato dei metalmeccanici Cgil crede fermamente nella green economy come unica via per far ripartire la realtà industriale italiana. E sta portando avanti un proficuo dialogo con ambientalisti e mondo delle rinnovabili, che ha avuto una tappa importante nel seminario tenutosi ieri a Roma, dal titolo “Strategie energetiche nazionali: l’industria delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica”. “Un’alleanza –  ha sintetizzato Maria Grazia Midulla del WWF, intervenendo al seminario – in cui ognuno, ambientalisti e sindacati, assume un po’ del punto di vista dell’altro”.

La crisi verrà vinta con il superamento definitivo dello storico conflitto ambiente-lavoro? “Il caso Ilva insegna. Occorre chiedersi cosa si produce, come lo si produce e perché”, risponde indirettamente Eliana Como del centro studi Fiom. “Troppe merci, prodotte male e con poco lavoro: questo ha portato alla crisi, che è una crisi di paradigma. Il sistema non può ripartire com’era. Non si tratta più di rendere compatibile ambiente e lavoro, ma di mettere l’ambiente al centro dell’attività produttiva”, spiega Danilo Barbi, della segreteria nazionale Cgil.

Una ripartenza – è stato il filo conduttore del convegno – che non può avvenire senza una politica energetica e industriale lungimirante e stabile, della quale si sente fortemente la mancanza. Cosa abbia portato l’incertezza normativa e il tentativo di ostacolare le rinnovabili di questi ultimi anni lo sanno bene i metalmeccanici che lavorano nelle rinnovabili. Come hanno ricordato diversi delegati RSU di aziende del settore intervenuti, la politica ondivaga in materia di energia pulita ha esacerbato la piaga del precariato.

Degli effetti sull’occupazione nel comparto, d’altra parte, su queste pagine abbiamo parlato più volte: solo per fare l’esempio del fotovoltaico, in un anno di incertezza normativa terminato con lo sconvolgimento del quinto conto energia si sono persi circa 6mila posti di lavoro su 18.500 (indotto escluso), ha ricordato il presidente del GIFI Valerio Natalizia, intervenendo all’incontro.

“Non è l’eccesso di diritti dei lavoratori che ostacola la realtà produttiva italiana, ma una politica industriale che non c’è”, ha sottolineato Landini. Interessante da questo punto di vista la testimonianza di Paolo Mutti, a.d. di Solsonica, importante produttore italiano di celle e moduli FV sulla competizione con la Cina: il costo del lavoro, ha spiegato, èun fattore trascurabile in un prodotto come le celle e i moduli fotovoltaici, a rendere più competitivi i cinesi è la politica di Pechino che, avendo deciso di puntare sulle rinnovabili, li sostiene anche nei periodi difficili, garantendo l’accesso al credito tramite le banche nazionali.

In Italia invece un indirizzo politico che promuova con una certa stabilità uno sviluppogreen manca. Preoccupa l’assenza del tema della politica industriale nella campagna elettorale, mentre il governo uscente, come ha sottolineato il responsabile delle politiche ambientali Fiom Maurizio Marcelli, guarda al passato riproponendo un modello basato sulle fonti fossili.

Nel nostro paese, mentre si taglia il sostegno alle rinnovabili  e si pensa a nuove trivellazioni, da 3 anni gli investimenti industriali sono in declino e l’innovazione langue, tanto che abbiamo un quarto dei brevetti per abitante che ci sono in Germania, come ha ricordato Carlo Buttarelli, rappresentante sindacale Flc all’Enea, ente che dovrebbe promuovere ricerca e sviluppo, ma che è “commissariato e in cui ogni 5 ricercatori pensionati se ne assume uno, così che si è raggiunta l’anzianità media di 53 anni”.

di Giulio Meneghello – 18 gennaio 2013

“Servirebbe un programma di sostegno alla ricerca e alle filiere industriali innovative come era stato ‘Industria 2015’ introdotto dal governo Prodi e cancellato dal successivo: il nuovo governo dovrebbe mettere in piedi un programma ‘Industria 2020’” ha suggerito Gianni Silvestrini, illustrando le varie possibilità di riconversione verde della nostra economia puntando su rinnovabili, efficienza energetica in edilizia e mobilità sostenibile. Una riconversione, ha suggerito, che “potrebbe essere finanziata spostando gradualmente quei 60 miliardi l’anno che il nostro paese spende per importare dall’estero combustibili fossili”.

Un’idea, quella della riconversione verde, che sembra piacere a Landini, che ha ricordato come ad esempio la Fiom da tempo sostenga l’eolico galleggiante come attività per la riconversione di Fincantieri. “Per uscire dalla crisi occorre una politica energetica, dei trasporti, delle infrastrutture che guardi al futuro – ha concluso – Bisognerà confrontarsi con il nuovo governo su una nuova politica industriale”.

Qualche domanda ai partiti sull’energia

Il Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) ha inviato ai partiti politici che si presenteranno alle prossime elezioni un articolato position paper, che pubblichiamo di seguito, sulla Strategia Energetica Nazionale e sullo sviluppo del settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, costituito da 15 tematiche per le quali viene richiesta una risposta o una condivisione. Il Coordinamento FREE raccoglie in qualità di Soci più di venti Associazioni che rappresentano questi settori, oltre a un ampio ventaglio di Enti e Associazioni che hanno chiesto di aderire come ‘sostenitori’ (senza ruoli decisionali).

Tra le proposte/richieste di FREE, la creazione di un Tavolo permanente di confronto con gli stakeholder, l’introduzione di una carbon tax, un’azione per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio. Richieste di principio ma anche di carattere tecnico, a una politica che, tranne qualche eccezione, non mette ancora al centro la questione energetico-ambientale e un serio ripensamento della politica industriale del Paese.

I politici dovrebbero fare uno sforzo per uscire dal pensiero unico e di breve periodo che li attanaglia e li rende mediocri nella loro azione, ponendosi almeno un quesito chiave: come dovremmo vivere e cosa dovremmo consumare e produrre tra 20 o 30 anni? Già provare a dare una risposta a questa domanda sarebbe un modo per capire qual è il modello di società che hanno in mente, e che ha precise implicazioni anche per il presente. Questa si chiamerebbe … “Politica”.

Coordinamento FREE: alcune domande alle forze politiche – Versione pdf

La Strategia Energetica Nazionale (SEN), messa a punto dal governo Monti, va rivisitata assumendo il 2030 come obiettivo di riferimento per la decarbonizzazione, obiettivi di incremento dell’efficienza energetica e di apporto delle fonti energetiche rinnovabili, che attivino un mercato e un sistema produttivo competitivi e siano coerenti con le indicazioni contenute nelle roadmap europee: consumi che nel 2030 dovranno essere ridotti del 15% rispetto gli attuali e con le energie verdi in grado di coprire il 30% dei consumi (e arrivare al 50-75% nel 2050), da cui far discendere il dimensionamento degli altri obiettivi e la scelta degli strumenti a ciò funzionali.

D 1 – Concordate con questa impostazione?

Relativamente agli obiettivi di efficienza energetica e di sviluppo delle rinnovabili, proponiamo che il ministero costituisca al proprio interno un Tavolo permanente di confronto con gli stakeholder, con il compito, per tali settori, di verificare il grado di attuazione della Strategia Energetica, di discutere proposte di misure ad hoc e, una volta adottate, di verificarne l’efficacia. Tra queste è prioritario esaminare la condizioni per creare una governance forte, fra cui l’opportunità di accentrare in un solo ministero (che potrebbe essere il ministero dell’energia e dei cambiamenti climatici) tutte le competenze e le funzioni in materia energetica e delle correlate implicazioni ambientali.

D 2 – Siete disponibili a livello parlamentare e, se parte della maggioranza, a livello governativo, a sostenere prima e ad approvare poi le proposte in premessa a questa domanda?

Strumenti di valenza generale, coerenti sia con un’economia di mercato, sia con gli obiettivi prioritari da noi proposti, sono l’introduzione, a fiscalità complessiva inalterata, della carbon tax, prevista dalla proposta di Direttiva europea – COM (2011) 169 – a cui faceva riferimento l’articolo 14 del disegno di legge di delega sulla riforma fiscale del governo Monti, e l’abolizione di qualsiasi forma di incentivazione ancora assegnata nel nostro Paese alle fonti fossili.

Le uniche eccezioni riguardano quelle tecnologie e quei settori che in questa fase di transizione utilizzano in modo più efficiente le fonti fossili e contribuiscono fattivamente alla riduzione dei consumi e alla de-carbonizzazione.

D 3 – Concordate sulla priorità da assegnare all’approvazione di un ddl fiscale che introduca la carbon tax e preveda una graduale uscita dal sistema dei benefici fiscali, diretti e indiretti, a favore delle fonti fossili?

Perché gli obiettivi di incremento dell’efficienza energetica e dell’apporto delle rinnovabili massimizzino le ricadute produttive e occupazionali, è necessario destinare risorse adeguate alla R&S e all’innovazione nelle industrie e nei servizi.

D 4 – Siete disponibile, spostando su altri obiettivi le voci a ciò destinate nei bilanci degli enti pubblici di ricerca, ad affiancare alla voce A5 della bolletta elettrica, che finanzia la ricerca di sistema, una voce di peso metà, per finanziare la R&S relativa all’efficienza e alle rinnovabili elettriche (riducendo però le altre componenti, al fine di non aumentare il valore complessivo), e a introdurre nella bolletta del gas una voce percentuale che porti a un ammontare annuo identico per finanziare la R&S relativa all’efficienza e alle rinnovabili termiche? Concordate che un provvedimento analogo va adottato per benzina e gasolio, con il ricavato da destinare alla R&S sui biocarburanti di seconda e terza generazione?

Siete disponibili a utilizzare, per finanziare la R&S, una percentuale significativa dei proventi incamerati dal Governo a seguito della vendita alle aste delle quote di CO2 (periodo 2013-2020, direttiva EU ETS)?

Concordate sulla necessità di istituire un fondo di rotazione ad hoc per l’innovazione nelle industrie e nei servizi attivi nei comparti efficienza energetica e rinnovabili?

Nel settore civile (35% dei consumi finali), più della metà delle costruzioni presenta consumi tripli rispetto a quelli previsti dalle attuali normative per i nuovi edifici e miglioramenti dell’efficienza sono possibili anche sul versante dei consumi elettrici.

D 5 – Siete disponibili ad approvare immediatamente un provvedimento che per l’edilizia nuova o soggetta a ristrutturazioni rilevanti, sia essa pubblica o privata, anticipi allo 01.01.2016 l’adozione della Direttiva 2010/31/UE sui “quasi zero energy building”, come già deciso nel Regno Unito? Siete conseguentemente favorevoli ad aumentare i valori e ad accelerare le scadenze degli obblighi per i nuovi edifici o gli edifici sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, previsti nell’Allegato 3 del Decreto Legislativo 28/2011? Nel recepimento della Direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica accettate di estendere l’obbligo della riqualificazione energetica annua del 3% oltre che per gli edifici pubblici dello Stato,  anche per quelli delle Regioni e degli Enti Locali?

Intendete inoltre sostenere la proposta di rendere stabili al 50% le detrazioni fiscali, riportandone però la spalmatura a 5 anni, e di estenderle (ridotte al 40%) anche alle ristrutturazioni di edifici adibiti ad attività industriali o terziarie, e di introdurre un’analoga detrazione del 10% per gli acquisti di elettrodomestici, limitatamente a quelli della classe più alta?

Per gli interventi di efficientamento energetico nelle industrie, nel residenziale, nel terziario, nell’agricoltura vi è largo spazio per la cogenerazione/trigenerazione, per il recupero termico e per motori elettrici più efficienti. Le modifiche introdotte al meccanismo dei Certificati Bianchi a fine 2011, purché rese più incisive in termini di obiettivi e di riconoscimenti economici, potrebbero garantire un adeguato sviluppo degli interventi di efficientamento, purché gli audit energetici abbiano la necessaria diffusione, soprattutto nelle PMI, condizione oggi lungi dall’essere realizzata.

D 6 – Siete d’accordo che, oltre ad assegnare ai Certificati Bianchi obiettivi più incisivi e riconoscimenti economici maggiori, le PMI possano detrarre fiscalmente il costo degli audit energetici, a condizione che questi siano effettuati da ESCO iscritte, previa qualifica, in un apposito Albo?

Un contributo trasversale alla crescita dell’efficienza energetica può venire dalle azioni del governo italiano a livello comunitario per l’approvazione di normative più stringenti e/o dei tempi per la loro entrata in vigore, riguardanti componenti e sistemi relativi alla produzione e al consumo sia elettrico che termico, nonché al trasporto pubblico e privato. Visto che la “rivoluzione energetica” va affiancata ad una “rivoluzione culturale” sarebbe opportuno, per accrescere l’efficienza energetica e l’energia da fonti rinnovabili , prevedere risorse per attività didattiche nelle scuole o campagne di informazione attraverso i mass media.

D 7 – Siete disponibili a livello parlamentare e, se parte della maggioranza, a livello governativo, a sostenere le suddette azioni da parte del Governo a livello comunitario?

Prioritarie sono tutte le misure volte a facilitare, accelerandolo, il percorso verso la competitività delle fonti rinnovabili, in modo da rendere sempre più residuali i meccanismi di incentivazione. Vanno quindi eliminate innanzi tutto le pastoie normative e amministrative, che oggi come oggi rappresentano costi aggiuntivi.

D 8 – Siete d’accordo sulla necessità di abrogare immediatamente i meccanismi del registro per i piccoli impianti e, per i grandi, delle aste, che hanno dimostrato di non funzionare adeguatamente?

Siete d’accordo nell’avviare un percorso che porti a sostituire i meccanismi attuali di incentivazione con strumenti fiscali incisivi e meccanismi di sostegno sul capitale, anche con fondi rotativi?

L’anno appena concluso ha messo in evidenza una debolezza procedurale in termini di chiarezza soprattutto, ad esempio, legato al tema della definizione di entrata in esercizio; servirà, in relazione a questo, una attenta valutazione delle procedure appena conclusesi con la fine del 2012 onde evitare che impianti realizzati con ingenti investimenti non accedano agli incentivi a causa di mere formalità. Più in generale, le procedure autorizzative vanno riviste alla luce di un principio generale: la produzione energetica con le rinnovabili è funzionale al contrasto del cambiamento climatico, obiettivo considerato prioritario a livello delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. Di conseguenza, pur nel quadro delle normative per la salvaguardia ambientale e per la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, la valenza positiva ai fini del cambiamento climatico deve portare a un’ulteriore semplificazione delle procedure e delle norme attualmente in vigore, sia per gli impianti nuovi, sia per i rifacimenti di quelli esistenti.

Domanda 9 – Siete d’accordo che la revisione delle procedure amministrative dovrebbe essere uno dei temi da portare prioritariamente al Tavolo permanente di confronto da noi proposto?

La Strategia Energetica qui definita è pienamente realizzabile solo creando le condizioni per il massimo sviluppo: a) della produzione decentrata di energia; b) di criteri operativi che risolvano in modo non penalizzante la produzione da fonti rinnovabili non programmabili.

Per quanto concerne il punto a), la normativa esistente contiene misure che favoriscono l’autoconsumo vero e proprio e una forma virtuale di autoconsumo (il cosiddetto scambio sul posto) per impianti di potenza fino a 200 kW, misura che sarebbe opportuno estendere fino ad almeno 1 MW, mentre di recente l’AEEG ha avanzato proposte che viceversa penalizzerebbero lo scambio sul posto. Inoltre, due norme, approvate per rendere possibile la vendita diretta di energia a consumatori diversi dal proprietario di un impianto alimentato da rinnovabili, la prima, denominata Servizio Efficiente di Utenza (SEU) è da tempi in attesa che l’AEEG emani i relativi criteri di applicazione, mentre la seconda, ancora più favorevole, denominata Sistemi di Auto Approvvigionamento Energetico (SAAE) è stata recentemente oggetto di una delibera avversa del TAR del Lazio.

Per il punto b), l’AEEG ha approvato una delibera, che prevede oneri per il bilanciamento con altre fonti della produzione non programmabile, non solo penalizzante in modo ingiustificato, ma addirittura retroattivo. Viceversa, è tecnicamente possibile incaricare Terna (per la rete di trasmissione) e gli operatori delle reti di distribuzione, ciascuno per gli impianti a generazione non programmabile ad esso afferenti, di gestire in modo integrato tali impianti in modo da ridurre drasticamente l’aleatorietà della loro produzione.

Domanda 10 – Siete d’accordo nel proporre l’estensione dello scambio sul posto fino a 1 MW, senza introduzione di misure che lo penalizzino, di sollecitare l’AEEG a varare il provvedimento per rendere operativo il SEU e, nel caso in cui diventasse definitiva la sentenza del TAR del Lazio avversa ai SAAE, di rivedere il provvedimento per tenere conto dei rilievi sollevati dalla giustizia amministrativa?

Concordate che il problema del bilanciamento delle produzioni energetiche non programmabili va affrontato e risolto senza indebite penalizzazioni di tali produzioni, tenendo conto dei limiti oggettivi della tecnologia adottata, e comunque evitando ogni retroattività della norma?

Più in generale, concordate con un impegno di regolazione integrata mirato a raggiungere gli obiettivi per un minore costo dell’energia e la riduzione delle emissioni?

Le bioenergie, cioè quelle direttamente correlate alla sfera biologica e al suolo agro-forestale possono portare un contributo rilevante alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Per garantire una evoluzione sostenibile del settore sono necessarie politiche di sviluppo che siano definite a partire dal contesto, dal territorio e le sue risorse naturali, ambientali, economiche e sociali.  L’approccio integrato è quello che meglio esprime le potenzialità agroenergetiche perché valorizza adeguatamente i sottoprodotti, le colture da integrazione, contribuisce ad una gestione sostenibile ed efficiente del patrimonio agricolo, zootecnico e forestale ed inoltre crea benefici per le comunità locali e al sistema produttivo.

La bioenergia è una fondamentale fonte di carbonio rinnovabile utile per una maggiore sostenibilità delle pratiche agricole. Attraverso una sua larga adozione nelle imprese agricole le bioenergie possono contribuire ad una riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili ed ad una riduzione delle emissioni di gas climalteranti in agricoltura.

In questo quadro è necessario adottare misure per:

  • favorire i processi di miglioramento della efficienza delle tecnologie e dei processi di conversione energetica;
  • sviluppare la qualità e certificazione dei biocombustibili e più in generale delle bioenergie con particolare riferimento all’efficienza nell’utilizzo del suolo e nella riduzione delle emissioni di gas climalteranti;
  • favorire l’utilizzo di biomasse di integrazione atte a ridurre l’efficienza nell’utilizzo del suolo agricolo quali i sottoprodotti agricoli, forestali e agroalimentari, colture energetiche in rotazione con colture alimentari, colture su terreni marginali, sottoprodotti delle bioraffinerie;
  • finanziare il piano quadro “Foresta- Legno” approvato dal MIPAAF per potenziare la gestione forestale sostenibile e la produzione di biomasse in chiave sinergica tra le varie destinazioni finali possibili;incoraggiare la forestazione urbana per le positive implicazioni energetiche e sociali;
  • prevedere per il settore forestale e l’arboricoltura da legno un sistema di incentivi basato sulla contabilizzazione degli assorbimenti di CO2;
  • favorire lo sviluppo delle tecnologie di produzione di biocarburanti di seconda generazione.

Va inoltre intrapresa una azione per promuovere la professionalità degli operatori del settore forestale.

D 11 – Se farete parte del Governo, vi impegnerete a presentare al Tavolo permanente di confronto proposte concrete per la soluzione ottimale di quanto sopra indicato, da tradurre poi in opportuni provvedimenti da presentare al Parlamento? Se all’opposizione, sarete disposti ad approvarli?

L’energia termica rappresenta di gran lunga la prima tipologia energetica utilizzata degli italiani con il 45% nei consumi finali. Il recentissimo decreto che ha finalmente avviato il “conto termico “ costituisce indubbiamente una significativa iniziativa per la promozione di energia termica da fonti rinnovabili. Tuttavia dopo una necessaria fase di start up sarà necessario verificare se le misure adottate saranno sufficienti ed efficaci per il raggiungimento degli obiettivi, con particolare riferimento all’efficienza energetica in edilizia e alla considerazione della stagione estiva, vera sfida per il futuro che vede il nostro Paese leader in Europa.

Domanda 12 – Vi impegnate a sostenere lo sviluppo dell’energia termica da fonti rinnovabili e se sarà necessario ad adeguare misure e stanziamenti previsti dal Decreto 28 Dicembre 2012 per questo scopo?

È ormai urgente introdurre misure atte a garantire l’adeguamento delle reti energetiche agli obiettivi previsti per le rinnovabili e più in generale per la generazione distribuita.

Per quanto concerne il settore elettrico, va perseguito un potenziamento sia quantitativo (obiettivo prevalente per la rete di trasmissione), sia qualitativo (prevalente per le reti di distribuzione, che devono diventare smart). Mentre le misure per i potenziamenti quantitativi sono già previsti negli attuali meccanismi tariffari, per lo sviluppo delle smart grid occorre introdurre nelle tariffe per le reti di distribuzione una voce che consenta ai distributori elettrici di finanziare i relativi investimenti.

Non solo, anche le reti del gas vanno rese smart, e vanno approvate  le misure di incentivazione del biometano immesso in rete,  già previste dall’art. 21 del D.Lgs. 28/2011.

D 13 – Siete disponibili a livello parlamentare a impegnare il Governo e, se parte della maggioranza, a far approvare dal Governo l’indirizzo all’AEEG di modificare le tariffe per le reti di distribuzione elettriche e gas, introducendo una voce finalizzata al finanziamento degli investimenti per la loro trasformazione in smart grid?

Siete disponibili a chiedere l’immediata attuazione di quanto previsto per il biometano dall’art. 21 del D.Lgs. 28/2011?

Nel settore del calore, oltre a potenziare le reti di teleriscaldamento esistenti, ne vanno realizzate altre, con l’obiettivo di passare dall’attuale 4% circa di calore servito da teleriscaldamento al 20% al 2020. Altrettanto va fatto per la cogenerazione ad alto rendimento, lontana dagli obiettivi del Piano d’Azione Italiano per l’Efficienza Enwergetica (72 TWh/a al 2020), la cui penetrazione non dovrà essere solo abbinata al teleriscaldamento. In parallelo vanno introdotte quote minime obbligatorie di utilizzo di calore da rinnovabili, crescenti nel tempo, fino a raggiungere il 30% nel 2030. Gli investimenti per recuperi di calore da processi industriali, incluso l’utilizzo per teleriscaldamento, devono poter accedere a finanziamenti agevolati per alleggerire gli elevati costi iniziali di installazione.

Le reti di distribuzione del gas dovranno favorire l’integrazione di una quota crescente di biometano, dando immediata attuazione a quanto già disposto dal Decreto legislativo 28/2011.

È infine urgente varare il fondo di garanzia per il teleriscaldamento, previsto dall’ Art. 22 del D. Lgsl. 28/2001

D 14 – Siete d’accordo nell’appoggiare questi obiettivi?

In una Strategia Energetica con il 2030 come riferimento temporale, vanno elaborate proposte specifiche, finalizzate a uno sviluppo sinergico della mobilità elettrica e di quella tradizionale, alimentata in misura crescente con biocarburanti e biometano. La predisposizione sin d’ora di un percorso che, per la maggior parte, troverà attuazione nel prossimi decennio, è essenziale affinché il programma di ristrutturazione del sistema di raffinazione, previsto dalla SEN (e comunque imposto dalla crisi del settore), non riproduca una overcapacity analoga a quella dei cicli combinati, e sia viceversa orientato a incorporare progressivamente processi di bioraffinazione.

Domanda 15 – Concordate sulla necessità di avviare immediatamente su queste tematiche un confronto congiunto con le imprese attive nella raffinazione e colTavolo permanente di confronto da noi proposto?

I rigassificatori con i nostri soldi

di Alessandro Codegoni su qualenergia.it –

14 gennaio 2013

Nella storia energetica italiana, compare ogni tanto una “manina” misteriosa che ritocca le leggi per dare una mano alle varie lobby, contro i loro possibili competitori. Basti ricordare l’aggiunta della parola “assimilabili” alla legge sulCip6 del 1992, che ha portato a sprecare decine di miliardi in aiuti a fonti “finto-rinnovabili” (ma, stranamente, contro quello scandalo non si levarono voci indignate, come accade oggi per gli incentivi alle rinnovabili …), o gli emendamenti conosciuti come “Salva Alcoa” 1 e 2, che hanno favorito un piccolo numero di proprietari di impianti fotovoltaici a danno del resto del settore e dell’interesse comune.
Recentemente si è venuto a sapere di un’altra discutibile iniziativa legislativa del genere che, potenzialmente, ha rischiato di costarci molto, molto salata.

Anche se la cosa non è andata (per ora, almeno) in porto, la storia del “fattore di garanzia” per i rigassificatori è illuminante su come venga fatta la politica energetica in questo Paese. È da una quindicina di anni che in Italia ci si è resi conto di essere troppo dipendenti dal gas naturale (che produce ormai circa il 40% dell’energia italiana, e oltre la metà dell’elettricità), una fonte che, a differenza delle altre, ci lega quasi esclusivamente a determinati fornitori (Olanda, Russia, Libia, Algeria), quelli collegati con gasdotti, rendendo questa fornitura strategica soggetta a improvvise interruzioni per guasti, guerre e contrasti politici.

Come è noto, in attesa che le rinnovabili diminuiscano questa dipendenza, c’è un solo modo per differenziare l’offerta di gas naturale, rendendola un po’ meno a rischio, ed è quello di costruire impianti in grado di ricevere via mare gas naturale liquefatto(GNL), rigassificarlo e immetterlo nella rete. Così i fornitori possono moltiplicarsi (dal Qatar, alla Nigeria e domani, forse, gli Usa del gas da fracking) e si possono comprare partite di metano dal miglior offerente del momento, senza legarsi le mani, come accade con i gasdotti, con contratti di lunga durata a prezzo fisso. Contratti che contengono spesso pure clausole capestro, tipo il take-or-pay, che costringerà l’Eni a pagare (o a farci pagare) 1,5 miliardi di euro per metano prenotato, ma non consumato negli anni scorsi.

Ma di rigassificatori, fino all’apertura nel 2009 di quello galleggiante di fronte al delta del Po, in Italia ne esisteva solo uno, molto piccolo (3,4 milioni di mc/giorno sui quasi 200 milioni consumati in Italia), a Panigaglia, in Liguria. Nonostante l’Italia sia uno dei massimi consumatori di metano al mondo (71,3 miliardi di metri cubi nei 2011, terzi in Europa, di cui solo 7,7 autoprodotti) e nel nostro Paese il gas sia pagato dai clienti finali circa il 20% più della media europea, nessuno sembrava interessato a venire a costruire rigassificatori qui, persino negli anni pre-crisi, quando le previsioni dei consumi futuri di metano erano stratosferiche.

La ragione principale della mancanza di queste infrastrutture in Italia non è tanto, come si pensa, l’opposizione delle popolazioni a questi impianti (quella è relativamente recente, e con trasparenza, garanzie e compensazioni, si può provare a superarla), ma il fatto che la rete di distribuzione del gas è di Snam Rete Gas, cioè dell’Eni, la società che possiede, in quote più o meno ampie, tutti i gasdotti che collegano l’Italia con l’estero, e che quindi ha potenzialmente i mezzi per annullare qualsiasi vantaggio di prezzo del GNL. Non a caso, prima del 2009, l’unico che abbia costruito un rigassificatore in Italia è stata la stessa Snam. Questa commistione fra monopolista della rete e quasi monopolista delle forniture è ormai considerata insostenibile per il peso che fa gravare sui costi dell’energia in Italia, tanto che il governo Monti ha predisposto, attraverso una complessa procedura, il distacco fra i due nei prossimi anni, sperando che ciò favorisca concorrenza e abbassamento dei prezzi.

Nel 2000 però tutto questo era ancora lontano e, nel decreto 164/00, il Governo di allora chiese all’Autorità per Energia e Gas, Aeeg, di predisporre misure, entro il 2001, per agevolare l’installazione di rigassificatori nel nostro Paese, assicurando eque tariffe per trasporto, uso degli stoccaggi strategici e rigassificazione, soprattutto per gli impianti nel Meridione. Sostanzialmente, si chiese all’Aeeg di aprire “a forza” il mercato italiano al GNL e alla libera concorrenza. Risultato? Solo nel 2005, e solo dopo due eventi traumatici, un inverno molto freddo e le dispute Russia-Ucraina, che hanno ridotto per qualche giorno il passaggio del gas verso l’Europa Occidentale, l’Aeeg produce la delibera 178/05, per favorire l’installazione di nuovi rigassificatori.
Ma in questa delibera, l’incentivo consiste essenzialmente in un “fattore di garanzia”, così definito:

13.2 Il fattore correttivo di cui all’articolo 10, comma 10.3, è sostituito da un fattore garanzia, che assicura, anche in caso di mancato utilizzo dell’impianto, la copertura di una quota pari all’80% di ricavi di riferimento. Tale copertura è riconosciuta dal sistema tariffario del trasporto e ha durata per un periodo di 20 anni.

In pratica, invece di garantire tariffe eque, in grado di rendere il gas di tutti competitivo, si promette ai gestori dei rigassificatori il rimborso del valore del gas (che poi i consumatori pagheranno in bolletta) fino all’80% (ridotto poi al 71,5% in una delibera del 2008) della capacità massima dell’impianto, nel caso, magari per un calo del mercato o per le troppo alte tariffe di trasporto, non si riuscisse a venderlo. Un guadagno garantito, scaricato sulle bollette di tutti, che sarebbe andato avanti per la bellezza di 20 anni. Sarebbe come se in una città dove l’acquedotto è pieno di buchi e ostruzioni, il Comune pagasse per 20 anni ai cittadini acqua minerale pari all’80% dei loro consumi potenziali, invece di riparare la rete. O, in altre parole, invece di affrontare il problema delle strozzature del mercato del gas, cosa che sarebbe dispiaciuta a poteri molto forti, ci si preparava a scaricarlo sui consumatori.

Forse anche per queste condizioni straordinariamente favorevoli, da quel momento sono in effetti fioccate in Italia le richieste per aprire rigassificatori, arrivando nel 2011 a un massimo di 15 domande per nuovi impianti sparpagliati per tutta la penisola (su un totale di 21 richieste in tutta Europa) che, se realizzati, avrebbero più che raddoppiato la nostra fornitura potenziale di gas, sommandosi anche, oltre che ai 4 gasdotti esistenti, anche al nuovo gasdotto dall’Algeria, il Galsi, in funzione dal 2014, e (forse) al gasdotto South Stream dai Balcani.

Un’alluvione di gas, insomma, che non si capisce come gli italiani avrebbero mai potuto consumare, tanto più che, fra il 2005 e il 2012, per crisi economica e concorrenza di fotovoltaico ed eolico, i consumi di gas in Italia sono passati da 79 a 71 miliardi di mc/anno. E, anche nell’ottica del famoso “hub del gas” in cui alcuni vorrebbero trasformare l’Italia, probabilmente, avremmo anche avuto enormi problemi a esportare altrove questi miliardi di metri cubi, visto che gli altri Paesi si stanno attrezzando autonomamente per avere il gas che gli serve.

Non ci si può non chiedere, quindi, quanto ci sarebbe costato questo favoloso ‘fattore di garanzia’ (e i contratti take-or-pay dell’Eni con la Russia), se tutti i 15 rigassificatori fossero entrati in funzione, destinati, molto probabilmente, a stare fermi o lavorare al minimo per anni e anni. Ma proprio questo boom “virtuale” di rigassificatori, ha portato qualcuno a scoprire e denunciare l’incredibile regalo che ci si preparava a fare.

“Siamo venuti a conoscenza nel 2010 del fattore di garanzia per i rigassificatori – dice Adriano Varrica, portavoce di Sonia Alfano, deputata al Parlamento Europeo, come indipendente nella lista Italia dei Valori – grazie ai rappresentanti del comitato che si oppone al progetto del rigassificatore Enel di Porto Empedocle in Sicilia, che avevano attentamente studiato la delibera Aeeg. Immediatamente abbiamo realizzato che poteva configurarsi come un aiuto di Stato, e Alfano ha fatto domanda per un parere in merito da parte dell’Autorità di Vigilanza sul Mercato della Commissione Europea“. Questa, per qualche anno ha fatto orecchie da mercante, ma dopo tre successive domande sul punto, da parte del gruppo della Alfano, la UE ha deciso a giugno 2012 di aprire un’ inchiesta per possibili aiuti di Stato. E l’Aeeg, il 31 ottobre successivo, con la delibera 451/12, ha deciso di sospendere il fattore di garanzia, citando anche la decisione della UE fra i motivi del provvedimento.

All’Aeeg spiegano quanto accaduto in modo un po’ diverso. “Innanzi tutto – spiega il Direttore Infrastrutture Andrea Oglietti – il fattore di garanzia è stato introdotto nel 2005,in un momento molto critico per la sicurezza del sistema, con ben due emergenze gas in meno di 12 mesi. Erano comunque previste fin dall’origine limitazioni: l’incentivo non era previsto per infrastrutture non aperte a terzi e, in ogni caso, non oltre il raggiungimento di una capacità di rigassificazione di 95 milioni di mc/giorno a livello nazionale (che non sono pochi: la metà dei consumi giornalieri di gas in Italia, ndr). Da allora, lo scenario gas è profondamente cambiato: in vista della definizione del nuovo periodo di regolazione, che inizierà l’1 gennaio 2014, l’Autorità ha pertanto valutato opportuno sospendere quel meccanismo, per ridisegnarlo in coerenza con la Strategia Energetica Nazionale e tener conto dei nuovi scenari in cui si muove oggi il mercato del gas, non solo a livello italiano, ma comunitario e mondiale”.

Quindi l’apertura di un’inchiesta UE sul fattore di garanzia, non c’entra nulla con il ripensamento dell’Autorità e, forse, anche con l’annullamento di gran parte dei progetti di rigassificatori, proposti quando il fattore esisteva? “No, l’Autorità ha deciso la sospensione per i motivi spiegati prima. Le difficoltà di alcuni progetti di rigassificatori mi pare siano da imputare alle mutate condizioni del mercato, inclusa la difficoltà a reperire gas liquefatto a prezzi competitivi, oltre che, in alcuni casi, a difficoltà autorizzative a livello locale”.

Ma non sarebbe stato meglio liberalizzare il mercato del gas per rendere l’Italia appetibile a chi vende gas naturale liquefatto, piuttosto che prevedere di far pagare i difetti del nostro mercato ai consumatori? “Salvo l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni, non ci sono impedimenti regolatori alla realizzazione di nuovi rigassificatori che, certamente, possono favorire lo sviluppo della concorrenza nel mercato liberalizzato. Il fattore di garanzia era stato pensato per favorire la realizzazione di impianti anche ad accesso libero, propria di una prospettiva pro-competitiva. Peraltro, mi pare giusto ricordare che, a oggi, il fattore di garanzia non ha comportato alcun costo aggiuntivo per i consumatori italiani”.

Quindi il fattore di garanzia sarà cancellato? “Come detto, l’Autorità sta ripensando i meccanismi di regolazione e incentivazione per i rigassificatori anche nella prospettiva di renderli coerenti con le scelte di strategia energetica nazionale che saranno definite dal Governo. E sia il rigassificatore di Rovigo che quello di Livorno, che dovrebbe entrare in esercizio entro il prossimo autunno, non essendo aperti a terzi, non accedono al fattore di garanzia”.

Resta un’ultima considerazione da fare: spesso i tecnocrati guardano con compatimento e un bel po’ di arroganza ai “Comitati del NO!” che sorgono quando si propongono grandi progetti infrastrutturali. Sicuramente a volte queste proteste sono esagerate e irrazionali, ma bisogna riconoscere che spesso “ci azzeccano”, individuando “istintivamente” problemi che ai supertecnici, dall’alto della loro competenza specialistica, sfuggono. Se in questo caso, come in quello del nucleare o anche del primo progetto TAV, le cose fossero andate in porto come volevano “gli esperti”, ci saremmo trovati con infrastrutture ipertrofiche e talvolta devastanti per l’ambiente, con ricadute di costi spaventosi, a carico non di chi aveva preso le decisioni sbagliate, ma di tutti.

Magari discutere più apertamente dei progetti comuni da portare avanti con i “cittadini incompetenti”, invece di decidere fra tecnici e far poi ingoiare a forza le decisioni al territorio (e scaricare sulla comunità i costi dei progetti), porterebbe non solo a sveltire i tempi di realizzazione, ma anche a migliorare i progetti stessi.