Municipalizzate: buchi o risorse comunali?

di Mario Agostinelli

Decrescita è ormai il miglior termine per definire il mondo dell’energia in Italia. Nel 2013 il consumo interno lordo di gas metano è sceso del 6,8% nel mese di gennaio; ancor di più quello di prodotti petroliferi: -10,4%. Rispetto al febbraio 2012, in diminuzione netta la produzione termoelettrica (-23,9%): un settore ormai in crisi dichiarata. In confronto ad un anno fa, segnano invece un segno positivo l’idroelettrico (+43%), la produzione del vento (+19,1%) e del sole (+11,2%): tutta energia prodotta senza import.

Il cambiamento di scenario, non previsto dagli amministratori delegati delle aziende elettriche, appare ormai irreversibile. Nessuno pensa più che i consumi possano risalire ai livelli pre-crisi, anche per effetto dei miglioramenti in efficienza energetica e per il diffondersi di impianti decentrati di autoproduzione a rendimento migliorato. Se si fa un’analisi degli ultimi quattro anni è impressionante la crescita nella produzione di elettricità “verde”: +81% dalle bioenergie, +103% dal vento, mentre per il sole l’elettricità prodotta si è centuplicata e la produzione del 2012 è più che doppia rispetto alla produzione del nucleare italiano nel suo massimo anno di splendore (fu il 1986 con 8.750 GWh generati).

Se non si accetta il cambiamento, nascono serissimi problemi occupazionali: per questo occorre capire la direzione della svolta nella produzione e nel consumo di energia elettrica e termica. Ma né il governo né le amministrazioni comunali sembrano accorgersene. Da tempo, in Enel si parla di una eccedenza del 10% del personale in Italia, mentre A2A/Edipower ha annunciato la fermata con cassa integrazione a rotazione in quattro centrali, la chiusura della sede di Mestre e 400 esuberi di personale. Nei fatti, il parco termoelettrico è eccessivo e ammonta a 70mila MW a fronte di una domanda massima di 56mila MW.

La verità è che servirebbero idee per riconvertire le nostre utility – Acea, A2A, Iren, Hera – sennonché gli amministratori comunali si sono affidati completamente al mondo della finanza. Che, evocando mirabolanti effetti con le quotazioni in borsa e mettendo in ombra il grande patrimonio tecnico-professionale e di conoscenza del territorio, di fatto priva i sindaci e i consigli comunali di uno straordinario strumento di intervento per la qualità della vita dei cittadini e il risanamento dell’economia delle città.

In fondo, le municipalizzate erano nate per assicurare e distribuire l’energia come il nuovo “bene comune” che il progresso offriva. La società pubblica di Milano (Aem) nacque per referendum tra i cittadini per convogliare verso la metropoli la ricchezza d’acqua delle valli alpine sotto forma di elettricità. Nessuno avrebbe osato trascurare il buon servizio per avventurarsi in speculazioni di dubbio ritorno. Invece, oggi in tutta Italia ci troviamo di fronte ad una rincorsa verso sistemi multiutility extraterritoriali, governati da manager affrancati dal controllo dei cittadini e delle loro rappresentanze.

Nel nuovo quadro energetico-climatico, servirebbero urgenti misure per affiancare ai piani regolatori autentici piani energetici territoriali, di risparmio e di produzione pulita, per cambiare il mix delle fonti nelle aree urbane e quindi ottenere benefici risultati per ridurre le emissioni e l’inquinamento. Una spinta verso le rinnovabili e l’efficienza dovrebbe essere la “mission” rivalutata delle municipalizzate: diventerebbero così il cuore per una politica industriale locale, per buona occupazione e per tariffe sociali calmierate. Altro che mirabolanti operazioni che aumentano il debito della proprietà pubblica e spingono alla privatizzazione!

In fondo, per far continuare lo sviluppo ed evitare i licenziamenti nel solare fotovoltaico e nell’eolico, non servono nuovi incentivi ma bastano strutture innovative di rete, informazioni adeguate per allacciamenti e impianti al minor costo, detrazioni fiscali decise dal governo (come quella del 55%) e possibilità di finanziamenti a interessi bassi decise a livello cittadino. Questo magari tramite un fondo della cassa depositi e prestiti, per permettere alle famiglie e a gruppi di acquirenti in cooperativa diauto produrre e ridurre i costi della bolletta, con un analogo meccanismo per le rinnovabili termiche. Compiti che spetterebbero alle municipalizzate, riconsegnate ai cittadini.

I soldi sono sempre più nelle tasche di pochi e la disuguaglianza dei redditi in Italia è superiore alla media dei Paesi Ocse. Così non si fa nulla perché il risparmio non finisca sempre di più nelle grinfie della finanza, anziché in investimenti diffusi e remunerativi per le famiglie e le imprese, come succede con il ricorso al solare, all’eolico, alle biomasse. Come non si fa nulla perché cessi l’abusivismo (oltre 15 abitazioni abusive ogni cento costruite legalmente) e perché crolli l’inquinamento (oltre metà delle 30 città europee più inquinate si trovano da noi, che viviamo in mezzo a 5.000 siti contaminati da bonificare).

A partire da queste considerazioni, risultano importanti indicazioni per la riconversione delle funzioni e la piena ripubblicizzazione delle municipalizzate e per tornare a renderle, come una volta, luoghi di partecipazione delle amministrazioni. Altro che installare, come hanno fatto le “super municipalizzate” che si quotano in borsa, 24.000 Mw fossili negli ultimi 15 anni, con un colossale errore industriale che ora fanno pagare ai lavoratori, ai cittadini e ai programmi nazionali a favore delle rinnovabili decentrate.

Il nucleare francese disoccupa i lavoratori A2A

Turbigo, Cassano, Sermide e Tusciano sono le centrali idroelettriche in capo ad A2A che rischiano la chiusura (vedi articolo stampa de “Il Giorno sotto riportato): l’energia elettrica comprata dalla Francia (nucleare) è, truffaldinamente, meno cara (non si calcolano le esternalità ambientali e sociali). Circa 400 posti di lavoro sono in gioco, a quanto riporta il giornalista Nicola Palma.

La Francia è costretta a svendere il suo surplus di notte e noi  – italiani furbastri, non furbi – approfittiamo contribuendo al rischio nucleare che non ci risparmierebbe. Un sistema basato sul nucleare è, infatti, molto rigido, le centrali nucleari non sono molto modulabili, la Francia deve quindi avere una potenza di base capace di coprire i picchi delle variazioni giornaliere della domanda, per cui quando questa è minima produce energia elettrica in eccesso, che è costretta, appunto, a vendere a prezzi stracciati (ma per picchi eccezionali della domanda deve comprare energia, molto cara: per affrontare le ondate di freddo in inverno, ad esempio, importa energia dalla Germania).

In questo momento però esiste – se guardiamo la questione con un approccio più generale – una crisi di sovraproduzione di tutto il settore elettrico e qui si parla di 4.000 posti in esubero, secondo quanto riferisce, ad esempio, Luca Pagni su Repubblica – come si riporta sotto.

In merito alla vicenda occupazionale A2A il sindacato di base USB – che denuncia l’importazione elettrica dalla Francia (“con ogni probabilità nucleare visto che questo Paese produce la sua elettricità all’80% da fonte nucleare”) sta partecipando ai Tavoli di trattativa con l’azienda ed ha in programma l’organizzazione di una conferenza stampa, probabilmente giovedi prossimo (ma ancora la decisione definitiva non è stata presa).

Ieri c’è stato in incontro A2A-Sindacati ed un comunicato della UGL, riportato oggi dalla Reuters, lamenta che l’azienda non starebbe recedendo dal suo piano di esuberi.

Purtroppo, nel nuovo incontro con A2A sul piano di riorganizzazione della rete, non è stato fatto nessun passo indietro sui 200 esuberi annunciati dall’azienda, a cui si sommano altri 150 per il progetto di integrazione con Edipower, di cui discuteremo invece la prossima settimana. Confermata anche la cig ordinaria per altri circa 300 dipendenti delle 4 centrali di Cassano d’Adda, Sermide, Turbigo e Chivasso“, commenta nella nota Luigi Ulgiati, segretario nazionale di Ugl chimici.

Per quanto riguarda le posizioni del C.A.V.R.A., che ribadisco, è noto che noi condividiamo la linea della ripubblicizazione di A2A per lanciare il modello “rinnovabile” che dovrebbe non solo garantire, ma sicuramente moltiplicare l’occupazione.

Questa linea dovrebbe passare per lo scorporo di A2A nelle originarie AEM di Milano e ASM di Brescia: le municipalizzate locali sono il veicolo indispensabile per una politica partecipata che ci traghetterà nella “rivoluzione energetica”, quella che, scusate il gergo usato per ragioni di brevità, necessita alla “rivoluzione economica” della conversione ecologica post-crescita.

 di Alfonso Navarra – vicepresidente Associazione Energia Felice – Comitato attuare la volontà del referendum antinucleare 

 

Lombardia – Il colosso A2A annuncia 400 esuberi. I sindacati: tagli anche per i manager

di Nicola Palma da il Giorno del 09/03

LA CRISI non risparmia neanche un colosso come A2A. L’altro giorno, i vertici del gruppo leader nel settore energetico hanno annunciato ai sindacati confederali la necessità di procedere a tagli del personale: circa 400 esuberi, in parte derivanti dall’integrazione tra A2A ed Edipower, in parte da processi di efficientamento sulla gestione delle reti elettriche e del gas. Esuberi un po’ inattesi, a dir la verità: basti ricordare che non più tardi dello scorso 3 novembre, in occasione della presentazione del piano industriale, il presidente del Consiglio di gestione, Graziano Tarantini, aveva promesso che A2A non avrebbe licenziato «un solo dipendente». Non sarà così. Anzi. Sì, perché l’azienda — che ha come principali azionisti i Comuni di Milano e Brescia col 27,456% di quote a testa — intende far ricorso pure alla cassa integrazione ordinaria a rotazione per gli impianti termoelettrici di Cassano, Turbigo, Sermide e Chivasso: si prevede una fermata di 40 settimane a impianto nel corso nel biennio 2013-2014 a causa del calo dei consumi di energia e delle vendite. Misure che, nelle intenzioni della dirigenza della società nata il primo gennaio di 5 anni fa, contribuiranno a ottenere un risparmio di 70 milioni di euro entro il 2015. Mobilità, prepensionamenti e incentivi all’esodo, le tre formule indicate da A2A per ridurre il numero di dipendenti.

UNA DECISIONE giustificata con «la profonda crisi dei settori industriali in cui opera», pur confermando investimenti da 1,2 miliardi di euro nei prossimi 3 anni. Obiettivo dichiarato del gruppo è comunque quello di arrivare in tempi brevi a un comune accordo con i rappresentanti dei lavoratori, in modo da «ridurre al minimo l’impatto di tali iniziative». E la risposta dei sindacati non si è fatta attendere. Ecco in breve le richieste avanzate da Giacomo Berni, segretario nazionale Filctem Cgil, e Carlo Meazzi, segretario nazionale Fleai-Cisl: innanzitutto, nessun licenziamento e sostegno al reddito di chi verrà accompagnato alla pensione. E ancora, sacrifici economici estesi a tutti, a cominciare dai top manager dell’ex municipalizzata, e drastica riduzione del numero di consulenze esterne per ridurre ulteriormente i costi. In ogni caso, chiariscono i delegati sindacali, l’auspicio è che A2A si impegni a minimizzare l’impatto sociale dei provvedimenti: «Siamo contrari ai licenziamenti — chiarisce Berni — all’azienda abbiamo chiesto che nessuno venga lasciato a piedi: del piano di risparmi non possono farsi carico solo i dipendenti ma i sacrifici devono essere distribuiti anche tra i dirigenti».
Nicola Palma
nicola.palma@ilgiorno.net

Energia in crisi, le centrali si fermano. Da Enel ad A2a, utility costrette a ridurre il personale

Luca Pagni da la Repubblica del 12 marzo 2013MILANO — Centrali elettriche chiuse, o almeno, “in stato di conservazione”. Non sono spente del tutto, ma di fatto gli impianti per la produzione di energia vengono fermati. Per risparmiare sulla materia prima. E limitando l’attività, anche sul personale. Tanto che con i sindacati sono già partire le trattative per oltre 4mila esuberi in tutto il settore, di cui la maggior parte riguardano Enel. E tutto fa pensare che sia solo l’inizio. Hanno retto fino a quando hanno potuto. Ma ora, anche le utility, le aziende che producono e vendono sul mercato energia elettrica, sentono tutto il peso della recessione. Sia i grandi gruppi italiani e stranieri presenti nelle penisola, così come le ex municipalizzate. Risentono del crollo della domanda di energia a causa del calo della produzione industriale, nonché della concorrenza delle rinnovabili. Non è esagerato parlare di crollo: a febbraio, la domanda di energia è calata del 5% rispetto al 2012 e nell’ultimo anno e mezzo ci sono stati solo quattro mesi in positivo. Tanto che Assoelettrica, la Confindustria di settore ha parlato di «recessione cronica» e di situazione «intollerabile e drammatica».

Così, come non va sottovalutato il fenomeno rinnovabili: nelle regioni del Sud ci sono già stati giorni in cui l’intera produzione è a carico di eolico e fotovoltaico e in certe ore del giorno il costo dell’energia è arrivato a quota zero. Due fenomeni che stanno erodendo i margini dei produttori, in particolare di chi opera con le centrali alimentate a olio combustibile e a gas. E il protrarsi della recessione, ormai prevista anche per il 2013, ha costretto i manager a scelte non più rinviabili. Nei giorni scorsi, ha cominciato l’utility lombarda A2a (controllata alla pari dai comuni di Milano e Brescia) a comunicare ai sindacati un esubero di 400 persone. Non solo: ci sarà la fermata a rotazione di 4 centrali (Chivasso, Sermide, Turbigo e Cassano), nonché il ricorso alla cassa integrazione a rotazione per il personale. La messa in “conservazione” di tre centrali riguarda anche Edison, il secondo gruppo italiano del settore, con gli impianti di Sarmato, Porto Vito e Jesi.

Gli esuberi nel caso della società passata sotto il controllo del colosso francese Edf riguarda non più di una quarantina di persone. E meno di 200 dipendenti sui 1250 totali, il personale in eccesso della filiale italiana dei tedeschi di E.On, di cui 120 alla centrale di Fiume Santo in Sardegna. Ma tutto il settore aspetta quanto verrà comunicato domani da Enel, alla presentazione dei conti del 2012. Si saprà, nel dettaglio, quante centrali potrebbero essere fermate, nonché tempi e modi degli esuberi del gruppo. Enel deve confermare i 3.500 già annunciati (tra uscite volontarie e prepensionamenti) a fine 2012 al sindacato. Ma anche se vuole procedere con i contratti di solidarietà, che potrebbero riguardare 15mila dipendenti sui 35mila totali, tutti non operativi.

 

Energia in crisi, anche a Turbigo la centrale si ferma

Vanessa Valvo su il Giorno del 14 marzo 2013

Turbigo, 14 marzo 2013 – La mancata produzione di energia elettrica delle ultime due settimane sembra già il preludio alla riduzione del lavoro e alla cassa integrazione per il personale di A2A, prevista all’interno delle sue numerose attività, tra le quali anche la Centrale di Turbigo con i suoi 97 dipendenti. Qui da giorni manca pure l’acqua del Naviglio per raffreddare i motori, ufficialmente per lavori di manutenzione lungo il canale. «Le macchine sono comunque pronte in caso di richiesta di energia, noi siamo sugli impianti tutti i giorni, ma senza acqua non possiamo produrre – spiega Valentino Gritta, sindacalista Usb -. Non è la prima volta che succede, ma l’ultima è stata per una vera emergenza, quando il lago Maggiore è andato in secca. Sull’utilizzo idrico del Naviglio c’è, in realtà, anche un contenzioso ancora aperto con la Regione Lombardia, che attualmente sta facendo pagare ad A2A il 200% del canone previsto per l’uso dell’acqua – rivela Gritta – L’azienda vorrebbe pagare per l’utilizzo effettivo dell’acqua, dato che la stessa quantità viene prelevata e rimessa nel corso, chiedendo la riduzione al 50% della tassa consueta. Ma in attesa che il Consiglio di Stato deliberi sul caso, la Regione ha raddoppiato il canone, a garanzia del mantenimento dello stesso introito».

In queste ore i dirigenti di A2A sono impegnati ancor più seriamente sul fronte occupazione. «Dal primo aprile dovrebbe iniziare la cassa alla centrale di Cassano – annuncia il sindacalista Cisl Federenergia Paolo Paolini -, mentre per i prossimi due anni e mezzo è previsto un periodo di riduzione del lavoro dalle 40 alle 52 settimane, compatibilmente con la necessità in rete e di manutenzione degli impianti. Se il mercato migliora, è evidente che le predisposizioni non si allenteranno e non saranno così rigide».

Nello stesso modo è previsto un taglio di 300 lavoratori, pari al 5% tra tutti i settori di cui A2A ed Edipower sono proprietarie, ma questo non significa che verrà depennato particolarmente il personale di una centrale piuttosto che di un’altra. Insieme alle misure di contenimento delle spese che riguarderanno i servizi, dai contratti di telefonia, per esempio, ai fornitori, anche la cassa, quindi, servirà per far risparmiare i 70 milioni di euro che A2A vorrebbe investire, insieme ad un altro miliardo e 230 milioni di euro, nel piano industriale appena deciso. «Siamo stati “comprati” con soldi pubblici e ora da lavoratori ce li vogliono togliere – dichiara Gritta -. Questi 70 milioni di euro, per i quali noi rischiamo il posto di lavoro, si potrebbero recuperare in altro modo, dato che l’anno scorso l’Azienda ha comunque effettuato dei dividendi tra i soci, tra cui ci sono anche i Comuni visto che si tratta di una municipalizzata, pur essendo in passivo. Per cui perché non decurtare i guadagni dall’alto invece che dal basso?».La Usb incontrerà le autorità proprio oggi per parlare in dettaglio del futuro dei dipendenti di Turbigo. «Già a novembre con il fermo di due gruppi su quattro sono state lasciate a casa 42 persone e da 1.770 kilowatt la produzione che ora potremo mettere in rete è scesa a 1.100 kw. La riduzione del personale in realtà è andata in crescendo da quando Enel ha dovuto cedere un terzo della potenza installata e siamo andati sotto Eurogen ed Edipower, quindi circa dal 2000: da 320 dipendenti di allora, ora ci siamo ridotti a 97. Eppure – afferma Gritta – non si produce meno con la crisi economica, perché di contro è cresciuto molto il consumo energetico casalingo. Nel 2003 abbiamo toccato il consumo minimo, ma ora siamo ai livelli di 7-8 anni fa. Di certo ci stanno per chiedere un sacrificio troppo grande: siamo veramente preoccupati».

Ecco i primi effetti del “fotovoltaico armato”

In una zona compresa tra i comuni di San Francesco al Campo, San Carlo Canavese e Lombardore si sta valutando un progetto per la creazione di una centrale costituita da pannelli fotovoltaici, che dovrebbe coprire una  superficie di 72 ettari, oltre alla costruzione di una linea che porti l’energia fino alla centrale di Leinì.

La zona interessata è in parte nella riserva naturale della Vauda, splendida area selvaggia del Canavese, e in parte su terreni del demanio militare, che da anni vengono dati agli agricoltori della zona, che fino ad ora li hanno curati e resi produttivi.

Vincitrice della gara d’appalto l’azienda tedesca Beelectric, appoggiata dal Ministero della DifesaE’ bene far notare che i comuni interessati hanno una forte vocazione agricola, con numerose aziende presenti, di cui alcune con terreni solo nella zona  oggetto del futuro impianto, quindi tale opera avrebbe non solo risvolti negativi per l’ambiente, ma anche per l’economia agricola della zona.

È sconcertante apprendere che, per far posto a centinaia di pannelli fotovoltaici, un’azienda straniera voglia strappare terreni produttivi agli agricoltori, e ridurre una riserva naturale, riconosciuta anche come SIC (Sito di Interesse Comunitario) dall’Unione Europea, visto che al suo interno vivono moltissime specie di uccelli e animali, altrove non presenti o molto rari.

Siamo a favore dell’energia fotovoltaica, ma non capiamo perché, con tutte le alternative esistenti (tetti di capannoni, parcheggi, aree compromesse quali discariche di rifiuti, svincoli autostradali, ecc.) sia proprio necessario distruggere quel poco di ambiente che ancora è rimasto intatto!

Per questo chiediamo a tutti i nostri lettori di inviare una mail agli Enti coinvolti e ai giornali locali, per ribadire la propria contrarietà a quest’opera devastante, affinchè si possano trovare altre soluzioni.

Se il pulsante non funziona puoi inviare la mail seguendo le istruzioni qui di seguito:

Destinatari della mail (inserire tutti gli indirizzi nel campo “destinatario”, separati da virgola):

sindaco@comune.lombardore.to.it
comune.sancarlo@icip.com
comune@comune.sanfrancescoalcampo.to.it
urp@minambiente.it
valutazioni.ambientali@regione.piemonte.it
rischigeologici.to-cn-no-vb@regione.piemonte.it
Proprietaforestali_vivai@regione.piemonte.it
presidenza@regione.piemonte.it
agricoltura@regione.piemonte.it
antonio.saitta@provincia.torino.it
marco.balagna@provincia.torino.it
roberto.ronco@provincia.torino.it
sportamb@provincia.torino.it
redazione@ilrisveglio-mail.it
ilcanavese@netweek.it
torino@pro-natura.it
direttore.pp@regione.piemonte.it
piemonte.parchi@regione.piemonte.it

Oggetto: NO ALL’IMPIANTO FOTOVOLTAICO NEL PARCO DELLA VAUDA!

Testo del messaggio:

Esprimo tutta la mia contrarietà alla realizzazione di un mega impianto fotovoltaico di oltre 70 ettari in parte su terreni agricoli e in parte nella riserva naturale della Vauda (riconosciuta anche come SIC – Sito di Interesse Comunitario – dall’Unione Europea).

Pur essendo favorevole alle energie rinnovabili ritengo assurdo che, con tutte le alternative esistenti (tetti di capannoni, parcheggi, aree compromesse quali discariche di rifiuti, svincoli autostradali, ecc.) sia proprio necessario distruggere quel poco di ambiente che ancora è rimasto intatto!

È sconcertante apprendere che, per far posto a centinaia di pannelli fotovoltaici, un’azienda straniera voglia strappare terreni produttivi agli agricoltori, con risvolti negativi non solo per l’ambiente, ma anche per l’economia della zona.

Rivolgo un accorato appello a tutti gli Enti coinvolti, affinché il progetto non sia approvato e si possano trovare altre soluzioni.

Cordiali saluti,

Firma ….

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La nostra protesta ha già avuto i primi effetti positivi: ecco il comunicato stampa del presidente della provincia di Torino, Antonio Saitta

Torino, 5 marzo 2013

Saitta: “No all’impianto fotovoltaico del ministero della Difesa: consumerà 70 ettari di suolo libero in zona protetta, usino i tetti delle caserme”

“Comprendo le necessità del Ministero della Difesa di valorizzare e far rendere al massimo le sue proprietà in tutta Italia, ma pretendere di realizzare un grandissimo parco fotovoltaico consumando 70 ettari di terreno libero tra Lombardore e San Francesco al Campo ai bordi del parco della Vauda è inaccettabile. Mi chiedo e chiederò formalmente al Demanio perché non coprono di pannelli fotovoltaici i tetti delle centinaia e centinaia di caserme invece di occupare suolo libero. Sono fermamente contrario a questa operazione che devasta una delle ultime zone naturali libere del territorio”: lo dice il presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta che questa mattina ha esaminato il progetto durante la seduta della Giunta.

L’iter della vicenda, sintetizzato dall’assessore provinciale all’Ambiente Roberto Ronco, comincia mesi fa quando il Demanio mette a gara in tutta Italia lotti di sua proprietà ed affida ad impernditori privati la realizzazione di impanti fotovoltaici.

Nel territorio della provincia torinese individua 70 ettari del poligono di Lombardore, prima in zona SIC (sito di interesse comunitario), poi dopo i primi pareri contrari in un azona limitrofa, ai confini tra i territorio di Lombardore San Francesco al Campo, “vicino alle case, dove c’è un’ampia fruizione a piedi, a cavallo, in bici” spiega l’assessore Ronco preeoccupato perché dice “la Provincia è favorevole all’energia pulita, ma non sfruttando terreni liberi”.

Saitta non ha dubbi: “è gravissimo – dice – che sia lo Stato attraverso il Demanio militare a monetizzare 70 ettari di suolo ancora libero con un’operazione commerciale che se pur legittima condiziona l’ambiente in modo così pesante. Scriverò anche al ministro Clini per capire se ne sia informato e cosa ne pensi come tecnico dell’ambiente”.

Conclude Saitta: “gli abitanti della zona si stanno mobilitando e fanno molto bene: la Provincia di Torino è politicamente contraria a questa operazione, che si può fare con altre modalità su tetti dicaserme e capannoni militari; non vogliamo assumere il ruolo di passacarte tra il Ministero della Difesa e la Regione Piemonte, ci faremo sentire”.

Antonio Saitta
Presidente della Provincia di Torino 

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Il presidente Saitta ha inoltre inviato una lettera ai Ministri della Difesa, dell’Ambiente e delle Politiche Agricole, per ribadire la sua contrarietà al progetto:
Leggi la lettera (formato pdf, 61 kb) > 

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Riportiamo per ulteriori informazioni un articolo di Piero Belletti (pubblicato su “Obiettivo Ambiente”, novembre 2012):

Lo affermiamo da sempre: non siamo contrari alla produzione di energia fotovoltaica. Anzi, la riteniamo una più che valida alternativa al tradizionale uso di combustibili fossili. Per non parlare poi dell’energia nucleare…. Ci sono però delle situazioni nelle quali anche il ricorso all’energia fotovoltaica non è ecologicamente sostenibile e rappresenta una inaccettabile fonte di dissesto ambientale.

È il caso del progetto che riguarda la realizzazione di un gigantesco campo fotovoltaico all’interno della riserva naturale della Vauda, nel comune di Lombardore.

Come detto, si tratta di un area protetta, caratterizzata da un’ampia zona pianeggiante, in gran parte ricoperta da brughiera e ricca di stagni e laghetti. Parte della zona appartiene al demanio militare, che l’ha spesso utilizzata, soprattutto in passato, come poligono per le esercitazioni con mezzi blindati. Paradossalmente, proprio la presenza dei militari ha impedito speculazioni e usi sconsiderati del territorio, consentendo la conservazione di un ambiente, benché di origine in parte antropica, naturalisticamente interessante e ricco di specie, sia vegetali che animali, di grande pregio.

Alcuni mesi or sono le autorità militari hanno deciso di concedere l’area ad una società privata, affinché vi realizzi una serie di campi fotovoltaici, per una superficie complessiva di oltre 70 ettari.

Una iniziativa inaccettabile, che comporterebbe di fatto la distruzione dell’ultimo residuo di brughiera delle alte pianure della provincia di Torino, tra l’altro riconosciuta anche come SIC (Sito di Interesse Comunitario) dall’Unione Europea. Al suo interno è infatti possibile reperire numerose specie, altrove non presenti o molto rare.

In particolare, nella Vauda sono state censite oltre 200 specie di uccelli, in parte nidificanti ed in parte di passo: tra le presenze di maggior rilievo spiccano allodole, quaglie, gruccioni, averle piccole, succiacapre, cappellacce, strillozzi e ortolani, nonché alcune specie di rapaci come poiane, falchi, nibbi bruni, gufi e civette. Di grande interesse anche la fauna cosiddetta minore, che comprende rare specie di rettili, anfibi e almeno 60 specie di Lepidotteri, alcune delle quali si trovano in serio pericolo di estinzione.

Anche dal punto di vista giuridico il progetto non regge: siamo in un’area protetta a livello regionale, all’interno della quale interventi di così elevato impatto ambientale non sono permessi, mentre anche il Piano Regolatore del Comune di Lombardore riconosce all’area una elevata valenza naturalistica.

La stessa Regione Piemonte, con una deliberazione del 2010, ha riconosciuto le aree protette regionali ed i SIC quali siti non idonei all’installazione di impianti fotovoltaici a terra. Infine, anche il Ministero dello Sviluppo Economico, ha recentemente stabilito che lo sviluppo del solare fotovoltaico debba essere orientato verso applicazioni che riducono il consumo del territorio, stimolano l’innovazione tecnologica e le ricadute economiche, maincoraggiando in particolare l’utilizzo di coperture edilizie esistenti, anche dismesse. Purtroppo, pare che tutto ciò non valga per i militari, che ritengono, sulle aree di loro proprietà, di poter fare tutto ciò che vogliono.

Le Associazioni ambientaliste del Piemonte, tra cui Pro Natura Piemonte, hanno presentato un corposo ed articolato documento alla Provincia di Torino, in cui contestano in modo puntuale il Piano di Incidenza Ambientale che è allegato al progetto, chiedendo pertanto il ritiro di quest’ultimo.

Ribadiamo ancora una volta come la nostra non sia una posizione pregiudiziale contro l’utilizzazione dell’energia fotovoltaica. Semplicemente, con tutte le alternative esistenti (coperture degli insediamenti industriali e di altre strutture edilizie, parcheggi, aree compromesse quali discariche di rifiuti, svincoli autostradali, massicciate autostradali e ferroviarie, ecc.) non si capisce perché si debba andare a distruggere quel poco di ambiente che ancora è rimasto più o meno intatto.

Scarica il documento con le osservazioni delle associazioni ambientaliste(file pdf, 146 kb) >

È nato il coordinamento Rifiuti Zero

Venerdì 15 marzo si è tenuta la riunione regionale organizzata dal Comitato Beni Comuni Monza e Brianza presso l’Urban Center di Monza cui hanno partecipato cinquantotto persone in rappresentanza di varie realtà associative, comitati e movimenti della Lombardia, che ha sancito all’unanimità la costituzione del Coordinamento Regionale a sostegno della proposta di Legge rifiuti zero.

Durante la riunione sono state espresse le adesioni all’iniziativa che rientra nelle azioni di concretizzazione della Strategia Rifiuti Zero e che rispecchia affinità, obiettivi e attività volte a preservare i beni comuni e a riportare l’attenzione dei cittadini in una mobilitazione per la legalità e la trasparenza.

La serata si è anche caratterizzata per la ricchezza d’interventi succedutesi, attraverso i quali è emersa una forte volontà di costruire in Lombardia una fitta rete di collaborazioni tra i movimenti e comitati che operano in Lombardia al fine di realizzare un progetto globale di sviluppo sostenibile e contestualmente avere la capacità di vertenzialità nei confronti delle istituzioni locali dai comuni, province e regione.

Tale collaborazione e progettualità devono avere le seguenti articolazioni:

 

A) Modifica radicale della legge regionale 26 del 2003;

 

B) Incontro con i gruppi eletti in consiglio regionale per abbattere tutte le barriere che ostacolano l’aumento della raccolta differenziata nella regione e contestualmente chiedere l’elaborazione del piano energetico regionale, e incoraggiare il patto dei sindaci per ottemperare alle direttive CE;

 

C) Intessere una fitta rete di contatti in tutti comuni per indurre le amministrazioni comunali ad aderire all’Associazione dei Comuni Virtuosi, e far approvare negli stessi delibere sulla falsa riga del comune di Oristano;

 

Il Coordinamento nelle prossime settimane organizzerà degli incontri itineranti e workshop formativi allo scopo di informare e sensibilizzare i cittadini, di diffondere la cultura sui beni comuni e la partecipazione, di allargare l’adesione al coordinamento di altre realtà presenti sul territorio.

 

Seguiranno degli incontri per comporre i gruppi di lavoro, la comunicazione e l’organizzazione del coordinamento sul territorio con referenti locali per l’operatività della campagna di raccolte firme appena sarà depositata la proposta di legge.

 

 

In fine sono stati definiti e votati all’unanimità i seguenti referenti: Biagio Catena Cardillo del Comitato Beni Comuni Monza, Patrizia Pappalardo di Zero Waste Italy e Maurizio Bertinelli del Comitato Beni Comuni Monza.

 

Coordinamento Rifiuti Zero Lombardia                                                     Monza 16 marzo 2013

 

Il nuovo documento di Strategia Energetica Nazionale

Riduzione dei costi energetici, pieno raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi europei in materia ambientale, maggiore sicurezza di approvvigionamento e sviluppo industriale del settore energia. Questi sarebbero i quattro obiettivi principali indicati nel nuovo documento di Strategia Energetica Nazionale – SEN (pdf) di 139 pagine che i ministri Corrado Passera e Corrado Clini hanno approvato con un Decreto Interministeriale. Nei giorni scorsi si sono sprecate le critiche da parte di ambientalistiassociazioni e operatori del settore energetico che reputano questo atto illegale, perché emanato da ministri di un Governo in esercizio solo per l’ordinaria amministrazione. Un documento di programmazione sull’energia del paese, sebbene in forma di decreto, che ha una chiara valenza politica e di certo si identifica come un atto di carattere straordinario.

Il comunicato del Ministero dello Sviluppo Economico ci tiene a precisare che sono stati recepiti diversi contributi e, rispetto al documento posto in consultazione ad ottobre, quelli più rilevanti vengono elencati tra i seguenti:

  • Una maggiore esplicitazione delle strategie di lunghissimo periodo (fino al 2050), in coerenza con la Roadmap di decarbonizzazione europea, e delle scelte di fondo per la Ricerca e Sviluppo
  • Una quantificazione dei costi e benefici economici della strategia per il Sistema, in particolare per i settori elettrico e gas
  • Una definizione più precisa delle Infrastrutture Strategiche gas, con particolare riferimento al dimensionamento di nuovi impianti di stoccaggio e dirigassificazione, con garanzia di copertura costi in tariffa, necessari per garantire l’allineamento strutturale dei prezzi gas a quelli UE e a fare fronte alle accresciute esigenze di sicurezza delle forniture (in uno scenario geopolitico sempre più complesso)
  • Una più precisa descrizione delle misure di accompagnamento alla cosiddettagrid parity delle Rinnovabili elettriche (segnatamente del Fotovoltaico), una volta terminato il sistema incentivante attuale
  • Una migliore definizione degli strumenti previsti per accelerare i miglioramenti nel campo dell’efficienza energetica (es. certificati bianchi, PA, standard obbligatori, certificazione)
  • Una più chiara definizione dei possibili miglioramenti della governance del settore.

Ma il senso della SEN non cambia molto rispetto alla versione di ottobre. Leggendo lapresentazione sintetica della nuova SEN (pdf) e il comunicato stampa ministeriale percipiamo un approccio di ‘un colpo al cerchio e una alla botte’. Una strategia che continua a ritenere che la sostenibilità sia solo una questione economica e che pensa solo ad “una graduale integrazione della produzione rinnovabile“.

La potremmo leggere allora come il classico tentativo di controllare l’impetuosa crescita delle fonti di energia pulita in un sistema che punterà, secondo gli estensori del documento, ad essere caratterizzato da uno “sviluppo sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi” e a diventare “il principale hub sud-europeo del gas”. Una classica tattica dilatoria nei confronti del cambiamento in atto nel sistema energetico e verso quella vera transizione energetica per la quale si richiedono ora altre mentalità e visioni.