di Nicola Stella da Il Secolo XIX
Perché devono essere i consulenti di una procura della Repubblica a dirci se un impianto industriale è pericoloso?
Il caso della centrale a carbone di Vado Ligure assomiglia nel suo piccolo (sempre che mille morti presunti vi paiano pochi) a quello dell’Ilva di Taranto e a tanti altri in cui la magistratura svolge di fatto un ruolo di supplenza rispetto alla politica. Ministero dell’Ambiente, Regione Liguria e Provincia di Savona hanno avuto più occasioni per fare l’interesse dei cittadini, che è quello di avere quantomeno le stesse probabilità di ammalarsi di tumore ai polmoni della media degli italiani.
L’ultima solo due anni fa, quando Tirreno Power ottenne l’autorizzazione ad ampliare la centrale realizzando un nuovo gruppo elettrogeno – si suppone e si dichiara – di più moderna concezione e di assai minore impatto rispetto a quelli attualmente in funzione. Ma proprio i vecchi gruppi, che la stessa Tirreno Power dichiara più inquinanti di dieci volte (in fatto di polveri sottili) rispetto a quelli futuri, potranno continuare a funzionare ancora per otto anni. Sembrerebbe sensato che i signori (personalizziamo responsabilità che ovviamente sono più estese) Prestigiacomo, Burlando e Vaccarezza, di fronte a denunce di comitati, cittadini e ordini dei medici, avessero dato di loro impulso un incarico serio di verifica, anziché trovarsi oggi di fronte alle conclusioni di un pool di esperti nominato da un pubblico accusatore che di mestiere si occupa di accertare se un reato sia stato commesso.
In realtà i comuni di Vado e Quiliano, nella loro ristrettezza di risorse, un incarico lo avevano affidato, nel 2011, ma i dati sulla mortalità prodotti dal loro consulente si fermavano al 2004. I dati successivi chi li ha? E perché non sono pubblici?