di Roberto Meregalli
Sino a qualche giorno fa Parigi veniva associata all’imminente ventunesima conferenza delle Parti dedicata al clima. Quantomeno nella mente del 29% della popolazione italiana, secondo una stima di Legambiente, per gli altri, COP21 probabilmente faceva immaginare più un nuovo supermercato che una conferenza multilaterale su come preservare la nostra vita su questo pianeta (questo è il tema in questione).
Oggi Parigi fa scattare un altro link, ma nonostante le 129 vittime degli attentati, la conferenza è confermata e rimane inalterata la sua importanza, nonostante il terrorismo riempia oggi internet, televisione e giornali2.
Succederà qualcosa di buono dal 30 all’11 dicembre?
L’esperienza farebbe rispondere di no, siamo alla ventunesima edizione (tutto ebbe inizio nel 1992 con il summit della Terra di Rio: nacque lì la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), e tutto quello che è scaturito è stato il protocollo di Kyoto firmato ed applicato solo da una parte ridotta dei paesi. Tanti i vertici aperti con grandi speranze e chiusi senza risultati, eclatante quello di Copenaghen nel 2009 quando 115 leader mondiali fallirono l’impresa di un accordo storico e Barack Obama, fresco di nobel per la pace, tornò a Washington a mani vuote. Parigi è stata immaginata come l’occasione per cancellare Copenaghen e concludere un accordo legalmente vincolante per ridurre le emissioni di gas climalteranti in modo da evitare che la temperatura media globale aumenti di oltre due gradi centigradi. L’aumento di due gradi lo abbiamo già accettato come inevitabile, ma oltre il mondo scientifico paventa mutamenti insostenibili.
Negli ultimi anni abbiamo compreso meglio i fattori che provocano il cambiamento del clima, i cui effetti sono già visibili, il 2014 è stato l’anno più caldo da quando misuriamo la temperatura del pianeta e a parte il 1998, i dieci anni più caldi sono tutti dal 2000 in poi.
Per rispettare l’impegno a non superare il target dei due gradi in più, da tempo sentiamo ripetere che occorre ridurre la quantità di anidride carbonica, ossidi di azoto, composti di fluoro e gas metano che “liberiamo” quando ci muoviamo, quando ci riscaldiamo, quando coltiviamo, quando produciamo energia e prodotti di uso quotidiano. Il carbonio e suoi derivati sono da sempre al centro della scena perché l’atmosfera è in gran parte trasparente rispetto alle radiazioni del sole ma queste radiazioni non possono essere accumulate senza fine, vanno “ributtate” nello spazio per mantenere equilibrio fra input ed output.
Gli scienziati dicono che per limitare a due gradi in più la perdita di equilibrio, nei prossimi 35 anni dovremo rimanere sotto i 3.200 miliardi di tonnellate di CO2. Oggi siamo a 2 mila e per far bastare il bonus di 1.200 da qui al 2050 sarànecessario rallentare drasticamente il ritmo, ossia vivere riducendo del 60% le emissioni.
Detta in questi termini la questione può anche apparire semplice, ma tradotta in termini pratici no.