di Roberto Meregalli
La Commissione il 28 maggio ha pubblicato la propria strategia per la sicurezza energetica. Shale gas? Cattura e confinamento della CO2? Nucleare? Rinnovabili? Quale la soluzione?
“A mano a mano che l’energia è diventata parte vitale dell’economia europea e degli stili di vita moderni, è diventato naturale aspettarsi forniture energetiche sicure: accesso ininterrotto alle fonti di energia ad un prezzo accessibile.” Così inizia lo studio presentato dalla Commissione Europea a corredo della propria comunicazione relativa alla sicurezza energetica[1]. Ed è innegabile che “Ci aspettiamo di trovare la benzina alle pompe, gas per riscaldamento ed energia elettrica senza limiti”; senza alcuna consapevolezza di quanto sia complesso mantenere in piedi un sistema che risponda ad ogni nostra esigenza, di quanto sia onerosa la complessa infrastruttura che sta dietro alla presa di corrente di casa nostra o al distributore di benzina presso cui ci riforniamo.
La crisi Russia-Ukraina ha riacceso i riflettori, anche della stampa non specializzata, sul tema della sicurezza energetica e delladipendenza europea dai fossili oltreconfine e la Commissione, il 28 maggio, ha rilasciato la sua strategia. Buona o cattiva?
La strategia, partendo dalla sottolineatura del fatto che ogni giorno l’Unione spende più di un miliardo di euro per importare fossili, si pone giustamente l’obiettivo di “ridurre la dipendenza da particolari fonti, fornitori e vie di importazione”.
Nel concreto però non appare molto convincente.
Da un lato contiene indicazioni assolutamente condivisibili anche se poco concrete, come l’invito a moderare la domanda di energia, a sviluppare nuove tecnologie, a migliorare il coordinamento fra i diversi stati, a rafforzare meccanismi di solidarietà.
Ragionevoli sono le indicazioni a continuare l’integrazione dei mercati, a diversificare fonti e fornitori, ma manca di incisività sul punto focale: come aumentare le fonti locali?
Si invita allo sviluppo delle fonti fossili disponibili in Europa (Mare del Nord, Mediterraneo orientale e Mar Nero), anche se la stessa UE nei documenti correlati ammette che le riserve convenzionali di gas stimate sono pari a 1.412 Mtep, sufficienti per meno di 4 anni di consumi europei.
Si scrive che lo shale gas potrebbe parzialmente compensare il declino dei giacimenti convenzionali indicando che “è necessaria una accurata analisi delle riserve non convenzionali europee alfine di rendere possibile una produzione commerciale”, si promette “il lancio di una rete scientifica e tecnologica europea sull’estrazione non convenzionale di idrocarburi” ma per sole, vento, acqua, geotermia e biomasse, pur sottolineando che hanno fatto risparmiare almeno 30 miliardi di euro l’anno, la commissione si limita a raccomandare di “continuare lo sviluppo delle fonti rinnovabili per raggiungere il target al 2020 nell’ambito di un approccio orientato al mercato”, segnalando i problemi legati ai costi e al loro impatto sui fatidici mercati, poiché è innegabile come il “Davide fotovoltaico” abbia messo all’angolo il gigante delle utility.
Eppure potenzialmente sono queste le fonti che possono renderci davvero più indipendenti e darci maggiore sicurezza; sono le rinnovabili ad essere raddoppiate nell’ultima decade e riguardano elettricità e riscaldamento. Nel settore elettrico, l’unico con statistiche precise, nel 2012 sono stati prodotti 799 miliardi di chilowattora (TWh), il 13% in più in un solo anno, pari al 24% di tutta l’elettricità prodotta in Europa.
Nella comunicazione occupa spazio la cattura ed il sequestro del carbonio (CCS), tecnologia che permetterebbe di continuare a bruciare carbone, nonostante negli ultimi anni non risultino passi avanti in questa direzione. La commissione sottolinea invece “la necessità di ulteriori sforzi in ricerca, sviluppo e applicazioni” per beneficiare di questa tecnologia. Non manca la parte dedicata all’elettricità prodotta dal nucleare che “costituisce una attendibile fonte di elettricità di base libera da emissioni, che gioca un ruolo chiave nella sicurezza energetica”, la raccomandazione della commissione è di non affidarsi ad imprese russe per la fornitura del combustibile dei reattori. Un messaggio diretto, fra le altre, all’Enel che per i suoi reattori in Slovacchia si rifornisce proprio dalla russa Tvel.
Quale soluzione allora?
La situazione europea è realmente una condizione di dipendenza energetica e siccome la dipendenza energetica significa anche dipendenza politica ed economica, urge una soluzione che deve avere un orizzonte temporale adeguato.
Se nel campo della riduzione dei consumi domestici (elettricità e riscaldamento) le recenti direttive hanno posto obiettivi rilevanti, nei trasporti va focalizzata l’attenzione perché la gran parte del petrolio ci serve per muoverci e quindi la mobilità va ridisegnata.
Relativamente al capitolo gas, questa fonte serve a produrre elettricità e calore, nell’elettrico le rinnovabili sono già disponibili, per il riscaldamento e per cucinare si può spostare sull’elettrico, attraverso cucine a induzione e pompe di calore, parte dei consumi, aumentando così la domanda elettrica con buona pace di chi è preoccupato dell’impatto delle rinnovabili sui mercati esistenti.
Le aspettative verso la CCS e lo shale gas sono roba vecchia, nel senso che rappresentano il tentativo di non cambiare nulla fidando di soluzioni sperimentate. Ma al momento la prima è una tecnologia costosa che non mostra apprendimenti (ricorda molto il nucleare!), per lo shale gas il discorso è più complesso. Gli annunci di Obama dopo la crisi Ukraina-Russia hanno fatto balenare la facile soluzione di una sostituzione del gas russo con quello statunitense, ovviamente non via tubo, ma via nave sottoforma di gas liquefatto.
Ma non sarà così. A parte il fatto che il primo impianto di liquefazione USA sarà pronto entro il 2017 e quindi bisognerà aspettare il 2020 per ipotizzare l’arrivo di quantità decenti in Europa (il primo contratto è stato firmato da Enel con Cheniere Energy per rifornire le centrali spagnole), non è neppure detto che questo accada. Il perché è presto detto.
Lo shale gas e lo shale oil hanno rivoluzionato il quadro energetico statunitense ponendolo di fronte ad un cambio radicale di strategia geoenergetica: da import oriented ad export oriented. Importare si inquadrava in una strategia di controllo in alcuni paesi e di spinta verso le proprie multinazionale ad entrare in alcuni mercati regionali. I dollari servivano in Venezuela, Messico, Arabia, Angola e Nigeria, diventare ora un esportatore significa influire sull’economia e le relazioni con tutti questi paesi.
Inoltre lo shale gas ha abbassato i prezzi all’interno degli USA a valori che hanno permesso una sorta di rinascita industriale. Tutti sanno che quanto più si esporta gas, tanto più il prezzo sul mercato domestico si allinea a quello internazionale, il che annullerebbe il vantaggio per l’industria americana, quindi gli USA esporteranno gas ma sulle quantità non c’è certezza.
Queste riflessioni servono a mettere in guardia dall’illusione di facili soluzioni, quella vera che può garantire all’Europa di non dover dipendere da Russia o Stati Uniti è di sviluppare tecnologie in grado di consumare meno e di sviluppare le proprie risorse rinnovabili. Anche perché, tornando allo shale gas, quello che è accaduto in America in Europa non accadrà, a differenza dei giacimenti convenzionali lo shale gas è fatto di un una miriade di pozzetti che hanno un picco di produzione nelle prime 4/5 settimane e poi si esauriscono in uno/due anni, per cui il numero di pozzetti da scavare aumenta in maniera esponenziale, in una logica per cui il terreno diventa un groviera (ignoriamo qui le conseguenze sull’ambiente).
Questo negli USA è successo perché ci sono tante piccole imprese dotate della necessaria tecnologia, bassa densità abitativa e i diritti minerari sono privati (quello che sta sotto casa mia è mio). Tutte condizioni che in Europa non ci sono, per cui pensare di sfruttare lo shale gas in Europa emulando l’America è velleitario.
La comunicazione della Commissione si conclude con una frase che ha la sensazione di avere un ruolo cosmetico ma che invece deve essere centrale: la sicurezza energetica è inseparabile dagli obiettivi per il 2030 sul clima.
Clima, sicurezza ed ambiente devono essere i riferimenti nel disegno di un nuovo sistema energetico, non il mercato. O facciamo questa scelta o l’economia anziché strumento per vivere (meglio) si confermerà strumento di schiavitù per la maggior parte di noi. Al nuovo Parlamento Europeo tocca questa entusiasmante sfida.
Il testo completo di questa analisi con una premessa sulla situazione energetica europea è disponibile quì
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[1] http://ec.europa.eu/energy/doc/20140528_energy_security_communication.pdf