a cura di Stefano Bonaga*
1 – Nel discorso pubblico prevalente la politica viene identificata con la grammatica della sua rappresentazione mediatica, ridotta cioè all’immagine mobile del gradimento degli spettatori verso la performance degli attori politici. Un sistema sempre più chiuso della selezione dei candidati ne completa il quadro, aggiungendo un fattore ulteriore di degrado in ordine alle aspettative suscitate. Il disincanto tuttavia connesso a tale rappresentazione è ad intermittenza accompagnato da un singolare ottimismo della speranza. Intendiamo smascherare come tale rappresentazione fenomenologica occulti una disfunzione profonda del sistema politico e non una transitoria inadeguatezza soggettiva dei suoi governanti.
2- Al declino della forma rappresentativa classica, dove la delega politica prometteva una qualche corrispondenza di idee e interessi fra eletti ed elettori, è seguita una trasformazione della visione di libertà politica dei cittadini: da potenza di agire effettuale e produttiva a rituale assenso via elezioni, e consenso via sondaggi. Le procedure democratiche, invece che sostanza della democrazia per mezzo del suffragio, sono sempre più un rituale svuotato di affluenza ed efficacia. Si tratta di un oblìo delle promesse dell’Articolo 3 della Costituzione, dove l’uguaglianza politica è intesa come capacità dei cittadini di formarsi ed esprimersi a partire da ciò che sono ma senza che la loro diversità sia ragione di ineguaglianza di potere.
3- La diseguaglianza di potere ed influenza sul processo di decisione è la registrazione politica della crescita di disegueglianze economiche e sociali che rendono molti cittadini depauperati delle condizoni, anche minime, per formare quelle capacità che consentono loro di aspirare al riconoscimento della dignità della propria vita; di essere responsabili e attivi nella ricerca della felicità; di essere cittadini coscienti del proprio potere come persone singole e associate. Invece di una promessa che la società ha fatto a se stessa nel momento della sua costituzione democratica, l’eguaglianza di considerazione legale e morale è diventata per troppi un fine quasi inaccessibile.
4- Le prestazioni di cittadinanza che hanno storicamente segnato il passaggio dal ruolo di suddito a quello di cittadino, a partire dal principio No taxation without representation si trovano oggi ad essere ridotte a due: al dovere fiscale e all’esercizio del diritto di suffragio. Esse, quandanche implementate, risultano, all’interno della democrazia di una società complessa, assolutamente insufficienti a far fronte alle aspettative che generano, siano esse soddisfacimento di bisogni, di diritti, di desideri, di domande culturali. La sproporzione fra tali prestazioni minime di cittadinanza e le relative massime pretese nei confronti del governo emerge come uno dei sintomi funzionali della crisi sistemica di una democrazia che si identifica ormai soltanto con la delega elettorale. Cittadini che sono solo elettori percepiscono, prevedibilmente, la tassazione come servitù piuttosto che come dovere di contribuire alla vita della collettività esercitato da cittadini liberi. No taxationanche a prezzo della rappresentanza.
5- Il sistema della delega in quanto tale configura il rapporto fra governanti e governati conforme al paradigma espresso dalla domanda rivolta dai primi ai secondi: “di che cosa avete bisogno cittadini?”, a cui segue l’impegno programmatico dei primi a far fronte alle richieste. Tale impegno risulta agli occhi di tutti costantemente inevaso. Solo in certi casi ciò dipende dai limiti dei delegati poichè in generale la delusione è imputabile ai limiti stessi della rappresentanza. Si rende dunque necessario un passo ulteriore nella direzione di un’assunzione di maggiore responsabilità politica dei governati che, rispondendo alla domanda: “Che cosa posso fare?”, cooperino ad una costituzione positiva della potenza di agire di una società.
6- Il passaggio storico in Europa da una società stratificata – in cui gli interessi interni agli strati o ceti o classi erano tendenzialmente omogenei – ad una società complessa e funzionalmente differenziata – in cui coesistono e si mobilitano all’interno di ciascuna fascia istanze e opportunità diversificate in ordine a svariati contesti (salario, abitazione, trasporti, sanità, informazione, cultura, tempo libero ecc.)- impone un aumento enorme di capacità selettiva che il solo sistema della rappresentanza politica non è in grado di offrire. Solo un cospicuo incremento di tale capacità selettiva può affrontare il compito di ridurre e quindi governare questa enorme complessità. E’ da questa considerazione che si ricava l’importanza sostanziale e decisiva delle associazioni e dei partiti, quali corpi intermedi ed espressioni della necessità della cittadinanza attiva.
7- La teoria sociologica dei sistemi aperti illustra con chiarezza questa esigenza: per ridurre la complessità dell’ambiente sociale, cioè la sovrabbondanza delle sue istanze e alternative rispetto all’azione attualizzante, occorre complessificare il sistema della politica, ovvero aumentare la sua capacità di selezione intelligente offrendo un più ampio ventaglio di opzioni e possibilità rispetto al sistema chiuso della rappresentanza, che ne scarta un numero insopportabile. Un sistema aperto deve poter contare pertanto su un’articolazione di voci, interessi e iniziative dei cittadini che da una parte raccolgano, segnalino e trasmettano alle instituzioni e agli organi di decisione le informazioni e dall’altra occupino spazi di autorganizzazione. Il pluralismo associativo è quindi sia un segno di libertà che una condizione di necessità funzionale. A tale proposito, offrono interessanti esperienze in prospettiva le analisi e le pratiche sui temi dei beni comuni, le quali potrebbero permettere di affiancare le forme delegate, dirette e partecipate della democrazia con forme innovative di democrazia cooperativa, sul terreno intermedio fra pubblico e privato, in un arricchimento e qualificazione degli strumenti della libertà politica.
8- Questo urgente salto di qualità democratica va intrapreso anche sul fronte di una profonda riflessione e ri-formulazione del ruolo e della forma di quegli specifici corpi intermedi a vocazione universalistica che sono i partiti politici. Lo stato attuale dei partiti nel nostro paese li vede ridotti a macchine di selezione della classe dirigente, dominati dagli esperti del marketing dell’immagine e sempre più rinunciatari rispetto alla decisiva funzione di negoziazione degli interessi delle comunità locali e nazionali. In questo senso, ad essi non si richiede ingenuamente una cessione di potere, ma piuttosto la mutazione della propria forma: da comando e pretesa di delega in bianco a coordinamento, valorizzazione, promozione della potenza sociale espressa da competenze, progetti, iniziative, esperienze autonome, ecc. Per negoziazione noi intendiamo il compito di dare ragioni agli interessi, ovvero la capacità di renderli legittimi e dunque componibili con gli interessi altrui mediante una loro diretta assunzione di responsabilità. In caso di conflitto esso deve durare il tempo della sua componibilità: a questo del resto serve la regola di maggioranza, che esclude a priori il consensualismo mentre presume dissenso e conflitto, ma anche contrattazione e mediazione sempre aperta.
9- Il tema che qui è posto in ordine all’incipit di una Costituente Egualitaria si propone semplicemente come uno stimolo al dibattito e alle pratiche della moltitudine di soggetti che, a vario titolo, in diverse forme e in diversi luoghi, già hanno manifestato e manifestano insofferenza critica nei confronti di una convivenza sociale regolata da una democrazia sempre più affannata da spinte oligarchiche e sempre meno capace di reagire all’ineguaglianza crescente e alla sottrazione di sovranità ai propri cittadini. Dunque, politique d’abord!!!
*Stefano Bonaga, nato a Bologna nel 1944, è titolare della cattedra di antropologia filosofica dell’Università di Bologna, ha ideato insieme a Maurizio Matteuzzi della rete civica Iperbole per il Comune di Bologna in cui è stato Assessore nella giunta Vitali. Tra i suoi ultimi libri: I dieci comandamenti del vivere civile, Alberti 2011. Nadia Urbinati, nata a Rimini nel 1955, è titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York e tra i suoi ultimi libri: Democrazia rappresentativa. Sovranità e controllo dei poteri, Donzelli, 2010; Liberi e uguali. Contro l’ideologia individualista, Laterza, 2011. Il disegno in alto è di una scuola di Conegliano (Treviso) per un progetto di cittadinanza attiva.