Alcune foto della bella serata di ieri a Saronno con una sala ACLI gremita di persone venute ad ascoltare e dibattere insieme a Monguzzi, Zabot, Ricotti, Mauri e Agostinelli.
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Proteggiamo il prof. Veronesi da sé stesso
Da Il Manifesto, 5 dicembre 2010
Umberto Veronesi continua a deliziarci con le sue sparate a favore del nucleare. L’affermazione più roboante è di qualche giorno fa. Il professore potrebbe dormire avendo in camera da letto scorie nucleari: “non esce neanche la minima quantità di radiazioni” (AGI, 30 novembre). Se una affermazione di questo tipo la facesse come Presidente dell’Agenzia di sicurezza nucleare in qualche documento ufficiale Veronesi andrebbe denunciato per falso ideologico; vediamo perché e, anche a beneficio del prof. Veronesi, diamo qualche dato.
Le analisi correnti dell’emissione radioattiva delle scorie vetrificate – quelle dirette a Gorleben in Germania per le quali ci sono state le manifestazioni a novembre – indicano che a un metro di distanza il rateo di dose, a seconda del tipo di contenitore, è di 40, 100 o 200 microSievert all’ora (World Nuclear Transport Institute, luglio 2006). Supponendo che il professor Veronesi dorma 6 ore a notte, ci passerebbe 2.190 ore all’anno. La dose di radiazioni conseguente (gamma e neutroni) varierebbe, a seconda del tipo di contenitore e di scorie, da 87 a 438 milliSievert (mSv) all’anno, quando la dose massima consentita per un individuo della popolazione è di 1 mSv all’anno (i lavoratori addetti sono invece autorizzati a prenderne 20 all’anno). Se invece il professore preferisse tenere in camera da letto materiali nucleari non irraggiati, allora se la passerebbe molto meglio: infatti in questo caso il rateo di dose varia da 1 a 6 microSv all’ora con una dose annuale tra 2 e 12 mSv (comunque dal doppio a 12 volte la dose massima ammessa per la popolazione).
Quali le conseguenze? Se, per assurdo, tutti i cittadini italiani seguissero il prof. Veronesi nell’esperimento di dormire accanto alle scorie nucleari trasportate a Gorleben, anche assumendo quelle con il minore irraggiamento e una permanenza di sole 6 ore a notte, avremmo una dose collettiva annuale superiore ai 5 milioni di Sievert, dose per la quale, applicando i coefficienti ufficiali di rischio, avremmo oltre 250 mila casi di tumore fatali all’anno. Il prof. Veronesi dovrebbe fare almeno un corso rapido sul tema per evitare di dire castronerie del genere.
E comunque Veronesi ci rassicura che il problema delle scorie non esiste, perché secondo lui le potremo mandare in Spagna dove “c’è una vera e propria gara” per avere il deposito temporaneo per le scorie nucleari. In effetti, sugli ottomila comuni spagnoli, in 8 comuni di 5 regioni hanno dichiarato la loro disponibilità, ma tutte e cinque le regioni coinvolte i cui parlamenti regionali si stanno opponendo con forza all’ipotesi di localizzazione. Ma qualcuno ha avvisato il governo spagnolo delle intenzioni del nostro futuro Presidente dell’Agenzia di sicurezza nucleare?
Un’altra notizia tendenziosa è quella che in Svizzera sono state ordinare tre nuove centrali. Di sicuro ce ne sono 3 che devono chiudere e le aziende elettriche le vorrebbero sostituire. La Camera dei Cantoni su iniziativa del Cantone di Basilea, quello più fortemente antinucleare, ha deciso di continuare la procedura decisionale sulle tre centrali che avrà termine con un referendum nel 2013. Di recente si sono tenuti due referendum locali che hanno deciso la fuoriuscita dal nucleare – a Berna e a St Gallen – che si aggiungono alle decisioni antinucleari (e conseguente piani energetici basati sulle rinnovabili e efficienza) già prese dalle città di Zurigo, Basilea e Ginevra.
Il fervore ideologico di Veronesi a favore del nucleare gli fa fare affermazioni destituite di ogni fondamento, o dare notizie false o presentate in modo da distorcere la realtà: qualcuno per favore vuol proteggere Veronesi da sé stesso?
Giuseppe Onufrio, Direttore Esecutivo Greenpeace Italia
Energia in Italia: chi decide?
Da Il Fatto Quotidiano, 6 dicembre 2010
“Due tycoon-oligarchi, con un rapporto personale che scavalca le istituzioni dei loro Paesi. Berlusconi e Putin hanno trovato nell’energia il terreno per un business condiviso. Eni e Gazprom sono diventati il centro dei loro interessi comuni”. “C’è la convinzione che Berlusconi e i suoi accoliti traggano cospicui profitti personali da molti contratti di fornitura energetica tra Italia e Russia”.
Queste le rivelazioni di WikiLeaks che il nostro Presidente del Consiglio e il presidente dell’Eni, Scaroni, liquidano con fastidio come pure illazioni o banalità. Altro che minimizzare! Questo è il segno di quanto in basso sia caduta la democrazia e di come sia scaduto il senso delle istituzioni in Italia. Se nientemeno che il futuro energetico di una delle prime dieci potenze del mondo è sottratto al Parlamento (da decenni non c’è uno straccio di Piano Energetico Nazionale) e pochi boiardi di stato possono scodinzolare dietro a un premier chiacchierato senza nemmeno dover riferire in sedi pubbliche, è ora di preoccuparsi. Inoltre i rapporti pubblicati dal sito di Assange riferiscono che l’ambasciatore americano considera le scelte energetiche italiane come semplice appannaggio di Berlusconi e di come queste siano condivise tra lui e pochi manager nominati dal Governo. Si parla anche di alcuni fiduciari personali collocati a Mosca dentro le banche e gli enti di rappresentanza che svolgono l’azione esecutiva per conto del Premier e dei suoi “amici imprenditori”. Scelte energetiche che spiegano i rapporti privilegiati del cavaliere con despoti e personaggi autoritari come Gheddafi, Putin e Erdogan, tutti fautori del rilancio delle fonti fossili e del sistema delle grandi opere come i gasdotti e le megacentrali. Tutti in campo per sostenere il nucleare come loro necessario partner del futuro. Già, perché la questione sempre tenuta ai margini del dibattito sul nucleare è la necessità ormai assodata di passare da un sistema di fornitura di energia sostenuto da ingenti risorse finanziarie (fortemente centralizzato e sempre più autoritario) ad uno alternativo, fondato sul risparmio familiare e sull’autoproduzione, decentrato sul territorio, governato democraticamente e integrato nei cicli naturali.
Atomo o sole. In fondo è qui che si gioca la partita per il modello di società che si vuole costruire: valutando i costi e i benefici, compiendo scelte tecnologiche a favore dell’ambiente piuttosto che del profitto. Come può un Paese discutere serenamente di scelte decisive per il suo futuro, se gli è negata la possibilità di influenzare e controllare gli oligarchi che determinano la politica estera e stabiliscono perfino accordi militari sulla base di interessi e affari di circoli ristretti? Come ci si può fidare di questi personaggi che hanno deciso senza discussione e trasparenza di fare dell’Italia la piattaforma in Europa del gas e del petrolio (da sostituire domani con l’uranio anziché con le rinnovabili), espandendo ancora le grandi infrastrutture e la concentrazione finanziaria e restringendo invece l’ambito dei meccanismi decisionali? Berlusconi quando sigla l’accordo per i reattori EPR con la Francia (oltre 60 miliardi a consuntivo!) semplicemente pensa a procrastinare il sistema che lo vede già promotore, con le lobby che lo circondano, di affari enormi (20 miliardi per il gasdotto Southstream con la Russia e 8 miliardi per Nabucco con la Turchia). Queste decisioni, però, sono incompatibili con una significativa diffusione degli impianti eolici e solari e con il 20% di risparmio energetico programmati dall’UE. Ecco spiegata allora la propaganda che un tycoon-imprenditore sosterrà per convincere gli Italiani a passare all’atomo e si giustifica la voce che circola sui 20 milioni messi a bilancio da Enel per raggiungere gli studenti delle scuole e le massaie nelle loro case. Un ente elettrico che si espande con partecipazioni atomiche all’Est e che – benedicente Putin – sigla un accordo per un reattore a Kaliningrad, mentre la Sogin pensa al trasporto di scorie nel Kazakistan. Da questi dati, si coglie un altro nesso che deve mettere in allarme chi si batte per l’acqua pubblica e chi sta raccogliendo firme per le rinnovabili . Le “utilities” (ex municipalizzate) come A2A, sperano, per risanare i loro bilanci, di entrare nel business nucleare e partecipare così a una torta offerta dal governo con i soldi pubblici. Così come sperano nel mantenimento del decreto Ronchi per la messa a gara dell’acqua, onde rimpinguare i profitti in calo con la gestione del servizio idrico, l’affare del futuro.
Mario Agostinelli
Manifesto degli imprenditori
Tratto da La Repubblica — 05 dicembre 2010
ROMA – Un salasso di risorse che drenerebbe gli investimenti fuori dall’Italia bloccando la ripresa di uno dei pochi settori in crescita: la green economy. E’ questa la motivazione del manifesto «Invece del nucleare» con il quale imprenditori e manager chiedono al governo di cambiare rotta rinunciando all’atomo francese per lanciare un modello di crescita verde che in Germania ha già dato 350 mila posti di lavoro diretti e oltre 1 milione nell’indotto. «Lo scenario prospettato dal governo, 25 per cento di elettricità atomica e 25 per cento di rinnovabili al 2030 – si legge nell’appello – comporterebbe una enorme distrazione di risorse a discapito delle nuove energie (efficienza e rinnovabili). Nella migliore delle ipotesi, quando tra 10-12 anni si iniziasse a generare elettricità nucleare sarebbe lo Stato, attraverso la fiscalità generale, o gli utenti, attraverso le bollette, a cofinanziare il nucleare. Questo perché il costo è estremamente oneroso: oltre 5 miliardi di euro per una centrale, più di 40 miliardi per l’intero programma. Stime che raddoppiano, e anche più, se si considerano i costi del futuro decommissioning.
Un rapporto del 2009 del Mit, Massachusetts Institute of Technology, ha valutato il costo dell’elettricità da nucleare in 8,4 centesimi di dollaro per chilowattora, più del gas e del carbone». L’elenco dei primi cento firmatari del manifesto curato dal Kyoto Club, il cartello delle industrie impegnate in campo ambientale, è aperto da tre nomi di rilievo: Pasquale Pistorio, il manager che ha fatto la fortuna di STMicroelectronics, Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont, Gianluigi Angelantoni, amministratore delegato dell’omonimo gruppo che, assieme a Siemens, lavora sulle nuove frontiere del solare termodinamico. «Un proverbio cinese che amo molto dice: “Se vuoi una quercia tra 50 anni devi piantarla oggi”: quella è saggezza», commenta Angelantoni. «Ma non accorgersi nemmeno di quello che già esiste è follia: per una piena competitività delle rinnovabili non ci sarà da aspettare 50 anni, è un obiettivo ormai a portata di mano. Non si capisce dunque secondo quale logica sarebbe conveniente impegnarsi oggi, a prescindere dai rischi legati all’inquinamento e al terrorismo, nella costruzione di centrali nucleari che quando entreranno in esercizio dovranno misurarsi con fonti rinnovabili che nel frattempo avranno fatto passi avanti da gigante». Per misurare la convenienza delle rinnovabili del resto non c’è da spostare gli occhi troppo in là. Basta prendere i dati di consuntivo del 2009: il 61 per cento della nuova potenza elettrica installata in Europa viene da impianti alimentati da fonti rinnovabili; e la percentuale, sempre nel 2009, è del 43 per cento negli Stati Uniti.
«E’ singolare che qualcuno parli di rinascita del nucleare nel momento in cui questa tecnologia conosce la sua crisi più profonda», osserva Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club. «Prendiamo il dato degli impianti costruiti a livello globale negli ultimi 5 anni, tra il 2005 e il 2009: la somma di eolico e solare ha battuto il nucleare 14 a 1 in termini di potenza installata e 3 a 1 in termini di elettricità prodotta. Se poi si tenesse conto delle centrali atomiche dismesse nel quinquennio la differenza diventerebbe ancora più clamorosa». – Antonio Cianciullo
Fermato il ritorno al nucleare nel Lazio
Roma, 24 NOV – Il Consiglio regionale del Lazio è “indisponibile” ad accogliere impianti nucleari di qualsiasi tipo nel territorio regionale. L’assemblea ha impegnato oggi pomeriggio, con voto a maggioranza, la presidente Polverini a “dichiarare l’indisponibilità del territorio della Regione per l’insediamento di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché di depositi di materiali e rifiuti radioattivi, a partire dal sito di Montalto di Castro dove il governo prevede la realizzazione della nuova centrale termonucleare”.
La mozione era stata proposta da Angelo Bonelli (Verdi) e da esponenti di Pd, Sinistra ecologia libertà, Federazione della Sinistra e Lista Bonino-Pannella. “Il sistema elettrico regionale – si legge nel documento – è in grado di coprire la richiesta di energia elettrica prevista al 2020 e di assicurare un esubero di circa il 13 per cento, mediante l’incremento della produzione da fonti rinnovabili, da risparmi nei settori finali di consumo e dall’ammodernamento con tecnologia eco-compatibile degli impianti in esercizio”. Carlo De Romanis, a nome del Pdl come gruppo, aveva annunciato voto contrario: “Questa materia è di competenza nazionale – ha detto – come sentenziato dalla Corte Costituzionale, e noi non ci opporremo alle decisioni del Governo. Poi, all’interno dei gruppi, ognuno voterà secondo coscienza”. L’Udc ha dichiarato, per bocca del capogruppo Francesco Carducci, la propria astensione. Non esistono, secondo l’Udc, decisioni per la localizzazione di reattori termonucleari a Montalto e, viste le ingenti risorse necessarie, su questo tema serve un patto tra Governo nazionale e opposizione.
Nel corso della seduta straordinaria – convocata dal presidente del Consiglio Mario Abbruzzese su richiesta dell’opposizione – sono state discusse, in un lungo dibattito con posizioni articolate, due mozioni. Quella a firma di Bonelli e quella proposta da Francesco Pasquali (Pdl), poi ritirata, che impegnava la presidente Polverini a dichiarare la disponibilità della Regione al nucleare. “Sarebbe una scelta importante anche per la ripresa occupazionale” aveva sostenuto Pasquali. Una terza mozione – presentata successivamente da Andrea Bernaudo (Lista Polverini) e Carlo De Romanis più altri consiglieri del centrodestra – puntava a impegnare la Polverini a varare un nuovo piano energetico strategico regionale che tenesse conto “dei risultati più recenti sul nucleare pulito e sui vantaggi per l’ambiente connessi all’utilizzo di tutte le energie rinnovabili, con particolare attenzione a Montalto di Castro”. La proposta è stata respinta a maggioranza dall’Aula.
Il testo della mozione (PDF, 37 Kb)