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La rivoluzione Enel

Enel chiude 23 centrali e le riconsegna al territorio: una occasione straordinaria per il paese di recuperare aree progettandone nuovi usi.

a cura di Roberto Meregalli

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Con l’avvento di Francesco Starace alla guida di Enel (maggio 2014), la politica dell’ex monopolista elettrico ha subito una decida sterzata. Il nuovo amministratore delegato, in una audizione al Senato nell’ottobre dello stesso anno, spiegò che in uno scenario così rivoluzionato, come quello della generazione elettrica, Enel doveva chiudere senza esitazioni ben 25 mila MW di centrali termoelettriche, divenute ormai una zavorra difficile da sostenere.

Eccesso di offerta di elettricità, calo dei consumi, aumento della generazione rinnovabile sono l’origine di questa colossale iniziativa di chiusura di centrali che hanno fatto la storia del nostro Paese.

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Il secolo dei rifugiati ambientali? – Convegno a Milano

Il secolo dei rifugiati ambientali?
Analisi, proposte, politiche

Milano, 24 settembre 2016

Il 24 settembre si terrà a Milano, nella Sala delle conferenze di Palazzo Reale, un convegno internazionale organizzato e promosso da Barbara Spinelli e dal gruppo GUE/NGL del Parlamento europeo, che si propone di riflettere su una figura generalmente trascurata sul piano giuridico: quella del rifugiato per motivi ambientali.

Secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), entro il 2050 i profughi ambientali saranno tra 200 e 250 milioni, con una media di 6 milioni di persone costrette ogni anno a lasciare la propria abitazione e spesso il proprio Paese. Lo straordinario aumento di sfollati interni e di profughi è in gran parte dovuto a conflitti scatenati da politiche diffuse e sistematiche di appropriazione di risorse. Dal dopoguerra a oggi, ben 111 conflitti nel mondo avrebbero tra le proprie radici cause ambientali: 79 sono tuttora in corso e, tra questi, 19 sono considerati di massima intensità.

Nonostante le misure fin qui prese per contenere i cambiamenti climatici e l’aggressione alle risorse naturali, l’espulsione dal proprio habitat di ampie quote della popolazione mondiale a causa del deterioramento ambientale è considerata inevitabile dalla maggior parte della comunità scientifica, in assenza di provvedimenti più radicali di quelli presenti. Eppure il fenomeno resta di fatto invisibile alle legislazioni e alla politica. Nemmeno la Convenzione di Ginevra e il Protocollo aggiuntivo del 1967 riconoscono lo status giuridico di chi fugge da catastrofi ambientali, specie se originate da azioni e interventi umani sulla natura.

Sono rifugiati ambientali quelli che scappano da conflitti per l’accaparramento delle risorse idriche o energetiche, come lo sono coloro che fuggono dalla desertificazione e dal collasso delle economie di sussistenza in seguito a crisi dell’ecosistema, dovute a cause naturali o attività umane: land grabbing, water grabbing, processi di “villaggizzazione” forzata (che negli anni Ottanta causarono la morte di un milione di persone per carestia, in Etiopia), inquinamento ambientale, smaltimento intensivo di rifiuti tossici o radioattivi, scorie radioattive risultanti da bombardamenti.

Questi flussi si aggiungono a quelli causati da guerre e persecuzioni politiche, religiose o etniche, e talvolta vi si sovrappongono in modo inestricabile. É pretestuoso e miope considerare popolazioni in fuga da condizioni invivibili alla stregua di migranti economici, tuttavia è esattamente ciò che fa la Commissione europea con il cosiddetto “approccio hotspot”, che istituisce due categorie di migranti: i profughi di guerra, ai quali viene riconosciuto il diritto di chiedere protezione internazionale, e i migranti economici, da rimpatriare – con ciò violando il diritto d’asilo.

Obiettivi del convegno:

  • Analizzare il concetto di rifugiato ambientale e le sue implicazioni giuridiche.
  • Dare un quadro della situazione ambientale nei Paesi dai quali provengono i profughi.
  • Denunciare le politiche di accaparramento di suolo e di risorse attuate da aziende occidentali e multinazionali in accordo con i governi locali.
  • Individuare strumenti di monitoraggio dell’uso dei fondi europei o nazionali per la cooperazione e lo sviluppo destinati a regimi che non rispettano i diritti umani.
  • Mostrare che la separazione tra profughi di guerra e migranti economici applicata nel cosiddetto “approccio hotspot” rischia di essere è lesiva dell’impianto stesso del diritto d’asilo e che l’attuale politica europea dei rimpatri va rigettata nella sua forma attuale.
  • Promuovere un’azione a livello parlamentare europeo per l’introduzione legislativa della figura del rifugiato (interno ed esterno) costretto alla fuga da una massiccia perdita di habitat.
  • Mostrare che è conveniente, oltre che rispettoso del diritto internazionale, sviluppare al massimo, e modificare, le politiche europee di accoglienza e integrazione di profughi e migranti.

Il convegno ha il patrocinio e la partecipazione di:
Università degli studi di Milano, Centro Europeo di eccellenza Jean Monnet, Associazione Costituzione Beni Comuni, Associazione Diritti e frontiere, Associazione Laudato Si’, Gruppo consiliare Milano in Comune, Comune di Milano.

Tra i relatori spiccano figure di rilievo scientifico come Roger Zetter e François Gemenne, l’ex ministro del Mali Aminata Traoré, il responsabile Unhcr per l’Europa meridionale Stéphane Jaquemet, le eurodeputate Ana Gomes, Marie-Christine Vergiat, Elly Schlein.

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Cittadinanza ed Empowerment: Un Manifesto per una Costituente Egualitaria

a cura di Stefano Bonaga*

1 – Nel discorso pubblico prevalente la politica viene identificata con la grammatica della sua rappresentazione mediatica, ridotta cioè all’immagine mobile del gradimento degli spettatori verso la performance degli attori politici. Un sistema sempre più chiuso della selezione dei candidati ne completa il quadro, aggiungendo un fattore ulteriore di degrado in ordine alle aspettative suscitate. Il disincanto tuttavia connesso a tale rappresentazione è ad intermittenza accompagnato da un singolare ottimismo della speranza. Intendiamo smascherare come tale rappresentazione fenomenologica occulti una disfunzione profonda del sistema politico e non una transitoria inadeguatezza soggettiva dei suoi governanti.

2- Al declino della forma rappresentativa classica, dove la delega politica prometteva una qualche corrispondenza di idee e interessi fra eletti ed elettori, è seguita una trasformazione della visione di libertà politica dei cittadini: da potenza di agire effettuale e produttiva a rituale assenso via elezioni, e consenso via sondaggi. Le procedure democratiche, invece che sostanza della democrazia per mezzo del suffragio, sono sempre più un rituale svuotato di affluenza ed efficacia. Si tratta di un oblìo delle promesse dell’Articolo 3 della Costituzione, dove l’uguaglianza politica è intesa come capacità dei cittadini di formarsi ed esprimersi a partire da ciò che sono ma senza che la loro diversità sia ragione di ineguaglianza di potere.

3- La diseguaglianza di potere ed influenza sul processo di decisione è la registrazione politica della crescita di disegueglianze economiche e sociali che rendono molti cittadini depauperati delle condizoni, anche minime, per formare quelle capacità che consentono loro di aspirare al riconoscimento della dignità della propria vita; di essere responsabili e attivi nella ricerca della felicità; di essere cittadini coscienti del proprio potere come persone singole e associate. Invece di una promessa che la società ha fatto a se stessa nel momento della sua costituzione democratica, l’eguaglianza di considerazione legale e morale è diventata per troppi un fine quasi inaccessibile.

4- Le prestazioni di cittadinanza che hanno storicamente segnato il passaggio dal ruolo di suddito a quello di cittadino, a partire dal principio No taxation without representation si trovano oggi ad essere ridotte a due: al dovere fiscale e all’esercizio del diritto di suffragio. Esse, quandanche implementate, risultano, all’interno della democrazia di una società complessa, assolutamente insufficienti a far fronte alle aspettative che generano, siano esse soddisfacimento di bisogni, di diritti, di desideri, di domande culturali. La sproporzione fra tali prestazioni minime di cittadinanza e le relative massime pretese nei confronti del governo emerge come uno dei sintomi funzionali della crisi sistemica di una democrazia che si identifica ormai soltanto con la delega elettorale. Cittadini che sono solo elettori percepiscono, prevedibilmente, la tassazione come servitù piuttosto che come dovere di contribuire alla vita della collettività esercitato da cittadini liberi. No taxationanche a prezzo della rappresentanza.

5- Il sistema della delega in quanto tale configura il rapporto fra governanti e governati conforme al paradigma espresso dalla domanda rivolta dai primi ai secondi: “di che cosa avete bisogno cittadini?”, a cui segue l’impegno programmatico dei primi a far fronte alle richieste. Tale impegno risulta agli occhi di tutti costantemente inevaso. Solo in certi casi ciò dipende dai limiti dei delegati poichè in generale la delusione è imputabile ai limiti stessi della rappresentanza. Si rende dunque necessario un passo ulteriore nella direzione di un’assunzione di maggiore responsabilità politica dei governati che, rispondendo alla domanda: “Che cosa posso fare?”, cooperino ad una costituzione positiva della potenza di agire di una società.

6- Il passaggio storico in Europa da una società stratificata – in cui gli interessi interni agli strati o ceti o classi erano tendenzialmente omogenei – ad una società complessa e funzionalmente differenziata – in cui coesistono e si mobilitano all’interno di ciascuna fascia istanze e opportunità diversificate in ordine a svariati contesti (salario, abitazione, trasporti, sanità, informazione, cultura, tempo libero ecc.)- impone un aumento enorme di capacità selettiva che il solo sistema della rappresentanza politica non è in grado di offrire. Solo un cospicuo incremento di tale capacità selettiva può affrontare il compito di ridurre e quindi governare questa enorme complessità. E’ da questa considerazione che si ricava l’importanza sostanziale e decisiva delle associazioni e dei partiti, quali corpi intermedi ed espressioni della necessità della cittadinanza attiva.

7- La teoria sociologica dei sistemi aperti illustra con chiarezza questa esigenza: per ridurre la complessità dell’ambiente sociale, cioè la sovrabbondanza delle sue istanze e alternative rispetto all’azione attualizzante, occorre complessificare il sistema della politica, ovvero aumentare la sua capacità di selezione intelligente offrendo un più ampio ventaglio di opzioni e possibilità rispetto al sistema chiuso della rappresentanza, che ne scarta un numero insopportabile. Un sistema aperto deve poter contare pertanto su un’articolazione di voci, interessi e iniziative dei cittadini che da una parte raccolgano, segnalino e trasmettano alle instituzioni e agli organi di decisione le informazioni e dall’altra occupino spazi di autorganizzazione. Il pluralismo associativo è quindi sia un segno di libertà che una condizione di necessità funzionale. A tale proposito, offrono interessanti esperienze in prospettiva le analisi e le pratiche sui temi dei beni comuni, le quali potrebbero permettere di affiancare le forme delegate, dirette e partecipate della democrazia con forme innovative di democrazia cooperativa, sul terreno intermedio fra pubblico e privato, in un arricchimento e qualificazione degli strumenti della libertà politica.

8- Questo urgente salto di qualità democratica va intrapreso anche sul fronte di una profonda riflessione e ri-formulazione del ruolo e della forma di quegli specifici corpi intermedi a vocazione universalistica che sono i partiti politici. Lo stato attuale dei partiti nel nostro paese li vede ridotti a macchine di selezione della classe dirigente, dominati dagli esperti del marketing dell’immagine e sempre più rinunciatari rispetto alla decisiva funzione di negoziazione degli interessi delle comunità locali e nazionali. In questo senso, ad essi non si richiede ingenuamente una cessione di potere, ma piuttosto la mutazione della propria forma: da comando e pretesa di delega in bianco a coordinamento, valorizzazione, promozione della potenza sociale espressa da competenze, progetti, iniziative, esperienze autonome, ecc. Per negoziazione noi intendiamo il compito di dare ragioni agli interessi, ovvero la capacità di renderli legittimi e dunque componibili con gli interessi altrui mediante una loro diretta assunzione di responsabilità. In caso di conflitto esso deve durare il tempo della sua componibilità: a questo del resto serve la regola di maggioranza, che esclude a priori il consensualismo mentre presume dissenso e conflitto, ma anche contrattazione e mediazione sempre aperta.

9- Il tema che qui è posto in ordine all’incipit di una Costituente Egualitaria si propone semplicemente come uno stimolo al dibattito e alle pratiche della moltitudine di soggetti che, a vario titolo, in diverse forme e in diversi luoghi, già hanno manifestato e manifestano insofferenza critica nei confronti di una convivenza sociale regolata da una democrazia sempre più affannata da spinte oligarchiche e sempre meno capace di reagire all’ineguaglianza crescente e alla sottrazione di sovranità ai propri cittadini. Dunque, politique d’abord!!!

*Stefano Bonaga, nato  a Bologna nel 1944, è titolare della cattedra di antropologia filosofica dell’Università di Bologna, ha ideato insieme a Maurizio Matteuzzi della rete civica Iperbole per il Comune di Bologna in cui è stato Assessore nella giunta Vitali. Tra i suoi ultimi libri: I dieci comandamenti del vivere civile, Alberti 2011.  Nadia Urbinati, nata a Rimini nel 1955, è titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York e tra i suoi ultimi libri: Democrazia rappresentativa. Sovranità e controllo dei poteri, Donzelli, 2010; Liberi e uguali. Contro l’ideologia individualista, Laterza, 2011. Il disegno in alto è di una scuola di Conegliano (Treviso) per un progetto di cittadinanza attiva.

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8 agosto: Earth Overshoot Day, il giorno del sovrasfruttamento della Terra

Entro l’8 agosto, l’umanità avrà esaurito le risorse che la natura mette a disposizione per tutto l’anno: é quanto afferma il Global Footprint Network, un’organizzazione di ricerca internazionale che sta cambiando il modo in cui il mondo gestisce le sue risorse naturali e reagisce ai cambiamenti climatici .

Il giorno del sovrasfruttamento della Terra (Earth Overshoot Day), che quest’anno cade l’8 agosto, evidenzia la data in cui la domanda annuale di risorse naturali da parte dell’umanità supera le risorse che la Terra può rigenerare in un anno. Questo è possibile perché emettiamo più anidride carbonica nell’atmosfera di quanto gli oceani e le foreste siano in grado di assorbire e deprediamo le zone di pesca e le foreste più velocemente di quanto possano riprodursi e ricostituirsi.

Le emissioni di carbonio costituiscono la componente del sovrasfruttamento ecologico che sta crescendo più velocemente: l’impronta dovuta al carbonio (carbon Footprint) genera il 60 % della domanda di risorse naturali da parte dell’umanità. Noi denominiamo impronta ecologica questa domanda. Se vogliamo rispettare gli obiettivi fissati dall’accordo sul clima di Parigi adottato da quasi 200 paesi nel dicembre 2015, l’impronta dovuta alle emissioni di carbonio dovrà calare gradualmente fin quasi a zero entro il 2050.

L'8 agosto é il giorno del sovrasfruttamento della Terra (Earth Overshoot Day)

Ciò ci richiede di trovare un nuovo modo di vivere sul nostro “unico” pianeta.
“Un tale nuovo modo di vivere porta molti vantaggi ma richiede anche impegno per realizzarlo”, dice Mathis Wackernagel, co-fondatore e CEO di Global Footprint Network. ” La buona notizia è che tutto ciò è attuabile con le tecnologie disponibili ed é economicamente vantaggioso dato che i benefici complessivi sono superiori a costi.
Si stimoleranno settori emergenti come le energie rinnovabili, riducendo i rischi e i costi connessi a settori imprenditoriali ormai senza futuro perchè basati su tecnologie caratterizzate da alte emissioni di carbonio o perchè soggetti ai rischi connessi al cambiamento climatico (es. edificazioni in riva al mare minacciate dall’innalzamento del suo livello). L’unica risorsa di cui abbiamo più bisogno è la volontà politica.”

Fortunatamente, alcuni paesi stanno raccogliendo la sfida. Per esempio, il Costa Rica ha generato il 97 % della sua elettricità da fonti rinnovabili nel corso dei primi tre mesi del 2016. Anche il Portogallo, la Germania e la Gran Bretagna quest’anno hanno dimostrato livelli molto avanzati riguardo alla capacità di produrre energia rinnovabile, quando il 100% della loro domanda di energia elettrica è stata soddisfatta da fonti rinnovabili per diversi minuti o, nel caso del Portogallo, per diversi giorni. In Cina, nel frattempo, il governo ha delineato un piano per ridurre del 50% il consumo di carne dei suoi cittadini prevedendo in questo modo di abbassare di un miliardo di tonnellate entro il 2030 le emissioni di biossido di carbonio equivalente per il comparto cinese dell’industria del bestiame.

Allo stesso tempo, come singole persone, ognuno di noi può impegnarsi per il cambiamento del suo stile di vita quotidiano. Sulla scia dello storico accordo di Parigi, il Global Footprint Network e i suoi 25 partner dell’Earth Overshoot Day hanno lanciato una campagna di coinvolgimento del pubblico, al fine di evidenziare l’importanza di poter contare sulla certezza delle risorse data da un mondo sostenibile in cui le persone e il pianeta possano prosperare.
Con la campagna #pledgefortheplanet (Impegno per il pianeta) lanciata il 22 aprile – Giornata della Terra, le persone sono invitate a scegliere un #pledgefortheplanet (si trova tutto su www.overshootday.org) e a condividere selfie attraverso i social media. (Macchine fotografiche GoPro saranno assegnate dopo l’Overshoot Day agli autori delle tre foto preferite).

Poiché la popolazione mondiale è cresciuta e il consumo è aumentato – soprattutto per quanto riguarda le emissioni di carbonio – la data dell’Earth Overshoot Day nel tempo si è spostata da fine settembre del 2000 all’8 agosto di quest’anno. Un dato positivo é che la velocità con cui la data dell’Earth Overshoot Day si è man mano anticipata é scesa a meno di un giorno all’anno, in media, negli ultimi cinque anni, rispetto a una media di tre giorni all’anno da quando nei primi anni 1970 é iniziato il sovrasfruttamento.

“L’accordo sul clima di Parigi è ancora la dichiarazione più forte riguardo alla necessità di ridurre drasticamente l’impronta di carbonio. In ultima analisi, la scelta é tra collasso o stabilità”, ha detto Mathis Wackernagel. “Raccomandiamo con forza le nazioni, le città e gli individui a prendere iniziative efficaci e coraggiose per rendere gli obiettivi di Parigi una realtà raggiungibile.”

Cosa è il Global Footprint Network
Il Global Footprint Network è un’organizzazione di ricerca che sta cambiando il modo in cui il mondo gestisce le sue risorse naturali e reagisce ai cambiamenti climatici . Dal 2003 ha collaborato con più di 50 nazioni, 30 città e 70 partner globali per fornire scenari scientifici che hanno indirizzato le politiche ad alto impatto e le decisioni di investimento. Insieme ai suoi partners sta creando un futuro in cui tutti possano prosperare entro i limiti del pianeta.
www.footprintnetwork.org

Per approfondire:
Earth Overshoot Day: www.overshootday.org
Sui social media: #pledgefortheplanet, #overshoot
Video sul National Footprint Accounts: https://youtu.be/_T5M3MiPfW4

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Le conseguenze di Brexit sull’energia

dal blog di Mario Agostinelli

logo-il fatto quotidiano 2015Ci vorranno due anni per sostituire completamente gli accordi tra Ue e Gran Bretagna dopo il Brexit e c’è di mezzo una caduta prevista del Pil inglese del 5% medio, che evidentemente il governo inglese vuole diluire nel massimo tempo possibile. Il risultato del referendum di fine giugno può sembrare avere poche implicazioni dirette per l’energia pulita o il mercato elettrico ma è probabile che avrà importanti effetti indiretti – sia perché verrà cambiata la compagine di governo, sia perché sarà inevitabile una battuta d’arresto per l’economia del Regno Unito (si ricordi che Farage auspica un rilancio del carbone a scapito delle rinnovabili, ritenute troppo costose e inefficienti, e parla di sviluppo del fracking).

Gli investitori e le banche esiteranno a immettere nuovi capitali, il che potrebbe causare una caduta innanzitutto nelle nuove attività per le rinnovabili. La caduta della sterlina innalzerà i prezzi degli apparati importati, aumentando i costi dei progetti da finanziare. Non è chiaro se la Bei (Banca Europea per gli Investimenti) rimarrà il più grande fornitore di prestiti per energia pulita per la Gran Bretagna, avendo investito ben 31 miliardi dal 2011 al 2016. Non va dimenticato che gli inglesi detengono il 16% di quote nella banca, ma saranno i cambiamenti nella politica interna ad avere un impatto più grande del voto per quanto riguarda gli investimenti in rinnovabili. Il governo Cameron era impegnato a realizzare la seconda tranche per il contratto per il grande progetto dell’eolico offshore. Difficilmente il progetto non incontrerà ostacoli, e ancor peggio andrà per il solare fotovoltaico e l’eolico onshore.

La previsione, fornita dagli analisti di Bloomberg in comunicazioni riservate, è che, in seguito a Brexit, potrebbero scendere i prezzi del carbone, data una sua maggiore richiesta su impianti anche obsoleti. Ci saranno meno investimenti in nuovi interconnectors transnazionali. Il mercato dell’elettricità della Gb si avvale oggi di 4 Gw di capacità dovuta a interconnessioni con il continente; si stima che per ogni Gw dovuto alle interconnessioni, il prezzo dell’energia in Gb si riduce dell’1 o 2%. Secondo le stesse stime di Bloomberg, la Parity grid sul territorio della Regina aumenterà del 2% rispetto all’attuale 6% per il fotovoltaico e dell’8% per l’eolico. Sarà quindi impossibile per il Regno Unito rispettare la quota del 20% al 2020 fissato dall’Ue.

E’ ormai sicuro che il grandioso progetto nucleare di Hinkley Point, un sito con 3.200 MWe di potenza nucleare con due reattori Epr (European Pressurized Reactor), verrà rimandato o abbandonato. Questo interessa da vicino la società francese Edf, l’industria nucleare Areva, la Commissione europea (che aveva promesso incentivi) e l’apparato militare inglese, tutti coinvolti e interessati al progetto di ben 18,1 miliardi di euro. Edf chiede che Hinkley Point vada a compimento in ogni caso. Ma aumenta il rischio di insuccesso anche di fronte all’interesse manifestato dai cinesi, che si rivolgerebbero altrove al minimo inconveniente (sul “nuovo” nucleare interverremo nei prossimi post). Ad un crollo previsto di domanda di energia, seguirà una riduzione degli impegni sull’efficienza energetica e, complessivamente, si punterà sulla riduzione della CO2 (- 80% al 2050 con una pluralità di sistemi e un largo commercio di quote), più che su aumento sostitutivo delle rinnovabili (che si fermeranno al 15% al 2020).

Molti degli sforzi saranno spostati sulle reti intelligenti e sull’accumulo. Da questo punto di vista ne soffrirà anche l’Europa, visto che un mercato unico digitale che consentirebbe servizi on-line e contenuti applicabili alla distribuzione e al consumo di elettricità deve essere valutato e distribuito in maniera singolare in tutto il continente. Il referendum del 23 giugno ha lasciato fuori dal dibattito i temi energetici e ambientali, che però sono tornati alla ribalta dopo la vittoria del leave. Quale sarà il ruolo di Londra nell’agenda climatica internazionale? Christiana Figueres, segretario esecutivo della Unfccc (United Nations Framework Convention on Climate Change), parlando dell’ipotesi Brexit prima del 23 giugno, era stata molto chiara: “Dal punto di vista degli accordi di Parigi, la Gran Bretagna è parte dell’Unione europea e ha manifestato il suo impegno come membro dell’Ue”. Tradotto: l’eventuale uscita di Londra rimetterà in discussione i patti della Cop21.

Infine, la Brexit obbliga a rivedere anche la nostra strategia energetica, rendendo più marginale il gas e ricorrendo all’acqua sia per produrre biometano che come accumulo, in sinergia con sole, vento e biomasse. Ma, dato che il governo prende gli orientamenti che gli passa il trio Eni-Enel-Terna, ci troviamo con il paradosso di un aumento della bolletta elettrica quando cala il prezzo dei fossili e un’occasione persa per “rilanciare” le rinnovabili, come rivela la conferenza stampa del premier commentata da Francesco Ferrante su La Stampa.

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