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Speciale Durban: Attenzione! Il ritardo ti uccide

Si conclude la 17° Conferenza Onu sul clima di Durban, Sudafrica. Dopo due settimane di lavori il solo commento possibile è che l’obiettivo numero uno, ovvero la riduzione di emissioni, è fallito. Kyoto scade tra un anno e non c’è consenso su un nuovo regime vincolante. Unico impegno: la continuazione delle negoziazioni per arrivare ad un patto entro il 2015, la cui validità potrebbe partire dal 2020. Decisamente troppo tardi per la scienza – che parla del picco massimo entro il 2015 – e per evitare la catastrofe, ovvero un aumento della temperatura media di circa 4°c (7 in Africa) l’inabissamento di molti stati insulari e di migliaia di km di coste, desertificazione, eventi climatici estremi, e 350mila vittime l’anno destinate ad aumentare, di cui fanno parte anche le vittime delle alluvioni italiane di questo autunno.

Due anni fa alla Cop15 di Copenaghen erano presenti tutti i capi di Stato e ripetevano che i cambiamenti climatici sono la più grande minaccia per l’umanità. Solo due anni dopo e a situazione ambientale non certo migliorata, a Durban i capi di stato sono assenti e sui giornali quasi ovunque si parla solo di spread e debito, cancellando dalle prime pagine i rischi del caos climatico e le possibili alternative. Anzi, la crisi climatica è diventata spudorata occasione di speculazione per i mercati e la finanza, attraverso i noti meccanismi di carbon trade e redd+. Sullo sfondo, l’occasione fornita dalle grandi potenzialità economiche della green economy – non a caso strategico è il ruolo della Cina – venduta come ricetta per la febbre del pianeta ma in realtà benzina nel motore e nuova frontiera di espansione dello stesso modello di sviluppo che ha causato la crisi climatica ed economica.

Una scelta irresponsabile e disastrosa per le sorti dell’umanità. Dall’altra parte la scienza richiama l’attenzione sulla necessità di agire rapidamente. Movimenti sociali, sindacati, comitati, organizzazioni e associazioni presenti a Durban hanno offerto soluzioni concrete per transitare verso un modello basato sulla sostenibilità sociale ed ambientale. Riconversione industriale, democrazia energetica, agricoltura organica sono le proposte a cui i governi e le forze politiche dovrebbero dare seguito. Facciamo in fretta.

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Spaciale Durban: meno uno

Ultimo giorno della COP17, possibile nottata in bianco per arrivare alla conclusione. Le opzioni sul tavolo sono ancora molte, ma la possibilità che si esca con uno scenario poco convincente ci sono tutte. Stati Uniti, Cina, India ed in fondo l’Unione Europea potrebbero trovare una convegenza finale che salvi la struttura e che rilanci in avanti il negoziato. Leggendo le date in ballo, però, che parlano anche di 2020, il rischio è che sia troppo avanti. Visto che l’IPCC chiede che il picco di CO2 si possa raggiungere al massimo al 2015.

Oggi ultimo giorni anche per le iniziative dei movimenti sociali, che tra veglie, iniziative interne, contatti con le delegazioni e lanci stampa, provano a fare tutta la pressione possibile sulle delegazioni governative. In attesa della grande plenaria di stasera. E forse di stanotte.

 

 

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Speciale Durban: Green Fund

DURBAN, COP17. CGIL, LEGAMBIENTE E FAIR: “NECESSARIO UN ACCORDO VINCOLANTE SUL CLIMA, DA SUBITO OPERATIVO IL GREEN FUND E LA WTO NON PUO’ CONDIZIONARE I NEGOZIATI DELLE COP”

[Durban/COP17, 8 Dicembre 2011]. Ad un giorno dalla fine dei negoziati della 17a Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite in corso a Durban, in Sudafrica, le delegazioni governative stanno lavorando per trovare un accordo che possa consentire alla comunità internazionale di avere strumenti efficaci nella lotta contro il cambiamento climatico, come richiesto dal panel di scienziati dell’IPCC e dagli ultimi rapporti dell’UNEP, sulla necessità di tagliare radicalmente le emissioni di gas climalteranti.

Diversi sono i capitoli sul tavolo negoziale, come il second commitment period del Protocollo di Kyoto, che dal 2013 dovrebbe imporre nuovi impegni di riduzione ai Paesi industrializzati in base al concetto di “responsabilità storica e differenziata”; il Green Fund, che dovrebbe essere reso operativo con uno stanziamento di 100 miliardi di dollari all’anno per adattamento e mitigazione e l’importanza di una shared vision condivisa che renda operativa una transizione verso una società zero-carbon, capace di rispettare i diritti dell’ambiente, delle comunità umane e delle culture indigene.

CGIL, Legambiente e Fair, presenti alla COP di Durban come organizzazioni osservatrici, spingono perchè da Durban si esca con un accordo legalmente ed operativamente vincolante già dal 2013 sulla base del Protocollo di Kyoto.

“Il protocollo di Kyoto è l’unico accordo internazionale vincolante per la lotta al cambiamento climatico, uno strumento che seppur da aggiornare permette una cornice legale all’interno della quale coinvolgere tutti i Paesi membri della Convenzione” spiega Maurizio Gubbiotti, responsabile dipartimento internazionale di Legambiente, “un second commitment period, come previsto e rilanciato anche nella road map di Bali, è elemento sostanziale per mantenere efficace la lotta al cambiamento climatico, sulla base di una responsabilità dei Paesi storicamente inquinatori”.

E’ necessario un Green Fund operativo già da subito, secondo CGIL, Legambiente e Fair, basato soprattutto su fondi pubblici nuovi ed aggiuntivi e sotto l’egida dell’UNFCCC, che eviti ogni intervento di Banca Mondiale e di altre istituzioni internazionali nella gestione del Fondo stesso. Il Green Fund, di 100 miliardi di dollari all’anno, sebbene sottostimato rispetto alle reali esigenze dovrebbe stanziare, e non mobilizzare fondi, e dedicarli specificamente alla lotta al cambiamento climatico ed all’adattamento.

“Per quanto riguarda il Green Fund occorre che altri Paesi, oltre alla Germania, si impegnino concretamente nel suo finanziamento” dichiara Oriella Savoldi, responsabile dipartimento ambiente e territorio della CGIL, “a sostegno dell’equa transizione che non può essere scaricata sui Paesi del Sud del mondo e neppure sui lavoratori, le lavoratrici e le fasce sociali più deboli.”

Di sostanziale importanza è poi la legittimità delle decisioni prese all’interno della COP, che non dovrebbero essere sottoposte all’interferenza di altre organizzazioni internazionali. “Nella bozza di shared vision appena diffusa” dichiara Alberto Zoratti, responsabile clima ed economia dell’organizzazione equosolidale Fair, “c’è un chiaro accenno alla necessità che le scelte prese in sede COP siano condizionate dalle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Un precedente molto pericoloso”, precisa Zoratti, “che metterebbe nelle mani di un’organizzazione orientata alla liberalizzazione dei mercati e fuori dalle Nazioni Unite un percorso multilaterale che va salvaguardato e non sottoposto ad una visione del mondo, peraltro in crisi”.

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Speciale Durban: 7 dicembre

Alberto Zoratti, da Durban

Un breve resoconto dalla COP17 di Durban. Oggi al Conference Center sta continuando l’High Level Segment con la presenza di Capi di stato e ministri dell’ambiente dei Paesi di mezzo mondo. Il Canada ha confermato la sua uscita da Kyoto, il Giappone il suo rifiuto di un second commitment period, gli Stati Uniti, al solito, stanno a guardare ma la posizione è chiara. Che succederà non è chiaro, ma se la prospettiva va in questa direzione il rischio di rimandare tutto al Qatar (prossima possibile COP) è probabile, salvando le apparenze ma dimenticando la sostanza. Giochi ancora aperti sul Green Fund, forse l’unica cosa che, a Durban, potrebbe vedere un minimo di luce. Da capire quanto accettabile.

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Speciale Durban: notizie sul clima

Durban. Il negoziato dell’incertezza

A Durban domina l’incertezza. Ed un documento preparato sabato scorso mostra ai negoziatori l’immane lavoro che hanno davanti. Riuscirà la COP17 ad essere inserita negli annali delle Conferenze che contano? Troppo presto per saperlo, ma i risultati sostanziali sembrano lontani. E mentre si attende l’arrivo delle alte sfere politiche, la Cina lancia la sfida: “Pronti a impegni vincolanti”. E ora, i Paesi industrializzati, che cosa faranno?

Quando il clima finanzia WalMart

Un fondo dedicato della Banca Mondiale finanzia la costruzione di un grande parco eolico in una delle zone più povere del Messico. Il 7% della popolazione, che non ha accesso all’elettricità, potrà continuare a non vederne l’ombra. In compenso WalMart avrà energia a buon mercato. E’ la denuncia dell’Ong britannica World Development Movement, che nell’utimo report pubblicato mostra come potrebbero essere utilizzati i fondi dedicati alla lotta al cambiamento climatico se lasciati alla buona volontà di grandi istituzioni internazionali ed imprese.

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