A cura di Roberto Meregalli, 3 settembre 2012
Dopo anni di attesa, venerdì 31 agosto è iniziata a circolare via web la bozza della fatidica nuova strategia energetica nazionale, che prossimamente verrà messa in pubblica consultazione.
Quattro sono gli obiettivi dichiarati:
· Ridurre significativamente il gap di costo dell’energia per i consumatori e le imprese
· Continuare a migliorare la nostra sicurezza e ridurre la dipendenza di approvvigionamento dall’estero, soprattutto nel settore gas.
· Favorire la crescita economica sostenibile attraverso lo sviluppo del settore energetico.
· Raggiungere e superare gli obiettivi ambientali definiti dal Pacchetto europeo Clima-Energia 2020.
Obiettivi condivisibili, ma le proposte per raggiungerli lo sono molto meno. Nei link a fondo pagina vi sono alcuni approfondimenti sui singoli punti, qui di seguito una nota generale.
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Sette le priorità citate nel documento, innanzitutto la promozione dell’Efficienza Energetica e su questo punto non si può che plaudire, nel testo si sono buoni propositi e una sezione fra le migliori dell’intero documento, però di concreto c’è solo la proposta di estendere nel tempo le detrazioni fiscali del 55%, differenziando la percentuale di spesa detraibile e/o la durata del rimborso in relazione all’effettivo beneficio dell’intervento, introducendo tetti di costo per tipo di intervento ed escludendo dalla detrazione gli impianti già incentivati con altri strumenti.
La seconda priorità è quella di fare del nostro Paese un hub del gas: nel concreto si tratta di costruire rigassificatori (impianti che trasformano in gas il metano precedentemente liquefatto per essere trasportato via nave) e nuovi metanodotti, per aumentare la sicurezza e la concorrenza alfine di abbassare i prezzi. E’ molto opinabile questa tesi, da anni ciclicamente si torna a parlare del nostro paese come di un possibile centro di arrivo e smistamento di gas per l’Europa. Il ministro Passera rispolvera dunque un progetto caro ai suoi predecessori (Bersani) e vale la pena ricordare che nel 2006 anche l’allora ministro delle infrastrutture, Antonio di Pietro, parlava della necessità di costruire 11 rigassificatori (Adnkronos, 19 agosto 2006).
Purtroppo l’argomento gas non è facilmente semplificabile, il termine “hub del gas” non rappresenta una formula magica in grado di abbassare il costo del gas che consumiamo, il discorso è complesso ed esente da certezze e i rigassificatori non sono impianti magicamente pronti a ricevere gas liquefatto (GNL) bypassando i metanodotti, ovviamente a prezzi concorrenziali. E’ un’illusione pensare che un rigassificatore possa essere costruito avendo in mente solo il mercato spot senza avere alle spalle, almeno per una consistente parte di disponibilità di rigassificazione, uno o più contratti di fornitura a lungo termine. Tant’è che nel mondo nel 2011 su una capacità di liquefazione pari a circa 270 milioni di t. ne sono state contrattate 240 milioni e di queste solo 26,6 sul mercato spot, il resto con contratti a lungo o breve termine.
Nel 2011 il prezzo spot del gas GNL (liquefatto) è stato conveniente perché il Qatar ha esportato GNL in Europa per mantenere un prezzo elevato in Asia dove stava facendo affari vendendolo all’affamato Giappone, orfano dei suoi reattori nucleari. Ma il mercato è instabile e in questi ultimi mesi del 2012 sono intervenuti mutamenti che rischiano di bruciare le nostre ambizioni. A segnalarlo sono proprio le imprese che seguono la bussola della redditività degli investimenti; è di un mese fa la notizia dell’abbandono di Erg dal progetto del rigassificatore di Priolo, in ritardo è quello della OLT di Livorno (che doveva già essere pronto), idem per Falconara Marittima, silenzio per Gioia Tauro e l’Enel pare ben poco stimolata per accelerare su Porto Empedocle. Nessuno dei grandi produttori di GNL pensa all’Italia come hub del gas, perché comanda il prezzo e il prezzo dice Asia, non Europa. Occorrerebbe che esportassero GNL Australia e USA, dove il gas costa sempre meno, ma per ora questi Paesi non esportano.
Il discorso è complesso e non è sintetizzabile in poche battute ma di certo l’idea di Passera non abbasserà il prezzo del gas, anzi visto che nel testo si riconosce implicitamente che il “mercato” oggi non investirebbe in queste nuove infrastrutture, si introducono le cosiddette “essential facilities”, infrastrutture da costruire con “garanzia di ricavi” e “iter autorizzativi accelerati”, il che significa che i nuovi impianti saranno costruiti grazie a incentivi che graveranno sulle bollette di tutti.
E per quanto riguarda le fonti rinnovabili? Beh, è l’unico settore per cui lo sviluppo è previsto compatibilmente con la sostenibilità economica. In effetti questo governo quando parla di queste fonti non utilizza mai il termine sostenibile per qualificarle ma come condizione economica per il loro sviluppo, quindi nel concreto si tratta di una scelta non strategica. Il testo sottolinea che in campo elettrico si è già oltre i vecchi obiettivi, si danno per prodotti nel 2011 circa 92 TWh di corrente da FER anche se i dati definitivi Terna-Gse hanno sancito 83 TWh (e visto che nel 2012 l’idrico è in calo del 17,5% non c’è da aspettarsi una crescita iperbolica anche se il fotovoltaico ha sinora salvato i conti), si risottolinea per l’ennesima volta la generosità dei vecchi incentivi quando ormai siamo nel V conto energia ed il problema è archiviato. Quali iniziative concrete di sviluppo da oggi in avanti? Nessuna, si citano i due recenti decreti ministeriali che però sono stati redatti per contenere la spesa e non per raggiungere obiettivi sfidanti. Per le rinnovabili termiche si parla del fatidico conto energia termico che si attende da un anno, per i trasporti si annuncia che non ci saranno incentivi per il biometano (economicamente insostenibile) ma si punta sui biocarburanti di seconda generazione, ma nel concreto nulla di nuovo.
Ed eccoci al rilancio della produzione nazionale di idrocarburi, tramite cui, così recita il documento: “è possibile raddoppiare l’attuale produzione, con importanti implicazioni in termini di investimenti, occupazione, riduzione della bolletta energetica ed incremento delle entrate fiscali”.
Che dire? Già altri hanno sottolineato i problemi ambientali, lasciamo perciò parlare i numeri: nel 2011 in Italia sono stati estratti circa 5,3 milioni di tonnellate di greggio (per la precisione 5.286.041 t, cfr. Rapporto annuale del 2011 redatto dal DIPARTIMENTO PER L’ENERGIA, Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche del Ministero per lo sviluppo economico). Il consumo di petrolio è stato invece di 71,2 milioni di tonnellate. Secondo il bollettino redatto dal Ministero per lo sviluppo economico, le riserve certe ammontano a 76 milioni di t, quindi poco più del nostro consumo in un anno, pertanto “Il rapporto fra le sole riserve certe e la produzione annuale media degli ultimi cinque anni, indica uno scenario di sviluppo articolato in 7,2 anni per il gas e 14 per l’olio”. Certo, sono considerati probabili 110 milioni di t. e possibili 95 milioni ma rispetto ai consumi sono comunque valori che non indicano alcuna rivoluzione per il nostro sistema energetico. Per il gas il discorso è analogo: le estrazioni nazionali nel 2011 sono state pari a 8,4 miliardi di metri cubi mentre i consumi hanno sfiorato la quota dei 78 miliardi di metri cubi. Le riserve certe (62,3 miliardi di mc) sono inferiori alle nostre importazioni di un singolo anno.
Un’altra priorità descritta è quella relativa allo sviluppo delle infrastrutture e del mercato elettrico, nel documento se ne parla con cognizione di causa ma di novità c’è solo la proposta di un superamento del prezzo unico nazionale, il PUN, poiché le differenze fra le varie zone del Paese si sono ridotto e dovrebbero scomparire con l’attivazione di un nuovo cavo di collegamento con la Sicilia (in costruzione), presumibilmente nel 2015. Per il resto c’è già il Piano di sviluppo di Terna e le sue iniziative in tema di sistemi di accumulo.
Anche il capitolo dedicato alla ristrutturazione della raffinazione e della rete di distribuzione dei carburanti risulta sterile, a parte l’annuncio di un decreto ministeriale relativo a un Fondo per la razionalizzazione della rete carburanti (per ridurre il numero dei distributori), non c’è molto, il fisco continuerà a pesare.
L’ultima priorità annunciata è quella della modernizzazione del sistema di governance, in cui si propone quanto da tempo richiesto da Confindustria: modificare la Costituzione per far tornare l’energia argomento di competenza dello Stato e non più materia concorrente fra Stato e Regioni. La motivazione è ovvia: accelerare gli iter autorizzativi.
Silenzio, infine, sul termoelettrico. Eppure una parola sull’attuale eccesso di centrali e sui progetti relativi al carbone andrebbero spesi, considerando che con la conversione in legge (avvenuta venerdì 3 agosto) del provvedimento 83/2012 meglio conosciuto come Decreto sviluppo sono state stabilite due nuove forme di sostegno per le fonti fossili: gas e olio combustibile (vedi link più avanti).
In sintesi il documento di 100 pagine, pur nella ricchezza di dati e di buoni propositi, risulta deludente perché non contiene analisi costi-benefici e “senza alcuna quantificazione tutto diventa discrezionale” (cfr. Luigi De Paoli pubblicata su Staffetta Quotidiana il 2 giugno 2012). In questo momento di crisi manca di indicazioni puntuali e a breve termine per giungere a qualcuno degli obiettivi dichiarati. Eppure per abbassare il costo dell’energia qualche cosa si potrebbe fare da subito. Ad esempio perché non abbassare il prezzo del gas per il comparto della generazione elettrica allo stesso livello di quanto pagato dai grandi consumatori industriali? (questi ultimi pagano 32,03 centesimi al metro cubo mentre gli “elettrici” pagano 33,45 centesimi). Perché non eliminare il pagamento dell’IVA sulla parte oneri della bolletta? Perché non prevedere in tempi ristretti la costruzione di distributori a metano sulla rete autostradale? Perché non permettere la vendita diretta dell’energia elettrica senza passare dalla rete? (si tratta delle SEU, sistemi efficienti d’utenza, in questo modo anche senza incentivi il fotovoltaico sarebbe già oggi conveniente in gran parte del Paese).
Ma è soprattutto il futuro delineato da questo documento ad essere poco appetibile, un futuro che pare un ritorno al passato, smaltita la “sbornia del solare fotovoltaico”. In questo senso è una strategia per vecchi offerta ad un Paese stanco che ha fame di speranza, è una strategia al di fuori di quello scenario di un mondo per quasi all’80% a trazione rinnovabile delineato dall’IPCC per il 2050 in un rapporto diffuso il 3 settembre, uno scenario, scrive l’IPCC, possibile “solo se sostenuto da politiche pubbliche corrette”.
Link
Bozza della Nuova strategia energetica
Analisi nuovi incentivi alle fonti fossili
Analisi consumi energetici nazionali
Nota sull’opzione Italia hub del gas
Nota sulle estrazioni di petrolio e gas in Italia